Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 183 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 183 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 21/09/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a FERMO il 05/05/1967
avverso la sentenza del 14/02/2022 della CORTE APPELLO di PERUGIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso, e quelle del difensore del ricorrente, che ha insistito per il suo accoglimento;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 14 febbraio 2022, la Corte di appello di Perugia, quale giudice del rinvio, ha rideterminato in due anni, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Teramo il 2 dicembre 2016 nei confronti di NOME COGNOME la durata delle pene accessorie a lui applicate ai sensi dell’art. 216 R.D. 16 marzo 1942, n. 267, confermiando, nel resto, il provvedimento impugnato, con il quale l’imputato è stato condannato alla pena di due anni di reclusione perché ritenuto responsabile del delitto di bancarotta fraudolenta documentale.
A COGNOME, già presidente del Consiglio di amministrazione della società RAGIONE_SOCIALE il cui fallimento è stato dichiarato dal Tribunale di Teramo il 15 marzo 2012, è contestato di avere sottratto le scritture contabili della società, allo scopo di procurare a sé un profitto ingiusto, e di avere, in tal modo, precluso la ricostruzione del patrimonio e dei movimenti degli affari dell’ente, con particolare riferimento alla destinazione data alla somma di euro 269.000, oggetto di anticipi su portafoglio commerciale da parte della Unicredit Banca s.p.a., e di altre somme, pure oggetto di anticipi di portafoglio da parte di diversi istituti di credito.
Pacifico l’elemento materiale della contestata bancarotta documentale, la Corte di appello ha disatteso il motivo di impugnazione proposto dall’imputato in relazione alla sussistenza del dolo specifico previsto dalla norma incriminatrice, ritenendo, in particolare, sfornita di prova l’asserzione secondo cui i soci avevano offerto in garanzia ai creditori sociale beni di valore largamente superiore a quello delle anticipazioni erogate dagli istituiti di credito.
NOME COGNOME propone, con l’assistenza dell’avv. NOME COGNOME ricorso per cassazione affidato ad un unico, articolato, motivo, con il quale deduce violazione di legge e vizio di motivazione addebitando alla Corte di appello di avere travisato le risultanze istruttorie, che danno conto di come i creditori ammessi al passivo fallimentare erano, per lo più, gli istituti bancari, i cui crediti erano assistiti – già da epoca largamente anteriore al fallimento – da ampie garanzie e, precisamente, dalle fideiussioni prestate dai soci e dai loro familiari e dalle iscrizioni ipotecarie, volontarie e giudiziali, sui beni immobili deg stessi soci.
La descritta successione degli eventi, continua il ricorrente, dimostra che, a prescindere da qualsivoglia valutazione in ordine alla capienza dei beni offerti in garanzia rispetto alle pretese dei creditori, l’omessa consegna delle scritture
contabili, la cui esistenza era stata positivamente accertata, non poteva considerarsi connotata dal dolo specifico in carenza del quale la fattispecie incriminatrice non può intendersi perfezionata.
Tanto, in ragione del fatto che la quasi totale coincidenza tra i creditori assistiti da garanzie e quelli del fallimento ha reso la successiva, mancata consegna della contabilità oggettivamente insuscettibile di arrecare danno al ceto creditorio, la cui garanzia avrebbe potuto essere assicurata anche in assenza delle scritture.
Né, rileva ulteriormente COGNOME, può fondatamente ipotizzarsi che, attraverso la sottrazione delle scritture contabili, egli abbia inteso celare i veri movimenti di denaro e la reale situazione patrimoniale, dovendosi, in proposito, tenere conto anche dello iato temporale tra i finanziamenti e l’ottenimento delle garanzie reali, avvenuti tra il 2008 ed il 2009, e la commissione della condotta della cui illiceità penale si discute, successiva di almeno tre anni, e considerare, che le banche, all’atto dell’erogazione delle anticipazioni, avevano avuto modo di esaminare le scritture contabili, al tempo esistenti e disponibili.
Il ricorrente contesta, ancora, alla Corte di appello di avere trascurato, nell’apprezzamento di un requisito psicologico in realtà inesistente, i pessimi risultanti economici conseguiti dalla società – che, avendo natura meramente commerciale, non disponeva di beni propri – sin dalla sua costituzione e l’omessa contestazione di condotte distrattive, elementi che, vagliati in unione con quelli già esposti, avrebbero dovuto indurre il convincimento dell’inesistenza di un suo concreto interesse a nascondere i dati contabili ai creditori che erano, comunque, ampiamente garantiti ovvero a quelli che, non potendo contare su garanzie, non avrebbero mai potuto ottenere soddisfazione, posto che la società non aveva un proprio patrimonio.
