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Bancarotta documentale: doveri dell’amministratore

La Corte di Cassazione conferma la condanna per bancarotta documentale a carico dell’amministratore legale di una società fallita. La Suprema Corte ha ritenuto irrilevante la difesa basata sull’esistenza di un gestore di fatto, sottolineando che l’amministratore di diritto ha un obbligo non delegabile di vigilare sulla corretta tenuta delle scritture contabili. Il ricorso è stato giudicato inammissibile in quanto mirava a una nuova valutazione dei fatti, non consentita in sede di legittimità.

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Pubblicato il 25 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Bancarotta Documentale: La Responsabilità dell’Amministratore non si Delega

Con la recente sentenza n. 26266/2025, la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sul tema della bancarotta documentale, ribadendo un principio fondamentale: l’amministratore legale di una società non può sottrarsi alle proprie responsabilità penali, anche se la gestione operativa è affidata a un’altra figura. Questo caso offre spunti cruciali per comprendere gli obblighi inderogabili che gravano su chi ricopre cariche societarie.

I Fatti del Caso

La vicenda giudiziaria riguarda l’amministratore legale di una S.r.l., dichiarata fallita. L’imputato è stato condannato sia in primo grado che in appello per il reato di bancarotta fraudolenta documentale. L’accusa era quella di aver occultato o distrutto le scritture contabili della società con lo scopo specifico di danneggiare i creditori, impedendo di fatto la ricostruzione del patrimonio e del volume d’affari dell’impresa.

La difesa dell’imputato si è incentrata su una tesi precisa: la gestione effettiva della società era interamente nelle mani di un procuratore, il quale sarebbe stato l’unico e vero responsabile del dissesto e della gestione contabile. Secondo questa ricostruzione, l’imputato era un mero amministratore ‘formale’ o ‘di facciata’, estraneo alle dinamiche operative e, quindi, privo del dolo specifico richiesto per la configurabilità del reato.

I Motivi del Ricorso e la responsabilità nella bancarotta documentale

L’amministratore ha proposto ricorso in Cassazione lamentando principalmente tre vizi della sentenza d’appello:

1. Errata valutazione del dolo specifico: La difesa sosteneva che i giudici di merito avessero erroneamente attribuito all’imputato l’intenzione di frodare i creditori, basandosi unicamente sulle dichiarazioni del gestore di fatto, il quale aveva un palese interesse a scaricare su altri le proprie responsabilità. Si chiedeva, in sostanza, una diversa valutazione delle prove, dando maggior peso alla testimonianza di un ex dipendente che confermava il ruolo centrale del procuratore.
2. Motivazione insufficiente: Il ricorrente ha criticato la motivazione della Corte d’Appello riguardo alla sua mancata presentazione al curatore fallimentare e alle dichiarazioni sulle merci in magazzino, elementi che, a suo dire, non potevano provare la sua volontà di commettere il reato.
3. Diniego delle attenuanti generiche: Si contestava infine il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, ritenuto ingiustificato.

La Decisione della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la condanna. Gli Ermellini hanno smontato le argomentazioni difensive, ribadendo i confini del proprio giudizio e i principi cardine in materia di reati fallimentari.

Le Motivazioni: l’obbligo di vigilanza dell’amministratore e i limiti del giudizio di legittimità

La motivazione della Corte si fonda su due pilastri. In primo luogo, il ricorso è stato giudicato inammissibile perché chiedeva una rivalutazione del merito della vicenda. La Cassazione non è un ‘terzo grado di giudizio’ dove si possono riesaminare le prove e le testimonianze. Il suo compito è verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione dei giudici precedenti, non sostituire la loro valutazione dei fatti con una propria. Sollecitare una lettura delle testimonianze diversa da quella operata dalla Corte d’Appello è un’attività preclusa in sede di legittimità.

Nel merito, e questo è il punto giuridicamente più rilevante, la Corte ha affermato un principio consolidato: l’amministratore legale (o ‘di diritto’) ha un obbligo giuridico di tenere e conservare le scritture contabili. Questa responsabilità non viene meno neppure se la gestione quotidiana è affidata a un altro soggetto. L’amministratore ha un dovere di vigilanza sull’operato del gestore di fatto. Pertanto, l’eventuale responsabilità di quest’ultimo per le condotte distrattive non esclude quella dell’amministratore per l’omessa tenuta della contabilità. Essere amministratore di una società comporta oneri e doveri precisi, tra cui quello di assicurare la trasparenza contabile a tutela dei creditori e del mercato.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche

Questa sentenza è un monito per chi accetta di ricoprire cariche di amministratore in modo puramente formale. La figura del cosiddetto ‘testa di legno’ non offre alcuna protezione legale in caso di fallimento. La legge impone all’amministratore un ruolo attivo di controllo e supervisione. La mancata tenuta delle scritture contabili è di per sé una condotta illecita che, se compiuta con l’intento di pregiudicare i creditori, integra il grave reato di bancarotta documentale. La presenza di un gestore di fatto può, al più, portare a un concorso di persone nel reato, ma non a un’esenzione di responsabilità per l’amministratore di diritto.

L’amministratore legale di una società può essere ritenuto responsabile per bancarotta documentale se la gestione era affidata a un’altra persona?
Sì. Secondo la Corte, l’amministratore legale ha l’obbligo di tenere le scritture contabili. Anche in presenza di un gestore di fatto, l’amministratore di diritto conserva un dovere di vigilanza e non può essere esonerato dalla responsabilità per l’omessa tenuta della contabilità.

Una possibile responsabilità del gestore di fatto esclude quella dell’amministratore legale?
No, non la esclude. La Corte di Appello, la cui decisione è stata confermata, ha chiarito che un’eventuale responsabilità del gestore per condotte distrattive non elimina la responsabilità dell’amministratore legale per il reato di bancarotta documentale, connesso all’omessa tenuta delle scritture contabili.

È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di rivalutare le testimonianze e le prove del processo?
No. Il ricorso in Cassazione è un giudizio di legittimità, non di merito. La Corte non può procedere a una nuova e diversa valutazione delle prove (come le dichiarazioni dei testimoni), ma solo verificare che la legge sia stata applicata correttamente e che la motivazione della sentenza impugnata sia logica e non contraddittoria.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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