Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 44479 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 44479 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a Busto Arsizio il 12/03/1958;
avverso la sentenza della Corte di appello di Milano del 14/03/2024;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
udita la requisitoria del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
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sentito il difensore avv. NOME COGNOME il quale ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del Tribunale di Busto Arsizio pronunciata il giorno 28 gennaio 2021 NOME COGNOME veniva riconosciuto colpevole, quale amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE (dichiarata fallita dal medesimo Tribunale con sentenza del 18 dicembre 2013), dei delitti di bancarotta fraudolenta distrattiva e documentale (fatta eccezione per la distrazione dei veicoli indicati sub a-4, a-7, a-9, b-2, b-3, b-4 e b-5) e condannato alla pena di anni cinque di reclusione.
1.1. La Corte di appello di Milano, con sentenza del 28 novembre 2022, confermava la pronuncia di primo grado nei confronti della quale l’imputato aveva interposto gravame.
1.2. Avverso tale decisione di secondo grado NOME COGNOME proponeva ricorso per cassazione affidato a tre motivi; con il primo deduceva violazione e falsa applicazione di norma penale sostanziale con riferimento all’art. 216, comma 1, n. 2, I. fall. in relazione all’art. 27 Cost. e all’art. 7 CEDU e correlato vizio di carenza e contraddittorietà della motivazione con riferimento al punto 4.2.2. della sentenza. In particolare, l’imputato evidenziava, a sostegno del motivo, di non essersi mai occupato della contabilità aziendale, neppure nel periodo nel quale la società era formalmente amministrata dalla moglie NOME COGNOME la quale, ad ogni modo, aveva consegnato, come da ricevuta sottoscritta dallo stesso, al nuovo amministratore (il coimputato NOME COGNOME, la documentazione contabile e societaria. Pertanto, la Corte territoriale era incorsa in una motivazione evidentemente contraddittoria nel ritenere che detta sottoscrizione potesse essere superata dalle dichiarazioni in senso contrario del medesimo COGNOME il quale non aveva disconosciuto la firma ed aveva concreto interesse a celare la contabilità in ragione dei pagamenti intervenuti in proprio favore. Con il secondo motivo il ricorrente denunciava vizio di motivazione con riferimento all’art. 216, comma 1, n. 2, I. fall. in relazione al mancato accertamento dell’elemento soggettivo del reato di bancarotta fraudolenta documentale, punito a titolo di dolo specifico. Al riguardo egli sottolineava che la decisione impugnata non aveva compiuto alcuna analisi o valutazione circa la ricorrenza del predetto elemento soggettivo, richiesto per la bancarotta fraudolenta documentale per occultamento della documentazione contabile.
Infine, con riferimento al trattamento sanzionatorio, lamentava la violazione degli artt. 133 e 62-bis cod. pen. e 219 I. fall. e correlato vizio di carenza, contraddittorietà e illogicità della motivazione; in particolare, l’imputato assumeva che la pena era stata determinata senza indicare, in entrambi i gradi di giudizio, le modalità con le quali i giudici di merito erano pervenuti al relativo risultato rispetto agli indici di commisurazione di cui all’art. 133 cod. pen. Per altro verso, sottolineava che, pur avendo egli fornito specifici elementi positivi per la concessione delle circostanze attenuanti generiche non vi era alcuna motivazione su detto aspetto da parte della Corte territoriale né, del resto, sulle ragioni sottese al riconoscimento dell’aggravante ex art. 219, comma 2, n. 1, I. fa Il.