Levantesi, dopo avere ricordato che, per giurisprudenza costante, anche il semplice dubbio sull’esistenza del dolo specifico impone la qualificazione del fatto in bancarotta documentale semplice, anziché fraudolenta, ascrive, infine, alla Corte di appello di avere travisato le informazioni contenute nella relazione notarile in atti, comprensive dell’indicazione di tutti gli istituti di credito coin e dell’importo delle pretese vantate da ciascuno di essi.
Disposta la trattazione scritta ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, il Procuratore generale ha chiesto, il 24 luglio 2023, dichiararsi l’inammissibilità del ricorso, mentre il ricorrente, con atto del 12 settembre 2023, ha insistito per il suo accoglimento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché vedente su censure manifestamente infondate.
La giurisprudenza di legittimità ha da tempo chiarito che: «In tema di reati fallimentari, la bancarotta fraudolenta documentale di cui all’art. 216, comma 1, n. 2 prevede due fattispecie alternative, quella di sottrazione o distruzione dei libri e delle altre scritture contabili, che richiede il dolo specifico quella di tenuta della contabilità in modo da rendere impossibile la ricostruzione del movimento degli affari e del patrimonio della fallita che richiede il dolo generico» (Sez. 5, n. 43966 del 28/06/2017, COGNOME, Rv. 271611 – 01); che «Integra il reato di bancarotta documentale fraudolenta, e non di quello di bancarotta semplice, l’omessa tenuta della contabilità interna quando lo scopo dell’omissione è quello di recare pregiudizio ai creditori, impedendo la ricostruzione dei fatti gestionali» (Sez. 5, n. 18320 del 07/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 279179 – 01; Sez. 5, n. 11115 del 22/01/2015, COGNOME, Rv. 262915 – 01); che, in tal caso, il dolo «può essere desunto dalla complessiva ricostruzione della vicenda e dalle circostanze del fatto che ne caratterizzano la valenza fraudolenta colorando di specificità l’elemento soggettivo, che, pertanto, può essere ricostruito sull’attitudine del dato a evidenziare la finalizzazione del comportamento omissivo all’occultamento delle vicende gestionali» (Sez. 5, n. 10968 del 31/01/2023, COGNOME, Rv. 284304 – 01).
Nel caso di specie, la Corte di appello ha fatto ineccepibile applicazione dei principi sopra richiamati, seguendo un percorso argomentativo che ha tratto spunto dalle emergenze istruttorie, che sono state analizzate alla luce delle obiezioni difensive, esaminate con scrupolo e, infine, disattese sulla scorta di considerazioni esenti da qualsivoglia deficit razionale.
La Corte ha, in particolare, escluso che’ per quanto emerso in dibattimento, i crediti degli istituti bancari, nati dalle anticipazioni concesse alla società p fallita, fossero assistiti da garanzie personali o reali sufficienti a consentire, i ogni caso, il loro soddisfacimento coattivo.
In proposito, ha rilevato, da un canto, che non era stato accertato, neanche per approssimazione, il valore degli immobili offerti in garanzia e, dall’altro, che era stato, invece, appurato come la pluralità delle iscrizioni e delle fideiussioni, gravanti sul medesimo compendio immobiliare, rendevano, di fatto, insufficienti le garanzie prestate, come, del resto, concretamente dimostrato dallo stato di insolvenza sfociato nell’avvio della procedura concorsuale.
La Corte di appello ha, quindi, dato conto della relazione notarile acquisita) su impulso dell’odierno ricorrente e della deposizione del commercialista NOME COGNOME e spiegato, a quest’ultimo proposito, che il contributo del professionista non vale, per la genericità e l’approssimazione che lo connota, a contraddire l’impostazione accusatoria.
I giudici di merito hanno, per contro, ritenuto che la sottrazione delle scritture contabili – che erano state, almeno in gran parte, effettivamente istituite e tenute – è stata finalizzata a privare la curatela della possibilità d esaminarle, secondo quanto, peraltro, confermato dal complessivo atteggiamento serbato dagli amministratori della società (i quali avevano, tra l’altro, cambiato, senza apparente giustificazione, la sede dell’ente senza, al contempo, consegnare le chiavi agli organi fallimentari), volto a tenere occultate le condizioni effettive della società, in terminisia di movimenti economici, che di situazione patrimoniale; tanto, al fine sia di convincere le banche a continuare ad erogare le anticipazioni che di rendere opaca la destinazione delle somme incassate.
