Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 4566 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 4566 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME NOME COMO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 23/01/2023 della CORTE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette la requisitoria e le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso;
lette le conclusioni depositate dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME, nell’interesse del ricorrente, con le quali si è chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Milano, con la sentenza emessa il 23 gennaio 2023, riduceva la pena principale e confermava nel resto la decisione di condanna del Tribunale di Como, che aveva accertato la responsabilità penale di NOME COGNOME, limitatamente ai delitti di bancarotta fraudolenta societaria per distrazione e bancarotta semplice ai sensi dell’art. 217, comma 1, n. 4, legge fall., nonché al delitto di bancarotta fraudolenta impropria documentale, mandandolo assolto da ulteriori contestazioni.
In particolare, COGNOME risultava, secondo i Collegi di merito, responsabile di un primo delitto di bancarotta per distrazione in relazione alla società RAGIONE_SOCIALE (a seguire, RAGIONE_SOCIALE), dichiarata fallita i 20 ottobre 2015, per aver distratto beni aziendali, per il valore di euro 89.000,00, dopo la redazione dell’inventario e durate la procedura fallimentare (dal che la riqualificazione della condotta in bancarotta distrattiva post-fallimentare da parte del Tribunale di Como), oltre alla bancarotta semplice per essersi astenuto dal richiedere il fallimento.
In relazione alla società RAGIONE_SOCIALE (a seguire, COGNOME), dichiarata fallita il 1 marzo 2018, quale amministratore unico dal 5 gennaio 2015 alla data del fallimento, rispondeva della distrazione di una autovettura del tipo Fiat Panda, nonché di aver tenuto i libri e le altre scritture contabili con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto e di non rendere possibile al curatore la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, tanto che risultava impossibile dare conto del formarsi del passivo societario per euro 415.020,51.
Il ricorso per cassazione proposto nell’interesse di NOME COGNOME consta di quattro motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Il primo motivo deduce violazione dell’art. 216 legge fall. e vizio di motivazione in ordine al dolo richiesto dalla prima condotta distrattiva. La sentenza impugnata risulterebbe contraddittoria e avrebbe omesso di valutare le risultanze probatorie emerse dalla deposizione del curatore, che dava atto della circostanza che i beni aziendali risultavano ceduti dalla RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE fin dal 2012, come accertato con una fattura e un contratto di cessione, cosicché COGNOME risultava aver in buona fede ritenuto che gli stessi fossero in proprietà della RAGIONE_SOCIALE.
Il secondo motivo deduce violazione dell’art. 216 legge fall. e vizio di motivazione quanto alla distrazione della autovettura Fiat Panda, in ordine alla quale la motivazione impugnata risulterebbe carente di valutazione del valore infimo dell’autovettura, gravata da ipoteca e immatricolata nel 2011, senza dare conto della tenuità del danno provocato e della unicità della distrazione.
Il terzo motivo lamenta violazione dell’art. 216, comma 1, n. 2 legge fall. quanto alla bancarotta documentale, nonché vizio di motivazione. Dopo aver ripercorso le linee giurisprudenziali sul tema, il ricorrente rileva come la Corte di appello abbia omesso di motivare in ordine al dolo specifico richiesto dalla bancarotta ritenuta, in connessione con l’omessa tenuta delle scritture contabili.
Il quarto motivo deduce violazione di legge in relazione alla omessa prevalenza delle riconosciute circostanze attenuanti generiche sull’aggravante contestata, sottovalutando la circostanza che COGNOME ebbe a fare il possibile per «salvare la società», anche indebitandosi personalmente, nonché risultando collaborativo con la curatela, come attestato dagli interrogatori.
Il Pubblico ministero, nella persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale, ha depositato requisitoria e conclusioni scritte – ai sensi dell’art. 23 comma 8, d.l. 127 del 2020 – con le quali ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
La difesa del ricorrente ha insistito con ulteriori conclusioni scritte per l’accoglimento del ricorso.
Il ricorso è stato trattato senza intervento delle parti, ai sensi dell’art. 2 comma 8, d.l. n. 137 del 2020, disciplina prorogata sino al 31 dicembre 2022 per effetto dell’art. 7, comma 1, d.l. n. 105 del 2021, la cui vigenza è stata poi estesa in relazione alla trattazione dei ricorsi proposti entro il 30 giugno 2023 dall’articolo 94 del decreto legislativo 10 ottobre 2022 n. 150, come modificato dall’art. 5duodecies d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito con modificazioni dalla I. 30 dicembre 2022, n. 199.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Va premesso che RAGIONE_SOCIALE risponde per le bancarotte conseguenti al fallimento di due società, la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, la seconda indicata dalla Corte di appello come RAGIONE_SOCIALE costituita dagli stessi soci della prima e anche amministrata dall’imputato.
Quanto al primo motivo deve rilevarsi come lo stesso sia aspecifico,non confrontandosi con la sentenza impugnata.
