Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 29460 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 29460 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 25/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a PALERMO il 16/11/1973
avverso la sentenza del 26/11/2024 della Corte d’appello di Palermo
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Letta la requisitoria scritta del Procuratore generale, NOME COGNOME il quale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso ;
Letta la memoria dell’avv.NOME COGNOME nell’interesse della parte civile COGNOME Giuseppe FrancescoCOGNOME la quale ha chiesto la conferma della sentenza impugnata e la condanna dell’imputato alla rifusione delle spese.
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata, emessa in data 26 novembre 2024, la Corte di Appello di Palermo ha confermato la sentenza del Tribunale di Palermo, del 29 giugno 2023, che aveva condannato COGNOME NOME a pena di giustizia in quanto ritenuto responsabile del reato di cui all’articolo 216, comma 1, n. 1, Legge fall. per avere, in qualità di legale rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE società cooperativa, dichiarata fallita nel dicembre 2013, distratto somme di denaro della medesima società.
Il Tribunale -premesso che la società fallita era stata costituita per la costruzione di alloggi edilizi da assegnare ai singoli soci attraverso mutui a tassi agevolati e che la mancata ultimazione degli alloggi prenotati, per i quali i soci
avevano pagato gli acconti, aveva determinato l’impossibilità di usufruire della erogazione del mutuo a tasso agevolato e conseguente fallimento della stessa per l’impossibilità di fare fronte ai debiti assunti con i fornitori- aveva accertato plurime condotte distrattive attribuibili all’imputato ed in particolare: relativamente all’importo di euro 115.901,69 oggetto di un prestito concesso dalla società in favore dell’imputato sulla base di un verbale di assemblea falsificato; limitatamente alla somma di euro 12.800 corrispondente all’importo di un bonifico effettuato da uno dei soci della cooperativa, COGNOME NOMECOGNOME in favore dell’imputato personalmente e non quale presidente della cooperativa; limitatamente all’importo di euro 2.500 corrisposto da COGNOME a titolo di acconto per la prenotazione di un alloggio della cooperativa, tramite assegno che risultava incassato dalla società RAGIONE_SOCIALE , ove era stato utilizzato dall’imputato.
2.COGNOME NOME ha proposto ricorso per Cassazione con atto a firma il suo difensore, avv. NOME COGNOME
2.1.Con primo motivo denuncia violazione di norma processuale e vizio di motivazione in relazione agli artt. 546 comma 1, lett. e) e 597, comma 1, cod. proc. pen. Deduce l’insussistenza di una valida motivazione della sentenza impugnata in quanto ripresa dalla sentenza di primo grado. Sarebbe, pertanto, mancata una confutazione delle doglianze formulate attraverso i motivi di appello. In particolare, la sentenza impugnata avrebbe dovuto spiegare le ragioni per cui le singole specifiche condotte, indicate in imputazione e non contestate nella loro storicità, avrebbero assunto rilevanza distrattiva tale da integrare l’ipotesi di reato contestata.
2.2. Con secondo motivo denuncia violazione di legge penale e vizio di motivazione per inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 546, comma 1, lett.e) cod. proc. pen. e 216, comma 1, n. 1) Legge fall.
Deduce che la Corte di appello avrebbe dovuto escludere la rilevanza distrattiva: relativamente all’utilizzo dell’assegno dell’importo di euro 2.500, consegnato al Cintura privo dell’indicazione del beneficiario, non essendo la somma indicata in tale assegno mai entrata nel patrimonio della società cooperativa fallita; relativamente al bonifico effettuato da NOME NOME in favore dell’imputato personalmente, non essendo anche il relativo importo (pari ad euro 12.800) mai entrato nel patrimonio della cooperativa, trattandosi di bonifico effettuato direttamente a favore dell’imputato.
Con requisitoria scritta il Sostituto Procuratore generale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
IL difensore della parte civile la quale ha chiesto la conferma della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
1.È infondato il primo motivo con cui il ricorrente denuncia vizio di motivazione, oltre che violazione di norma processuale, in ragione dell’avere la sentenza di appello ‘testu a lmente copiato’ interi passi della sentenza di primo grado .
È innegabile che sussiste in capo al giudicante l’obbligo di esporre, in modo conciso, i motivi di fatto e di diritto sui quali si fonda la decisione, indicando i risultati acquisiti e i criteri di valutazione della prova adottati; il giudice non può dunque limitarsi a una mera, asettica rassegna degli elementi di prova assunti nel corso del processo, ma deve sintetizzarne in modo critico i contenuti, in modo da esplicitare la base fattuale del suo ragionamento (Sez. 3, n. 38478 del 11/06/2019, Salomone, Rv. 276753). Qualora, dunque, il provvedimento impugnato si limiti ad indicare le fonti di prova a carico degli imputati, senza contenere una valutazione argomentata degli elementi probatori acquisiti al processo, tenendo adeguatamente conto delle specifiche deduzioni difensive, è ravvisabile una motivazione meramente apparente (Sez. 3, n. 49168 del 13/10/2015, COGNOME, Rv. 265322; Sez. 5, n. 9677 del 14/07/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 263100, che ha precisato come la motivazione debba ritenersi apparente quando si avvalga di argomentazioni di puro genere o di asserzioni apodittiche o di proposizioni prive di efficacia dimostrativa, cioè, in tutti i casi in cui il ragionamento espresso dal giudice a sostegno della decisione adottata sia soltanto fittizio e perciò sostanzialmente inesistente, nonché Sez. 6, n. 21525 del 18/06/2020, Mulè, Rv. 279284, che riconduce alla nozione di motivazione inesistente o meramente apparente la totale carenza di confronto con elementi potenzialmente decisivi). La motivazione apparente si verifica quando il giudice, a fronte di specifiche censure mosse dalla difesa, omette di fornire adeguata motivazione circa l’infondatezza, l’indifferenza o la superfluità degli argomenti opposti.
