Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 12285 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 12285 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 05/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME COGNOME nata a Torino il 06/09/1985
avverso la sentenza del 25/10/2021 della Corte di appello di Torino visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; sentita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto di rigettare il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Torino, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, ha confermato la condanna di NOME COGNOME soltanto per i delitti di bancarotta fraudolenta patrimoniale limitatamente alla distrazione di 21.788,31 euro (capo A, prima parte) e di bancarotta fraudolenta documentale (capo A, seconda parte), ascritti all’imputata quale amministratrice della “RAGIONE_SOCIALE“, società dichiarata fallita il 26 novembre 2015; mentre ha assolto l’imputata dalle residue condotte distrattive contestate nella medesima prima parte del capo A e dal delitto di truffa commesso in concorso con il padre
COGNOME (capo B), procedendo alla conseguente rideterminazione della pena.
Ottenuta la restituzione nel termine per impugnare (a seguito di sentenza Sez. 5 n. 6407 del 13 novembre 2023, depositata nel 2024) l’imputata, tramite il difensore, ha proposto l’odierno ricorso per cassazione, articolando due motivi afferenti ai capi oggetto di condanna.
2.1. Con il primo si denuncia violazione di legge in punto di qualificazione giuridica dei fatti come bancarotta fraudolenta per distrazione invece che come bancarotta preferenziale (che sarebbe estinta per decorso del termine prescrizionale).
Si sostiene che le somme prelevate, oggetto di contestazione, devono ricondursi – secondo un recente arresto della Corte di cassazione (Sez. 5 n. 29582 del 18/04/2023 – al compenso spettante all’imputata quale amministratrice della società, avuto riguardo alla congruità della somma rispetto al lavoro svolto (“21mila euro “spalmati” in 3 anni di lavoro”); mentre sarebbe privo di rilievo l’unico elemento apprezzato dalla Corte di appello, vale a dire l’adozione di una delibera assembleare che determini l’entità del compenso.
2.2. Con il secondo motivo si denuncia violazione di legge e vizio di motivazione sulla ritenuta sussistenza dell’elemento oggettivo e di quello soggettivo della bancarotta fraudolenta documentale.
Si fa leva sulla circostanza che non vi sarebbe prova della distruzione o sottrazione dei libri e delle scritture contabili.
Si evidenzia che nessun argomento viene speso sul dolo specifico richiesto dalla prima ipotesi dell’art. 216 comma primo, n. 2 legge fall.
Si eccepisce la violazione del principio di corrispondenza tra accusa e sentenza.
Si assume che la condanna dovrebbe essere inquadrata nella previsione di cui all’art. 217 legge fall., ormai estinta per prescrizione.
Il ricorso è stato trattato senza intervento delle parti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato limitatamente al capo relativo alla condanna per il delitto di bancarotta fraudolenta documentale (capo A prima parte), mentre nel resto è inammissibile.
È necessario ripercorrere le scansioni processuali che hanno caratterizzato il procedimento.
2.1. NOME COGNOME veniva rinviata a giudizio per rispondere dei seguenti reati:
delitti di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale a lei ascritti nella veste di amministratrice della “RAGIONE_SOCIALE“, società dichiarata fallita i 26 novembre 2015 (capo A, prima e seconda parte);
delitto di truffa in concorso con il padre NOME COGNOME (capo B).
Le condotte di bancarotta fraudolenta patrimoniale venivano individuate nella distrazione di: complessivi 123.533,31 euro, oggetto di assegni e bonifici bancari in favore di terzi, privi di titolo giustificativo; complessivi 11.655,00 eur rappresentati da pagamenti di spese personali utilizzando carte di credito con addebiti sul conto della società fallita; 2.910,00 euro in contanti quale ammontare della cassa non reperita dal curatore; 290.000,00 euro relativi ad anticipi pagati da clienti della fallita, versati su conti correnti non intestati alla societ complessivi 39.002,50 euro consegnati al padre NOME COGNOME
2.2. Il Tribunale affermava la responsabilità dell’imputata per tutti i delitti in contestazione e la condannava alla pena ritenuta di giustizia.
