Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 11092 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 11092 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a TORINO il DATA_NASCITA COGNOME NOME nata a LOREO il DATA_NASCITA
GRAN DIZIO NOME nata a TORINO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 20/01/2023 della CORTE APPELLO di TORINO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria a firma del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto di dichiarare l’inammissibilità del ricorso proposto da COGNOME NOME, di rigettare il ricorso proposto da COGNOME NOME e di accogliere il ricorso proposto da COGNOME NOME, limitatamente al terzo motivo.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 3 luglio 2019, emessa all’esito di giudizio abbreviato, il Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Torino, in relazione alla “RAGIONE_SOCIALE“, fallita il 13 dicembre 2016, aveva condannato per più fatti di bancarotta COGNOME NOME (nella qualità di amministratore di fatto e di amministratore di diritto dal 10 settembre 2014 alla data del fallimento), COGNOME NOME (nella qualità di amministratrice dal 2 Marzo 2012 al 10 settembre 2014) e COGNOME NOME (nella qualità di amministratrice dal 28 ottobre 2004 al 2 Marzo 2012).
Secondo l’originaria imputazione, tutti gli imputati si sarebbero resi responsabili dei reati di bancarotta fraudolenta distrattiva, di bancarotta fraudolenta documentale, di bancarotta fraudolenta per avere cagionato con dolo il fallimento, di bancarotta fraudolenta preferenziale (tutte contestate al capo A della rubrica) e di bancarotta semplice per aggravamento del dissesto (contestata al capo B della rubrica).
La bancarotta fraudolenta distrattiva riguardava le seguenti poste attive:
la somma di euro 55.203,45, pari al valore del credito vantato dalla fallita verso la “RAGIONE_SOCIALE“, ceduto alla “RAGIONE_SOCIALE“, senza alcun corrispettivo;
la somma di euro 856.658,00, erogata alla “RAGIONE_SOCIALE“;
la somma di euro 18.107,00, versata in favore di COGNOME NOME (figlio di COGNOME NOME);
la somma di euro 141.462,94, versata in favore di COGNOME NOME (figlio di COGNOME NOME);
la distrazione di svariati mobili e macchinari e di due autoveicoli.
La bancarotta preferenziale aveva ad oggetto i versamenti effettuati, a titolo di rimborso finanziamento soci, in favore di COGNOME NOME.
Il Giudice per le indagini preliminari di Torino, all’esito di giudizio abbreviato aveva ritenuto gli imputati responsabili dei reati loro ascritti e aveva condannato il COGNOME alla pena di anni due e mesi otto di reclusione, la COGNOME e la COGNOME alla pena di anni due di reclusione.
La Corte di appello di Torino, con sentenza emessa il 20 gennaio 2023, ha parzialmente riformato la sentenza di primo grado, assolvendo NOME dal reato di bancarotta semplice (capo B, erroneamente indicato dalla Corte di appello come capo 2), riconoscendo alla medesima le attenuanti generiche – ritenute prevalenti sulle contestate aggravanti – e rideterminando la pena a lei applicata in anni uno e mesi quattro di reclusione.
Avverso la sentenza della Corte di appello, tutti gli imputati hanno proposto ricorso per cassazione a mezzo del difensore di fiducia.
Il ricorso di COGNOME NOME si compone di un unico motivo, con il quale deduce i vizi di erronea applicazione della legge penale e di inosservanza di norme processuali, in relazione all’art. 545-bis cod. proc. pen.
Il ricorrente lamenta il presunto errore in cui sarebbe incorsa la Corte di appello, che, subito dopo la lettura del dispositivo, avrebbe omesso di dare avviso all’imputato della possibilità di sostituire la pena irrogata (anni due e mesi otto d reclusione) con la detenzione domiciliare o con i lavori di pubblica utilità.
Il ricorso di NOME NOME si compone di cinque motivi.
4.1. Con un primo motivo, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 216 e 223 legge fa Il.
La ricorrente contesta il giudizio di responsabilità in relazione alla distrazione della somma di euro 856.658,00, erogata alla “RAGIONE_SOCIALE“.
Rappresenta che la difesa aveva sostenuto che i versamenti in questione erano relativi all’erogazione di servizi da parte della “RAGIONE_SOCIALE“. La Corte di appello, tuttavia, aveva ritenuto infondata la tesi difensiva poiché a sostegno di essa vi era la mera presenza di fatture non riscontrabili nella contabilità della RAGIONE_SOCIALE, finendo, in tal modo, per invertire l’onere della prova ponendo a carico dell’imputata la prova della sua innocenza.
