Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 36402 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 36402 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 02/10/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME nato a Dossena il DATA_NASCITA;
avverso la sentenza del 29 gennaio 2025 della Corte d’appello di Brescia;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME veniva tratto a giudizio per rispondere del reato di bancarotta fraudolenta documentale e di dichiarazione fiscale fraudolenta, perché, nella sua qualità di amministratore della RAGIONE_SOCIALE (dichiarata fallita il 1° febb 2019), avrebbe sottratto i libri e le altre scritture contabili della società allo s di recare pregiudizio ai creditori e procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto comunque, li avrebbe tenuti in modo tale da rendere impossibile o estremamente
difficoltosa la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari; e perché, al fine di evadere le imposte, avrebbe utilizzato nella dichiarazione fiscale fatture per operazioni oggettivamente inesistenti.
La prospettazione accusatoria veniva integralmente confermata in primo grado e, all’esito dell’appello proposto dall’imputato, anche dalla Corte territoriale, che si limitava alla sola rideterminazione del trattamento sanzionatorio.
Avverso la sentenza emessa dalla Corte d’appello, l’imputato propone ricorso per cassazione, articolando tre motivi d’impugnazione.
2.1. Il primo, afferente al capo A), deduce, sotto il profilo del vizio di motivazione, che la Corte territoriale avrebbe ritenuto compatibili le due forme di manifestazione della bancarotta fraudolenta documentale indicati al n. 2 dell’art. 216 I. fall. (oggi art. 322 CCI), fattispecie ritenute entrambe sussistenti dal giudice di primo grado, nonostante tra loro inconciliabili.
2.2. Il secondo, formulato sotto il profilo della violazione di legge (in relazione all’art. 2 d. Igs. n. 74 del 2000), attiene al capo B) e deduce che la Corte territoriale avrebbe fondato il giudizio di responsabilità su semplici presunzioni, idonee a fondare l’accertamento tributario, ma insufficienti per accertare la responsabilità per il reato contestato, sia sotto il profilo oggettivo (alla luce dell corrispondenza intercorsa tra le società, emittente e beneficiaria, del conteggio delle ore di lavoro dei singoli dipendenti e del puntuale pagamento delle relative fatture), sia sotto il profilo soggettivo (quanto all’esistenza del ritenuto dol specifico).
2.3. Il terzo deduce vizio di motivazione in ordine all’invocata sussistenza dell’attenuante di cui al n. 6 dell’art. 62 cod. pen., alla luce del dedotto risarcimento del danno.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è, complessivamente, infondato.
Il primo motivo è infondato.
Va premesso che al capo A) della rubrica è contestato il reato di bancarotta fraudolenta documentale nelle sue due forme descritte (entrambe) al n. 2 dell’art. 216 I. fall.: la sottrazione delle scritture contabili, per la cui sussistenza necessario il dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori, e la fraudolenta tenuta di tali scritture, che, invece, integra un’ipotesi di reato a dolo generico e presuppone un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dai predetti organi (Sez. 5, n. 18634 del 01/02/2017, COGNOME, Rv.
269904; Sez. 5, n. 26379 del 5/3/2019, COGNOME, Rv. 276650). Contestazione duplice che si spiega in un contesto di parziale esistenza della documentazione contabile (Sez. 5, n. 47535 del 05/010/2023, Montanino, n.m.), parte della quale sottratta all’apprensione della curatela; altra, pur versata, tenuta in modo tale da rendere più difficoltosa la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari.
Entrambe le fattispecie tutelano il medesimo interesse ad una chiara, completa e veritiera rappresentazione contabile degli aspetti economici e finanziari della società (interesse esso stesso funzionale a garantire l’efficienza delle dinamiche concorrenziali e, in ultimo, la tutela degli interessi patrimoniali dei quali gli stessi terzi sono portatori), ma sono strutturate in termini radicalmente differenti.
La prima fattispecie (c.d. “specifica”) sanziona la sottrazione, la distruzione o la falsificazione (totale o parziale) dei libri e delle altre scritture contabili e richi sotto il profilo soggettivo, il dolo specifico, inteso quale scopo di recare danno ai creditori impedendo la ricostruzione dei fatti gestionali; profilo, quello della intenzionale direzionalità della condotta, che distingue le figure delittuose di bancarotta documentale di cui all’art. 216, comma 1, n. 2, legge fall. dalle ipotesi, che ne sono prive, di bancarotta semplice, previste dal successivo art. 217 (che, parimenti, incrimina l’omessa o irregolare tenuta dei libri contabili, sia essa volontaria o dovuta a mera negligenza: Sez. 5, n. 2900 del 02/10/2018, dep. 2019, Pisano, Rv. 274630).
La seconda fattispecie (c.d. “AVV_NOTAIO“), invece, si struttura in termini di dolo generico e presuppone, al contrario, che la contabilità sia stata effettivamente tenuta, ancorché in modo tale da rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari (Sez. 5, n. 33114 del 08/10/2020, COGNOME, Rv. 279838; Sez. 5, n. 26379 del 05/03/2019, COGNOME, Rv. 276650; Sez. 5, n. 43966 del 28/06/2017, COGNOME, Rv. 271611; Sez. 5, n. 18634 del 01/02/2017, COGNOME, Rv. 269904).
