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Bancarotta documentale: la responsabilità dell’ex-amm.

La Corte di Cassazione ha annullato con rinvio la condanna per bancarotta documentale a carico di un’ex amministratrice, ritenendo illogico attribuirle la responsabilità per la sottrazione di documenti contabili avvenuta anni dopo le sue dimissioni e il suo completo disinteressamento dalla vita societaria. La Corte ha invece dichiarato inammissibili i ricorsi degli altri due coimputati, condannati per diverse ipotesi di bancarotta.

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Pubblicato il 7 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Bancarotta documentale: fino a quando è responsabile l’ex amministratore?

La recente sentenza della Corte di Cassazione n. 11092/2024 affronta un tema cruciale nel diritto penale fallimentare: i confini della responsabilità per bancarotta documentale di un amministratore che ha cessato la propria carica anni prima della dichiarazione di fallimento. La Corte, con una decisione precisa, stabilisce un principio di logica e coerenza, escludendo l’automatismo tra il ruolo passato e la responsabilità per la successiva sparizione dei documenti contabili.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda il fallimento di una società cooperativa, dichiarato nel dicembre 2016. Tre ex amministratori, che si erano succeduti in periodi diversi, vengono accusati e condannati in primo grado per una serie di reati fallimentari, tra cui bancarotta fraudolenta distrattiva, preferenziale e documentale.

In particolare, una delle amministratrici aveva formalmente cessato la sua carica nel marzo 2012, ben quattro anni prima del fallimento. Nonostante ciò, i giudici di merito l’avevano ritenuta corresponsabile, tra le altre cose, della sottrazione e distruzione dell’intero corredo contabile della società.

La Decisione della Corte d’Appello

La Corte d’Appello di Torino aveva parzialmente riformato la sentenza di primo grado, ma aveva confermato la responsabilità dell’ex amministratrice per il reato di bancarotta documentale. La sua posizione, così come quella degli altri due imputati, è stata quindi portata all’attenzione della Corte di Cassazione tramite distinti ricorsi.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione e la bancarotta documentale

La Suprema Corte ha analizzato separatamente le posizioni dei tre ricorrenti, dichiarando inammissibili i ricorsi di due di essi per motivi procedurali e di merito. Il punto focale della sentenza, tuttavia, riguarda l’accoglimento del ricorso dell’ex amministratrice limitatamente all’accusa di bancarotta documentale.

I giudici di legittimità hanno evidenziato una profonda illogicità nella motivazione della Corte d’Appello. La stessa corte territoriale, infatti, aveva riconosciuto in altre parti della sentenza che l’imputata, dopo le sue dimissioni nel 2012, si era completamente disinteressata della società. Inoltre, era emerso che fino a quella data le scritture contabili erano state regolarmente tenute.

Sulla base di queste premesse, la Cassazione ha ritenuto “poco coerente” sostenere che la stessa persona, quattro anni dopo, si fosse resa responsabile della sottrazione di quella documentazione. In assenza di altri elementi concreti, non è possibile attribuire la responsabilità per la sparizione dei libri contabili a chi, in quel periodo, non aveva più alcun legame operativo o di fatto con la società, la quale era gestita da altri amministratori.

La Corte ha quindi annullato la sentenza su questo specifico punto, rinviando il caso a un’altra sezione della Corte d’Appello di Torino per un nuovo esame che tenga conto di questo fondamentale principio di coerenza logica.

Conclusioni

Questa sentenza ribadisce un principio di garanzia fondamentale: la responsabilità penale è personale e non può derivare da una mera posizione formale ricoperta in passato. Per configurare il reato di bancarotta documentale a carico di un ex amministratore, è necessario dimostrare un nesso causale concreto tra la sua condotta e la successiva sparizione dei documenti, un nesso che non può essere presunto solo perché in un’epoca precedente egli gestiva la società. Il lungo lasso di tempo trascorso tra le dimissioni e il fallimento, unito al comprovato disinteresse per le vicende societarie, diventa un elemento decisivo per escluderne la responsabilità.

Un ex amministratore è sempre responsabile per la bancarotta documentale se la società fallisce dopo le sue dimissioni?
No. Secondo la Cassazione, non è possibile ritenere responsabile l’ex amministratore se è trascorso un lungo periodo di tempo dalle sue dimissioni (in questo caso, quattro anni) e se risulta che si era completamente disinteressato alla società, la cui gestione era passata ad altri. La responsabilità richiede una prova concreta del suo coinvolgimento nella sottrazione dei documenti.

È obbligatorio per il giudice informare l’imputato della possibilità di convertire la pena in sanzioni sostitutive?
No, non è un obbligo automatico. La Corte ha chiarito che la comunicazione prevista dall’art. 545-bis c.p.p. è un potere discrezionale del giudice. Se il giudice ritiene, anche implicitamente, che non sussistano i presupposti per le sanzioni sostitutive, non è tenuto a dare alcun avviso. L’imputato, inoltre, deve aver sollecitato tale possibilità in appello.

Perché un ricorso in Cassazione può essere dichiarato inammissibile?
Un ricorso può essere dichiarato inammissibile per vari motivi, come la genericità delle contestazioni, la richiesta di una nuova valutazione dei fatti (che non è compito della Cassazione), o la mancanza di un interesse pratico e concreto alla riforma della sentenza (ad esempio, quando la pena è già al minimo legale e un’eventuale assoluzione da un’accusa minore non cambierebbe il risultato finale).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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