1.3. La Quinta Sezione della Corte di cassazione, con sentenza n. 47544/2023 pronunciata 1’8 novembre 2023 accoglieva il ricorso dell’imputato. In particolare riteneva fondato il primo motivo di ricorso osservando che se era vero che NOME COGNOME era stato amministratore di fatto della società fallita sino alla data di dichiarazione del fallimento e ciò aveva comportato che il medesimo fosse assoggettato ai medesimi obblighi dell’amministratore formale in ordine alla tenuta delle scritture contabili, era pur vero che agli atti del giudizio era stata prodotta una ricevuta di consegna delle predette scritture da parte della moglie del ricorrente, NOME COGNOME (precedente formale amministratore), a NOME COGNOME, nuovo amministratore della società dalla data del 21 marzo 2012. Nondimeno la sentenza impugnata aveva ritenuto priva di rilevanza la sottoscrizione di tale ricevuta di consegna da parte del COGNOME ritenendo credibili le dichiarazioni in tal senso di quest’ultimo poiché “se avesse avuto i libri e le scritture contabili li avrebbe consegnati. Egli, infatti, è imputato in questo giudizio di bancarotta fraudolenta documentale per la quale è stato condannato”. Soggiungeva, tuttavia, la medesima pronuncia, così incorrendo in un macroscopico vizio del ragionamento logico, che il COGNOME “consegnava solo una documentazione frammentaria poiché tutti gli imputati avevano il preciso obiettivo di non far emergere le avvenute distrazioni”. In sostanza, da un lato, le dichiarazioni del COGNOME, che pure aveva sottoscritto la dichiarazione di ricevuta della consegna dei libri e delle scritture contabili della società, di non averle in realtà ricevute, era stata ritenuta credibile perché altrimenti le avrebbe consegnate per non essere condannato per bancarotta fraudolenta documentale
e, da un altro, al contempo, si era evidenziato che lo stesso COGNOME aveva consegnato solo scritture frammentarie allo scopo di impedire l’accertamento delle condotte distrattive.
Anche il secondo motivo veniva riconosciuto come fondato; invero, l’imputato era stato chiamato a rispondere del delitto di bancarotta fraudolenta documentale per aver sottratto o omesso di tenere, allo scopo di procurarsi l’ingiusto profitto di occultare le condotte distrattive e i pagamenti preferenziali e di arrecare pregiudizio ai creditori, tutti i libri e le scritture contabili prescritti dalla le Orbene, nella giurisprudenza di legittimità è stato ormai più volte puntualizzato che l’occultamento delle scritture contabili, per la cui sussistenza è necessario il dolo specifico di arrecare pregiudizio ai creditori, consistendo nella fisica sottrazione delle stesse alla disponibilità degli organi fallimentari, anche sotto forma della loro omessa tenuta, costituisce una fattispecie autonoma ed alternativa – nell’ambito dell’art. 216, comma primo, lett. b), I. fall. – rispetto alla fraudolenta tenuta di tali scritture, in quanto quest’ultima integra un’ipotesi di reato a dolo generico, che presuppone un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dai predetti organi (cfr., ex aliis, Sez. 5, n. 33114 del 08/10/2020, Rv. 279838-01). Disattendendo il richiamato principio, la Corte territoriale non aveva compiuto alcun vaglio sulla ricorrenza dell’elemento del dolo specifico in capo al ricorrente.
Il ricorso, pertanto, veniva accolto (rimanendo assorbito il terzo motivo riguardante il trattamento sanzionatorio) con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Milano per nuovo esame sui rispettivi profili.
1.4. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Milano, giudicando in sede di rinvio, ha parzialmente riformato la decisione di primo grado, riconoscendo all’imputato le circostanze attenuanti generiche considerate equivalenti rispetto alla contestata aggravante dei più fatti di bancarotta e ha rideterminato la pena in anni quattro di reclusione, fissando altresì la durata della interdizione dai pubblici uffici in anni cinque.
In particolare, la Corte del rinvio ha confermato il giudizio di penale responsabilità rispetto al contestato reato di bancarotta fraudolenta documentale ritenendo dimostrata – sulla base di tutti gli elementi emersi dalla istruttoria
svolta nel giudizio di primo grado – la sussistenza del dolo specifico di recare danno ai creditori.
Avverso la sopra indicata sentenza della Corte di appello di Milano NOME COGNOME per mezzo dell’avv. NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, di seguito riprodotti nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. c proc. pen., insistendo per l’annullamento del provvedimento impugnato.