Applicando le superiori coordinate ermeneutiche al processo di appello, deve ritenersi che il riferimento, recettizio o di semplice rinvio, alla sentenza di primo grado (o a un altro atto del procedimento, conosciuto o conoscibile dalle parti), è da considerarsi legittimo quando il complessivo apparato argomentativo risulti, tuttavia, congruo rispetto all’esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione, a cui non può reputarsi estraneo, a pena di un irrituale azzeramento del presidio del doppio grado del giudizio di merito, il
confronto con le deduzioni e allegazioni difensive provviste del necessario grado di specificità.
Nel caso di specie, la motivazione della Corte di appello, pur avendo ripreso alcuni passi della sentenza di primo grado, almeno in punto di ricostruzione fattuale delle tre singole vicende poste a fondamento dell’accusa di bancarotta distrattiva, ha poi dimostrato di avere proceduto ad una autonoma valutazione dei fatti in contestazione rispondendo, con argomenti logici, alle deduzioni difensive veicolate attraverso l’atto di appello. In particolare -a fronte dell’assunto difensivo posto a fondamento esclusivo del primo motivo di appello, secondo il quale tutti i testi avrebbero mentito in quanto vi era una volontà collettiva di non salvare la società cooperativa- ha escluso che i testi possano avere tutti mentito perché mossi da un intento calunniatore ( pag.4 della sentenza impugnata), piuttosto sottolineando che l’imputato non ha addotto alcuna giustificazione rispetto alla sua condotta , considerata dall’accusa a fondamento della fattispecie criminosa di cui in imputazione, che deve, pertanto, ritenersi incontestata in fatto.
2.È manifestamente infondato il secondo motivo con cui la difesa contesta la configurabilità del reato di bancarotta rispetto a due delle condotte distrattive contestate – aventi rispettivamente ad oggetto il pagamento della somma di euro 2.500,00 corrispondente all’importo dell’assegno ricevuto dall’imputato da parte di COGNOME, e il pagamento della somma di euro 12.800,00 corrispondente al bonifico effettuato da NOME Alessandro- sul rilievo che si tratterebbe di somme di denaro mai entrate a fare parte del patrimonio della società fallita.
La doglianza difensiva non si confronta con il pacifico insegnamento di questa Corte secondo cui la distrazione è nozione che la giurisprudenza di legittimità ricollega al distacco del bene dal patrimonio dell’imprenditore poi fallito (con conseguente depauperamento in danno dei creditori) e che può realizzarsi in qualsiasi forma e con qualsiasi modalità, non avendo incidenza sul reato la natura dell’atto negoziale con cui tale distacco si compie, né la possibilità di recupero del bene attraverso l’esperimento delle azioni apprestate a favore della curatela (Sez. 5, n. 44891 del 09/10/2008, COGNOME, Rv. 241830; conf., ex plurimis, Sez. 5, n. 30830 del 05/06/2014, COGNOME, Rv. 260486), in una prospettiva che attribuisce alla nozione di distrazione una funzione “residuale”, tale da ricondurre ad essa qualsiasi fatto diverso dall’occultamento, dalla dissimulazione, etc. determinante la fuoriuscita del bene dal patrimonio del fallito, o il mancato ingresso nello stesso, che ne impedisca l’apprensione da parte degli organi del fallimento (Sez. 5 n. 8431 del 01/02/2019, Rv. 276031).
2.1.Nel caso di specie, la censura omette di considerare che i pagamenti in questione sono stati effettuati dai terzi in relazione ad una causa petendi riconducibile all’oggetto sociale e che la condotta dell’imputato è consistita nell’intercettare dei pagamenti che avrebbero dovuto avere come esclusivo beneficiario la società rappresentata. La distrazione è stata, pertanto, integrata dal fatto che le somme ricevute, in relazione ad una causale propria dell’attività svolta dalla società fallita, sono state trattenute sine titulo dall’imputato, con abuso delle prerogative inerenti la qualità assunta in seno a quest’ultima .
3.In conclusione il ricorso deve essere rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Non si procede alla liquidazione delle spese in favore della parte civile, essendo stata la relativa memoria depositata tardivamente non nel rispetto del termine previsto dall ‘ art. 611 cod.proc.pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così è deciso, 25/06/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME