Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 27863 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 27863 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME nato a Bivongi il 02/01/1950
avverso la sentenza del 01/04/2025 della Corte di appello di Milano
NOME COGNOME che ha concluso
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe, emessa in esito ad udienza svoltasi in forma cartolare a norma dell’art. 23bis del d.l. 137 del 2020, la Corte di Appello di Milano, in parziale riforma della sentenza di condanna pronunciata nei confronti di NOME COGNOME per il delitto di bancarotta semplice documentale (art. 217, comma 2 L.F.), commesso nella qualità di amministratore di diritto, a far data dal 25 ottobre 2013, della ‘RAGIONE_SOCIALE‘, dichiarata fallita il 22 gennaio 2018, ha ridotto la pena principale, rideterminandola in mesi otto di reclusione, come attestato nel dispositivo comunicato all’appellante, nonché la durata delle pene accessorie fallimentari in misura corrispondente alla pena principale
Ha proposto ricorso per cassazione nell’interesse di NOME COGNOME il suo difensore, affidando l’impugnativa a tre motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto stabilito dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Il primo motivo denuncia il contrasto esistente nella sentenza impugnata tra il dispositivo e la motivazione, nel senso che nel dispositivo figura irrogata all’imputato la pena di mesi quattro di reclusione (e le pene accessorie per la stessa durata della pena principale), mentre nella motivazione si dà atto dell’irrogazione della pena principale nella misura di mesi otto di reclusione (e per la stessa durata le pene accessorie).
Il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 217, comma 2, L.F., deducendosi l’insussistenza degli elementi costitutivi del delitto di bancarotta semplice documentale. In tesi difensiva, il ricorrente non avrebbe mai in concreto assunto la posizione di garanzia rispetto alla tenuta e alla conservazione delle scritture contabili societarie, connessa alla carica rivestita, essendo stato, egli, un mero prestanome, privo di effettivi poteri gestionali e di competenze contabili, posto che, oltretutto, le scritture medesime erano state sempre tenute e custodite dagli amministratori di fatto della fallita (ossia, da NOME COGNOME e da NOME COGNOME). Tanto avrebbe dovuto convincere i giudici di merito dell’inesigibilità dei comportamenti cui il ricorrente medesimo sarebbe stato, in astratto, obbligato a conformarsi e, quindi, del difetto assoluto di colpevolezza.
-Il terzo motivo denuncia il vizio di violazione di legge in relazione alla commisurazione della pena inflitta al ricorrente, che sarebbe stata effettuata in maniera incongrua, dal momento che non si sarebbe tenuto conto del ruolo marginale avuto nella vicenda e della sua condotta collaborativa, così essendosi violati i principi di proporzionalità e di tendenziale rieducazione della sanzione (art. 27 Cost., art. 49 CDFUE).
Il Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME ha concluso per iscritto in data 23 maggio 2025 chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
In data 15 maggio 2025, il difensore del ricorrente, Avvocato COGNOME ha depositato memoria tramite PEC, con la quale ha insistito per l’accoglimento dei motivi di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato, ma la sentenza impugnata merita rettifica in punto di indicazione della pena applicata al ricorrente.
Ragioni di ordine logico impongono il prioritario esame del motivo (il secondo) con il quale sono state formulate censure in ordine all’affermazione di responsabilità di NOME COGNOME per il delitto di bancarotta semplice documentale ritenuto a suo carico.
1.1. Il motivo in disamina è infondato.
Condivide il Collegio l’orientamento interpretativo, cui si richiamano le pronunce della giurisprudenza di questa Corte riportate nel ricorso (Sez. 2, n. 2885 del 2024 e Sez. 5, n. 35093 del 2019) secondo cui, se è pur vero che, in tema di reati fallimentari, l’amministratore di diritto risponde del reato di bancarotta fraudolenta documentale per sottrazione o per omessa tenuta delle scritture contabili anche se sia investito solo formalmente dell’amministrazione della società fallita (cosiddetta ‘testa di legno’), in quanto sussiste il diretto e personale obbligo dell’amministratore di diritto di tenere e conservare le predette scritture, è, tuttavia, necessario, ai fini dell’affermazione di responsabilità, che «sia fornita la dimostrazione della effettiva e concreta consapevolezza del loro stato, tale da impedire la ricostruzione del movimento degli affari» (Sez. 5, n. 43977 del 14/07/2017, COGNOME, Rv. 271754 – 01; conf. Sez. 5, n. 642 del 30/10/2013, dep. 2014, Rv. 257950 – 01).
Diversamente opinando si finirebbe per violare il principio della responsabilità per il fatto proprio e colpevole di cui all’art. 27, comma 1, Cost. Lo statuto costituzionale della responsabilità penale sarebbe, in effetti, eluso qualora si pronunciasse la condanna dell’amministratore di diritto di una società per il delitto di bancarotta documentale pur in presenza della prova di una «concreta gestione da parte dell’amministratore di fatto così complessiva e sostitutiva da ridurre l’amministratore legale a un mero atto formale, nominale», dovendosi escludere una mera «responsabilità di posizione, derivante dalla sola assunzione della carica formale» (così, Sez. 5, n. 35093/2019, non massimata).
