Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 2426 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 2426 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 31/10/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: NOME COGNOME nato a ROSCIANO il 07/12/1943 COGNOME nato a MILANO il 02/11/1947
avverso la sentenza del 16/05/2024 della CORTE APPELLO di MILANO
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale COGNOME che ha visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME concluso chiedendo l’inammissibilità dei ricorsi.
Ritenuto in fatto
Con sentenza del 16 maggio 2024, la Corte d’appello di Milano ha confermato la decisione di condanna, pronunciata in primo grado avverso NOME COGNOME e NOME COGNOME per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale. Secondo i giudici di merito, il COGNOME, in qualità di amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE.aRAGIONE_SOCIALE -dal momento della costituzione fino al 4 dicembre 2009-, società dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Milano del 17 ottobre 2013, distraeva 1) parte (n.78) GLYPH dei pannelli fotovoltaici -già installati sull’edificio industriale di Paderno Dugnano, sede della fallita società, acquistati attraverso un finanziamento di euro 250.000, erogato da Intesa San Paolo nel 2007, e poi installati sulle abitazioni private della famiglia COGNOME (capo Al I); 2) euro 900.000, stipulando, per il periodo febbraio 2006-dicembre 2009, con la locatrice RAGIONE_SOCIALE (società riconducibile allo stesso COGNOME), un contratto di affitto dell’immobile in cui aveva sede della fallita, con canone di locazione pari a 360.000 euro annui, valore distonico rispetto al canone di mercato che, nel 2009, era pari a euro 120.000 annui (capo Al II); 3) euro 300.000, tramite rinuncia, nel momento della scadenza del contratto di locazione, alla restituzione della cauzione versata per la locazione del predetto immobile (capo Al III).
NOME COGNOME in qualità di amministratore di fatto della fallita RAGIONE_SOCIALEp.aRAGIONE_SOCIALE, è stata ascritta la responsabilità per le condotte distrattive, in concorso con COGNOME (amministratore di diritto dal 4 dicembre 2009 e poi liquidatore fino alla data del fallimento), aventi ad oggetto 1) euro 775.000, costituenti il corrispettivo relativo alla cessione di un immobile dalla fallita in favore della RAGIONE_SOCIALE, mai incassato dalla cedente perché compensato con il credito acquisito dalla venditrice per effetto dell’accollo di debiti fittizi della Rate Italia s.p.a. nei confronti fornitore RAGIONE_SOCIALE; 2) euro 1.416.209,46, erogati senza titolo in favore della RAGIONE_SOCIALE, in epoca successiva al maggio 2010, quando la fallita aveva ormai ceduto le quote di partecipazione della medesima RAGIONE_SOCIALE in favore della società inglese RAGIONE_SOCIALE; 3) euro 312.375,18, a titolo di compensi percepiti dal COGNOME negli anni dal 2009 al 2011 senza giustificazione alcuna, posto che l’unico mandato in esclusiva gli era stato conferito nel giugno 2009 per la durata di tre mesi e non era stato prorogato.
Avverso la sentenza, hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati, per il tramite dei propri difensori, affidando le proprie censure ai motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Ricorso NOME
2.1 Con il primo motivo, si duole di vizio di motivazione in relazione alla condotta di cui al capo Al I), per avere la Corte territoriale erroneamente disatteso
1 GLYPH
(70
l’argomento della legittima controprestazione elargita, con i 78 pannelli fotovoltaici, ai familiari del ricorrente, i quali, per anni, avevano lavorato nella società fallita a titolo gratuito (come dimostrato dalle dichiarazioni dei testi COGNOME e della figlia dell’imputato). Si contesta, in particolare, la replica della Corte territoriale, secondo cui anche un valore esiguo dei beni sottratti sarebbe comunque idoneo a ledere la garanzia patrimoniale dei creditori. Illogicamente trascurato, inoltre, è il profilo dell’utile ricavato per la fallita società, posto ch pannelli installati sulle private abitazioni dei Giansante vennero acquistati a costo zero, grazie allo sconto per l’acquisto degli altri 120 pannelli installati sulla sede sociale in previsione della realizzazione dell’installazione di altri 4.400 pannelli. Immotivatamente trascurato, inoltre, è l’argomento difensivo che insiste sulla proporzione tra il costo di ciascun pannello e quello dell’attività svolta dai parenti del ricorrente.