2.3. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Torino, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, ha:
confermato la condanna dell’imputata per il delitto di bancarotta fraudolenta documentale (capo A, seconda parte);
confermato la condanna dell’imputata per il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale (capo A, prima parte) limitatamente alla distrazione della somma complessiva di 21.788,31 euro, costituita per euro 4.250,00 da pagamenti in favore di NOME COGNOME per euro 5.883,31 da pagamento di spese condominiali dell’immobile sito in INDIRIZZO, per euro 11.655,00 da pagamenti per necessità personali effettuati con carte di credito alimentate da provvista di pertinenza della G.L. Living;
assolto l’imputata dalle residue condotte distrattive;
assolto l’imputata (e COGNOME Salvatore) dal delitto di truffa.
2.4. Le impugnazioni della sentenza di appello ad opera della parte pubblica e delle parti private hanno dato vita a due procedimenti di legittimità, temporalmente disallineati.
2.4.1. Il Procuratore generale distrettuale ha proposto ricorso avverso l’assoluzione dalle ipotesi distrattive; mentre le parti civili sono insorte, ai sol effetti civili, rispetto alla assoluzione dal delitto di truffa di cui al capo B).
Da tali ricorsi è scaturito il procedimento n. 44366/2022 R.G.N., definito dalla quinta sezione penale della Corte di cassazione con sentenza n. 37018 del 28 giugno 2023.
Il dispositivo della pronuncia recita: “annulla la sentenza impugnata, con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Torino”.
La motivazione e il relativo thema decidendi, circoscritto dalle citate impugnazioni, rendono evidente che l’annullamento ha coinvolto non l’intera decisione di secondo grado (comprensiva della condanna) ma solo i capi, oggetto di assoluzione, devoluti dal Procuratore generale distrettuale (sulle distrazioni) e dalle parti civili (attinenti alla responsabilità civile per la condotta di truffa di cui capo B).
Il giudizio di rinvio pende attualmente dinanzi alla Seconda sezione penale della Corte di appello di Torino con prossima udienza fissata al 21 maggio 2025 (cfr. nota del 12 dicembre 2024 a firma della Presidente della seconda sezione penale della Corte di appello di Torino).
2.4.2. Successivo e distinto sviluppo ha avuto il ricorso di NOME COGNOME (oggetto del presente procedimento).
Con sentenza n. 6407 del 13 novembre 2023, depositata nel 2024, la quinta sezione penale della Corte di cassazione ha restituito l’imputata nel termine per impugnare la sentenza della Corte di appello di Torino sui capi oggetto di condanna (bancarotta fraudolenta documentale e bancarotta fraudolenta patrimoniale in relazione alla distrazione di 21.788,31 euro).
Ottenuta la restituzione nel termine, l’imputata, tramite il difensore, ha proposto il ricorso per cassazione (iscritto al n. 42052/2024 RGN) oggetto dell’odierno scrutinio.
Il primo motivo è inammissibile.
3.1. Occorre chiarire che la conferma della pronuncia di condanna di primo grado riguarda le seguenti attività distrattive:
pagamenti effettuati tramite assegni o bonifici dal conto corrente dalla società fallita in favore di NOME COGNOME per l’ammontare complessivo di euro 4.250,00 (capo A, prima parte e prima alinea);
pagamenti effettuati tramite assegni o bonifici dal conto corrente della società fallita a titolo di spese condominiali per complessivi euro 5.883,31 (capo A, prima parte e prima alinea);
pagamenti di spese personali effettuati utilizzando carte di credito appoggiate sul conto della società fallita per complessivi 11.655,00 euro (capo A, prima parte, seconda alinea).
La sentenza impugnata non ha accolto i motivi di appello su detti punti che facevano leva:
per i pagamenti tramite assegni e bonifici (4.250,00 euro e 5.883,31 euro), sulla assenza di elemento soggettivo, dato che l’imputata aveva agito con la convinzione di provvedere alla restituzione delle somme “in tempi brevi” (pagg. 7 e 8 atto di appello);
per i pagamenti con carta di credito, sulla circostanza che si trattava di emolumenti spettanti all’imputata in ragione della carica di amministratrice e del lavoro svolto senza mai ricevere compensi né rimborsi spese (pagg. 10 e 11 dell’atto di appello).
3.2. Con il ricorso per cassazione l’imputata non contesta la risposta fornita dal giudice di secondo grado sul tema dei pagamenti tramite assegni e bonifici (4.250,00 euro e 5.883,31 euro) – pag. 7 sentenza impugnata; su quel punto la Corte di cassazione non è stata chiamata a intervenire e, pertanto, sulla relativa condanna si è formata una preclusione processuale insuscettibile di rivisitazione.