La Corte territoriale evidenziava come COGNOME fosse certamente consapevole della circostanza che i beni ceduti dalla RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE fossero oggetto di un contenzioso in sede civile, che aveva visto rigettata la domanda della presunta cessionaria che li rivendicava, proprio per l’assenza di contratto e di fatture aventi data certa (fol. 4). Tale consapevolezza integrava, secondo la Corte territoriale, la prova che COGNOME avesse agito con il dolo richiesto per l distrazione, di natura generica (fol. 10).
Si tratta di motivazione assolutamente immune da manifesta illogicità o contraddizione, anche perché l’evocazione della fattura e del contratto di cessione, che tende a rappresentare un travisamento della prova per omissione nel quale sarebbe incorsa la Corte di appello, risulta invece censura non specifica, perché non si confronta con il giudizio in sede civile, che si è concluso ritenendo non affidabile la certezza e datazione proprio di tali documenti, come la stessa sentenza impugnata riferisce al fol. 4.
E di ciò, se non altro della esistenza di una controversia sulla proprietà dei beni aziendali, osserva la Corte territoriale a buona ragione, non poteva non essere consapevole l’imputato, cosicché congrua è la motivazione quanto al dolo generico richiesto.
Ma sussiste un secondo profilo di aspecificità del motivo: i Collegi del merito hanno infatti rilevato come la condotta distrattiva sia stata accertata per il mancato reperimento di beni presso la sede della fallita, che neanche furono rinvenuti presso la RAGIONE_SOCIALE: tali beni furono dirottati da COGNOME presso una società estera, in Albania, a lui comunque riconducibile.
Il che palesa come il motivo di censura sia assolutamente inadeguato a confrontarsi con la motivazione sul punto della condotta di distrazione, che non ha ad oggetto la cessione alla RAGIONE_SOCIALE, bensì la distrazione verso l’Albania, con il conseguente dolo generico, ben ritenuto al fol. 11 della sentenza impugnata.
Il secondo motivo riguarda la distrazione dell’autovettura Panda. La censura si concentra sulla irrisorietà del valore dell’autovettura e sulla tenuità del danno provocato.
Nel caso in esame, la Corte territoriale ha escluso l’irrilevanza della distrazione, il che è in linea con il principio per cui integra il delitto di bancaro fraudolenta per distrazione la dismissione di beni strumentali obsoleti distaccati dal patrimonio sociale in assenza di utile o corrispettivo, trattandosi di beni la cui consistenza economica, sebbene minima, esigua o ridottissima, è idonea comunque a costituire garanzia per i creditori (Sez. 5, n. 31680 del 03/06/2021, COGNOME, Rv. 281768 – 01).
La censura sulla tenuità del valore risulta quindi manifestamente infondata e a riguardo deve rilevarsi come la Corte di appello abbia anche escluso l’invocata assoluzione per particolare «tenuità del fatto», ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen.
Per altro, anche ai fini dell’attenuante del danno tenue, correttamente il ricorrente richiama il principio consolidato per cui ai fini dell’applicazione dell circostanze di cui all’art. 219 della legge fallimentare, la valutazione del danno va effettuata con riferimento non all’entità del passivo o alla differenza tra attivo e passivo, bensì alla diminuzione patrimoniale cagionata direttamente ai creditori
dal fatto di bancarotta; ne consegue che il giudizio relativo alla particolare tenuità – o gravità – del fatto non va riferito al singolo rapporto che passa tra fallito creditore ammesso al concorso, ne’ a singole operazioni commerciali o speculative dell’imprenditore decotto, ma va posto in relazione alla diminuzione, (non percentuale, ma globale), che il comportamento del fallito ha provocato nella massa attiva che sarebbe stata disponibile per il riparto, ove non si fossero verificati gli illeciti. (Sez. 5, n. 52057 del 26/11/2019, Giannone Rv. 277658 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 12087 del 10/10/2000, COGNOME, Rv. 217403 – 01).
E però, le ragioni di tenuità del valore dell’autovettura non risultano comprovate nel giudizio di merito, ma esclusivamente asserite, né viene in questa sede dedotto travisamento con specifico riferimento ai mezzi di prova non valutati e alla decisività degli stessi.
Inoltre, la censura relativa alla tenuità del danno avrebbe dovuto rivolgersi anche al contesto complessivo e non solo al valore dell’autovettura, dovendo riferirsi anche alla bancarotta documentale, per la quale il passivo di euro 415.020,51 risultava accertato a seguito di insinuazioni e non attraverso le scritture contabili, la cui tenuta ne aveva reso impossibile la ricostruzione.
