Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 1810 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 1810 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di
NOME COGNOME nato a Reggio Calabria il 18.06.1978, contro l’ordinanza del Tribunale di Reggio Calabria del 03.05.2024;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo di dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
udito l’Avv. NOME COGNOME in difesa di NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 03.05.2024 il Tribunale di Reggio Calabria, decidendo sull’istanza di riesame proposta nell’interesse di NOME COGNOME ha confermato il provvedimento con il quale il Giudice per le indagini preliminari aveva disposto il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca diretta, della somma di danaro pari ad euro 999.686,03, eseguito nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE oltre che nei confronti dello stesso ricorrente e della di lui sorella NOME COGNOME, nonché il sequestro per equivalente nei limiti dell’importo sopra indicato e, infine, sequestro, con finalità impeditive, e nel contempo funzionale alla confisca, della stessa società RAGIONE_SOCIALE; il Giudice per le indagini preliminari aveva infatti ravvisato, nei confronti del ricorrente e della sorella NOME, il fumus dei reati di cui agli artt. 11 del D. L.vo 74 del 2000, 648-ter.1 cod. pen., 223 e 216, comma 1, n. 1, RD 267 del 1942, 25-octies del D. L.vo 231 del 2001.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME a mezzo del difensore di fiducia che deduce:
2.1. violazione e falsa applicazione dell’art. 81 cod. pen. in tema di concorso formale di reati in relazione al rapporto tra il delitto di cui al capo 1) e quello di al capo 3); violazione dell’art. 15 cod. pen. in materia di concorso apparente di norme incriminatrici: rileva che, nel caso di specie, si è in presenza di un concorso apparente di norme chiamate a disciplinare lo stesso fatto in quanto la condotta evocata al capo 1) si trova in rapporto di strumentalità con quella di cui al capo 3) in cui si devono ritenere assorbiti (primo motivo);
2.2. erronea applicazione dell’art. 81 cod. pen. in relazione ai due distinti reati di cui capi 2) e 4) della rubrica: rileva che le condotte di autoriciclagg descritte ai capi 2) e 4) della rubrica sono solo apparentemente autonome rispetto a quelle di cui ai capi 1) e 3) come è comprovato dalla stessa dimensione del sequestro disposto dal Giudice per le indagini preliminari (secondo motivo);
2.3. insussistenza del reato di autoriciclaggio sia quale conseguenza del delitto di cui al capo 1) che del delitto di cui al capo 3): premesso che il delitto autoriciclaggio dei proventi del delitto di bancarotta fraudolenta è configurabile anche per condotte distrattive poste in atto prima della dichiarazione di fallimento, segnala che quelle descritte nella rubrica provvisoria non integrano il delitto di appropriazione indebita e pertanto non consentono di ritenere integrato il delitto di cui ai capi 2) e 4); aggiunge che il delitto di autoriciclaggio di cui al capo 2) n è nemmeno astrattamente configurabile in quanto antecedente rispetto al delitto
presupposto, comunque insussistente posto che, con sentenza del 2017, la Commissione Tributaria aveva annullato l’avviso di accertamento (terzo motivo);
2.4. error in judicando per manifesta contraddittorietà della motivazione anche in ordine all’elemento soggettivo del reato di cui ai capi 1) e 3) della rubrica; illegittimità dell’ordinanza per error in judicando -travisamento dei fatti – omessa ed erronea valutazione di prove documentali: rileva che il Tribunale di Reggio Calabria non ha congruamente apprezzato le argomentazioni e le prove documentali offerte dalla difesa soffermandosi sulla coincidenza temporale tra l’accertamento della GdF (del 2014) e la costituzione della RAGIONE_SOCIALE con il medesimo oggetto sociale de RAGIONE_SOCIALE e sul carattere antieconomico ed in frode ai creditori che in tal modo sarebbe stato architettato; osserva che i giudici del riesame non hanno considerato elementi di prova dimostrativi delle reali intenzioni del Gaetano, di ripianare i debiti de RAGIONE_SOCIALE supportandola con la nuova società; sottolinea che il ricorrente aveva assunto la carica di amministratore della società nel 2012, provvedendo ad immettervi la somma di 