2.1. Con il primo motivo lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione e falsa applicazione dell’art. 216, primo comma, n.2, I. fall. ed il relativo vizio di motivazione con riferimento alla ritenut attribuibilità soggettiva all’imputato del reato di bancarotta fraudolenta documentale; al riguardo osserva che la Corte territoriale ha fatto discendere la relativa responsabilità unicamente dalla posizione di amministratore di fatto, senza invece effettuare alcun esame delle condotte materialmente poste in essere dai vari amministratori (formali e di fatto) della società fallita succedutisi nel tempo.
2.2. Con il secondo il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., il vizio di motivazione rispetto alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 216, primo comma, n.2, I. fall. che è stato fatto discendere in modo automatico dalla posizione di amministratore di fatto da lui rivestita.
2.3. Con il terzo motivo censura, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione e falsa applicazione degli artt. 133, 69, 81 cpv. cod. pen. e 219, secondo comma, n.1, I. fall. ed il relativo vizio di motivazione rispetto alla determinazione del trattamento sanzionatorio. In particolare, il ricorrente osserva che la sentenza impugnata risulta priva di motivazione con riferimento alle ragioni poste a fondamento dell’aumento della pena base (fissata nel minimo edittale) per la continuazione nella misura di anni uno, del giudizio di equivalenza tra le circostanze attenuanti generiche con l’aggravante contestata e che la continuazione doveva comunque ritenersi esclusa dall’aggravante ex art. 219 I. fall.
Infine, nel corso della discussione, le parti hanno concluso nei termini sopra riportati.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è fondato nei limiti appresso indicati.
I primi due motivi (che possono essere trattati congiuntamente per la loro connessione) sono infondati.
2.1. Anzitutto è opportuno rammentare che, in tema di motivi di ricorso per cassazione, il vizio di travisamento della prova, desumibile dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo specificamente indicati dal ricorrente, è ravvisabile ed efficace solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa dell’elemento frainteso o ignorato, fermi restando il limite del ‘devolutum’ in caso di cosiddetta “doppia conforme” (come nel caso di specie fatta eccezione per il profilo sanzionatorio) e l’intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio (ex multis: Sez. 5, n.48050 del 02/07/2019, Rv. 277758).
2.2. Orbene, come chiarito in seguito, le critiche esposte dall’imputato – pur lamentando il vizio di violazione di legge e di illogicità della motivazione riguardano in realtà profili in fatto, coerentemente scrutinati nel corpo della decisione impugnata e la cui riproposizione è tesa – in tutta evidenza – ad una rivalutazione del peso dimostrativo degli elementi processuali a loro carico. In tal senso, quindi i ricorsi finiscono con il proporre argomenti di merito la cui rivalutazione è preclusa in sede di legittimità.
È costante, infatti, l’insegnamento di questa Corte per cui il sindacato sulla motivazione del provvedimento impugnato va compiuto attraverso l’analisi dello sviluppo motivazionale espresso nell’atto e della sua interna coerenza logicogiuridica, non essendo possibile compiere in sede di legittimità «nuove» attribuzioni di significato o realizzare una diversa lettura dei medesimi dati dimostrativi e ciò anche nei casi in cui si ritenga preferibile una diversa lettura, maggiormente esplicativa (si veda, tra le altre, Sez. 6, n. 11194 dell’ 08/03/2012, COGNOME, Rv. 252178). Così come va ribadito che l’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ‘ictu ocu/K, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere
limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Sez. U., n. 24 del 24/11/1999 Rv. 214794; Sez. U., n. 47289 del 24/09/2003 Rv. 226074).
2.3. Infine, non va dimenticato che ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, ricorre la cd. “doppia conforme” quando la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest’ultima sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, Rv. 277218 – 01).