Infatti, in tema di bancarotta fraudolenta documentale, l’occultamento delle scritture contabili non consente l’applicazione della circostanza attenuante del danno di speciale tenuità, prevista dall’art. 219, comma 3, legge fall., qualora, rendendo impossibile la ricostruzione dei fatti di gestione dell’impresa fallita, impedisca la stessa dimostrazione del danno causato alla massa creditoria in seguito all’incidenza che le condotte integranti il reato hanno avuto sulla possibilità di esercitare le azioni revocatorie e le altre azioni poste a tutela degli interess creditori (Sez. 5, n. 25034 del 16/03/2023, Cecere, Rv. 284943 – 01; mass. conf. N. 7888 del 2019 Rv. 275345 – 01).
Ma il motivo di censura non affronta il tema della tenuità in ordine anche alla bancarotta documentale, contestata sempre in relazione alla RAGIONE_SOCIALE, cosicché il motivo resta generico, oltre che manifestamente infondato.
Il terzo motivo si fonda su una errata interpretazione della sentenza impugnata.
A ben vedere effettivamente sussisteva una originaria contestazione alternativa relativa alle due fattispecie di bancarotta documentale fraudolenta, nella forma specifica e generica, limitatamente al dolo e non anche con la contestazione della omessa tenuta delle scritture quanto al profilo oggettivo.
A COGNOME riguardo COGNOME è COGNOME ammissibile COGNOME la COGNOME contestazione alternativa dei COGNOME delitti di bancarotta fraudolenta COGNOME documentale per sottrazione, distruzione o occultamento di scritture contabili, per la cui sussistenza è necessario il
dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori, e di fraudolenta tenuta delle stesse, che integra una ipotesi di reato a dolo generico, non determinando tale modalità alcun vizio di indeterminatezza dell’imputazione (Sez. 5, n. 8902 del 19/01/2021, Tecchiati, Rv. 280572 – 01).
Non di meno, però, la Corte di appello, pur valorizzando entrambe le condotte materiali, quella di omessa tenuta nell’ultimo triennio ma anche la confusività e l’irregolarità della tenuta della contabilità, in relazione a quest’ultima co motivazione non manifestamente illogica riferisce il dolo alla volontà dì rendere difficile la ricostruzione dei movimenti di affari, connessa al ruolo di dominus dell’imputato e dell’arco temporale cospicuo in cui le irregolarità contabili vennero a realizzarsi, oltre che dal numero e dalla gravità delle irregolarità contabili.
Quanto alla omessa tenuta delle scritture contabili la stessa Corte indica il dolo specifico, traendolo dalla volontà di impedire agli organi fallimentari di avere traccia delle operazioni distrattive e dell’occultamento dei cespiti. Si tratta di una motivazione adeguata a integrare anche il dolo specifico, pur se non necessaria, a fronte della contestazione della bancarotta di tipo generico.
Comunque, si verte in tema di motivazioni assolutamente adeguate, e certamente non illogiche né in violazione di legge, tali da escludere la riqualificazione in bancarotta documentale semplice invocata dal ricorrente.
D’altro canto, sarebbe bastata anche solo la valutazione in ordine al dolo generico, oltre che per quanto già evidenziato in ordine alla imputazione, anche perché le ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale di cui all’art. 216, comma 1, n. 2, prima e seconda ipotesi, legge fall. sono alternative, ciascuna idonea ad integrare il delitto in questione, per cui, accertata la responsabilità in ordine all tenuta della contabilità in modo da rendere impossibile la ricostruzione del movimento degli affari e del patrimonio della fallita – che richiede il solo dolo generico – diviene superfluo accertare il dolo specifico richiesto per la condotta di sottrazione o distruzione dei libri e delle altre scritture contabili, anch’ess contestata (Sez. 5, n. 43977 del 14/07/2017, Pastechi, Rv. 271753 – 01).
5. In ordine al quarto motivo, le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell’equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto. (Sez. Un., n. 10713 del 25 febbraio 2010, Contaldo, Rv. 245931).
Nel caso in esame la Corte di appello conferma la valutazione effettuata dal primo giudice, che aveva riconosciuto le circostanze attenuanti generiche
ritenendole equivalenti alla contestata aggravante della pluralità di fatti di bancarotta in ragione del comportamento processuale e, per quanto parziale e tardiva, ammissione di responsabilità.
Tale motivazione non risulta viziata, in quanto gli elementi addotti dal ricorrente, quale la confessione intervenuta, che avrebbe dovuto determinare la prevalenza delle attenuanti sulla aggravante, sono state già valutate dal Tribunale e confermate dalla Corte di appello, che per altro ha collegato tale conferma del giudizio di equivalenza alla riduzione della pena complessiva, di fatto operando una valutazione globale di idoneità della pena in concreto, in sintonia con il principio di diritto in precedenza enunciato.
Ne consegue la genericità del motivo che sollecita una rivalutazione fattuale del valore da attribuire ai profili positivi, oggetto già di argomentata valutazione da parte dei Giudici di merito e non consentita in questa sede.
All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna della parte ricorrente, ai sensi dell’art. 616 c.p.p. (come modificato ex L. 23 giugno 2017, n. 103), al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, 09/11/2023
Il Consigliere estensore
Il Presidente