300.000 euro per ripianare i debiti con il ceto bancario, profondendo uno sforzo che non si era tuttavia rivelato sufficiente tanto da indurlo a costituire una nuova società, la RAGIONE_SOCIALE quale estremo tentativo di salvare l’attività commerciale della famiglia, utilizzandola come “filtro commerciale” per consentire alla vecchia società di approvvigionarsi e continuare ad operare; segnala che la RAGIONE_SOCIALE praticava un ricarico inferiore anche del 50% rispetto agli altri fornitori laddove esso era il più delle volte minimo e pari anche allo zero, proprio per consentire a RAGIONE_SOCIALE di essere competitiva; osserva che tale dinamica è del tutto distonica rispetto alla affermata intenzione del ricorrente di “svuotare” la società precedente ed evidenzia l’illogicità dell’affermazione del Tribunale secondo cui la produzione delle fatture non sarebbe sufficiente a superare la tesi accusatoria laddove non corroborata da una consulenza tecnica, onerando così il Tribunale di procedere ad atti istruttori non compatibili con la natura incidentale del procedimento; sottolinea che, al contrario, la mole di atti messi a disposizione dell’ufficio avrebbe potuto comunque essere esaminata in tempi compatibili con quelli del riesame consentendo una lettura diametralmente alternativa della vicenda; segnala che il Gaetano aveva messo a disposizione dell’amministratore giudiziario quasi 70 mila di incassi realizzati in una settimana il che, unitamente alla circostanza secondo cui le transazioni vengono normalmente effettuate per somme non elevate ed in contanti, è elemento contrastante con l’esistenza di operazioni fittizie ed invece coerente con l’intento di garantire a RAGIONE_SOCIALE di rimanere sul mercato continuando ad operare, tanto che le operazioni commerciali intercorse tra le due società negli anni 2014, 2015, 2016, 2017, 2018 avevano trovato riscontro nella documentazione aziendale e bancaria; ripercorre gli Corte di Cassazione – copia non ufficiale
elementi fattuali fondanti la corretta ricostruzione della vicenda e dei rapporti tra le due società in termini decisamente contrastanti con il carattere simulato delle operazioni commerciali; aggiunge, ancora, che l’annullamento dell’avviso di accertamento scaturente dalla verifica della GdF avrebbe dovuto essere valutato alla luce del complesso degli elementi forniti al Tribunale dalla difesa e che il Tribunale non ha offerto una lettura unitaria della vicenda frammentando invece gli elementi acquisiti finendo per non tener conto di circostanze estremamente significativa anche dal punto di vista dell’elemento soggettivo sia sotto il profilo del dolo specifico richiesto per il capo 1) che per quello, anche meramente eventuale, richiesto per il capo 3) d’incolpazione (quarto motivo);
2.5. violazione ed erronea applicazione degli artt. 223 e 216 del RD 267 del 1942: rileva che le indagini svolte avevano permesso di escludere l’esistenza della fattispecie delittuosa in esame avendo il vecchio commercialista de RAGIONE_SOCIALE dichiarato di non avere prodotto le scritture contabili perché creditore nei confronti della cliente; di qui, assume, la possibilità di ricondurre il fatto nel delitt bancarotta semplice suscettibile di essere assorbito dalla più grave contestazione di bancarotta per distrazione (quinto motivo);
2.6. erronea applicazione di legge sul delitto di cui all’art. 648-ter.1 cod. pen. error in judicando: segnala che, alla luce della corretta ricostruzione dei fatti, non potevano ritenersi configurate le fattispecie di cui ai capi 2) e 4) stant la effettività delle operazioni commerciali intercorse tra le due società (sesto motivo);
2.7. violazione di legge con riguardo all’art. 25-octies del D. Lg.vo 231 del 2001 error in judicando: rileva che, per le stesse ragioni, non poteva configurarsi il delitto di cui all’art. 648-ter.1 cod. pen, (settimo motivo).
La Procura generale aveva trasmesso una propria requisitoria scritta concludendo per l’annullamento, senza rinvio, dell’ordinanza impugnata limitatamente al delitto di autoriciclaggio e rigetto del ricorso, nel resto.
La difesa aveva a sua volta già trasmesso una ampia memoria con allegazione documentale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
li ricorso è inammissibile perché articolato su censure manifestamente infondate ovvero non consentite in questa sede.