La ricorrente coltiva, invece, il tema della riferibilità dei pagamenti con carta di credito agli emolumenti a lei spettanti come amministratrice della società. Sostiene che la Corte di appello, nell’assegnare valenza ostativa all’assenza di delibere assembleari di determinazione del compenso, avrebbe fatto applicazione di principi superati dai più recenti arresti della Corte di cassazione (sentenza n. 29582 del 18/04/2023), in forza dei quali l’adozione di una delibera sarebbe irrilevante, poiché il diritto al compenso trova la propria fonte nell’art. 36 Cost. e, nella specie, i prelevi in contestazione rappresentano una somma congrua rispetto al lavoro prestato dall’imputata.
3.3. La censura è intrinsecamente generica, poiché si risolve nella affermazione di un principio di diritto non adeguatamente declinato attraverso l’indicazione di specifici elementi caratterizzanti la fattispecie concreta.
3.3.1. Va chiarito, sotto il profilo giuridico, che il principio stabilito con sentenza n. 29582 del 18/04/2023 non si staglia nel panorama normativo e giurisprudenziale in maniera così netta, come preteso dalla ricorrente.
Anzitutto, nella impostazione del problema, non può essere condiviso il principio secondo cui il diritto al compenso dell’amministratore societario discende dall’art. 36 Cost.
Invero la giurisprudenza civile afferma – in modo granitico e sui diversi fronti: tributario, laburistico, societario e fallimentare – che l’amministratore unico o il consigliere di amministrazione di una società di capitali sono legati alla stessa da un rapporto di tipo societario che, in considerazione dell’immedesimazione organica tra persona fisica ed ente e dell’assenza del requisito della coordinazione, non è compreso in quelli previsti dal n. 3 dell’art. 409 cod. proc. pen. (Sez. U, n.
1545 del 20/01/2017, Rv. 642004 – 03) né rientra nell’ambito di tutela assicurato dall’art. 36 Cost.; tanto che, ad esempio, si ritiene legittima la previsione statutaria di gratuità delle relative funzioni (Sez. 1 civ. n. 285 del 09/01/2019, Rv. 652071 – 01).
Quanto appena affermato concerne la figura dell’amministratore societario nelle sue funzioni tipiche di gestione e rappresentanza dell’ente, ossia come soggetto che, immedesimandosi nella società, le consente di agire e raggiungere i propri fini imprenditoriali.
Diverso il caso in cui s’instauri, tra la società e la persona fisica che la rappresenta e la gestisce, un autonomo, parallelo e diverso rapporto che assuma le caratteristiche di un rapporto subordinato, parasubordinato o d’opera, che postula, tuttavia, vuoi l’oggettivo svolgimento di attività estranee alle funzioni inerenti al rapporto organico vuoi la ricorrenza della subordinazione, sia pure nelle forme peculiari compatibili con la prestazione lavorativa dirigenziale (così in motivazione Sez. U, n. 1545 del 20/01/2017, cit.), ipotesi che però non è pertinente alla fattispecie in esame.
Proprio con questa consapevolezza anche la giurisprudenza penale è pervenuta a configurare il delitto di bancarotta per distrazione, e non quello di bancarotta preferenziale, nel caso di amministratore che prelevi dalle casse sociali somme asseritamente corrispondenti a crediti dal medesimo vantati per il lavoro prestato nell’interesse della società, senza l’indicazione di elementi che ne consentano un’adeguata valutazione, atteso che il rapporto di immedesimazione organica che si instaura tra amministratore e società, non è assimilabile né ad un contratto d’opera né ad un rapporto di lavoro subordinato o parasubordinato che giustifichino di per sé il credito per il lavoro prestato, dovendo invece l’eventuale sussistenza, autonoma e parallela, di un tale rapporto essere verificata in concreto attraverso l’accertamento dell’oggettivo svolgimento di attività estranee alle funzioni inerenti all’immedesimazione organica (Sez. 5, n. 14010 del 12/02/2020, COGNOME, Rv. 279103 – 01, in tema di società di persone).
Quindi in assenza di previsione statutaria e di delibera assembleare di determinazione dei compensi, la fonte del diritto dell’amministratore non può essere ricercata nell’art. 36 Cost.