2.2 Col secondo motivo, si lamenta vizio di motivazione, in relazione alle condotte di cui ai capi Al II) e Al III) dell’imputazione, per avere la Corte illogicamente ritenuto fuorvianti le stime offerte dal consulente di parte circa il valore di pregio dell’immobile locato, senza considerare che i valori degli immobili nel 2009 era ben maggiore del valore degli stessi nel 2021.
Altresì illogicamente omessa è la prova (documentale e dichiarativa) che la fallita pagasse un canone di locazione per tre immobili di poco inferiore rispetto a quello versato per la sede di Paderno Dugnano. In secondo luogo, il riferimento, operato dalla Corte d’appello, al contratto preliminare di cessione delle quote non può costituire prova dell’illiceità delle operazioni effettuate dal ricorrente (nel caso di specie, il canone pattuito e la rinuncia alla restituzione della cauzione). Infatti, non si è adeguatamente considerato che la fallita società era stata venduta alla cifra simbolica di euro 100, a condizione che la stessa continuasse a pagare il canone di locazione pattuito e rinunciasse alla restituzione della cauzione.
Ricorso COGNOME
3.1. Con il primo motivo si lamenta erronea applicazione della legge penale in relazione alla ritenuta sussistenza del ruolo di amministratore di fatto laddove il ricorrente aveva soltanto svolto attività di consulenza aziendale, come comprovato dall’assenza di elementi dimostrativi del ruolo gestorio che gli è stato attribuito. Erroneamente, peraltro, la Corte territoriale aveva poi ritenuto di qualificare il COGNOME comunque come consulente esterno, posto che tale qualificazione non era mai stata indicata nel capo di imputazione.
3.2. Con il secondo motivo si lamenta erronea applicazione della legge penale per avere attribuito al ricorrente un ruolo nel compimento di tre operazioni distrattive. Si osserva al riguardo: a) che, quanto alla cessione dell’immobile di cui
al capo BI, non era emerso dalla relazione del curatore e dal processo, il ruolo del COGNOME; b) che, quanto all’erogazione della somma di cui al capo BII, si trattava di operazione anteriore di tre anni alla dichiarazione di fallimento, effettuata all’interno del medesimo gruppo di società e, comunque, senza che fosse emerso il concreto contributo del ricorrente; che, quanto ai compensi di cui al capo Bili, non emergevano indici di sospetto delle operazioni, che comunque confermavano il ruolo di consulente del COGNOME, effettivamente svolto da quest’ultimo.
3.3. Con il terzo motivo si lamentano vizi motivazionali in relazione al diniego delle circostanze generiche, fondato su dati negativi erroneamente valorizzati (l’assenza di dichiarazioni dell’imputato, espressione dell’esercizio del suo diritto al silenzio, l’assenza di ristori alla procedura, correlata alla contestazione di avere commesso un illecito, alla presenza di precedenti, invece irrilevanti), trascurando gli elementi positivi rappresentati dall’assenza di cariche formali ricoperte prima della sentenza dichiarativa di fallimento, dato rivelatore del ruolo marginale ricoperto.
Sono state trasmesse le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME il quale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità dei ricorsi.
Considerato in diritto
I due ricorsi in esame sono inammissibili, per i motivi di seguito illustrati.
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME è inammissibile, in quanto reiterativo di doglianze già disattese correttamente dai giudici di merito, fondate peraltro su motivi non specifici e carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (ex plur., cfr. Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, COGNOME, Rv. 253849 – 01).
2.1 L’eccezione principale, attorno cui ruota il primo motivo di ricorso, mira a contrastare l’affermazione di responsabilità del Giansant4f-per il reato ascritto, sostenendo che l’elargizione dei 78 pannelli fotovoltaici a vantaggio delle private abitazioni dei familiari sarebbe stato un equo ristoro per gli stessi, in vista del lavoro gratuito svolto da questi ultimi per anni, oltre che un vantaggio in termini economici per la fallita società. Tuttavia, la rilevanza di tale dato è stato destituita di fondamento, con motivazione esente dalle dedotte censure, dai giudici di merito, i quali hanno correttamente spostato il fuoco argomentativo sul profilo realmente decisivo ai fini dell’ascrizione di responsabilità per il reato di bancarotta distrattiva,
vale a dire lo svuotamento delle casse – pur parziale, comunque realizzato e privo di contropartita- della società poi fallita, con conseguente sottrazione di garanzie patrimoniali e finanziarie per il ceto creditorio della fallita stessa.