1.1. Le imputazioni provvisoriamente elevate nell’ambito del procedimento in cui è stato adottato il sequestro di cui si discute sono molteplici essendo ascritti all’odierno ricorrente: il delitto di cui all’art. 11 D. L.vo 74 del 2000 (capo 1) aver posto in essere operazioni tendenti a rendere inefficace la riscossione dei debiti tributari derivanti dalla verifica fiscale eseguita dalla GdF nel 2014 nei confronti de RAGIONE_SOCIALE e, segnatamente, la costituzione della RAGIONE_SOCIALE quale fornitore unico della stessa RAGIONE_SOCIALE da cui, con operazioni fittizie, venivano distratti gli incassi e trasferiti alla nuova società, in tal modo, secondo l’accusa, realizzando inoltre una prima condotta di autoriciciaggio (capo 2); l’opera di continuativa distrazione patrimoniale in danno de RAGIONE_SOCIALE ha comportato, inoltre, una contestazione di bancarotta patrimoniale (capo 3) ed una correlativa contestazione di autoriciclaggio ad essa collegata (capo 4); al Gaetano è contestata, ancora, una bancarotta documentale e, alla società, l’illecito di cui all’art. 25-octies del D. L.vo 231 del 2001.
1.2. Con decreto dell’11/03/2024 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Reggio Calabria, accogliendo la richiesta del pubblico ministero, aveva disposto il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca diretta della somma di denaro pari ad euro 999.686,03 nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE e nei confronti di NOME COGNOME e della di lui sorella NOME Gaetano, nonché il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente, da eseguire su beni (mobili – registrati e non – e immobili) nella titolarità della stessa società dei due indagati, fino alla concorrenza di euro 999.330,54; da ultimo, il Giudice per le indagini preliminari aveva disposto anche il sequestro preventivo, sia impeditivo che funzionale alla confisca, della stessa RAGIONE_SOCIALE
Nei confronti del provvedimento del Giudice per le indagini preliminari aveva proposto istanza di riesame NOME COGNOME sia in proprio che quale legale rappresentante e nell’interesse della RAGIONE_SOCIALE proponendo una serie di censure su cui, peraltro, la difesa ha nuovamente insistito in questa sede quali: la duplicazione di imputazioni sia sotto il profilo del concorso apparente di norme incriminatrici che sotto il profilo della molteplicità di fatti di autoricicla l’intervenuto annullamento dell’accertamento della GdF del 2014; la ricostruzione alternativa della vicenda come riproposta nel quarto motivo del ricorso; l’assenza di beni strumentali da parte della RAGIONE_SOCIALE priva, in effetti, di un patrimonio da sottrarre alla garanzia dell’Erario e l’effettività delle operazioni commerciali con la “stampella” della RAGIONE_SOCIALE
Il Tribunale di Reggio Calabria, con l’ordinanza impugnata, ha confermato il provvedimento del Giudice per le indagini preliminari.
4. Non è in primo luogo inutile ribadire che il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è consentito solo per violazione di legge, in siffatta nozione dovendosi peraltro comprendere sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione che risultino così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e, quindi, inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (cfr., Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Napoli, Rv. 269656; Sez. 6, n. 6589 del 10/01/2013, NOME, Rv. 254893; Sez. 5, n. 43068 del 13/10/2009, COGNOME, Rv. 245093 e, in ogni caso, già Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, COGNOME, Rv. 239692).
E’ altrettanto consolidato l’orientamento di questa Corte nel senso di ritenere che il giudice del riesame, nella valutazione del fumus, deve tener conto, in modo puntuale e coerente, delle concrete risultanze processuali e dell’effettiva situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti, indicando, sia pur sommariamente, le ragioni che rendono sostenibile o meno l’impostazione accusatoria, ma non può sindacare la fondatezza dell’accusa (cfr., Sez. 1, n. 18941 del 30/01/2018, COGNOME, Rv. 269311; Sez. 6, n. 18183 del 23/11/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272927; Sez. 6, n. 9991 del 25/01/2017, COGNOME, Rv. 269311; Sez. 6, n. 49478 del 21/10/2015, COGNOME, Rv. 265433; Sez. 5, n. 49596 del 16/09/2014, COGNOME, Rv. 261677).
4.1. Ciò detto, il Collegio deve rilevare come esulino dai vizi deducibili contro i provvedimenti cautelari reali le doglianze articolate nel quarto motivo di ricorso, intitolato “error in judicando per manifesta contraddittorietà della motivazione anche in relazione alla insussistenza dell’elemento soggettivo del reato di cui ai capi 1) e 3) della rubrica … travisamento dei fatti – omessa e erronea valutazione di prove documentali” e, perciò, chiaramente evocativo di censure estranee a profili di violazione di legge.
