Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 2117 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 2117 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 08/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a GENOVA il 09/07/1943
avverso la sentenza del 15/05/2024 della CORTE APPELLO di GENOVA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
letta la requisitoria con cui il Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, COGNOME ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso;
lette le conclusioni scritte presentate dall’avv. NOME COGNOME il quale, nell’interesse del RAGIONE_SOCIALE ha chiesto il rigetto del ricorso, la conferma delle statuizioni civili determinate dal Giudice di merito e la condanna dell’imputato alla rifusione delle ulteriori spese di assistenza e rappresentanza legale nel presente giudizio, come da decreto del Giudice delegato.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del Tribunale di Genova in data 14 luglio 2021, NOME COGNOME fu condannato alla pena di due anni di reclusione in quanto riconosciuto colpevole, con le attenuanti generiche prevalenti rispetto all’aggravante prevista dall’art. 219, comma 2, n. 1, r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (legge fall.), dei reati previsti dagli artt. 110 cod. pen. e 216, comma 1, n. 1, legge fall., perché, in concorso con NOME COGNOME nella sua qualità di legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE -dichiarata fallita il 3 novembre 2016 – e di socio di riferimento di RAGIONE_SOCIALE la COGNOME‘ di amministratore unico di quest’ultima, distraeva, in favore della stessa RAGIONE_SOCIALE, il magazzino libri mediante la vendita attestata dalle fatture n. 223 del 31 maggio 2016 per l’importo di 424.156,54 euro e n. 225 del 20 giugno 2016 per l’importo di 86.629,80 euro, risultate non pagate dalla società acquirente (capo A); nonché dagli artt. 223, comma 2, n. 1, legge fall. in relazione all’art. 2621 cod. civ., perché, nella qualità sopra specificata, indicando nei bilanci relativi agli anni successivi al 2011, per un valore superiore a quello effettivo, gli immobili della società e le immobilizzazioni materiali dello stato patrimoniale nonché i crediti verso clienti relativi al 2016, cagionava o concorreva a cagionare, o comunque ad aggravare, il dissesto della CLU omettendo di adottare i provvedimenti previsti dalla legge per l’ipotesi di patrimonio netto negativo della società, situazione ricorrente sin dall’esercizio 2011 (capo B); dall’art. 216, comma 3, legge fall., perché dal 3 dicembre 2015 al giugno 2016 eseguiva, a danno degli altri creditori (privilegiati), pagamenti preferenziali a vari fornitori, meglio indicati alle pagine 44 e 45 della relazione del curatore, al fine di preferirli, per complessivi 217.220,19 euro (capo C); fatti commessi in Genova il 3 novembre 2016. Con lo stesso provvedimento furono applicate a Blengino anche le pene accessorie di cui all’art. 216, ultimo comma, legge fall., per la durata di 2 anni. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Con sentenza in data 15 maggio 2024, la Corte di appello di Genova, in parziale riforma di quella di primo grado, dichiarò non doversi procedere nei confronti dello stesso COGNOME in relazione al reato ascrittogli al capo C) perché estinto per prescrizione, con conferma, nel resto, delle statuizioni di condanna in relazione ai delitti di cui ai capi A) e B) della rubrica, nonché del trattamento sanzionatorio, inflittogli nella misura comunque pari al minimo edittale.
Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione lo stesso COGNOME a mezzo del Difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME deducendo tre distinti motivi di impugnazione, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
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3.1. Con il primo motivo, il ricorso lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la mancanza della motivazione in relazione alla quantificazione del danno patito dalla curatela a titolo di responsabilità aquiliana per il delitto di bancarotta preferenziale di cui alla lettera C) della rubrica.
La Corte di appello, pur essendo il delitto ormai prescritto, avrebbe affermato la responsabilità aquiliana dell’imputato, ai sensi dell’art. 578 cod. proc. pen., in relazione alle domande risarcitorie proposte dalla parte civile, senza argomentare sulla fondatezza della quantificazione del danno patito dalla curatela nell’importo, pari a 217.220,19 euro, stabilito dal primo Giudice, il quale avrebbe errato nel non considerare, con riferimento ai pagamenti preferenziali in favore degli editori, che essi avrebbero potuto insinuarsi al passivo e ottenere il pagamento del loro credito, seppure con moneta fallimentare. Infatti, nel caso di pagamenti preferenziali, il danno cagionato si configura come un danno da mancata falcidia del credito pagato per intero ovvero da maggiore falcidia dei crediti ammessi; ed è, dunque, pari alla differenza tra quanto il creditore ha acquisito a titolo di pagamento e quanto avrebbe acquisito in moneta fallimentare, tale essendo l’ammontare della somma che, in mancanza di pagamento, sarebbe stata ripartita tra tutti gli altri creditori.
3.2. Con il secondo motivo, il ricorso censura, ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione al delitto contestato alla lettera A) della rubrica, in particolare con riferimento all’omessa valutazione delle memorie depositate davanti al Tribunale all’udienza del 14 luglio 2021 e davanti alla Corte di appello all’udienza del 15 maggio 2024 a corredo sia delle dichiarazioni spontanee rese dall’imputato, sia dell’esame del teste COGNOME esperito all’udienza del 14 luglio 2021.
3.2.1 Quanto alla distrazione avvenuta con l’emissione della fattura n. 225 del 20 giugno 2016, con le due memorie difensive e, in particolare, con quella depositata all’udienza del 15 maggio 2024, la Difesa avrebbe dimostrato che essa non riguardava il magazzino libri della società fallita. Infatti, a seguito dell’affit alla RAGIONE_SOCIALE del ramo d’azienda della CLU relativo all’attività di vendita al dettaglio presso il punto vendita di INDIRIZZO, avvenuto con rogito del 30 maggio 2016, la fallita avrebbe individuato uno stock di merce che non poteva essere reso ai fornitori, riportato in quella fattura a prezzo di costo, con cui sarebbe stata operata una cessione momentanea in conto deposito alla stessa RAGIONE_SOCIALE, che si apprestava a gestire la libreria. In seguito, la RAGIONE_SOCIALE, sciolto dal curatore il contratto di affitto d’azienda, avrebbe provveduto, il 13 gennaio 2017, a trasferire alla curatela lo stock di merce, per un valore superiore alla fattura. Circostanze che sarebbero state confermate dal teste COGNOME all’udienza del 14 luglio 2021.
3.2.2 Quanto, poi, alla fattura n. 223 del 31 maggio 2016, essa si sarebbe riferita all’attività di distribuzione libraria della fallita, anch’essa cessata, come
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vendita al dettaglio, il 31 maggio 2016. Il teste COGNOME avrebbe riferito di aver ricevuto l’incarico di effettuare l’inventario dei libri del magazzino editoriale dell ECIG presenti alla data del 31 maggio 2016 presso la sede della stessa ECIG e distribuiti dalla fallita in forza di un contratto di commissione libraria; di aver riportato nel DDT 59 i libri in automatico e analiticamente allo sconto del 40%, se universitari, e del 60% se di saggistica, il loro valore di acquisto, coincidente per la CLU con quello fiscale e valido per l’inventario e per la cessione dei libri alla RAGIONE_SOCIALE in conto deposito, modalità utilizzata per trasferire grandi quantità di libri dalla vendita incerta e protratta nel tempo; di aver riportato a mano, nella casella dei pagamenti, la dizione “congelato” perché il software CLU non disponeva della relativa dizione (vendendo la CLU a librai e privati solo in conto assoluto). Dunque la RAGIONE_SOCIALE in base alla cessione in conto deposito del suo magazzino editoriale al 31 maggio 2016, avrebbe dovuto rendicontare alla fallita il venduto agli sconti indicati in fattura, ma i tempi lunghi dell’incasso e l’importo indefinito sarebbero stati incompatibili con i tempi e con l’importo certo richiesti dalla procedura di concordato preventivo, per cui, in ossequio alla richiesta del dott. COGNOME volta a individuare l’effettiva consistenza del magazzino editoriale della ECIG, l’advisor NOME COGNOME dopo aver comunicato al dott. COGNOME che le categorie dei libri erano state specificate in fattura: 1) avrebbe trasformato la cessione da conto deposito in assoluto con la nota di credito n. 239 del 10 ottobre 2016 della CLU alla ECIG per 255.893,16 euro con sovrasconto del 50% (di cui 212.128,27 euro relativi alla fattura n. 223), per cui gli sconti sui libri sarebbero passati dal 40 al 70% se universitari, e dal 60 all’80%, se “di varia”, inferiori al 90% praticato in cessioni in conto assoluto di grandi quantità di libri; 2) avrebbe escluso dalla cessione, con fattura n. 177 di 143.361,20 euro del 31 ottobre 2016 della RAGIONE_SOCIALE alla CLU, i libri poco vendibili pubblicati prima del 2000, ancora presenti in I^ edizione. L’operazione, conosciuta dal curatore, sarebbe stata conclusa e contabilizzata durante la procedura concorsuale, come documenterebbero i mastrini della CLU e della RAGIONE_SOCIALE Quest’ultima, pertanto, sarebbe divenuta, per la cessione in conto assoluto del magazzino editoriale della RAGIONE_SOCIALE e per le altre partite commerciali afferenti, creditrice della curatela di 118.219,05 euro, pari alla differenza fra 542.475,59 euro (somma di: 212.128,27 euro, sovra sconto del 50% sulla fattura n. 223; 143.361,20 euro, nota di credito RAGIONE_SOCIALE n. 177; 127.417,94 euro, costituenti i citati crediti di RAGIONE_SOCIALE; 59.568,18 euro, surroga della RAGIONE_SOCIALE nei debiti della CLU scaduti dopo il 15 luglio 2016) e 424.256,54 euro, importo della fattura n. 223, valido per la cessione in conto deposito, ma non in assoluto, di una gran quantità di libri. Sul punto, quanto alle compensazioni, il curatore richiamerebbe surrettiziamente una lettera del 15 febbraio 2013, dalla quale, avendo la CLU e la ECIG «pattuito di ritenere reciprocamente estinti per compensazione ex art. 1243 cod. civ. i propri debiti, rilasciandosi sin da allora quietanza a saldo», avrebbe Corte di Cassazione – copia non ufficiale