4.2. Con un secondo motivo, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 216, 217, 223 e 224 legge fall. e 43 cod. pen.
Con riferimento alla bancarotta preferenziale e alla bancarotta semplice, la ricorrente contesta la sussistenza dell’elemento soggettivo, sostenendo che l’imputata non fosse stata consapevole della condizione di grave dissesto nella quale si trovava la RAGIONE_SOCIALE.
Sostiene che la motivazione della Corte di appello sul punto sarebbe inadeguata e si presenterebbe illogica nella parte in cui sostiene che la consapevolezza del dissesto dovrebbe essere desunta dalla circostanza che l’imputata aveva rivestito la qualità di amministratrice della RAGIONE_SOCIALE.
Tale motivazione si porrebbe in contraddizione con quella parte della sentenza in cui la Corte di appello ha escluso la responsabilità della coimputata COGNOMECOGNOME in relazione al delitto di bancarotta semplice.
4.3. Con un terzo motivo, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 216 e 223 legge fall. e 43 cod. pen.
La ricorrente contesta la decisione dei giudici di merito di ritenere l’imputata responsabile del reato di bancarotta fraudolenta documentale.
Al riguardo, precisa che la condotta contestata è quella di avere sottratto e distrutto l’intero corredo contabile della RAGIONE_SOCIALE, al fine di occultare le manovre distrattive e con lo scopo di recare pregiudizio ai creditori.
Tanto premesso, la ricorrente sostiene che non sarebbe possibile attribuire la responsabilità della sottrazione e della distruzione dei documenti della RAGIONE_SOCIALE, fallita nel 2016, all’imputata, che era cessata dalla carica formale di amministratrice ed era completamente fuoriuscita dalla RAGIONE_SOCIALE già dai primi mesi del 2012.
4.4. Con un quarto motivo, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 216 e 223 legge fall.
Contesta la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di bancarotta fraudolenta per avere cagionato con dolo il fallimento, sostenendo che la Corte di appello non avrebbe adeguatamente motivato in ordine a tale punto.
4.5. Con un quinto motivo, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione all’art. 175 cod. pen.
Contesta la decisione dei giudici di merito di non riconoscere il beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, evidenziando che gli stessi giudici avevano riconosciuto all’imputata il beneficio della sospensione condizionale della pena.
il ricorso di NOME si compone di due motivi.
5.1. Con il primo motivo deduce il vizio di motivazione, con specifico riferimento ad alcune delle condotte distrattive contestate al capo A), sostenendo che la sentenza di primo grado – nelle parti relative a tali condotte – sarebbe contraddittoria.
Il giudice per le indagini preliminari, nella motivazione della sentenza, avrebbe riconosciuto l’estraneità dell’imputata in relazione ad alcuni dei fatti distrattivi segnatamente, alle distrazioni in favore della “RAGIONE_SOCIALE” e della “RAGIONE_SOCIALE” -, ritenendo responsabile della prima il solo COGNOME e responsabile della seconda solo quest’ultimo e la RAGIONE_SOCIALE. Lo stesso giudice di primo grado, tuttavia, nel dispositivo, non avrebbe assolto l’imputata da dette distrazioni, condannandola in ordine a tutti i reati a lei ascritti.
La contraddizione era stata oggetto di specifico motivo di gravame, in relazione al quale la Corte di appello aveva completamente omesso di pronunciarsi.
5.2. Con il secondo motivo, deduce il vizio di motivazione, con specifico riferimento alla bancarotta fraudolenta patrimoniale.
Sostiene che la Corte di appello avrebbe completamente omesso di prendere in considerazione le memorie depositate dalla difesa e le allegate sentenze del Tribunale di Torino «relative a vicende collegate allo stesso contesto e ai medesimi soggetti».
Il Procuratore generale, nelle sue conclusioni scritte, ha chiesto di dichiarare l’inammissibilità del ricorso proposto da COGNOME NOME, di rigettare il ricorso proposto da COGNOME NOME e di accogliere il ricorso proposto da COGNOME NOME, limitatamente al terzo motivo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
La sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio, limitatamente al reato di bancarotta fraudolenta documentale contestato a COGNOME NOME, essendo fondato il terzo motivo del ricorso da lei presentato. I restanti motivi del ricorso d COGNOME NOME e i ricorsi di COGNOME NOME e di COGNOME NOME devono essere dichiarati inammissibili.
