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Bancarotta distrattiva: somme mai entrate in cassa

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per bancarotta distrattiva a carico del legale rappresentante di una società cooperativa fallita. L’imputato aveva intercettato e trattenuto somme di denaro versate da terzi e destinate alla società. Secondo la Corte, il reato di bancarotta distrattiva si configura non solo quando si sottraggono beni già presenti nel patrimonio sociale, ma anche quando si impedisce che somme dovute entrino a farne parte, danneggiando così i creditori.

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Pubblicato il 28 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Bancarotta Distrattiva: Reato Anche se i Soldi Non Entrano in Cassa

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 29460/2025, offre un importante chiarimento sul reato di bancarotta distrattiva, specificando che la condotta illecita si configura anche quando un amministratore intercetta somme destinate alla società, impedendone l’effettivo ingresso nel patrimonio aziendale. Questa pronuncia ribadisce la vastità della nozione di ‘distrazione’, volta a tutelare in modo ampio l’integrità del patrimonio sociale a garanzia dei creditori.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda il legale rappresentante di una società cooperativa, dichiarata fallita, condannato in primo e secondo grado per il reato di bancarotta distrattiva. All’imputato venivano contestate diverse condotte, tra cui l’aver distratto ingenti somme di denaro appartenenti alla società.

In particolare, la difesa ha contestato in Cassazione due specifiche operazioni:

1. L’incasso di un assegno di 2.500 euro, versato da un socio come acconto per la prenotazione di un alloggio, che l’amministratore aveva utilizzato personalmente.
2. La ricezione di un bonifico di 12.800 euro, effettuato da un altro socio direttamente sul conto corrente personale dell’imputato anziché su quello della cooperativa.

La tesi difensiva sosteneva che, non essendo tali somme mai transitate formalmente per le casse della società, non si potesse parlare di una vera e propria sottrazione dal patrimonio sociale e, di conseguenza, non si sarebbe configurato il reato.

La Questione della Bancarotta Distrattiva su Beni ‘Esteri’

Il fulcro del ricorso verteva su una questione giuridica precisa: può esserci bancarotta distrattiva per somme che, pur essendo destinate alla società, non sono mai entrate materialmente nel suo patrimonio? La difesa ha argomentato che mancava l’atto di ‘distacco’ di un bene dal patrimonio, elemento ritenuto essenziale per il reato.

La Corte di Appello aveva già respinto questa tesi, confermando la condanna, ma l’imputato ha insistito portando la questione dinanzi alla Suprema Corte. Oltre a ciò, il ricorrente lamentava un vizio di motivazione, sostenendo che la sentenza d’appello si fosse limitata a ‘copiare’ quella di primo grado senza un’autonoma valutazione critica.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato sotto ogni profilo. In primo luogo, ha chiarito che il richiamo alla sentenza di primo grado da parte del giudice d’appello è legittimo se l’apparato argomentativo complessivo risulta logico e risponde puntualmente alle censure mosse con l’atto di appello, come avvenuto nel caso di specie.

Nel merito, i giudici hanno fornito una lezione fondamentale sulla nozione di distrazione. La giurisprudenza di legittimità ha da tempo adottato un’interpretazione ampia di questo concetto. La distrazione non è solo la sottrazione di un bene già presente nel patrimonio del fallito, ma include qualsiasi atto che ne determini la fuoriuscita o, come in questo caso, il mancato ingresso. L’elemento chiave è l’impedire che l’attivo patrimoniale si costituisca o si incrementi, frustrando le legittime aspettative dei creditori.

La Corte ha specificato che i pagamenti in questione erano stati effettuati dai soci in virtù di una causa petendi (una ragione giuridica) direttamente collegata all’attività sociale della cooperativa (l’acquisto di alloggi). L’amministratore, abusando della sua posizione, ha intercettato questi flussi finanziari che avevano come destinatario naturale ed esclusivo la società. Trattenere sine titulo (senza giustificazione) tali somme costituisce una condotta distrattiva a tutti gli effetti, perché ha impedito al patrimonio sociale di arricchirsi di risorse che gli spettavano.

Le Conclusioni

Con questa sentenza, la Cassazione consolida un principio di estrema importanza per il diritto penale fallimentare. Il reato di bancarotta distrattiva ha una funzione ‘residuale’ e onnicomprensiva, tesa a sanzionare qualsiasi comportamento che impoverisca, direttamente o indirettamente, il patrimonio della società fallita. La responsabilità penale di un amministratore non è limitata alla gestione dei beni già acquisiti, ma si estende al dovere di garantire che tutte le risorse economiche generate dall’attività d’impresa confluiscano correttamente nelle casse sociali. Impedire attivamente tale afflusso, deviando i pagamenti a proprio vantaggio, è una condotta grave che lede gli interessi dei creditori e integra pienamente gli estremi del reato.

Commette bancarotta distrattiva l’amministratore che incassa somme destinate alla società ma mai entrate nel patrimonio sociale?
Sì. La Corte di Cassazione ha chiarito che il reato di distrazione si configura non solo quando si sottraggono beni dal patrimonio, ma anche quando si impedisce che somme dovute vi entrino, purché tali somme siano versate da terzi per ragioni legate all’attività sociale.

La motivazione di una sentenza d’appello può limitarsi a riprendere quella di primo grado?
Sì, è considerato legittimo a condizione che il giudice d’appello dimostri di aver proceduto a una valutazione autonoma dei fatti e abbia risposto in modo logico e coerente alle specifiche critiche (doglianze) sollevate nell’atto di appello, senza limitarsi a una mera riproduzione acritica.

Qual è l’elemento decisivo per considerare una somma ‘destinata’ alla società anche se pagata all’amministratore?
L’elemento decisivo è la cosiddetta ‘causa petendi’, ovvero la ragione del pagamento. Se il pagamento è effettuato da un terzo (ad esempio un socio o un cliente) per adempiere a un’obbligazione verso la società (come il pagamento di un acconto), quella somma è da considerarsi destinata al patrimonio sociale, a prescindere dal soggetto che la riceve materialmente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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