dedotto che «la natura distrattiva dell’operazione fosse senz’altro provata dal fatto che, dall’esame della contabilità, non erano emersi crediti per l’anzidetto ammontare in capo alla RAGIONE_SOCIALEr.IRAGIONE_SOCIALE, creditrice nei confronti della fallita della somma di 145.138,10 euro – erogata a titolo di finanziamento, per la quale la RAGIONE_SOCIALE aveva ottenuto di essere ammessa al passivo della CLU -unico credito accertato dalla curatela e che, con la domanda di insinuazione presentata, la RAGIONE_SOCIALE aveva dimostrato di ritenere estraneo a quelli l’oggetto dell’accordo di compensazione». L’importo chiesto nella sua insinuazione dalla ECIG sarebbe stato di 459.999,60 euro e non di 145.138,10 euro, avendo il curatore escluso 314.861,50 euro, pur documentati, per cui, aggiungendo ai 459.999,60 euro, relativi ai crediti della ECIG, i 132.000,00 euro e i 232.000,00 euro riconosciuti nello stato passivo del fallimento a Blengino e a Pedullà, il credito totale della curatela dovuto alla ECIG, a Blengino e a Pedullà diventerebbe di 823.999,60 euro, non oggetto di compensazione alcuna.
3.3. Con il terzo motivo, il ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione al delitto contestato al capo B) della rubrica, con riferimento alle memorie depositate dall’imputato davanti al Tribunale all’udienza del 14 luglio 2021 e davanti alla Corte di appello all’udienza del 15 maggio 2024 a corredo sia delle dichiarazioni spontanee rese dall’imputato, sia di quelle rese in sede di esame dal teste Varese all’udienza del 14 luglio 2021 davanti al Tribunale.
3.3.1. Quanto alla sopravvalutazione degli immobili della fallita, fino al 31 dicembre 2008 essi sarebbero stati riportati in contabilità al valore indicato negli atti notarili, per cui, sottoposti agli ordinari ammortamenti annuali, il loro valore contabile sarebbe diventato molto inferiore a quello reale, imponendone la rivalutazione nell’esercizio 2009 ai sensi della legge n. 185 del 2008, in misura pari a 2.972.850,00 euro. Il curatore, pur riconoscendo come corretta l’operazione, avrebbe dichiarato che il valore contabile degli immobili era rimasto invariato al 31 dicembre 2015, mentre esso era stato ridotto dai 2.972.850,00 euro del 2009 ai 2.559.809,52 euro del 2015, come dal medesimo attestato. Dunque, in relazione al compendio immobiliare di Genova, il curatore riferirebbe che il geom. COGNOME – suo perito – lo avrebbe stimato, nello stato di libero, in misura pari a 396.000,00 euro, valore dato al compendio dallo stesso COGNOME il 10 marzo 2016 per lo stato d’occupato, mentre per quello di libero la sua stima sarebbe stata di 793.000,00 euro, valore con cui il curatore avrebbe aperto la I” asta giudiziale del compendio dichiarato libero, mentre non lo era; correggendo in 793.000,00 euro l’importo di 396.000,00 della II^ colonna della tabella di Balza, l’importo totale non è 1.051.605,00 euro, ma di 1.268.000,00 euro, quello della V^ colonna della su riportata tabella. Il ricavo di 243.100,00 euro ottenuto dalla IV” asta si giustificherebbe con la vendita del compendio in unico lotto, se fosse
stato venduto diviso per rispettare il diritto di prelazione della RAGIONE_SOCIALE sul civico n. 9 e per incassare almeno 700.000,00 euro, di cui 600.000.00 euro dai civici nn. 11/1 e 11/2, se fossero stati proposti insieme o disgiunti nello stato di liberi e 100.000,00 dal civico n. 9, se assegnato alla RAGIONE_SOCIALE, che, avendo su esso un diritto di prelazione, s’era dichiarata disposta ad acquistarlo a quel prezzo.
La valutazione, pertanto, sarebbe in linea con i 770.000,00 euro ricavabili dalla vendita del compendio nello stato di libero, se diviso in 2 lotti, avendo la società Trenta incassato 470.000,00 euro dai civici ai nn. 9 e 11/1 venduti all’ing. COGNOME ed essendo percepibili più di 300.000,00 euro dal civico n. 11/2.