Il ricorso di COGNOME NOME deve essere dichiarato inammissibile.
2.1. L’unico motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Il ricorrente invoca, quale unico motivo di impugnazione della sentenza, l’inosservanza della regola processuale (introdotta dall’art. 31, comma 1, d.lgs. n. 150 del 2022, in vigore dal 30 dicembre 2022) contenuta nell’art. 545-bis, comma 1, cod. proc. pen., secondo la quale il giudice, nel pronunciare sentenza di condanna a una pena detentiva non superiore a quattro anni, dà avviso alle parti della possibilità di convertirla nelle sanzioni sostitutive indicate dagli artt. 53 e legge n. 689 del 1981, qualora ne ricorrano le condizioni di legge.
L’art. 95 del d.lgs. n. 150 del 2022, che disciplina il regime transitorio in materia di pene sostitutive delle pene detentive brevi, entrato in vigore li 30 dicembre 2022, dispone che «le norme previste dal Capo III della legge 24 novembre 1981, n. 689, se più favorevoli, si applicano anche ai procedimenti penali pendenti in primo grado o in grado di appello al momento dell’entrata in vigore del presente decreto».
Tanto premesso, va rilevato che, nel caso in esame, non vi è stata alcuna violazione di norme processuali.
La norma in questione, di recente introduzione, prevede che: il giudice, se ritiene in base a una delibazione sommaria degli elementi a sua conoscenza che ricorrano i presupposti per consentire l’accesso dell’imputato alle sanzioni sostitutive, ne dà avviso alle parti presenti alla lettura del dispositivo e raccogli
l’eventuale consenso dell’imputato o del suo procuratore speciale; se, in quel momento, non è nelle condizioni di applicare la misura sostitutiva, sospende il giudizio e rinvia ad altra udienza, acquisendo eventuali informazioni da parte dell’Ufficio esecuzione penale.
Questa Corte ha già avuto modi di affermare che «dal tenore letterale della norma si evince che sussiste un potere discrezionale del giudice di proporre l’applicazione di una sanzione sostitutiva all’imputato, se ritiene che ne ricorrono i presupposti». L’avviso «è propedeutico all’applicazione della misura sostitutiva e presuppone una delibazione positiva, anche se sommaria, dei presupposti da parte del giudice, sicché non sussiste un obbligo automatico riferito a tutte le pronunzie di condanna a pena inferiore ai quattro anni non sottoposte alla sospensione condizionale».
L’omesso avviso di cui all’art. 545-bis cod. proc. pen., pertanto, «non comporta alcuna nullità della sentenza, in quanto presuppone una negativa valutazione di merito, sia pure implicita, del giudice sulla sussistenza dei presupposti per accedere ad una misura sostitutiva».
Ne deriva che «se in ipotesi il giudice ritenga non sussistenti i presupposti per accedere alla misura sostituiva, non è tenuto ad avvisare l’imputato, né tantomeno a sospendere il processo e potrà spiegare le ragioni del mancato esercizio del suo potere ufficioso in sentenza, impugnabile secondo le regole generali».
Ulteriore corollario è che «il ricorrente non può dolersi con l’impugnazione del mancato riconoscimento dei presupposti per la sanzione sostitutiva, se non ha sollecitato al riguardo i poteri della corte territoriale» (Sez. 2, n. 43848 de 29/09/2023, n.m.).
La possibilità di vedersi riconosciuto in appello un trattamento più favorevole secondo quanto previsto dall’art. 545-bis cod. pen., infatti, poiché relativo a un profilo strettamente sostanziale della disciplina penale, deve essere contemperata con le norme che disciplinano il rito di appello, con particolare riferimento all’art. 597, comma 1, cod. proc. pen., laddove limita l’ambito conoscitivo del giudice di secondo grado ai punti della decisione strettamente connessi ai motivi proposti.
La lettura congiunta dell’art. 545-bis e 597, comma 1, cod. proc. pen. in uno all’art. 95, d.lgs. n. 150 del 2022 impone di ritenere che, affinché possa essere richiesta in sede di appello la pena sostitutiva di pene detentive brevi, l’istanza debba comunque essere introdotta attraverso modalità compatibili con il rito delle impugnazioni e dell’appello: attraverso i motivi nuovi, quando ciò sia in concreto possibile, o quantomeno nelle conclusioni, allorché la novità in punto di sanzione intervenga in un momento in cui non sono più formulabili motivi nuovi (Sez. 6,n. 41313 del 27/09/2023, n.m.)
