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Bancarotta documentale: la differenza con quella semplice

La Corte di Cassazione ha annullato una condanna per bancarotta documentale fraudolenta, sottolineando la necessità di provare il dolo specifico, ovvero l’intento di danneggiare i creditori. La sentenza chiarisce che la semplice omissione delle scritture contabili non basta a configurare il reato più grave, potendo integrare la meno grave fattispecie di bancarotta semplice. La Corte ha ritenuto che la motivazione della Corte d’Appello fosse confusa e contraddittoria, non riuscendo a dimostrare la finalità fraudolenta dell’imputato.

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Pubblicato il 6 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Bancarotta documentale: non basta non tenere i libri contabili per la condanna

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 10423/2024, offre un’importante lezione sulla bancarotta documentale, tracciando una linea netta tra la fattispecie fraudolenta e quella semplice. Il caso riguarda un imprenditore condannato per non aver tenuto le scritture contabili, ma la Suprema Corte ha annullato la decisione, evidenziando come l’accusa debba provare un elemento fondamentale: l’intento specifico di frodare i creditori. Approfondiamo i dettagli di questa pronuncia fondamentale.

I fatti del caso

Il titolare di una ditta individuale, operante nel settore delle sale giochi e biliardi, veniva dichiarato fallito su istanza di una società creditrice. Successivamente, anche l’Erario si insinuava nel passivo per una somma considerevole. Durante la procedura, emergeva che l’imprenditore non aveva mai depositato le scritture contabili, rendendo impossibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari.
Sia il Tribunale che la Corte di Appello lo condannavano per il reato di bancarotta fraudolenta documentale, ritenendo che l’omessa tenuta dei libri contabili fosse finalizzata a impedire gli accertamenti del curatore e a nascondere operazioni collegate a un’altra società di fatto amministrata dall’imputato. L’imprenditore, tramite il suo difensore, ricorreva in Cassazione, sostenendo che la motivazione della condanna fosse generica e non dimostrasse il dolo specifico richiesto per questo grave reato.

La distinzione tra bancarotta documentale fraudolenta e semplice

Per comprendere la decisione della Cassazione, è cruciale distinguere due diverse figure di reato previste dalla legge fallimentare:

Bancarotta Fraudolenta Documentale (art. 216 L.F.): Si configura quando l’imprenditore sottrae, distrugge, falsifica o omette completamente la tenuta delle scritture contabili. La legge richiede un dolo specifico*, ossia la consapevolezza e volontà di agire con lo scopo preciso di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori.

Bancarotta Semplice Documentale (art. 217 L.F.): Punisce l’imprenditore che, nei tre anni precedenti il fallimento o dall’inizio dell’impresa, ha tenuto le scritture in modo incompleto o irregolare. In questo caso, è sufficiente il dolo generico*, cioè la semplice coscienza e volontà di tenere una contabilità non conforme alle regole, senza che sia necessario dimostrare un fine fraudolento.

Il discrimine, quindi, risiede interamente nell’elemento psicologico. La totale omissione della contabilità può rientrare nella fattispecie più grave solo se supportata dalla prova dello scopo fraudolento.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, giudicandolo fondato. La motivazione della sentenza impugnata è stata definita “frutto di una totale confusione” tra le due fattispecie di bancarotta documentale. La Corte di Appello, pur riconoscendo che il caso riguardava l’omissione totale delle scritture contabili (fattispecie che richiede il dolo specifico), aveva argomentato la sua decisione citando giurisprudenza relativa alla tenuta irregolare della contabilità (che richiede solo il dolo generico).

Secondo gli Ermellini, il giudice di merito era gravato da un preciso “onere motivazionale”: doveva individuare e spiegare gli elementi concreti dai quali desumere la finalità dell’imputato di recare pregiudizio ai creditori o di ottenere un ingiusto profitto. Invece, si era limitato ad affermare in modo generico che l’intento fosse quello di rendere difficoltosa la ricostruzione dei movimenti contabili per nuocere ai creditori, senza però ancorare questa conclusione a prove specifiche.

La motivazione della Corte di Appello è stata ritenuta contraddittoria e insufficiente, poiché sovrapponeva concetti giuridici distinti e non forniva una spiegazione appagante sulla qualificazione della condotta. Proprio lo scopo fraudolento, sottolinea la Cassazione, costituisce il confine tra il reato di bancarotta documentale fraudolenta e quello di bancarotta semplice.

Le conclusioni

La Corte di Cassazione ha annullato la sentenza con rinvio ad un’altra sezione della Corte di Appello di Palermo. Il nuovo giudice dovrà riesaminare il caso applicando correttamente i principi di diritto. In particolare, dovrà verificare se, al di là della semplice omissione delle scritture contabili, esistano prove concrete che dimostrino l’intento specifico dell’imprenditore di danneggiare il ceto creditorio. In assenza di tale prova, la condotta potrebbe essere riqualificata nel meno grave reato di bancarotta semplice.

Questa sentenza ribadisce un principio di garanzia fondamentale: una condanna per un reato grave come la bancarotta fraudolenta non può basarsi su presunzioni o motivazioni generiche. L’accusa ha l’onere di provare, oltre ogni ragionevole dubbio, non solo la condotta materiale (l’omissione dei libri contabili), ma anche l’elemento psicologico specifico richiesto dalla norma, ovvero la finalità fraudolenta.

Qual è la differenza fondamentale tra bancarotta documentale fraudolenta e semplice?
La differenza risiede nell’elemento psicologico. Per la bancarotta fraudolenta documentale (art. 216 L.F.) è richiesto il dolo specifico, cioè l’intento di recare pregiudizio ai creditori o di procurare un ingiusto profitto. Per la bancarotta semplice documentale (art. 217 L.F.), invece, è sufficiente il dolo generico, ossia la consapevolezza di tenere le scritture in modo irregolare, senza un fine fraudolento.

Perché la Corte di Cassazione ha annullato la condanna in questo caso?
La Corte ha annullato la condanna perché la motivazione della Corte di Appello era confusa e contraddittoria. Il giudice di secondo grado non ha adeguatamente dimostrato la sussistenza del dolo specifico, sovrapponendo i criteri previsti per la bancarotta fraudolenta con quelli della bancarotta semplice e non fornendo prove concrete della finalità fraudolenta dell’imputato.

Cosa deve dimostrare l’accusa per provare la bancarotta fraudolenta documentale per omessa tenuta delle scritture?
L’accusa deve dimostrare non solo la condotta materiale, ovvero che l’imprenditore ha omesso di tenere le scritture contabili, ma anche e soprattutto lo scopo specifico di tale omissione. Deve provare che l’imputato ha agito con la precisa finalità di recare pregiudizio ai creditori o di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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