Il dott. COGNOME secondo quanto riferito dall’imputato nella memoria, avrebbe incassato dalle vendite giudiziali degli immobili della CLU, dichiarati liberi, solo 725.535,00 euro, di cui: 243.100,00 a Genova, 232.605,00 a Firenze, 122.830,00 a Pisa e 127.000,00 a Cagliari, come da suo Rapporto riepilogativo Il” semestre 2023, importo inferiore di poco meno della metà di 1.268.000,00 euro, totale delle stime date dai suoi periti agli immobili liberi e poco più d’un terzo di 2.050.292,00 euro, della stima dell’arch. Varese per gli immobili liberi e circa la metà di 1.450.000,00 euro, valore delle offerte ricevute da Blengino, totale della IV^ colonna della riportata tabella, che considererebbe 3 dei 6 immobili occupati, di cui 2 con diritto di prelazione.
3.3.2. Quanto ai crediti inesistenti iscritti a bilancio, la Corte territoriale no avrebbe risposto a quando dedotto nella memoria difensiva, ossia che il curatore avrebbe eliso le voci creditorie ma non quelle debitorie con le stesse caratteristiche e di equivalente importo.
3.3.3. Inoltre, alla data del fallimento la CLU avrebbe avuto, oltre a un patrimonio immobiliare di notevole valore e a libri e articoli vendibili, crediti per oltre 500.000,00 euro, sicché l’imputato non avrebbe perseguito alcuna finalità di artificioso mantenimento in vita dell’azienda tramite l’occultamento delle perdite del capitale sociale. Nella memoria a sua firma, del resto, l’imputato osserverebbe che la fallita cessò il 31 maggio 2016 le ultime attività, consistenti nella vendita al dettaglio nella libreria di INDIRIZZO e nella distribuzione in esclusiva dei libri della RAGIONE_SOCIALE, per cui la CLU non avrebbe operato in spregio alla legge sino a novembre 2016.
Nessuna finalità dilatoria, poi, sarebbe stata perseguita attraverso la domanda di concordato se si considera che, come esplicitato sempre con la memoria:
nella riunione dell’Il luglio 2016 il C.d.A. di CLU avrebbe approvato la domanda d’ammissione al concordato preventivo ex art. 161 comma 6, legge fall.;
l’avv. COGNOME il giorno dopo, avrebbe depositato in Tribunale i documenti richiesti;
il 15 luglio 2016 il Tribunale di Genova avrebbe ammesso la CLU alla procedura di concordato preventivo e avrebbe nominato il commissario, per cui la
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domanda non sarebbe palesemente dilatoria, avendo CLU cessato l’attività il 31 maggio 2016.
3.3.4. Quanto, infine, al dissesto o al suo aggravamento conseguente alla commissione del reato societario, la sentenza impugnata fornirebbe una motivazione apparente, limitandosi a osservare che avere iscritto e mantenuto in bilancio valori degli immobili per importi superiori al valore effettivo degli stessi, così come avere iscritto crediti inesistenti, varrebbe a integrare il delitto di bancarotta da falso in bilancio, atteso che tale condotta avrebbe contribuito, con l’improvvida gestione della società, ad aggravarne il dissesto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è, nel complesso, inammissibile.
Muovendo dall’analisi del primo motivo di doglianza, esso sostanzialmente censura la valutazione in ordine alla quantificazione del danno patito dalla curatela operata dal Giudice di primo grado in relazione al delitto di bancarotta preferenziale contestato alla lettera C) della rubrica, la quale è stata confermata dalla Corte territoriale all’esito del giudizio sulla responsabilità civile compiuto a carico dell’imputato, ai sensi dell’art. 578 cod. proc. pen., una volta dichiaratane la estinzione agli effetti penali per prescrizione.
2.1. Tale questione, involgendo una statuizione contenuta nel provvedimento adottato all’esito del giudizio di primo grado, avrebbe dovuto essere dedotta con l’atto di appello. Invero, dal combinato disposto degli artt. 606, comma 3, e 609, comma 2, cod. proc. pen. si ricava la regola secondo la quale non possono essere dedotte in cassazione questioni non prospettate nei motivi di appello, tranne che si tratti di questioni rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del giudizio o di quel che non sarebbe stato possibile dedurre in grado d’appello; regola che trova la sua ratio nella necessità di evitare che possa consentirsi all’imputato di ricorrere avverso un punto della decisione rispetto al quale si configura a priori un inevitabile difetto di motivazione per essere stata la relativa questione intenzionalmente sottratta alla cognizione del giudice di appello (Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017, COGNOME, Rv. 270316 – 01; Sez. 4, n. 10611 del 04/12/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 256631 – 01). Dunque, la proposizione della questione, per la prima volta, per il tramite dell’odierno ricorso si pone in contrasto con la preclusione posta dalle citate disposizioni processuali, che vietano, appunto, la deduzione di questioni nuove in sede di legittimità.
2.2. In ogni caso, non pare superfluo rilevare che nella valutazione operata dal Giudice di primo grado il danno ritenuto risarcibile è stato quello prodotto non certo ai creditori indebitamente preferiti, quanto, ovviamente, ai restanti creditori,
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i quali, proprio a cagione della preferenza accordata illecitamente a taluni dei crediti vantati nei confronti della società poi fallita, hanno patito l’erosione dell’area di garanzia costituita dal suo patrimonio.
