Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 26266 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 26266 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 13/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Sesto San Giovanni il 09/01/1969, avverso la sentenza del 13/12/2024 della Corte di appello di Roma visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza del 19 dicembre 2023 del Tribunale di Frosinone che aveva affermato la penale responsabilità di NOME COGNOME per il delitto di bancarotta fraudolenta documentale e l’aveva condannato alla pena ritenuta di giustizia.
L’imputato è stato condannato per avere, quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita in data 24 maggio 2016, occultato o distrutto le scritture contabili della società allo scopo di recare pregiudizio ai creditori.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso NOME COGNOME a mezzo del
suo difensore, chiedendone l’annullamento ed articolando tre motivi.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 216, primo comma, n. 2, l. fall. e degli artt. 497 e ss. e 192 cod. proc. pen.
Il ricorrente sostiene che la Corte di merito non avrebbe considerato che NOME COGNOME, procuratore della società, era l’unico soggetto responsabile delle condizioni di dissesto della fallita, in quanto era stato il solo ad occuparsi della sua gestione anche dopo il 2004, diversamente da quanto ritenuto dai Giudici del merito che avevano erroneamente affermato, basandosi solo su quanto dal COGNOME dichiarato al curatore fallimentare, che la sua gestione era cessata in quell’anno. Il COGNOME, quale gestore della società, era tenuto anche ad occuparsi della contabilità.
La Corte di merito aveva anche ritenuto sussistente, in capo all’odierno ricorrente, il dolo specifico del delitto di bancarotta fraudolenta documentale desumendolo esclusivamente dalle dichiarazioni del COGNOME che aveva attribuito a NOME COGNOME ed a suo padre gravi condotte distrattive, da occultare impedendo che la curatela acquisisse la disponibilità delle scritture contabili.
La Corte di merito ha utilizzato le dichiarazioni del COGNOME senza considerare che esse erano state rese al curatore fallimentare in assenza di contraddittorio con l’imputato e che il dichiarante aveva interesse a scaricare su altri le sue responsabilità.
Le condotte distrattive che avevano indotto i Giudici del merito a ritenere sussistente il dolo specifico del delitto di bancarotta fraudolenta documentale poggiavano esclusivamente sulle dichiarazioni del COGNOME la cui attendibilità avrebbe dovuto essere valutata attraverso la sua escussione quale teste nel dibattimento.
Inoltre, la Corte di appello non ha tenuto conto della deposizione del teste NOME COGNOME, dipendente della RAGIONE_SOCIALE dal 1999 al 2004, che aveva affermato di essersi sempre relazionato con il COGNOME; secondo il teste, quando i lavoratori della società erano passati alle dipendenze di altra società della famiglia COGNOME, la RAGIONE_SOCIALE, gli stessi ne avevano avuto notizia dal solo COGNOME che aveva continuato ad essere il solo referente del COGNOME sino a quando erano passati due anni dal passaggio di quest’ultimo alle dipendenze della RAGIONE_SOCIALE, quando aveva conosciuto NOME COGNOME
Quest’ultimo era rimasto estraneo alla RAGIONE_SOCIALE, essendone divenuto amministratore solo formalmente, rimanendo la società amministrata dal COGNOME; la circostanza che quest’ultimo avesse cessato di amministrare la fallita era un dato che si ricavava esclusivamente dalle dichiarazioni dello stesso COGNOME.
In realtà il teste COGNOME era l’unico soggetto veramente attendibile, in quanto disinteressato, mentre del tutto illogicamente la Corte di merito avrebbe
ritenuto attendibile il COGNOME sebbene questi fosse interessato a scaricare su altri soggetti le sue responsabilità gestionali.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente si duole della insufficienza e contraddittorietà della motivazione in relazione alla mancata conoscenza, da parte dell’imputato, della convocazione del curatore e alle dichiarazioni rese dallo COGNOME in ordine alle consistenze del magazzino della fallita.
Il Curatore fallimentare aveva dichiarato che lo COGNOME non aveva ricevuto la sua convocazione, cosicché la sua assenza avrebbe dovuto costituire un elemento neutro, sul quale non poteva fondarsi l’affermazione del dolo specifico.
Inoltre, lo COGNOME, nel corso del suo esame, aveva affermato che le merci custodite nel magazzino erano alla mercè di chiunque volesse impossessarsene e di tale circostanza egli erano venuto a conoscenza «poi», parlando con i dipendenti della fallita. Tale conoscenza da parte sua era, quindi, intervenuta solo dopo che la società aveva cessato di esistere e non quando essa era attiva.
Anche tale conoscenza non valeva, quindi, a dimostrare il dolo specifico.
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente si duole del diniego delle attenuanti generiche, per essere la sua condotta stata valutata come caratterizzata da maggiore gravità rispetto a quella effettivamente tenuta.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
Il ricorrente arriva a sostenere la carenza del dolo specifico del delitto di bancarotta fraudolenta documentale sulla base di una ricostruzione fattuale diversa da quella operata dai Giudici del merito alla quale dovrebbe pervenirsi sulla base di una diversa – ed inesigibile in questa sede di legittimità valutazione delle prove acquisite nel corso dell’istruttoria dibattimentale ed in particolare ritenendo inattendibili le dichiarazioni rese da NOME COGNOME al curatore fallimentare ed attendibili quelle di NOME COGNOME che invece la Corte di appello ha ritenuto ininfluenti, avendo quest’ultimo cessato di lavorare alle dipendenze della fallita già nel 2004; in ogni caso, poi, la Corte di appello ha indicato nel 2000 l’anno in cui l’odierno ricorrente ha assunto la veste di amministratore della fallita e ha segnalato (a pag. 4 della motivazione della sentenza di appello) che un’eventuale responsabilità del COGNOME per le condotte distrattive non varrebbe ad escludere la responsabilità dell’imputato per l’omessa tenuta della contabilità, essendo lo COGNOME obbligato a tenere le scritture contabili quale amministratore della fallita.
Il secondo motivo di ricorso è complessivamente infondato.
Quanto alla omessa comparizione dell’imputato, sebbene convocato dal Curatore fallimentare per fornire informazioni sulla gestione della fallita, nella sentenza impugnata non si attribuisce particolare valore probatorio a tale circostanza, cosicché, in relazione a tale aspetto, il motivo deve essere rigettato.
Con riguardo alle dichiarazioni rese dall’imputato nel corso del suo esame dibattimentale, anche in questo caso il ricorrente sollecita una diversa valutazione del significato delle sue dichiarazioni, cosicché, per le ragioni sopra esposte, il motivo è, in parte qua , inammissibile.
Inammissibile per la sua estrema genericità è infine il terzo motivo di ricorso relativo al diniego delle circostanze attenuanti generiche.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 13/05/2025.