Nell’ipotesi in culla Corte di appello non abbia reso l’avviso di cui alla norma, deve pertanto ritenersi che abbia implicitamente escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento delle misure sostitutive e tale omissione può configurare una nullità solo qualora la difesa abbia sollecitato l’esercizio discrezionale del potere officioso della Corte territoriale e non abbia ricevuto al riguardo risposta.
Ebbene, nel caso in esame, il ricorrente non deduce di avere invocato l’eventuale applicazione di sanzione sostitutiva in favore dell’imputato nel corso del giudizio di appello, con motivi nuovi, o in sede di conclusioni, formulate dopo l’entrata in vigore della novella.
Il ricorso di COGNOME NOME deve essere accolto, limitatamente al terzo motivo, relativo al reato di bancarotta fraudolenta documentale.
3.1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
I giudici di merito, infatti, hanno ritenuto provata la condotta distrattiva sull base delle prove addotte dalla pubblica accusa e, in particolare, della documentazione relativa ai bonifici effettuati in favore della “RAGIONE_SOCIALE” e dei rilievi effettuati dal curatore fallimentare, che aveva evidenziato come risultassero completamente ingiustificati i rilevanti versamenti effettuati in favore della suddetta RAGIONE_SOCIALE. Hanno poi ritenuto che la presenza di fatture generiche in assenza di riscontri nella contabilità, che ne consentissero di verificare l’esistenza – non era sufficiente a dimostrare l’effettiva erogazione di servizi in favore della fallita.
Si tratta di una motivazione adeguata, priva di vizi logici e che non si pone in contrasto con alcuna regola di valutazione delle prove.
3.2. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
La Corte di appello, invero, ha fornito in ordine all’elemento soggettivo dei reati di bancarotta preferenziale e di bancarotta semplice adeguata motivazione, evidenziando, tra l’altro, che: l’imputata era stata amministratrice fino al 2 marzo 2012; la situazione di “decozione” della RAGIONE_SOCIALE si era manifestata già dalla data di approvazione del bilancio al 31 dicembre 2010; fino ai primi mesi del 2012, la contabilità risultava correttamente tenuta. Da tali elementi, ha ritenuto desumibile che l’imputata fosse perfettamente consapevole delle condizioni della RAGIONE_SOCIALE e, in particolare, che ne fosse consapevole nel momento in cui avvenivano i rimborsi preferenziali in suo favore, effettuati subito dopo le sue dimissioni da amministratrice e quando ormai da tempo si era manifestata la necessità di chiedere il fallimento.
Si tratta di una motivazione adeguata e priva di vizi logici. In particolare, non sembra sussistere alcuna contraddizione rispetto alla pronuncia di assoluzione della COGNOME (dall’imputazione di bancarotta semplice), atteso che la Corte di
appello, in relazione alla posizione di tale imputata, ha evidenziato che essa non aveva avuto la possibilità di accedere ai libri contabili. Circostanza che differenziava in maniera evidente la posizione della COGNOME da quella della RAGIONE_SOCIALE.
3.3. Il terzo motivo è fondato.
Va premesso che i giudici di merito hanno ritenuto provato il reato di bancarotta fraudolenta documentale, in quanto nessuna documentazione contabile era stata consegnata al curatore, quando risultava che le scritture contabili, fino al 2011, erano regolarmente custodite presso gli uffici della RAGIONE_SOCIALE (cfr. pagina 14 della sentenza di primo grado e pagina 11 della sentenza di appello).
Tanto premesso, va rilevato che la motivazione della sentenza, nella parte relativa al giudizio di responsabilità a carico della RAGIONE_SOCIALE, appare poco logica, atteso che la stessa Corte di appello (anche nelle parti della sentenza specificamente dedicate alla bancarotta preferenziale e alla bancarotta semplice) ha affermato che le scritture contabili fino a quando all’imputata era rimasta amministratrice erano state regolarmente tenute e che la RAGIONE_SOCIALE, subito dopo le sue dimissioni (intervenute il 2 marzo 2012), si era completamente disinteressata della RAGIONE_SOCIALE. Ebbene tenuto conto di ciò, in assenza di altri elementi, sembra poco coerente andare a sostenere che l’imputata si sia resa poi responsabile della sottrazione della documentazione della RAGIONE_SOCIALE, fallita quattro anni dopo le sue dimissioni: in un periodo di tempo nel quale lei si era completamente disinteressata della RAGIONE_SOCIALE, amministrata di diritto dalla RAGIONE_SOCIALE e di fatto dal COGNOME.