3.3.2. Piuttosto, si è precisato, che il diritto al compenso spetta all’amministratore di una società di capitali, in conseguenza dell’accettazione della carica, in forza del principio per cui, salva la previsione di gratuità, l’incarico di amministratore ha carattere oneroso (cfr. in motivazione Sez. 5, n. 36416 del 11/05/2023 , Ciri).
Sul punto va registrato uno scarto tra giurisprudenza penale più recente e giurisprudenza civile, posto che, per la seconda, qualora la misura del compenso
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degli amministratori di società di capitali, ai sensi dell’art. 2389, primo comma cod. civ., non sia stabilita nello statuto, è necessaria una esplicita delibera assembleare, che non può considerarsi implicita in quella di approvazione del bilancio, attesa: la natura imperativa e inderogabile della previsione normativa, discendente dall’essere la disciplina del funzionamento delle società dettata, anche, nell’interesse pubblico al regolare svolgimento dell’attività economica; la distinta previsione delle delibera di approvazione del bilancio e di quella di determinazione dei compensi (art. 2364 n. 1 e 3 cod. civ); la mancata liberazione degli amministratori dalla responsabilità di gestione, nel caso di approvazione del bilancio (art. 2434 cod. civ.); il diretto contrasto delle delibere tacite ed implicit con le regole di formazione della volontà della società (art. 2393, secondo comma, cod. civ.) – così prima della riforma del diritto societario Sez. U, n. 21933 del 29/08/2008, Rv. 604262 – 01, principio di recente ribadito da Sez. 5, n. 20613 del 24/07/2024, Rv. 672027 – 01.
Restando in ambito penale, se si accoglie la presunzione di onerosità dell’attività dell’amministratore di una società di capitali (con conseguente irrilevanza di previsione statutaria e/o delibera assembleare), occorre spostare il discorso su contenuto e oggetto dell’accertamento, poiché, secondo una recente pronuncia della Corte di cassazione, spetta al giudice di merito verificare se, in assenza di una delibera assembleare o di una quantificazione statutaria del compenso per l’attività svolta, cui ha diritto il soggetto che abbia ritualmente accettato la carica di amministratore di una società di capitali, il prelevamento da parte di quest’ultimo di denaro dalle casse della società in dissesto configuri il delitto di bancarotta preferenziale o, diversamente, quello di bancarotta fraudolenta per distrazione, a seconda che il diritto al compenso sia correlato o meno a una prestazione effettiva e il prelievo sia o meno congruo rispetto all’impegno profuso (cfr. Sez. 5, n. 36416 del 11/05/2023, Ciri, Rv. 285115 – 01). Nella motivazione della decisione appena citata si osserva che: «Ovviamente, l’assenza della delibera e della disposizione statutaria in relazione alla quantificazione del compenso, onera il giudice di merito di verificare la congruità del compenso prelevato dall’amministratore per se stesso, sia rispetto alla prestazione assicurata, sia in ordine alla funzionalizzazione della stessa all’interesse della società. In tale prospettiva, se per un verso l’assenza di delibera e di previsione statutaria può costituire un indice di fraudolenza, in sé insufficiente però a dimostrare la distrazione con frode, la congruità (o meno) del prelievo a titolo di compenso costituisce un indice di non fraudolenza (o meno), riconducendo la condotta ora alla dinamica preferenziale, ora a quella distrattiva, nei termini in precedenza indicati».
Discende che il ricorso con il quale si intenda contrastare la condanna per bancarotta fraudolenta patrimoniale deve indicare, a pena di inammissibilità per genericità, gli specifici elementi, in tesi pretermessi, idonei a dimostrare il diritto al compenso e la congruità delle somme prelevate; tenuto conto che commette il reato di bancarotta per distrazione e non quello di bancarotta preferenziale l’amministratore di una società di capitali che preleva dalle casse sociali somme asseritamente corrispondenti a crediti da lui vantati a titolo di compenso per la funzione svolta, senza l’indicazione di dati ed elementi di confronto che ne consentano un’adeguata valutazione, quali, ad esempio, gli impegni orari osservati, gli emolumenti riconosciuti a precedenti amministratori o a quelli di società del medesimo settore, i risultati raggiunti (Sez. 5, n. 49509 del 19 luglio 2017, Alija, Rv. 271464;
3.3.3. Nella specie gli assunti della ricorrente sulla misura del compenso spettante sono generici, apodittici, del tutto inadempienti rispetto agli oneri allegativi indicati e come tali inidonei a varcare la soglia del giudizio di legittimità.