Il motivo, dunque, deve ritenersi, sotto differenti profili, inammissibile.
Con il secondo motivo la Difesa ha dedotto che il vizio di motivazione derivante dall’omessa valutazione delle memorie depositate nel corso del giudizio di primo e di secondo grado a corredo delle dichiarazioni spontanee rese dall’imputato e dell’esame del teste COGNOME inficerebbe l’affermazione di responsabilità di COGNOME in relazione al delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione contestato alla lettera A) della rubrica.
significativa, in senso contrario, la circostanza che i libri oggetto di vendita fossero rimasti, materialmente, presso il magazzino sito in INDIRIZZO, già condiviso con la RAGIONE_SOCIALE, atteso che la vendita aveva determinato il venire meno della disponibilità giuridica dei beni, formalmente trasferiti a un terzo con conseguente deminutio patrimonii della fallita, costringendo la curatela ad agire per il recupero del credito.
3.1.2. Tale ricostruzione era stata censurata, con l’atto di appello, sul rilievo che i libri, oggetto della vendita distrattiva, non erano stati prelevati dal magazzino che la RAGIONE_SOCIALE condivideva con la fallita, come confermato dal teste COGNOME e che lo stesso curatore non era stato in grado di riferire se essi fossero o meno nel magazzino acquisito dal fallimento, non potendosi, quindi, escludere che essi fossero stati acquisiti all’attivo fallimentare, essendo stati verosimilmente trovati dal curatore là ove erano sempre stati.
3.1.3. Sul punto, la Corte territoriale ha però obiettato, come già il primo Giudice, che le scritture contabili avevano documentato che la RAGIONE_SOCIALE, con la stipula di un contratto avente effetti reali, era divenuta proprietaria dei beni indicati nelle fatture n. 223 e n. 225 già di proprietà della CLU (e oggetto di un preventivo inventario redatto, su incarico di COGNOME, dal magazziniere in vista della vendita alla RAGIONE_SOCIALE, come testimoniato dal teste COGNOME), senza tuttavia pagare alcun corrispettivo, posto che i crediti che erano stati opposti in compensazione erano, in realtà, del tutto inesistenti. Pertanto, il fatto che questi beni, dopo il fallimento, fossero fisicamente presenti nel magazzino di INDIRIZZO non valeva a escludere l’avvenuta distrazione, posto che di essi il curatore non poteva legittimamente disporre non avendone titolo, a nulla rilevando l’omessa redazione da parte del curatore di un inventario dei libri ancora giacenti che consentisse di individuare, fra essi, quelli che risultavano di proprietà della fallita; e a nulla rilevando che i beni oggetto del contratto potessero essere recuperati, in via giudiziale, dal curatore perché ancora giacenti in magazzino né che il contratto di vendita concluso fra la fallita e la RAGIONE_SOCIALE potesse addirittura rivelarsi maggiormente vantaggioso per la massa dei creditori, trattandosi di circostanze successive alla consumazione del reato di bancarotta, perfezionato nel momento in cui l’amministratore aveva venduto, senza alcun reale corrispettivo, i beni, così distogliendoli, in danno dei creditori, dal patrimonio della società. Vendita di cui è stato ritenuto il carattere fraudolento in quanto essa aveva avuto ad oggetto pressoché la totalità del magazzino della fallita in assenza di controprestazione ed essendo stata effettuata all’evidente scopo di proseguire, mediante altra società, riconducibile allo stesso COGNOME, la medesima attività commerciale esercitata dalla CLU, all’epoca ampiamente decotta, e il cui fallimento COGNOME aveva cercato in ogni modo di ritardare, finanche presentando, il 13 luglio
2016, un ricorso per concordato in bianco, in realtà mai coltivato, non essendo seguito dal deposito del piano né dalla redazione della proposta.
3.1.4. A fronte di tale lineare ricostruzione, il secondo motivo di ricorso deduce, con riferimento alla fattura n. 225, l’omessa valutazione di quanto prospettato con le memorie difensive, ovvero che essa non avrebbe riguardato una operazione di vendita, quanto un conferimento in conto deposito in conseguenza della stipula di un contratto di affitto di azienda; e con riferimento alla fattura n. 223, l’omessa valutazione delle argomentazioni difensive secondo cui essa si sarebbe riferita all’attività di distribuzione libraria svolta dalla fallita, anch’essa cessata, come la vendita al dettaglio, il 31 maggio 2016.
