Bancarotta Fraudolenta Documentale: La Cassazione e i Limiti del Ricorso
Un recente provvedimento della Corte di Cassazione ha ribadito i rigorosi requisiti di ammissibilità dei ricorsi, specialmente in casi complessi come la bancarotta fraudolenta documentale. L’ordinanza analizza il caso di un imprenditore la cui condanna è stata confermata a causa della genericità e manifesta infondatezza dei motivi di appello, offrendo spunti cruciali sui limiti del giudizio di legittimità.
I Fatti del Processo
Un imprenditore è stato condannato in primo e secondo grado per il reato di bancarotta fraudolenta documentale. Secondo l’accusa, confermata dai giudici di merito, egli aveva agito come amministratore di fatto della società fallita, sottraendo o comunque occultando le scritture contabili al fine di danneggiare i creditori.
L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, basandolo su tre motivi principali:
1. Vizi di motivazione della sentenza d’appello, inclusi un presunto errore materiale, una errata valutazione di una testimonianza e il disconoscimento della sua qualifica di amministratore di fatto.
2. Mancata derubricazione del reato in una fattispecie meno grave, sostenendo che i documenti contabili si trovassero su computer che erano stati rubati.
3. Errata valutazione nel bilanciamento delle circostanze aggravanti e attenuanti.
Analisi del ricorso e la bancarotta fraudolenta documentale
Il ricorrente ha tentato di smontare l’impianto accusatorio attraverso diverse critiche. In primo luogo, ha evidenziato un errore della Corte d’Appello nella sintesi della sentenza di primo grado, definendolo un vizio di motivazione. Ha poi contestato la ricostruzione dei rapporti con un testimone chiave e ha sostenuto che le difficoltà incontrate dal curatore fallimentare nel definire le sue responsabilità avrebbero dovuto escludere la sua qualifica di amministratore di fatto.
Infine, per quanto riguarda la bancarotta fraudolenta documentale, ha criticato la mancata dequalificazione del reato, insistendo sull’ipotesi del furto dei computer contenenti i dati contabili. Questa linea difensiva mirava a trasformare il reato da un atto doloso di occultamento a una più lieve omissione colposa nella tenuta delle scritture.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, smontando punto per punto le argomentazioni della difesa.
I giudici hanno qualificato l’errore di sintesi come un semplice ‘lapsus calami’, un refuso irrilevante ai fini della coerenza logica della decisione. Le critiche sulla valutazione delle testimonianze e sulla qualifica di amministratore di fatto sono state respinte perché considerate ‘generiche’, ‘congetturali’ e, in sostanza, un tentativo di ottenere un nuovo giudizio sui fatti, cosa non permessa in sede di legittimità. La Cassazione, infatti, non è un terzo grado di giudizio sul merito, ma valuta solo la corretta applicazione della legge.
Anche la richiesta di derubricazione del reato è stata giudicata ‘generica e manifestamente infondata’. La Corte ha osservato che la difesa non si era confrontata adeguatamente con la motivazione della sentenza d’appello, la quale aveva evidenziato non tanto la mancanza di prova del furto, quanto l’improbabilità che tutti i dati contabili fossero conservati esclusivamente su quei computer. Le argomentazioni della difesa sono state quindi ritenute mere ipotesi non supportate da prove concrete.
Le Conclusioni
Questa ordinanza è un chiaro monito sull’importanza di formulare ricorsi in Cassazione specifici e giuridicamente solidi. Le censure non possono limitarsi a criticare l’interpretazione delle prove fatta dai giudici di merito o a presentare ipotesi alternative senza un adeguato fondamento giuridico. La Corte ha ribadito che un ricorso basato su doglianze generiche, fattuali o congetturali è destinato all’inammissibilità, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria. La decisione sottolinea la distinzione fondamentale tra il giudizio di merito, incentrato sulla valutazione dei fatti, e quello di legittimità, focalizzato sulla corretta applicazione delle norme.
