Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 4547 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 4547 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 12/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a MARINO il 29/10/1964
avverso la sentenza del 23/05/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in personadel Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo
udito il difensore
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 23 maggio 2024, la Corte di appello di Roma confermava la sentenza del Tribunale di Velletri che aveva ritenuto NOME COGNOME colpevole dei delitti di bancarotta fraudolenta patrimoniale (distraendo dal patrimonio della società una Fiat 500, una Mini e la somma di euro 2.400) e documentale, consumati quale amministratore della RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita il 27 novembre 2017, dalla costituzione al 13 marzo 2015 e poi quale amministratore di fatto, irrogando la pena indicata in dispositivo.
1.1. In risposta ai dedotti motivi di appello, la Corte osservava quanto segue.
Il dissesto della società datava al 2015, quando l’imputato aveva ceduto l’amministrazione e, a tale epoca, risalivano anche gli atti di distrazione, delle autovetture e delle somme che l’imputato si era bonificato (solo in sede giudiziale indicati come compensi).
L’imputato aveva così totalmente svuotato la società (irreperibile anche presso la sede formale) dei suoi cespiti attivi.
Il tentativo di occultare dette distrazioni aveva giustificato la sparizione dei libri e delle scritture che il commercialista della società aveva dichiarato essere state tenute fino al 2014 e che, invece, nessuno, tantomeno il prevenuto, aveva consegnato al curatore.
Propone ricorso l’imputato, a mezzo del proprio difensore Avv. NOME COGNOME articolando le proprie censure in due motivi.
2.1. Con il primo deduce il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta configurabilità del delitto di bancarotta documentale “specifica”.
La mera assenza dei libri e delle scritture contabili non poteva concretare il reato contestato, la prima ipotesi fra quelle punite dall’art. 216, comma 1 n. 2, legge fall., in assenza del necessario dolo di pregiudizio delle ragioni dei creditori.
La motivazione della Corte a tal proposito era stata del tuto apparente tanto più che si fosse ravvisata la sola colpa la condotta avrebbe dovuto essere derubricata nell’ipotesi di cui all’art. 217 legge fall.
2.2. Con il secondo motivo lamenta la violazione di legge ed il difetto di motivazione in riferimento alla ritenuta bancarotta patrimoniale.
Le somme versate all’imputato erano del tutto proporzionate ai compensi che gli spettavano e non erano vietate dallo statuto. L’autovettura Mini aveva un valore irrisorio.
Così che non si era verificato alcun concreto pericolo per le ragioni dei creditori.
Il Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte, nella persona del sostituto NOME COGNOME ha inviato una memoria in cui ha concluso per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso presentato nell’interesse dell’imputato è inammissibile.
Il primo motivo, speso sulla ritenuta sussistenza del delitto di bancarotta documentale specifica, è inammissibile perché pecca di genericità in quanto è fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerarsi non specifici. La mancanza di specificità del motivo, infatti, deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell’art. 591 comma 1 lett. c), all’inammissibilità (Sez. 4, 29/03/2000, n. 5191, Barone, Rv. 216473; Sez. 1, 30/09/2004, n. 39598, COGNOME, Rv. 230634; Sez. 4, 03/07/2007, n. 34270, COGNOME, Rv. 236945; Sez. 3, 06/07/2007, n. 35492, COGNOME, Rv. 237596).
Muovendo, così, dalle contestazioni di bancarotta per distrazione (relativa alle due automobili ed alla somma in contanti), la Corte d’appello aveva considerato che l’occultamento dei libri e delle scritture contabili (che esistevano fino al 2014, come ricordato dal commercialista della fallita e che proprio al prevenuto erano state consegnate) fosse stata strumentale al parallelo consumate distrazioni.
Così fornendo una motivazione, sul necessario dolo specifico, di danno ai creditori della fallita e di proprio vantaggio, priva di manifeste aporie logiche.
Il secondo motivo, sulla configurabilità del delitto di bancarotta patrimoniale, è parimenti inammissibile perché versato in fatto e perché manifestamente infondato.
E’ versato in fatto in quanto volto ad ottenere da questa Corte la riconsiderazione degli elementi posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, invece, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, così che non può integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il
ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (per tutte: Sez. Un., 30/4-2/7/1997, n. 6402, COGNOME, Rv. 207944; ed ancora: Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003 – 06/02/2004, Elia, Rv. 229369).
La Corte di merito, infatti (ferma rimanendo la non contestata distrazione della Fiat 500), aveva considerato che, comunque l’altra vettura, la Mini, aveva un residuo valore economico (che era stato pacificamente sottratto) e che la somma in contanti, indicata come distratta dal patrimonio della fallita, era stata bonificata dal medesimo imputato su propri conti, non potendo poi congruamente sostenere che la stessa gli era dovuta a titolo di compensi, posto che gli stessi non erano stati precisati né nell’an né nel quantum, e che, del resto, tale titolo mai era stato prospettato, prima del giudizio stesso.
Dovevano pertanto considerarsi condotte distrattive tutte quelle contestate al prevenuto, peraltro afferenti gli unici cespiti attivi della società, concretando tali condotte il correlativo concreto pregiudizio delle ragioni economiche dei creditori della fallita.
All’inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, versando il medesimo in colpa, della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso, in Roma il 12 novembre 2024.