In proposito, con riferimento alla dedotta omessa valutazione delle deduzioni difensive prospettate con le memorie indicate, va nondimeno richiamato il consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo cui l’omesso esame di un motivo di appello da parte del giudice dell’impugnazione e, dunque, anche delle memorie prodotte in udienza, non dà luogo ad un vizio di motivazione rilevante a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. allorché, pur in mancanza di un’espressa disamina di essi, le singole argomentazioni, osservazioni o rilievi contenuti nell’atto d’impugnazione (ovvero nella memoria difensiva) debbano considerarsi implicitamente disattesi dalle spiegazioni svolte nella motivazione in quanto incompatibili con la struttura e con l’impianto della stessa, nonché con le premesse essenziali, logiche e giuridiche che compendiano la ratio decidendi della sentenza medesima (Sez. 2, n. 46261 del 18/09/2019, COGNOME, Rv. 277593 – 01; Sez. 1, n. 37588 del 18/06/2014, COGNOME, Rv. 260841 – 01). Infatti, in tema di ricorso per cassazione, l’emersione di una criticità su una delle molteplici valutazioni contenute nella sentenza impugnata, laddove le restanti offrano ampia rassicurazione sulla tenuta del ragionamento ricostruttivo, non può comportare l’annullamento della decisione per vizio di motivazione, potendo lo stesso essere rilevante solo quando, per effetto di tale critica, all’esito di una verifica sulla completezza e sulla globalità del giudizio operato in sede di merito, risulti disarticolato uno degli essenziali nuclei di fatto che sorreggono l’impianto della decisione (Sez. 1, n. 46566 del 21/02/2017, M., Rv. 271227 -01; sostanzialmente in termini Sez. 6, n. 3724 del 25/11/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 267723 – 01; Sez. 2, n. 37709 del 26/09/2012, COGNOME, Rv. 253445 – 01) Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Nel caso in esame, invero, l’interpretazione del dato probatorio fatta propria dai Giudici di merito si pone in frontale contrasto con quanto dedotto dalla Difesa, che, pertanto, deve ritenersi implicitamente disatteso dalle sentenze di primo e di secondo grado, destinate a integrarsi reciprocamente secondo lo schema della cd. doppia conforme. E invero, l’affermazione secondo cui la fattura, secondo la sua indicazione testuale, riguardava una vendita di libri e che la successiva operazione di compensazione del credito relativo al prezzo concerneva taluni crediti
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asseritamente vantati dall’acquirente e, in realtà, risultati inesistenti, ha costituito l’asse logico-argomentativo su cui si è fondata la dimostrazione dell’operazione distrattiva, che chiaramente appare incompatibile, sul piano logico, con la descritta operazione di «conto deposito», la quale, come tale, è stata implicitamente ritenuta inattendibile, in quanto palesemente smentita dalle prove raccolte, senza che la Corte territoriale dovesse espressamente soffermarsi su di essa e sulle relative allegazioni, volte semplicemente ad accreditare una alternativa ricostruzione dei fatti.
E, anzi, è appena il caso di osservare che la tesi difensiva non spiega affatto il ricorso successivo allo strumento della compensazione realizzato attraverso crediti inesistenti, di tal che la mancata confutazione di una ricostruzione inidonea a fornire compiuta spiegazione a elementi probatori ritenuti di univoco significato, non può certamente configurare quel travisamento per omissione che la Difesa parrebbe denunciare e che, in realtà, sottintende una rivalutazione del materiale probatorio non consentita in presenza di una doppia conforme di condanna.
Ad analoghe valutazioni deve pervenirsi con riferimento, infine, al terzo motivo, con il quale la Difesa deduce, ancora una volta, l’omessa valutazione, da parte della Corte territoriale, delle memorie depositate nel corso del giudizio di primo e di secondo grado, con cui la Difesa dell’imputato avrebbe inteso dimostrare, in relazione al delitto contestato al capo B) della rubrica, l’insussistenza della ritenuta sopravvalutazione degli immobili di proprietà della società poi fallita e dei crediti appostati in bilancio, nonché dell’elemento soggettivo, con riferimento alla finalizzazione delle operazioni indicate a celare la situazione di dissesto della società e, sotto altro profilo, all’artificioso mantenimento in vita di un’azienda ormai decotta.
4.1. Con riferimento, in particolare, alla sopravvalutazione degli immobili della fallita, la tesi difensiva si fonda, sostanzialmente, sulla inesattezza del computo operato dal geom. COGNOME perito del curatore, il quale non avrebbe considerato che il valore determinato nel 2015 sarebbe stato comunque inferiore a quello risultante dal valore indicato negli atti notarili, dagli ordinari ammortamenti annuali, dalla rivalutazione operata nell’esercizio del 2009 ex lege n. 185 del 2008. Mentre con riferimento ai crediti inesistenti iscritti a bilancio, la Corte territoriale non avrebbe risposto a quando dedotto nella memoria difensiva, ossia che il curatore avrebbe eliso le voci creditorie ma non quelle debitorie con le stesse caratteristiche e di equivalente importo.
Sotto altro profilo, la Difesa lamenta l’omessa considerazione del fatto che la CLU avrebbe avuto un patrimonio immobiliare di notevole valore, libri e articoli vendibili, nonché crediti per oltre 500.000,00 euro, sicché l’imputato non avrebbe
perseguito alcuna finalità di artificioso mantenimento in vita dell’azienda tramite l’occultamento delle sue perdite.