La sentenza, pertanto, limitatamente al reato di bancarotta fraudolenta documentale contestato a COGNOME NOME, deve essere annullata con rinvio per un nuovo giudizio.
3.4. Il quarto motivo è inammissibile.
Esso, invero, si presenta privo della necessaria specificità, essendosi la ricorrente limitata a contestare genericamente la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di bancarotta fraudolenta per operazioni dolose.
3.5. Il quinto motivo è manifestamente infondato.
La Corte di appello, invero, ha ampiamente motivato in ordine al mancato riconoscimento del beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, precisando che il riconoscimento della sospensione condizionale della pena si basava su elementi diversi (cfr. pagina 14 della sentenza impugnata).
il ricorso di NOME è inammissibile.
4.1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
Va premesso che, «in tema di ricorso per cassazione, ai fini della sussistenza del necessario interesse ad impugnare, non è sufficiente la mera pretesa
preordinata all’astratta osservanza della legge e alla correttezza giuridica della decisione, essendo invece necessario che sia comunque dedotto un pregiudizio concreto e suscettibile di essere eliminato dalla riforma o dall’annullamento della decisione impugnata» (Sez. 3, n. 30547 del 06/03/2019, Rv. 276274). Il mezzo di impugnazione deve invero perseguire un risultato non solo teoricamente corretto, ma anche praticamente favorevole (Sez. 4, n. 16029 del 28/02/2019, Rv. 27565101).
Tanto premesso, appare evidente che la ricorrente non ha interesse a far valere il motivo di impugnazione in questione, atteso che, dall’eventuale esclusione di responsabilità per alcune delle condotte distrattive a lei contestate, non le deriverebbe alcun effetto pratico favorevole. L’imputata è stata condannata al minimo della pena, con valutazione di prevalenza delle attenuanti sulle generiche (pena base anni tre di reclusione; ridotta per le generiche ad anni due di reclusione; ulteriormente ridotta, per la scelta del rito, ad anni uno e mesi quattro di reclusione). L’eventuale assoluzione per alcune condotte distrattive, pertanto, non consentirebbe comunque di applicarle una pena meno afflittiva, che risulterebbe inferiore al minimo edittale.
4.2. Il secondo motivo è inammissibile.
Va ribadito che l’omessa valutazione di memorie difensive non può essere fatta valere in sede di gravame come causa di nullità del provvedimento impugnato, potendo influire solo sulla congruità e correttezza logico-giuridica della motivazione della decisione che definisce la fase o il grado nel cui ambito siano state espresse le ragioni difensive (cfr. Sez. 6, Sentenza n. 18453 del 28/02/2012, Rv. 252713, Cataldo).
Ebbene, la ricorrente si è limitata a dolersi del mancato esame delle memorie difensive e delle allegate sentenze, senza, tuttavia, specificare in che modo le argomentazioni contenute nella memoria e gli elementi desumibili dalle sentenze avrebbero potuto concretamente influire sulla congruità e sulla correttezza logica o giuridica della motivazione della Corte di appello.
La sentenza impugnata, dunque, deve essere annullata, limitatamente al reato di bancarotta fraudolenta documentale contestato a COGNOME NOME, con rinvio per un nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Torino. I restanti motivi del ricorso di COGNOME NOME e i ricorsi di COGNOME NOME e COGNOME COGNOME NOME, invece, devono essere dichiarati inammissibili.
Consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna di COGNOME NOME e di COGNOME NOME al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende, che deve determinarsi in euro 3.000,00.
Annulla la sentenza impugnata, limitatamente alla bancarotta fraudolenta documentale di cui al capo A) nei confronti di COGNOME NOME, e rinvia per nuovo esame sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Torino; dichiara inammissibile nel resto il ricorso della NOME.
Dichiara inammissibili i ricorsi di COGNOME NOME e di COGNOME NOME e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso, il 12 dicembre 2023.