1.2. Nel caso di specie, tuttavia, si è fatta corretta applicazione delle riportate direttive ermeneutiche. Emerge, infatti, dalla sentenza di primo grado, i cui snodi fondamentali sono stati trasposti e ripresi nella sentenza impugnata (cfr. pagg. 2 e 3), la spiegazione del perché non si potesse ritenere che NOME COGNOME fosse un mero amministratore ‘testa di legno’ della ‘RAGIONE_SOCIALE‘: egli, infatti, era stato amministratore di diritto della società dal 25 ottobre 2013 fino al fallimento, dichiarato con sentenza del 22 gennaio 2018; aveva ricoperto lo stesso ruolo nella ‘RAGIONE_SOCIALE‘; disponeva di poteri di firma nell’interesse della ‘RAGIONE_SOCIALE‘ presso gli istituti bancari ed aveva svolto il proprio mandato dietro compenso. Tali elementi di fatto, letti assieme alla decisiva circostanza che NOME COGNOME e NOME COGNOME, da lui indicati come amministratori di fatto della ‘RAGIONE_SOCIALE‘ ed effettivi tenutari e custodi delle scritture contabili societarie, sono stati assolti dal reato di concorso in bancarotta per non aver commesso il fatto, dimostrano, secondo il canone logico della plausibile opinabilità di apprezzamento, come il ricorrente avesse effettivamente svolto, ed anche per un
tempo significativo, il ruolo di amministratore di diritto della fallita. Egli, infatti, non nuovo ad attività di gestione di società e consapevole della carica assunta in seno alla fallita (avendo percepito, per l’assunzione, un compenso), avendo la delega ad operare in banca per conto della società, era nelle condizioni di conoscere lo stato delle scritture contabili societarie, di modo che non si sarebbe dovuto sottrarre all’adempimento degli obblighi nascenti dalla carica rivestita, ossia quelli di cui all’art. 2932 cod. civ. Oltretutto, l’esclusione della riconducibilità del fatto di omessa tenuta delle scritture contabili della ‘RAGIONE_SOCIALE‘ al duo ‘Seveso – Smaniotto’, rafforza la conclusione cui sono pervenuti i giudici di merito di entrambi i gradi in ordine al difetto di diligenza di Pisano nell’ottemperare ai propri obblighi quanto al loro aggiornamento e alla loro tenuta.
Infondati sono anche i motivi (il primo e il terzo) che vertono sul trattamento sanzionatorio applicato al ricorrente.
2.1. Dall’esame degli atti emerge come il dispositivo, comunicato al difensore dell’appellante in esito all’udienza camerale dell’1 aprile 2025, rechi l’indicazione dell’irrogazione ad NOME COGNOME della pena di mesi otto di reclusione e delle pene accessorie per una durata corrispondente a quella della pena principale: dunque, senza alcuna difformità rispetto alla determinazione delle suddette pene come riportata nella motivazione della sentenza documento.
Va, pertanto, fatta applicazione del principio di diritto secondo cui «La difformità tra il dispositivo di udienza e quello in calce alla motivazione non è causa di nullità della sentenza, che ricorre nei soli casi in cui difetti totalmente il dispositivo, sicché, in caso di giudizio cartolare di appello celebrato secondo la disciplina emergenziale pandemica da Covid-19, la Corte di cassazione, adita dal ricorso dell’imputato, può rettificare l’errore materiale, ai sensi dell’art. 619 cod. proc. pen., riconoscendo prevalenza al dispositivo comunicato alle parti rispetto a quello trascritto in sentenza, ove si tratti di errore evidente che non ha influito sul contenuto decisorio del provvedimento impugnato» (Sez. 1, n. 19765 del 01/12/2023, dep. 2024, Bandi, Rv. 286398 – 01).
Poiché nel caso di specie la rilevata divergenza tra la motivazione e il dispositivo in calce ad essa è frutto unicamente di un errore materiale, ad esso può porsi rimedio sostituendo nel detto dispositivo la previsione della pena di quattro mesi di reclusione con la pena di mesi otto di reclusione.
2.2. I rilievi articolati in punto di determinazione della pena base, fissata in anni uno di reclusione, in misura lievemente superiore al minimo editale in ragione dei «precedenti dell’imputato e dei danni cagionati alla procedura fallimentare per la ‘scomparsa’ o comunque, per la omessa tenuta delle scritture» (pag. 8 della sentenza impugnata), poi decurtata di un terzo in ragione della concessione delle circostanze attenuanti generiche contabili, sono privi di pregio, perché generici ed interamente versati in fatto.
S’impone, pertanto, la rettifica della sentenza impugnata nel senso che la previsione di pena nella misura di quattro mesi di reclusione è sostituita con la pena di mesi otto di reclusione. Segue il rigetto del ricorso nel resto.
P.Q.M.
Rettifica la sentenza impugnata nel senso che la previsione di pena nella misura di quattro mesi di reclusione è sostituita con la pena di mesi 8 di reclusione. Rigetta nel resto il ricorso.
Così è deciso, 18/06/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente
NOME COGNOME