2.4. GLYPH Premesso GLYPH quanto GLYPH sopra, GLYPH è GLYPH noto GLYPH che GLYPH in GLYPH tema di bancarotta fraudolenta documentale per omessa tenuta della contabilità interna, lo scopo di recare danno ai creditori impedendo la ricostruzione dei fatti gestionali può essere desunto dalla complessiva ricostruzione della vicenda e dalle circostanze del fatto che ne caratterizzano la valenza fraudolenta colorando di specificità l’elemento soggettivo, che, pertanto, può essere ricostruito sull’attitudine del dato a evidenziare la finalizzazione del comportamento omissivo all’occultamento delle vicende gestionali (Sez. 5, n. 10968 del 31/01/2023, Rv. 284304 – 01). Inoltre, integra il reato di bancarotta documentale fraudolenta, e non di quello di bancarotta semplice, l’omessa tenuta della contabilità interna quando lo scopo dell’omissione è quello di recare pregiudizio ai creditori, impedendo la ricostruzione dei fatti gestionali (Sez. 5, n. 18320 del 07/11/2019, dep. 2020, Rv. 279179 – 01).
2.5. Orbene, la sentenza rescissoria ha dato conto – con motivazione adeguata e non contraddittoria – delle ragioni in base alle quali ha confermato il giudizio di penale responsabilità per il delitto di bancarotta fraudolenta documentale, nel rispetto di quanto stabilito con la sopra indicata sentenza di annullamento e dei principi fissati dalla giurisprudenza in materia con particolare riferimento al dolo generico.
2.6. La Corte del rinvio ha dato risalto, senza incorrere in vizi logici, a quanto emerso nel corso della istruttoria svolta in primo grado; in particolare, il curatore fallimentare, aveva confermato di non avere ricevuto né dall’ultimo amministratore e nemmeno dall’odierno ricorrente alcuna documentazione contabile e che ciò aveva impedito la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari. Inoltre, la sede della società – dopo l’assunzione della carica da parte di NOME COGNOME – era stata trasferita a Napoli dove però non vi era alcuna sede operativa; sul conto della società fallita in essere presso il Credito Valtellinese erano delegati ad operare unicamente l’imputato, la moglie e la figlia. Negli ultimi anni precedenti il fallimento non erano state presentate dichiarazioni fiscali, ma il dissesto aveva avuto inizio sin dal 2006 a causa dell’alto volume dei debiti fiscali. Lo stesso imputato aveva riferito al curatore che aveva continuato ad occuparsi della società anche dopo la nomina del COGNOME come amministratore, poiché quest’ultimo gli aveva chiesto di portare a conclusione tutte le operazioni in essere.
Il maresciallo NOME COGNOMEche aveva svolto le indagini) aveva confermato che l’odierno ricorrente aveva continuato ad operare sui conti correnti della società (accesi presso il Credito Valtellinese ed Unicredit) anche dopo la nomina di NOME COGNOME effettuando, tra l’altro, numerosi prelievi in contante. Anche la figlia dell’imputato aveva riferito che era il padre a gestire la società, mentre il commercialista NOME COGNOME aveva escluso di essersi mai occupato della contabilità delle società del Flamini o dei suoi famigliari.
Sulla base di tali elementi, quindi, la Corte del rinvio ha ritenuto provato che il COGNOME – quale amministratore di fatto della società (circostanza ormai coperta dal giudicato interno) – si occupava di tutte le attività finanziarie e commerciali anche dopo la nomina del nuovo amministratore, avvenuta in sostituzione della moglie dell’imputato. Inoltre, è stato considerato dimostrato che nessuno aveva mai tenuto la contabilità della società, quanto meno negli anni precedenti la dichiarazione di fallimento, dato che è stata recuperata, presso terzi, unicamente documentazione relativa a rapporti commerciali.
La Corte di appello, inoltre, ha evidenziato che è rimasta senza prova la tesi difensiva della consegna di tutta la contabilità della società da parte della moglie dell’imputato al nuovo amministratore NOME COGNOME tenuto conto di quanto
riferito da quest’ultimo e dal commercialista COGNOME il quale aveva escluso di essersi mai occupato di curare dette scritture.
Pertanto, la sentenza impugnata, in termini assolutamente razionali, ha fatto discendere dal ruolo di amministratore di fatto del ricorrente, che non rappresenta una qualifica formale ma appunto un’espressione di sintesi di concreti ed effettivi poteri gestori, e dalle distrazioni compiute la logica conseguenza dell’attribuzione allo stesso sia della condotta che del dolo specifico. Le deduzioni difensive relative all’avvicendamento degli amministratori sarebbero fondate nella ipotesi in cui si si susseguono figure dotate di reali poteri gestori e non (come verificatosi nel caso di specie) nel caso in cui accanto all’amministratore di fatto si collocano uno o più amministratori privi di reali poteri in quanto mere teste di legno.