Quanto alla finalità dilatoria perseguita attraverso la domanda di concordato, la Difesa ha osservato che il Consiglio di amministrazione della CLU avrebbe approvato la domanda d’ammissione al concordato preventivo poco dopo la cessazione dell’attività e che i relativi adempimenti sarebbero stati compiuti rapidamente.
Apparente sarebbe, infine, la motivazione fornita per dimostrare che alla commissione del reato societario sarebbero conseguiti il dissesto o il suo aggravamento, limitandosi a osservare che aver iscritto e mantenuto in bilancio valori degli immobili per importi superiori al valore effettivo degli stessi, così come avere iscritto crediti inesistenti, varrebbe a integrare il delitto di bancarotta da falso in bilancio.
4.2. Invero, anche con riferimento a tali censure, il percorso motivazionale scelto dalle due sentenze si rivela logicamente incompatibile con il differente scenario probatorio evocato dalla Difesa dell’imputato con le due memorie; fermo restando che talune delle odierne doglianze hanno carattere eminentemente fattuale e rivalutativo.
4.2.1. Con riferimento al valore attribuito agli immobili, le due sentenze hanno innanzitutto valorizzato l’amplissimo scostamento tra quello iscritto a bilancio al dicembre 2015 all’esito delle rivalutazioni, pari a 2.559.809,52 euro, e quello attribuito ad essi all’atto della dichiarazione di fallimento, intervenuta nel novembre 2016, pari a 1.051.605 euro, ovvero a meno della metà. E hanno, inoltre, sottolineato come le modalità della rivalutazione non fossero corrette, essendo stata effettuata la relazione di stima, per alcuni di tali beni, senza alcun sopralluogo e, dunque, senza che l’estimatore potesse rilevarne le condizioni effettive, essendo la determinazione del valore il frutto di mere ipotesi, fondate sull’attribuzione di valori medi desunti anche da contatti avuti con non meglio precisate agenzie immobiliari, ovvero, come nel caso degli immobili siti in Genova, sulla base di dati asseritamente desunti dalle quotazioni effettuate dall’agenzia del territorio, nemmeno allegate alla relazione; fermo restando che gli immobili non erano stati oggetto di significativi interventi nnanutentivi e che la valutazione non era stata modificata nonostante una crisi del mercato immobiliare che li aveva senz’altro deprezzati.
4.2.2. Analogamente, quando alla iscrizione in bilancio dei crediti verso i dienti, le sentenze hanno messo in luce come essi fossero rimasti privi di movimentazione per almeno tre esercizi consecutivi, senza che la società, che pure versava in grave deficit di liquidità, ne avesse sollecitato il pagamento o avesse intrapreso azioni per ottenerlo, sicché essi avrebbero dovuto essere rettificati, apparendo evidente che essi fossero di fatto irrecuperabili, con conseguente violazione del principio
contabile ricavabile dall’art. 2426, n. 8, cod. civ., a mente del quale i crediti devono essere indicati in bilancio al valore presumibile di realizzo.
Quanto, poi, all’obiezione difensiva secondo cui la Corte territoriale non avrebbe risposto a quando dedotto con le menzionate memorie, ovvero che il curatore avrebbe eliso le voci creditorie ma non quelle debitorie che presentavano le stesse caratteristiche e di equivalente importo, il senso della relativa censura non è affatto chiaro e sembra proiettarsi, più che altro, verso questioni che attengono alla definizione del perimetro della massa fallimentare e non già alla appostazione di crediti inesigibili, che non può essere certo obliterata dalla presenza di poste debitorie, gravanti sulla fallita, anch’esse non esigibili.
4.2.3. Una volta riscontrata la sopravvalutazione dei cespiti immobiliari e degli stessi crediti, le sentenze di merito hanno concluso, del tutto logicamente, che proprio perché «macroscopico» lo scostamento doveva ritenersi indicativo di una callida operazione volta a occultare il dissesto, già allora consistente, della società, creando un’ingannevole apparenza di solidità nei confronti dei creditori, atteso che il suo patrimonio netto era negativo già dall’esercizio 2010, non essendo il passivo coperto da un controvalore quanto meno pari all’attivo. Significativamente, infatti, l’istruttoria svolta ha fatto emergere, come riportato nei due provvedimenti, una situazione di progressivo dissesto della CLU, dovuto alla incapacità dell’amministratore di adeguarsi ai mutamenti del mercato e di dotarsi di un assetto organizzativo in grado di sfruttare le nuove tecnologie, secondo quanto segnalato dal Collegio sindacale sia in occasione dell’assemblea dei soci del 26 aprile 2011, sia nella nota redatta a chiusura dell’esercizio 2011, ove era stato segnalato come fosse indispensabile che «la relazione sulla gestione che programma una riorganizzazione della società per recuperare reddittività sia applicata e attuata in tempi strettissimi in quanto, diversamente, la via della CLU risulterebbe fortemente compromessa». L’organo revisore, dunque, aveva dato atto che il patrimonio netto della società era risultato negativo, nel 2010, con un deficit di 48.011,28 euro, che era comunque aumentato negli anni successivi. Infatti, dal 2011 al 2013 il dissesto si era palesato con le prime perdite significative, pari a 731.768 euro, ulteriormente aumentate, nel 2014, a 948.000 euro. Una ricostruzione, questa, che il ricorso tenta di sovvertire attraverso non consentite deduzioni fattuali, secondo cui, alla data del fallimento la CLU avrebbe avuto, oltre a un patrimonio immobiliare di notevole valore e a libri e articoli vendibili, crediti per oltre 500.000,00 euro; profili che le sentenze non menzionano e che non possono essere, dunque, scrutinati in sede di legittimità.
