Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 26888 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 26888 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a VASTO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 04/07/2023 COGNOMEa CORTE APPELLO di L’AQUILA
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria a firma del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME,
che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. La sentenza impugnata è stata pronunziata il 15 settembre 2023 dalla Corte di appello di L’Aquila, che ha confermato la sentenza del Tribunale di Vasto che aveva condanNOME COGNOME NOME per i reati di bancarotta fraudolenta distrattiva e di bancarotta fraudolenta documentale, in relazione alla società “RAGIONE_SOCIALE“, fallita il 4 maggio 2017.
Secondo l’ipotesi accusatoria, ritenuta fondata dai giudici di merito, l’imputato
in qualità di legale rappresentante – avrebbe distratto le attrezzature COGNOMEa
società, dal «costo storico di euro 115.270,23», e avrebbe tenuto le scritture contabili in modo tale da non consentire la ricostruzione del patrimonio e degli affari COGNOMEa società.
Avverso la sentenza COGNOMEa Corte di appello, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del difensore di fiducia.
2.1. Con un primo motivo, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione COGNOMEa legge penale, in relazione agli artt. 216, 217, 219 e 223 legge fa II.
Contesta la sentenza impugnata, sostenendo che la Corte di appello avrebbe basato la propria decisione esclusivamente sulle dichiarazioni rese dal curatore fallimentare, in ordine alle quali non avrebbe effettuato neppure un adeguato vaglio di attendibilità, mentre avrebbe considerato superflue quelle rese dai testi COGNOMEa difesa e non avrebbe neppure preso in considerazione le dichiarazioni rese dal teste a carico COGNOME NOME. Sostiene che l’imputato, a partire dal 4 luglio 2011, data in cui aveva ceduto le quote societarie a COGNOME NOME e COGNOME NOME, sarebbe rimasto mero amministratore di diritto, lasciando al NOME l’amministrazione di fatto COGNOMEa società.
Il ricorrente, inoltre, sostiene che: i giudici di merito non avrebbero adeguatamente valutato le sentenze di patteggiamento acquisite nel corso del giudizio; i beni distratti, al momento del fallimento, nel 2017, non avrebbero potuto avere il valore contabile di euro 80.000,00.
Sempre nell’ambito del primo motivo, il ricorrente contesta l’applicazione COGNOME‘aggravante di cui all’art. 219 legge fall., sostenendo che, per giurisprudenza costante, tale circostanza potrebbe applicarsi solo nei casi di più fatti di «bancarotta di specie diversa» e, cioè, quando concorrono fatti di bancarotta fraudolenta e fatti di bancarotta semplice.
Sostiene ancora il ricorrente che i giudici di merito non avrebbero indicato quali sarebbero stati i beni oggetto COGNOMEa condotta distrattiva e che, in ogni caso, mancherebbe l’elemento soggettivo del reato.
2.2. Con un secondo motivo, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione COGNOMEa legge penale, in relazione agli artt. 216, 217, 219 e 223 legge fa Il.
Sostiene che: «nelle condotte ascritte all’imputato» sarebbe «del tutto assente l’elemento psicologico»; l’imputato sarebbe stato «un mero prestanome dal 4 luglio 2021 al fallimento COGNOMEa società, avvenuto il 4 maggio 2017»; il COGNOME, in quanto amministratore di fatto, sarebbe «l’unico che» dovrebbe «rispondere dei fatti addebitati».
Il Procuratore generale, nelle sue conclusioni scritte, ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
AVV_NOTAIO, per l’imputato, ha presentato conclusioni scritte con le quali ha replicato alle conclusioni del Procuratore generale e ha chiesto di annullare la sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
1.1. Entrambi i motivi – che possono essere trattati congiuntamente, essendo entrambi versati in fatto – sono inammissibili.