Un semplice errore di scrittura nella sentenza d’appello può invalidarla?
No, se l’errore è un mero ‘lapsus calami’ (un refuso) e il resto della motivazione è logicamente coerente e corretto, la Cassazione non lo considera un vizio che possa invalidare la sentenza.
È possibile contestare in Cassazione la valutazione delle testimonianze fatta dal giudice di merito?
No, la Corte di Cassazione non può riesaminare i fatti o la valutazione delle prove, come le testimonianze. Un ricorso che si limita a criticare come il giudice ha interpretato una testimonianza è considerato un’inammissibile censura in fatto.
Cosa rende un ricorso in Cassazione ‘generico’ e quindi inammissibile?
Un ricorso è considerato generico quando le censure non sono specifiche, si basano su mere congetture, non si confrontano adeguatamente con le motivazioni della sentenza impugnata, o cercano di ottenere una nuova valutazione dei fatti del processo, compito che non spetta alla Corte di Cassazione.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 3676 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 3676 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 04/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a PADOVA il 01/08/1961
avverso la sentenza del 04/12/2023 della CORTE APPELLO di VENEZIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che COGNOME NOME ricorre avverso la sentenza con la quale la Corte d’appello di Venezia ha confermato la sua condanna per il reato di bancarotta fraudolenta documentale.
Rilevato che, con riguardo ai vizi di motivazione prospettati con il primo motivo, è anzitutto irrilevante l’errore in cui è incorsa la Corte territoriale nel sintetizza contenuto della pronunzia di primo grado in merito all’esito del giudizio di bilanciamento tra circostanze di segno opposto, posto che nel prosieguo della motivazione della sentenza tale esito è riportato correttamente e dunque il suddetto errore risulta imputabile ad un mero lapsus calami.
Rilevato che è invece generica la doglianza relativa alla asseritamente erronea classificazione del COGNOME quale debitore piuttosto che creditore della fallita, atteso che il ricorrente non ne rivela la decisività, limitandosi a mere congetture, fondate su non meglio precisate risultanze processuali, circa il fatto che se questi avesse saputo che la gestione di fatto era riconducibile al Guerra mai avrebbe proseguito i contatti con la società. La Corte in realtà ha evidenziato come in ogni caso il Sembiante si sia interfacciato con il teste, come da questi confermato, e che ciò sia avvenuto per precisa volontà del Guerra. Affermazione che invero le censure del ricorrente non risultano idonee a confutare. Manifestamente infondata sul piano logico e comunque generica è poi l’obiezione secondo cui le difficoltà incontrate dal curatore nel chiarire le responsabilit dell’imputato di per sé escluderebbero l’attribuibilità al medesimo della qualifica di amministratore di fatto, posto che la stessa prescinde totalmente dalla motivazione posta a fondamento della dimostrazione della circostanza dai giudici del merito, con la quale in definitiva il ricorso ha omesso di confrontarsi compiutamente. Mere censure in fatto sono quelle relative alla mancata indicazione del Guerra come gestore della fallita da parte dei dipendenti ed alla valutazione delle missive del Boaretto valorizzate dalla Corte territoriale a riscontro delle dichiarazioni del Sembiante.
Rilevato, quanto alla mancata derubricazione del fatto nel reato di cui all’art. 217 comma 2 legge fall., che le censure del ricorrente sono generiche e manifestamente infondate. Infatti il ricorso si confronta solo parzialmente con le argomentazioni sviluppate sul punto dalla sentenza, che comunque ha evidenziato non tanto il difetto della prova del furto dei computer evocati dalla difesa, quanto della conservazione nei medesimi di alcuni dati contabili, eventualità che peraltro la stessa difesa si limita a qualificare come verosimile. Intrinsecamente generiche e versate in fatto sono infine le doglianze avanzate con il
secondo motivo in merito alla denegata revisione del giudizio di bilanciamento, peraltro tutt’altro che in contraddizione con l’applicazione del minimo edittale della pena.
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila a favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 04/12/2024