2.7. In conclusione, la mancata consegna e l’omessa tenuta e sottrazione delle scritture contabili da parte dell’odierno ricorrente è stata considerata come posta in essere dall’odierno ricorrente con il dolo specifico di recare danno ai creditori e al fine di impedire loro di conoscere le operazioni finanziarie e commerciali da lui effettuate quale amministratore di fatto della società, che avevano portato alla diminuzione delle garanzie dei medesimi creditori.
Inoltre, la già intervenuta condanna irrevocabile dell’imputato per bancarotta patrimoniale (con distrazione di somme e di tutti i beni sociali) è stata valutata come una ulteriore conferma della sussistenza del dolo specifico poiché l’omessa tenuta delle scritture, la loro sottrazione e/o occultamento erano dirette a non far conoscere lo stato di decozione della società e di impedire il tempestivo intervento degli organi di controllo e dei creditori.
Ne consegue che il ricorrente, pur lamentando la violazione di legge ed il vizio di motivazione, in realtà vorrebbe pervenire ad una non consentita differente valutazione degli elementi processuali, rispetto a quella coerentemente svolta dal giudice a quo per confermare la sussistenza della bancarotta fraudolenta documentale.
Al contrario, risultano fondate le censure contenute nel terzo motivo rispetto al trattamento sanzionatorio e, in particolare, con riferimento all’aumento
della pena per la continuazione, nonostante il riconoscimento della aggravante dei più fatti di bancarotta ex art. 219 I. fall.
3.1. La Corte territoriale, infatti, ha effettuato una duplicazione del trattamento sanzionatorio poiché ha applicato sia la citata aggravante, oggetto di giudizio di equivalenza con le circostanze attenuanti generiche, sia l’aumento ex art. 81 cod. pen. per la continuazione (nonostante quest’ultimo non fosse applicabile dato che si verte in tema di unico fallimento); nel caso di specie sussiste, dunque, una ipotesi di “pena illegale”, che ricorre quando la pena, così come indicata nel dispositivo, non sia per legge irrogabile (Sez. 2, n. 22136 del 19/02/2013, COGNOME, Rv. 255729; conf. Sez. 6, n. 20275 del 07/05/2013, Rv. 257010; Sez. U, n. 40986 del 19/07/2018; con specifico riferimento all’ipotesi in esame, Sez. 5, n. 48361 del 17/09/2018, Rv. 274182).
Ne consegue che deve essere eliminato l’aumento per la continuazione fissato dalla Corte del rinvio nella misura di anni uno, con la conseguente rideterminazione della pena principale nella misura di anni tre di reclusione, corrispondente al minimo edittale. A tale riduzione si procede direttamente in questa sede, ai sensi dell’art. 620, comma 1, lett. I), cod. proc. pen. come novellato dalla stessa legge n. 103 del 2017, che attribuisce alla Corte di cassazione il potere di statuire – contestualmente all’annullamento senza rinvio, sul punto, della sentenza impugnata – rideterminando la pena sulla base di una semplice operazione aritmetica che non richiede accertamenti in fatto (Sez. U, n. 3464 del 30/11/2017, COGNOME, Rv. 271831).
3.2. Con riferimento, invece, al giudizio di equivalenza tra l’aggravante in parola e le circostanze generiche operato dalla Corte di appello, si osserva che il ricorrente non ha sollevato specifiche censure rispetto alla correttezza di esso che, pertanto, rimane fermo.
In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio limitatamente alla pena principale che va rideterminata nella misura di anni tre di reclusione; il ricorso invece deve dichiarato inammissibile nel resto.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla misura della pena principale che ridetermina in anni tre di reclusione. Rigetta nel resto il ricorso Così deciso in Roma, il 15 novembre 2024.