4. Il secondo motivo è fondato.
4.1. Le questioni sollevate dalla ricorrente, unitamente alla soluzione offerta dal giudice di merito, rendono necessario ripercorrere gli arresti giurisprudenziali sugli elementi costitutivi delle due fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale disegnate dall’art. 216, comma primo, n. 2, legge fall.
4.1.1. La prima fattispecie (c.d. “specifica”) consiste nella sottrazione o distruzione o falsificazione (totale o parziale) dei libri e delle altre scritture contabil e richiede il dolo specifico consistente nello scopo di arrecare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori.
Anche l’ipotesi di omessa tenuta dei libri contabili può essere ricondotta nell’alveo di tipicità dell’art. 216 comma primo, n.2, legge fall. A tal fine occorre, però, che la condotta omissiva sia sorretta (al pari delle altre ipotesi) da dolo specifico, perché altrimenti risulterebbe impossibile distinguere tale fattispecie da quella – analoga sotto il profilo materiale – di bancarotta semplice documentale prevista dall’art. 217 legge fall. (Sez. 5, n. 25432 del 11 aprile 2012, De Mitri, Rv. 252992; Sez. 5, n. 11115 del 22/01/2015, COGNOME, Rv. 262915; Sez. 5, n. 18320 del 07/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 279179).
Al riguardo va specificato che l’omessa tenuta (così come la sottrazione, distruzione o falsificazione) può essere anche “parziale” e che tale nozione ricomprende, oltre alla mancata istituzione di uno o più libri contabili, anche l’ipotesi della “materiale” esistenza dei libri contabili che però sono stati “lasciati in bianco”.
4.1.2. La seconda fattispecie (c.d. “generale”) è integrata dalla tenuta della contabilità in modo da rendere impossibile la ricostruzione del movimento degli affari e del patrimonio della fallita; questa ipotesi, diversamente dalla prima, presuppone un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dagli organi fallimentari e si realizza attraverso una falsità ideologica contestuale alla tenuta della contabilità, e cioè mediante l’annotazione originaria di dati oggettivamente falsi o l’omessa annotazione di dati veri, realizzata con le ulteriori connotazioni modali descritte dalla norma incriminatrice (Sez. 5, n. 5081 del 13/01/2020, COGNOME, Rv. 278321); sotto il profilo soggettivo è sufficiente il dolo generico (Sez. 5, n. 33114 del 08/10/2020, COGNOME, Rv. 279838; Sez. 5, n. 26379 del 05/03/2019, COGNOME, Rv. 276650; Sez. 5, n. 43966 del 28/06/2017, COGNOME, Rv. 271611; Sez. 5, n. 18634 del 01/02/2017, Autunno, Rv. 269904).
Quanto alla “falsificazione” che, in apparenza, sembra connotare entrambe le fattispecie, la Corte di cassazione, con indirizzo consolidato, ha tracciato la seguente linea di demarcazione: la condotta di falsificazione delle scritture contabili integrante la fattispecie di bancarotta documentale “specifica” può avere natura sia materiale sia ideologica, ma consiste, comunque, in un intervento manipolativo su una realtà contabile già definitivamente formata. La condotta integrante la fattispecie di bancarotta documentale “generale”, invece, si realizza sempre con un falso ideologico contestuale alla tenuta della contabilità. In altri termini, l’annotazione originaria di dati oggettivamente falsi nella contabilità (ovvero l’omessa annotazione di dati veri), sempre che la condotta presenti le ulteriori connotazioni modali descritte dalla norma incriminatrice, integra sempre e comunque la seconda ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale descritta dall’art. 216 comma 1 n. 2) legge fall. (così, da ultimo, in motivazione Sez. 5, n. 5081 del 13/01/2020, COGNOME).
Come affermato da Sez. 5, n. 42546 del 07/11/2024, COGNOME, Rv. 287175 01, nell’intento di rimarcare, in modo netto, la differenza rispetto alla fattispecie di “omessa tenuta”, anche parziale, occorre chiarire che rientra nella ipotesi “a dolo generico” il caso della omessa annotazione di dati veri allorché l’omissione consista non nella totale assenza di annotazioni, ma nella mancata annotazione di specifiche operazioni.