Le censure mosse dal ricorrente, infatti, sono completamente versate in fatto e tese a ottenere una non consentita rivalutazione COGNOMEe risultanze processuali e un inammissibile sindacato sulla ricostruzione dei fatti operata dalla Corte di appello.
Al riguardo, va ribadito che «l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo COGNOMEa decisione abbia un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti COGNOMEa decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza COGNOMEe argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento o la loro rispondenza alle acquisizione processuali, se non, in quest’ultimo caso, nelle ipotesi di errore del giudice nella lettura degli atti intern del giudizio denunciabile, sempre nel rispetto COGNOMEa catena devolutiva, ai sensi COGNOME‘art. 606, comma 1, lett. e), ultima parte, cod. proc. pen.» (Sez. U, n. 14722 del 30/01/2020, COGNOME).
Va, in ogni caso, rilevato che i giudici di merito hanno reso una coerente e ampia motivazione, valutando adeguatamente anche l’attendibilità COGNOMEe dichiarazioni rese dal curatore fallimentare. La Corte di appello ha specificamente riportato e analiticamente valutato anche le dichiarazioni rese dai testi COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, ritenendo che esse non fossero sufficienti a dimostrare che il ruolo di amministratore di fatto COGNOMEa società fosse stato tenuto da RAGIONE_SOCIALE.
Al riguardo, ha evidenziato che, dalle dichiarazioni rese dai testi in questione, non era emerso che il COGNOME avesse svolto attività di gestione COGNOMEa società, che avesse tenuto i rapporti con gli istituti di credito e con i fornitori, che avess assegNOME compiti e direttive a tutto il personale dipendente.
Si tratta di una motivazione congrua in fatto e corretta in diritto (cfr. Sez. 5, n. 41793 del 17/06/2016, COGNOME, Rv. 268273), rispetto alla quale il ricorrente non ha evidenziato alcun travisamento di prova o determinante vizio logico, limitandosi a muovere generiche censure, fondate su frammenti probatori o indiziari che tendono a sollecitare un’inammissibile rivalutazione dei fatti nella loro interezza (Sez. 3, n. 38431 del 31 gennaio 2018, COGNOME, Rv. 273911).
I giudici di merito, inoltre, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, hanno indicato i beni oggetto COGNOMEa distrazione e hanno correttamente ritenuto che la prova COGNOMEa distrazione o COGNOME‘occultamento dei beni COGNOMEa società fallita potesse essere desunta dalla condotta COGNOME‘amministratore, che aveva omesso di indicare al curatore l’esistenza, la destinazione e l’ubicazione dei beni aziendali (Sez. 5, n. 669 del 04/10/2021, Rossi, Rv. 282643).
Generiche e meramente assertive risultano le deduzioni del ricorrente relative alla mancanza di volontà COGNOME‘imputato di occultare le scritture contabili e di distrarre beni del patrimonio COGNOMEa società.
Manifestamente infondata è la censura relativa all’aggravante, atteso che «la circostanza aggravante prevista dall’art. 219, comma secondo n. 1, legge fall., non richiede la contestuale presenza di più fattispecie diverse descritte negli artt. 216 e 217 COGNOMEa medesima legge, ma la reiterazione COGNOMEa condotta, comunque sussumibile in entrambe o in ciascuna COGNOMEe due ipotesi, sicché anche fatti COGNOMEo stesso tipo e riferibili alla stessa ipotesi di bancarotta sono sufficienti alla s integrazione» (Sez. 5, Sentenza n. 16566 del 12/01/2010, COGNOME, Rv. 246707).
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso per cassazione, consegue, ai sensi COGNOME‘art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento COGNOMEe spese processuali e COGNOMEa sanzione pecuniaria a favore COGNOMEa cassa COGNOMEe ammende, che deve determinarsi in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento COGNOMEe spese processuali e COGNOMEa somma di euro 3.000,00 in favore COGNOMEa cassa COGNOMEe ammende.
Così deciso, il 15 marzo 2024.