Ed è proprio a tal proposito che il ricorso evita un adeguato confronto, critico ed effettivo, con l’obiezione formulata dai giudici dell’appello, che hanno correttamente applicato al caso di specie il consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui il distacco del bene dal patrimonio dell’imprenditore poi fallito, in cui si concreta l’elemento oggettivo del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, può realizzarsi in qualsiasi forma e con qualsiasi modalità (v., ad es., Sez. 5, n. 16748 del 13/02/2018, COGNOME Rv. 272841, Sez. 5, n. 46508 del 27/11/2008, COGNOME, Rv. 242614 – 01, i cui principi, ancorché riferiti alla cessione d’azienda, dispiegano rilievo più generale, attagliandosi agevolmente anche al caso di specie; v. anche Sez. 5, n. 44891 del 09/10/2008, COGNOME, Rv. 241830 – 01; più di recente Sez. 5, n. 48872 del 14/07/2022, COGNOME, Rv. 283893 – 01), ciò che rileva, peraltro, anche per le condotte distrattive di cui si dirà infra, sub 2.2.
Più precisamente, il nucleo problematico della condotta distrattiva ascritta è stato correttamente colto dalla Corte distrettuale, allorché si è ritenuto che anche un valore esiguo dei beni sottratti sia comunque idoneo a ledere la garanzia patrimoniale dei creditori. Così tematizzata la condotta distrattiva imputata, non residuano margini per accogliere le doglianze difensive che riposano su dati assertivi, generici, talvolta congetturali e in alcun modo comprovati, quali 1) il lauto sconto sull’acquisto degli altri 120 pannelli in vista di una futura installazione di altri 4.400 pannelli (argomento congetturale, posto che della successiva installazione dei 4.400 pannelli non v’è traccia negli atti né nel ricorso); 2) il lavoro prestato in società dai familiari del ricorrente (argomento non dimostrato, come ricordato dalla Corte territoriale; a tal proposito, il ricorrente sollecita il Collegio una rivalutazione del merito -attraverso l’indicazione delle dichiarazioni testimoniali già sottoposte all’attenzione dei giudici di merito- improponibile in questa sede: cfr. in tal senso, tra le altre, Sez. 6, n. 25255 del 14/2/2012, COGNOME, Rv. 253099; Sez. 5, n. 39048 del 25/9/2007, COGNOME, Rv. 238215); 3) l’asserita proporzione tra il costo di ciascun pannello e quello dell’attività svolta dai familiari del COGNOME (argomento vago, razionalmente disatteso dalla Corte d’appello, che ha evidenziato l’assenza di adeguate prove documentali confermative dell’asserita proporzione). Il motivo, pertanto, deve ritenersi manifestamente infondato.
2.2 Il secondo motivo è, del pari, manifestamente infondato, avendo i giudici di merito esaustivamente individuato, nelle condotte di cui ai capi d’imputazione
Al I e Al II, sufficienti indici di fraudolenza, a iniziare dal dato della cointeressenza della fallita con la società RAGIONE_SOCIALE società riconducibile allo stesso COGNOME (cfr. Sez. 5, n. 38396 del 23/06/2017, COGNOME, Rv. 270763, «in tema di bancarotta fraudolenta per distrazione, l’accertamento dell’elemento oggettivo della concreta pericolosità del fatto distrattivo e del dolo generico deve valorizzare la ricerca di “indici di fraudolenza”, rinvenibili, ad esempio, nella disamina della condotta alla luce della condizione patrimoniale e finanziaria dell’azienda, nel contesto in cui l’impresa ha operato, avuto riguardo a cointeressenze dell’amministratore rispetto ad altre imprese coinvolte, nella irriducibile estraneità del fatto generatore dello squilibrio tra attività e passività rispetto a canoni di ragionevolezza imprenditoriale, necessari a dar corpo, da un lato, alla prognosi postuma di concreta messa in pericolo dell’integrità del patrimonio dell’impresa, funzionale ad assicurare la garanzia dei creditori, e, dall’altro, all’accertamento in capo all’agente della consapevolezza e volontà della condotta in concreto pericolosa»). Né può ritenersi corrispondente a canoni di ragionevolezza imprenditoriale la pattuizione di un canone d’affitto pari a 30.000 euro mensili, posto che -come rimarcato dalla Corte d’appello- il canone di mercato era, nel 2009, pari a euro 10.000; peraltro, la difesa torna a riproporre il tema dell’autonomia negoziale, neppure replicando alla ragionevole obiezione della Corte territoriale a proposito dell’intervenuta rimodulazione del canone mediante transazione del 2010 (a dimostrazione della patente sproporzione del canone di euro 30.000 mensili deciso nel 2009). Il tema che qui rileva non è certo quello, indiscusso, dell’autonomia negoziale, bensì di beni societari (pari a 1.200.000 euro) distratti dalle casse societarie nei modi descritti in imputazione; rispetto alla prospettazione resa dalla Corte d’appello, il ricorrente non fornisce alcuna convincente replica. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Valgono, anche in tal caso, i principi sopra ricordati (retro, 2.1) in tema di distacco del bene dal patrimonio dell’imprenditore poi fallito (con conseguente depauperamento in danno dei creditori), in cui si concreta l’elemento oggettivo del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, e che può realizzarsi in qualsiasi forma e con qualsiasi modalità, non avendo incidenza su di esso la natura dell’atto negoziale con cui tale distacco si compie (Sez. 5, n. 44891 del 09/10/2008, COGNOME, Rv. 241830 – 01, secondo cui costituisce condotta idonea ad integrare un fatto distrattivo riconducibile all’area d’operatività dell’art. 216, comma primo, n. 1, legge fall., l’affitto dei beni aziendali per un canone incongruo; più di recente Sez. 5, n. 48872 del 14/07/2022, Arnoldo, Rv. 283893 – 01).