4.1.1. Va anche rilevato come la difesa finisca per riproporre questioni già devolute alla cognizione del Tribunale di cui contesta le valutazioni concernenti l’elemento soggettivo dei reati provvisoriamente contestati ovvero quelle relative alla ricostruzione dei fatti che viene prospettata in chiave alternativa rispetto a quella condivisa dai giudici della cautela reale, ovvero sottolineando la finalità perseguita dall’odierno ricorrente il quale avrebbe assunto iniziative diametralmente opposte ed inconciliabili con l’attività di spoliazione della società RAGIONE_SOCIALE in favore della RAGIONE_SOCIALE.
4.1.2. Va altresì evidenziato che, proprio al fine di supportare la propria alternativa ricostruzione della complessiva vicenda, la difesa ha prodotto un’ampia
memoria che in larga misura richiama la consulenza tecnica allegata: in tal modo, tuttavia, operando una produzione evidentemente non consentita e di cui non si può tenere conto alcuno ai fini della decisione avendo questa Corte già chiarito, in più occasioni, che nel giudizio di legittimità possono essere prodotti esclusivamente i documenti che l’interessato non sia stato in grado di esibire nei precedenti gradi di giudizio (cfr., in tal senso, Sez. 2, n. 42052 del 19/06/2019, COGNOME, Rv. 277609; Sez. 3, n. 5722 del 07/01/2016, COGNOME, Rv. 266390 – 01: Sez. 2, n. 1417 del 11/10/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 254302 – 01); nel caso di specie, invero, la difesa ha prodotto in questa sede una consulenza tecnica che non soltanto è stata confezionata successivamente alla fase di riesame ma che, ovviamente, contiene una serie di apprezzamenti “di merito” che il Tribunale non ha potuto esaminare.
4.2. Il primo motivo del ricorso è manifestamente infondato, alla luce del prevalente e certamente condivisibile orientamento della giurisprudenza di questa Corte.
E’ vero, infatti, che sulla questione dedotta dalla difesa si registra un contrasto essendosi sostenuto, per un verso, che è configurabile il concorso tra il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte e quello di bancarotta fraudolenta per distrazione, atteso che le relative norme incriminatrici non regolano la “stessa materia” (art. 15 cod. pen.), attesa la diversità del bene giuridico tutelato (interesse fiscale al buon esito della riscossione coattiva, da un lato, ed interesse della massa dei creditori al soddisfacimento dei propri diritti, dall’altro), della natura delle fattispecie astratte (di pericolo quella fiscale, di da quella fallimentare) e dell’elemento soggettivo (dolo specifico quanto alla prima, generico quanto alla seconda) (cfr., in tal senso, Sez. 5, n. 22143 del 14/3/2022, COGNOME, Rv. 283257; Sez. 5, n. 35591 del 20/06/2017, COGNOME, Rv. 270810; Sez. 3, n. 3539 del 20/11/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 266133, Sez. 2, n. 25363 del 15/05/2015, COGNOME, Rv. 265045); si è affermato, per altro verso, che la fattispecie di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte – che sanziona chiunque alieni simulatamente o compia atti fraudolenti su beni al fine di sottrarsi al versamento delle imposte (art. 11 D.Lgs. n. 274 del 2000) – integra una condotta che può ben inserirsi in una complessiva strategia distrattiva, intesa consapevolmente a danneggiare colui che sui beni sottratti ha titolo per soddisfarsi; ne deriva che ove tale condotta sia finalizzata al fallimento, ovvero posta in essere in vista di esso, o da questo seguita, la distrazione operata in danno del fisco non assume connotazione autonoma ma è riconducibile al paradigma punitivo dell’art. 216 I. fall., le cui condotte di distrazion occultamento, distruzione, dissipazione sono comprensive delle condotte di simulazione o integranti atti fraudolenti di cui all’art. 11 D.Lgs. n. 74 del 2000, d
guisa che, in tal caso, viene in rilievo il principio di specialità di cui all’art. 15 cod. pen., in virtù del quale è integrato il solo reato di bancarotta fraudolenta trattandosi di più grave reato – ed escluso il concorso tra i due delitti in relazion allo stesso fatto (cfr., Sez. 5, n. 1843 del 10/11/2011, COGNOME, Rv. 253479; Sez. 5, n. 42156 del 16/11/2011, COGNOME, Rv. 251698).