Si coglie così la differenza tra bancarotta fraudolenta documentale “specifica” e “generale” e la ratio sottesa al diverso elemento soggettivo richiesto: nel caso della bancarotta “generale” la fraudolenza è pressoché insita nella condotta materiale di alterazione della valenza delle scritture, sicché è sufficiente il dolo generico; mentre nel caso della bancarotta “specifica” l’elemento oggettivo è polivalente sicché è richiesta una specifica direzione della volontà.
In questa ottica le annotazioni incomplete, che incidono sul principio di continuità impedendo di ricostruire il patrimonio e il movimento degli affari (non come evento del reato, ma come carattere modale della condotta), danno comunque la parvenza che la contabilità rifletta l’operatività dell’impresa e dunque creano quell’inganno che è punito nella “bancarotta generale”.
4.2. Nel caso in rassegna il capo di imputazione fa inequivoco ed espresso riferimento alla “bancarotta specifica”, nel momento in cui ascrive all’imputata di “avere sottratto e/o distrutto i libri e le scritture contabili obbligatori per legge omettendo di consegnarli al curatore” al fine “di assicurarsi l’ingiusto profitto derivante dalle distrazioni di cui sopra e di cagionare danno ai creditori”.
4.2.1. Va premesso che risultano contestate tutte le tipologie di condotte di cui alla fattispecie in rassegna, sicché non può sussistere la violazione del principio di corrispondenza tra accusa e sentenza, evocata in ricorso, soltanto perché invece della sottrazione fosse accertata una omessa tenuta (totale o parziale) delle scritture. Peraltro va ricordato che la giurisprudenza di legittimità riconduce all’ipotesi di sottrazione delle scritture contabili sia quella di occultamento, atteso che quest’ultima consiste nella fisica sottrazione delle stesse alla disponibilità degli organi fallimentari, sia quella della omessa tenuta, a sua volta assimilata all’omessa consegna delle scritture; tanto è vero che esse sono considerate, tra loro, equivalenti, con la conseguenza che non è necessario accertare quale di queste ipotesi si sia in concreto verificata, se è comunque certa la sussistenza di una di esse (Sez. 5, n. del 47923 del 23/09/2014, COGNOME, Rv. 261040 – 01; Sez. 5, n. 42754 del 26/05/2017, COGNOME Rv. 271847 -01 e, tra le ultime, Sez. 5, n. 47284 del 24/10/2024, COGNOME, non massimata).
4.2.2. A fronte di una contestazione chiara e precisa, la Corte di appello parla di “vuoto, confusione, disordine contabile”, di “condotta attiva di natura soppressiva o, comunque, manipolatoria” e di “omessa tenuta ovvero confusa, impropria e lacunosa tenuta”. Per poi concludere che tale condotta è”risultata tale da ostacolare e impedire la ricostruzione degli affari e del patrimonio, come previsto dalla seconda parte della norma incriminatrice ex art. 216 comma primo, n. 2, legge fa/I.” (pag. 9).
Così opinando, il giudice di merito, non cogliendo la struttura di norma mista alternativa della disposizione incriminatrice di cui all’art. 216, comma primo, n. 2, legge fall., non solo ha confuso condotte riferibili a distinte ipotesi delittuose, ma ha operato una “fusione” tra le due fattispecie previste dalla medesima norma, trasformando l’una in una sorta di evento dell’altra e finendo col sostituire il dolo generico richiesto per la sussistenza dell’una a quello specifico invece necessario al perfezionamento dell’altra.
Deriva che la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio limitatamente al capo relativo alla bancarotta fraudolenta documentale.
Il ricorso va dichiarato inammissibile nel resto.
A seguito della presente decisione, scende il giudicato sulla affermazione di responsabilità dell’imputata in ordine alle condotte distrattive per l’ammontare di 21.788,31 euro.
La sentenza, però, non è eseguibile neppure per tale parte (cfr. Sez. U, n. 3423 del 29/10/2029dep. 2021, COGNOME), poiché la Corte di appello dovrà valutare il complessivo trattamento sanzionatorio nell’ambito del giudizio di rinvio, da riunirsi a quello già pendente a seguito di annullamento delle pronunce assolutorie.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al capo relativo alla bancarotta fraudolenta documentale con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Torino, cui rimette anche la determinazione del complessivo trattamento sanzionatorio.
Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
Così deciso il 05/03/2025