Ricorso COGNOME
3.1. I primi due motivi di ricorso vanno congiuntamente esaminati per la loro stretta connessione logica.
Con riguardo all’attribuzione al COGNOME del ruolo di amministratore di fatto, le critiche del ricorrente sono reiterative di censure già argonnentatamente disattese dal giudice di merito con motivazione che non presenta alcun profilo di illogicità e con la quale il ricorso non si confronta in alcun modo.
In punto di diritto, occorre premettere che, secondo la ferma e condivisa giurisprudenza di questa Corte, ai fini dell’attribuzione della qualifica di amministratore “di fatto” è necessaria la presenza di elementi sintomatici dell’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attività della società, quali i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale di detta attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare ed il relativo accertamento costituisce oggetto di una valutazione di fatto insindacabile in sede di legittimità, ove sostenuta da congrua e logica motivazione (v., ad es., Sez. 5, n. 45134 del 27/06/2019, COGNOME, Rv. 277540 – 01; Sez. 5, n. 8479 del 28/11/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269101 0). Questa Corte, nella stessa linea argomentativa, ha da tempo sottolineato che significatività e continuità dello svolgimento di funzioni gestorie non comportano necessariamente l’esercizio di tutti i poteri propri dell’organo di gestione, ma richiedono un’attività svolta in modo non episodico o occasionale (Sez. 5, n. 35346 del 20/06/2013, COGNOME, Rv. 256534 – 01).
In tale prospettiva ricostruttiva, va certamente condiviso l’orientamento che esclude la riproposizione di scorciatoie argomentative che tornino a valorizzare dati isolati e non correlati dai giudici di merito alla concreta realtà imprenditoriale della quale si tratta.
E, tuttavia, in tale cornice di riferimento – che la Corte territoriale ha mostrato di tenere esattamente presente, valorizzando la pregnanza, ai fini dell’attribuzione della qualifica o della funzione, dei singoli poteri in concreto esercitati (v., ad es., Sez. 2 n. 36556 del 24/05/2022, Desiata, Rv. 283850 – 0; Sez. 5, n. 27264 del 10/07/2020, COGNOME, Rv. 279497 – 01) – i giudici di merito, nelle due decisioni conformi, destinate ad integrarsi nel loro apparato motivazionale (v., ad es., Sez. 6, n. 5224 del 02/10/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278611 – 0), hanno appunto sottolineato il ruolo gestorio del ricorrente, traendolo da una pluralità di dati ricavati dall’istruttoria dibattimentale: a) la gestione con RAGIONE_SOCIALE.aRAGIONE_SOCIALE della procedura di ridefinizione dei prodotti finanziari esistenti, che dimostrava non solo la conoscenza della situazione aziendale, ma anche l’esistenza di una funzione di responsabilità decisionale e operativa per potere contrattare con la banca; b) l’individuazione del compratore dell’intero capitale sociale di RAGIONE_SOCIALE; c)
l’individuazione del nuovo amministratore unico della società e della nuova responsabile amministrativa; d) la transazione stipulata col COGNOME e il conferimento del mandato al commercialista COGNOME per la verifica della contabilità sociale l’attività volta al reperimento di linee di credito di finanziamento in favore della fallita, la gestione dei dipendenti.