Dunque, la presenza di tali perdite e, al contempo, di poste attive in bilancio palesemente sopravvalutate, le condotte distrattive del magazzino, lo specifico richiamo del Collegio sindacale apparivano certamente indicative di una
consapevolezza della condizione di conclamato dissesto della società, rispetto alla quale le operazioni indicate dovevano ritenersi strumentali ad occultarlo.
Pertanto, diversamente da quanto dedotto dalla Difesa del ricorrente, la sentenza impugnata ha ben spiegato come la fattispecie contestata sia stata pienamente integrata a partire da condotte che hanno iscritto e mantenuto in bilancio valori di immobili per importi ben superiori al loro valore effettivo, le quali si sono giustapposte a condotte di improvvida gestione della società, mantenuta in vita seppure in assenza di iniziative che le consentissero di riacquisire competitività sul mercato, come la ricapitalizzazione, contribuendo ad aggravarne il dissesto, ben mascherato dalla redazione dei bilanci in palese violazione dei principi di prudenza, e senza nemmeno decidere di porla in liquidazione.
Inconferente deve, del resto ritenersi, l’argomento difensivo secondo cui la finalità dilatoria riconosciuta alla domanda di concordato sarebbe smentita dalla sollecitudine con cui essa sarebbe stata deliberata dal Consiglio di amministrazione della CLU e dal successivo deposito dei documenti da parte del legale incaricato, atteso che la finalità dilatoria riconosciuta dalle due sentenze è correlata, all’evidenza, al fatto che il ricorso, presentato in bianco, non fosse stato mai coltivato, non essendo stato seguito dal deposito del piano né dalla redazione della proposta.
4.2.4. Corretto si palesa, al riguardo, anche il richiamo all’indirizzo giurisprudenziale, da questo Collegio pienamente condiviso, secondo cui «integra il reato di bancarotta impropria da reato societario la condotta dell’amministratore che espone nel bilancio dati non veri al fine di occultare la esistenza di perdite e consentirne quindi la prosecuzione dell’attività di impresa in assenza di interventi di ricapitalizzazione o di liquidazione con conseguente accumulo di perdite ulteriori, poiché l’evento tipico di questa fattispecie delittuosa comprende non solo la produzione ma anche il semplice aggravamento del dissesto» (cfr., fra le altre, Sez. 5, n. 42811 del 18/06/2014, COGNOME, Rv. 261759 – 01; Sez. 5, n. 42272 del 13/06/2014, COGNOME, Rv. 260394 – 01; Sez. 5, n. 28508 del 12/04/2013, COGNOME, Rv. 255575 – 01; Sez. 5, n. 17021 del 11/01/2013, COGNOME, Rv. 255089 – 01; nella giurisprudenza più recente v. Sez. 5, n. 1754 del 20/09/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282537 – 01; Sez. 5, n. 10160 del 13/02/2024, COGNOME, Rv. 286119 – 01). Ciò che, peraltro, rende palese come, nella specie, la motivazione non sia stata affatto apparente, avendo le sentenze posto in relazione funzionale, la situazione di dissesto, aggravata finanche dalle condotte distrattive, sulla quale si erano innestate le condotte dirette a celarlo, attraverso la fallace rappresentazione di una condizione di solidità patrimoniale della società che, nel tempo, si era andata sgretolando.
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5. Sulla base delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in 3.000,00 euro. Inoltre, l’imputato deve essere condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, che devono essere liquidate in complessivi 4.000,00 euro, ai sensi degli artt. 12 e 16, d.m. n. 55 del 2014, come modificato dal d.m. n. 37 del 2018, tenuto conto – in relazione alle voci precisate nella nota spese depositata – dell’attività svolta e delle questioni trattate, cui devono aggiungersi gli accessori di legge, costituiti, ex art. 2, d.m. n. 55 del 2014, dalle spese forfettarie, da calcolarsi in misura del 15%, oltre all’IVA e al contributo per la Cassa previdenziale, da computarsi sull’imponibile.
PER QUESTI MOTIVI
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi euro 4.000, oltre accessori di legge.
Così deciso in data 8 novembre 2024
Il Consigliere estensore