A fronte di tali considerazioni, il ricorrente oppone, con il ricorso e, quindi con le conclusioni, cui ha allegato la memoria già depositata nel corso del giudizio di appello, censure che poggiano, nella loro totalità, su evidenze istruttorie che non sono state esibite né integralmente trascritte, ciò che vale a qualificare il ricorso, nella sua interezza, in termini di genericità per carenza di autosufficienza.
In proposito, va ricordato, in diritto, che «In tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili, per violazione del principio di autosufficienza e per genericità, i motivi che deducano il vizio di manifesta illogicità o contraddittorietà della motivazione e, pur richiamando atti specificamente indicati, non contengano la loro integrale trascrizione o allegazione» (Sez. 2, n. 20677 del 11/04/2017, COGNOME, Rv. 270071; Sez. 4, n. 46979 del 10/11/2015, COGNOME, Rv. 265053; Sez. 1, n. 23308 del 18/11/2014, dep. 2015, COGNOME Rv. 263601).
Ora, COGNOME con il ricorso per cassazione, ha imperniato le proprie doglianze:
sulla sufficienza delle garanzie personali e reali prestate dai soci e dai loro familiari, analiticamente indicate nella relazione notarile in atti, ad assicurare la tutela dei crediti degli istituti bancari, che costituivano la quasi totalità del passivo fallimentare;
sulla libera disponibilità delle scritture contabili al tempo dell’erogazione delle anticipazioni, di alcuni anni precedente rispetto alla dichiarazione di fallimento;
sulla circostanza che, avendo la società operato, sin dalla sua costituzione, in forte perdita, tutte le somme incassate erano state destinate alla copertura dei costi di produzione;
sull’assenza di contestazione di condotte distrattive.
Nel rassegnare le conclusioni scritte, il ricorrente ha ribadito quanto dedotto con il libello introduttivo del presente giudizio ed indicato, ad ulteriore confort delle proprie tesi, gli atti istruttori posti a fondamento della memoria già esibita in fase di appello.
In tal modo, ha adottato un approccio del tutto inidoneo a stimolare il potere censorio del giudice di legittimità, chiamato a verificare la coerenza logica del provvedimento impugnato sulla base di quanto in esso riportato e degli atti processuali che, specificamente indicati dal ricorrente, vengano da quest’ultimo materialmente messi a sua disposizione.
Nella fattispecie, pur dovendosi dare atto dell’assenza dell’autonoma contestazione di condotte distrattive, la Corte di appello si è mossa lungo un sentiero logico di assoluto nitore, imperniato sull’esistenza di una forte esposizione verso il ceto bancario, non assistita – a dispetto di quanto sostenuto dal ricorrente – da idonee e sicure garanzie, che la ha portata a ritenere, grazie anche ad altri, concorrenti elementi di fatto (quale l’improvviso ed inspiegabile mutamento della sede sociale e la coincidenza temporale’ già rimarcata dal Tribunale, tra la scomparsa delle scritture e l’emersione della crisi, segnale rivelatore dell’intento di arrecare pregiudizio a chi fosse stato interessato a ricostruire la garanzia patrimoniale della società), che COGNOME ha volontariamente occultato le scritture contabili al fine di evitare che i creditori sia prima del fallimento che dopo, si rendessero conto delle effettive condizioni finanziarie, economiche e patrimoniali dell’ente e, vieppiù, della destinazione che egli aveva riservato ai finanziamenti a più riprese concessigli.
Tanto vale senz’altro ad attestare l’assenza, nella decisione impugnata, di fratture razionali di portata tale da integrare il ventilato vizio di motivazione dovendosi vieppiù ricordare, come già chiarito nella sentenza di primo grado, che ulteriori spie dell’atteggiamento doloso di COGNOME siano tanto il fatto che egli, a fronte delle legittime richieste da parte degli organi della procedura, si era detto disponibile alla consegna della documentazione, ma non aveva poi inteso in alcun modo «onorare» l’impegno alla collaborazione effettiva quanto le consistenti dimensioni dell’attività economica dell’impresa fallita, che, parte di una più ampia galassia di società, aveva operato – con iniziale successo, peraltro – per otto anni, producendo un volume di affari notevole.
Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale, rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in 3.000,00 euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 21/09/2023.