Si tratta di profili con i quali il ricorso non si confronta se non per reiterare i dato dell’attribuzione formale al COGNOME del ruolo di consulente aziendale, il cui significato è recessivo a fronte della mole di dati sostanziali rivelatori del penetrante potere gestorio esercitato. È proprio dal concreto ruolo assunto nell’amministrazione della società che discende l’attribuzione di responsabilità per i fatti distrattivi, con ciò rimanendo superate le critiche in particolare sviluppate nel secondo motivo.
A quest’ultimo riguardo, va poi osservato, quanto all’erogazione della somma di cui al capo BII, che la sua collocazione nei tre anni anteriori al fallimento e il dedotto carattere infragruppo dell’operazione sono dati, per un verso, privi, in sé di rilievo determinante, e, per altro verso, solo genericamente assunti.
Sotto il primo profilo, va rilevato come in tema di bancarotta fraudolenta per distrazione, l’accertamento dell’elemento oggettivo della concreta pericolosità del fatto distrattivo e del dolo generico debba valorizzare la ricerca di “indici di fraudolenza”, rinvenibili, ad esempio, nella disamina della condotta alla luce della condizione patrimoniale e finanziaria dell’azienda, nel contesto in cui l’impresa ha operato, avuto riguardo a cointeressenze dell’amministratore rispetto ad altre imprese coinvolte, nella irriducibile estraneità del fatto generatore dello squilibrio tra attività e passività rispetto a canoni di ragionevolezza imprenditoriale, necessari a dar corpo, da un lato, alla prognosi postuma di concreta messa in pericolo dell’integrità del patrimonio dell’impresa, funzionale ad assicurare la garanzia dei creditori, e, dall’altro, all’accertamento in capo all’agente della consapevolezza e volontà della condotta in concreto pericolosa (cfr. la già citata Sez. 5, n. 38396 del 23/06/2017, COGNOME, Rv. 270763).
Ne discende che la fraudolenza non è necessariamente collegata alla vicinanza dell’operazione con la dichiarazione di fallimento ben potendo discendere, come nella specie, da altri indici.
Sotto il secondo profilo, si osserva: a) che è rimasto privo di specifica eccezione il rilievo della Corte territoriale, secondo la quale, all’epoca dell’operazione, la società beneficiaria non era più controllata dalla fallita; b) che non sono neppure stati dedotti i requisiti richiesti dalla giurisprudenza per valorizzare i vantaggi compensativi delle operazioni infragruppo al fine di elidere l’offensività della condotta distrattiva. E, infatti, occorre ricordare che «in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, per escludere la natura distrattiva di
un’operazione di trasferimento di somme da una società ad un’altra non è sufficiente allegare la partecipazione della società depauperata e di quella beneficiaria ad un medesimo “gruppo”, dovendo, invece, l’interessato dimostrare, in maniera specifica, il saldo finale positivo delle operazioni compiute nella logica e nell’interesse di un gruppo ovvero la concreta e fondata prevedibilità di vantaggi compensativi, ex art. 2634 cod. civ., per la società apparentemente danneggiata». (Sez. 5, n. 47216 del 10/06/2019, COGNOME Rv. 277545 – 01).
3.2. Il terzo motivo è manifestamente infondato, avendo la Corte territoriale motivato adeguatamente il diniego delle circostanze attenuanti generiche, evidenziando le preponderanti ragioni (tanto d’ordine negativo, quanto relative all’assenza di profili positivi da valorizzare) della decisione, che risulta, pertanto, non sindacabile in sede di legittimità, perché non contraddittoria, né carente (ex multis, Sez. 3, n. 1913 del 20/12/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275509 – 03).
Si osserva, più in particolare, che l’asserito deficit motivazionale -e, segnatamente, la doglianza vertente sulla mancata valorizzazione di elementi positivi- è censura superata dalle adeguate ragioni, illustrate dalla Corte territoriale, circa l’infondatezza dell’argomento relativo all’assenza di cariche formali ricoperte dall’imputato prima della sentenza dichiarativa di fallimento. Il motivo è quindi generico e manca il confronto con la sentenza, laddove il ricorrente tenta di valorizzare elementi asseritamente positivi, di cui la Corte d’appello ha invece illustrato la manifesta infondatezza (v. retro, sub 3.1).
Per le ragioni fin qui esposte, il Collegio dichiara inammissibili i ricorsi. Alla pronuncia di inammissibilità, consegue, ex art. 616 cod. proc. pen, la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, in ragione delle questioni dedotte, appare equo determinare in euro 3.000,00.
P.Q.M.
GLYPH
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. < O iCC w -..1 i é. 4z3 W – . 4 c o Lu w o Z w CC CC c.D W Così deciso in Roma, il 31/10/2024