Ed è proprio l’esistenza dei libri contabili, la loro materiale apprensione e la conseguente valutazione da parte degli organi fallimentari a dar conto della sostanziale diversità esistente tra le due fattispecie: una contabilità (anche parzialmente) mancante (per sottrazione, distruzione o omessa tenuta) o integralmente falsificata (in un momento successivo alla sua formazione), nella bancarotta “specifica”; una contabilità esistente, ancorché ideologicamente falsa in ragione della falsità di singole annotazioni, la bancarotta “generica” (Sez. 5, n. 5081 del 13/01/2020, Montanari, Rv. 278321; Sez. 5, n. 42546 del 07/11/2024, COGNOME, Rv. 287175).
Tale oggettiva diversità, tuttavia, rende logicamente incompatibile la coesistenza di entrambe le fattispecie solo in relazione al medesimo fatto storico,
non in relazione a condotte storicamente differenti, quali, ad esempio, quelle contestate nel capo d’imputazione ed accertate, nella loro dimensione naturalistica, da entrambi i giudici di merito: la sottrazione alcuni libri contabili libro inventari, il registro dei beni ammortizzabili e il libro dei verbali del consigl di amministrazione), costituente condotta di bancarotta fraudolenta documentale specifica, e l’intrinseca falsità delle altre scritture non sottratte, costituen condotta di bancarotta fraudolenta documentale generica. Condotte che, proprio perché riferite ad oggetti differenti, ben possono tra loro coesistere. E tanto dà conto dell’infondatezza dell’assunto difensivo.
Né, in ultimo, come evocato dalla difesa, a fronte della (eventuale) accertata inesistenza di una delle due condotte contestate, è necessario, per ciò solo, pronunciarne la relativa assoluzione: il reato è unico anche se, in concreto, articolato in plurime condotte tra loro alternative; condotte che, tuttavia, rappresentano solo diverse modalità di aggressione dello stesso bene giuridico (l’interesse dei creditori alla conservazione della consistenza patrimoniale dell’imprenditore, destinata, dall’art. 2740 cod. civ., a garanzia dei debiti contratti); singole modalità di esecuzione alternative e fungibili di un solo reato (Sez. 5, n. 30442 del 22/06/2006, Preziosa), strutturato intorno al distacco di un bene dal patrimonio dell’imprenditore poi fallito (con conseguente depauperamento in danno dei creditori); evento, in cui si concreta l’elemento oggettivo del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale.
3. Indeducibile, invece, il secondo motivo di censura.
A prescindere dalla genericità della censura afferente al profilo soggettivo del reato (neanche specificamente contestato con i motivi di appello), la Corte non solo ha indicato i dati fattuali e gli argomenti logici dai quali ha desunto l’oggettiva inesistenza delle operazioni fatturate (l’accertata mancanza di una struttura operativa e l’assenza di dipendenti, pur a fronte di un volume d’affari presuntivamente prodotto di 241.226 euro), ma anche dato conto della genericità delle mail prodotte dalla difesa (non recano il luogo ove si sarebbe dovuta svolgere la preazione lavorativa, né il nome degli operai utilizzati) e dell’irrilevanza dell’avvenuto (formale) pagamento, elemento, anzi, necessario per dar apparenza di formale legittimità dell’operazione.
Invocare, nuovamente, in questa sede, la corrispondenza intercorsa tra le società, emittente e beneficiaria e il connesso conteggio delle ore di lavoro dei singoli dipendenti, o il pagamento delle fatture significa chiedere a questa Corte peraltro attraverso una critica frammentaria, una rivalutazione dal dato fattuale e dei singoli argomenti utilizzati, senza considerare che l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione non è diretta a verificare l’intrinseca
adeguatezza delle argomentazioni offerte dal giudice di merito, scegliendo tra diverse possibili ricostruzioni (attività che postula, intrinsecamente, la necessità di comparare e coordinare i singoli elementi di prova, nella loro individuale e complessiva valenza dimostrativa, attraverso un apprezzamento in fatto precluso al giudice della legittimità), ma è finalizzata al solo riscontro dell’esistenza, della non manifesta illogicità e della coerenza dell’apparato argomentativo, valutato nella sua unitaria sistemazione.
Indeducibile, in ultimo, anche il motivo afferente al trattamento sanzionatorio.
È pur vero che la Corte ha omesso di dar conto dell’invocata applicazione dell’attenuante di cui al n. 6 dell’art. 61 cod. pen., ma la censura prospettata in appello era manifestamente infondata, avendo l’imputato corrisposto un ristoro di 15.000 euro a fronte di una debitoria con l’Erario di oltre 700 000 euro, laddove, ai fini del riconoscimento dell’attenuante dell’integrale riparazione del danno, il risarcimento dev’essere integrale ed effettivo, a prescindere dalla eventuale dichiarazione liberatoria resa dalla persona offesa (Sez. 5, n. 7826 del 30/11/2022, dep. 2023, Bojic, Rv. 284224).
E tanto esclude ogni interesse del ricorrente a far valere l’assenza di motivazione in ordine ad un motivo di censura ab origine manifestamente infondato.
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 2 ottobre 2025
Il Consiglie e estensore