Ritiene tuttavia il Collegio di condividere il primo e più recente orientamento in quanto certamente più persuasivo laddove ha in primo luogo spiegato che le norme incriminatrici in questione sono entrambe speciali, dando luogo ad un’ipotesi di c.d. “specialità bilaterale” e che, soprattutto, non regolano affatto l “stessa materia”, poiché mentre quella fiscale è preposta a sanzionare condotte che pregiudichino l’interesse fiscale al buon esito della riscossione coattiva, quella fallimentare tutela invece l’interesse del ceto creditorio di massa al soddisfacimento dei propri singoli diritti; oltre a questo dato, come efficacemente evidenziato, rileva la già segnalata diversità strutturale delle due fattispecie, particolarmente quanto alla natura giuridica, di pericolo quella fiscale, di danno quella fallimentare ed all’elemento soggettivo, dolo specifico la prima, dolo generico la seconda, dovendosi in ogni caso a tali elementi fare riferimento per identificare la “stessa materia” (cfr. Sez. U, n. 1235 del 28/10/2010, dep. 2011, COGNOME, Rv. 248865).
È stata inoltre evidenziata la diversità delle due fattispecie anche sotto il profilo della potenziale platea dei soggetti attivi, più ristretta in quello di bancarot fraudolenta (l’imprenditore dichiarato fallito ovvero per estensione soggettiva normativa gli organi amministrativi delle imprese societarie ed Enti assimilati), e più ampia in quello fiscale, astrattamente riferibile ad ogni contribuente, ancorché non imprenditore o assimilato.
Di qui, ed in conclusione, proprio alla luce di queste considerazioni, e tornando al caso in esame, si concretizza non un’ipotesi di concorso apparente di norme, bens”i quella diversa del concorso formale di reati ovvero della continuazione tra distinti illeciti penali di cui all’art. 81, primo e secondo comma, cod. pen.
4.3. Con il secondo motivo, la difesa del Gaetano denunzia l’erronea applicazione dell’art. 81 cod. pen. in relazione ai capi 2) e 4) della rubrica, sostenendo che le condotte di autoriciclaggio ivi descritte sono solo apparentemente distinte ed autonome, risultando invece collegate ad una unica condotta, quand’anche autonomamente qualificata nei capi 1) e 3), e su cui, peraltro, il Giudice per le indagini preliminari ha fondato il provvedimento di sequestro avente ad oggetto uno stesso importo.
In realtà, e proprio per questa ragione, il rilievo difensivo si profila inammissibile per carenza di interesse: indipendentemente dalla indubbia
differenza tra le due contestazioni di autoriciclaggio, è pacifico che proprio la lamentata “duplicazione” del sequestro comporta che la eventuale esclusione di una delle due imputazioni non comporterebbe, perciò, la restituzione dell’importo attinto dal sequestro per altro titolo.
L’art. 568, comma 4, cod. proc. pen., stabilisce infatti che l’interesse all’impugnazione deve essere concreto e attuale, correlato agli effetti primari e diretti del provvedimento da impugnare e sussiste solo se l’impugnazione sia idonea a costituire, attraverso l’eliminazione di un provvedimento pregiudizievole, una situazione pratica più vantaggiosa per l’impugnante rispetto a quella esistente (cfr., Sez. U, n. 6203 del 11/05/1993, COGNOME, Rv. 193743; Sez. U, n. 9616 del 24/03/1995, COGNOME, Rv. 202018; Sez. U, n. 10372 del 27/09/1995, COGNOME, Rv. 202269; Sez. U, n. 42 del 13/12/1995, dep. 1996, COGNOME, Rv. 203093; Sez. U, n. 20 del 20/10/1996, COGNOME, Rv. 206169; Sez. U, n. 18253 del 24/04/2008, COGNOME, Rv. 239397). Consegue che l’eventuale assorbimento dell’una nell’altra ipotesi di riciclaggio non consentirebbe, in ogni caso, di far venire meno il titolo del sequestro sulla medesima somma.
4.4. Il terzo motivo del ricorso è, a sua volta, manifestamente infondato. Secondo la difesa, infatti, i delitti di autoriciclaggio oggetto di contestazion provvisoria ai capi 2) e 4) non sarebbero configurabili sia per la antecedenza della condotta rispetto alla consumazione del delitto “presupposto” (quanto al capo 3, in particolare, la bancarotta), sia per la sua insussistenza (quanto al 1, alla luce dell’intervenuto annullamento della verifica fiscale della GdF con sentenza della Commissione Tributaria del 2017).
Sotto il primo profilo, va allora, ed in primo luogo ribadito che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il reato di bancarotta per distrazione concorre con quello di autoriciclaggio nel caso in cui alla condotta distrattiva di somme di denaro faccia seguito un’autonoma attività dissimulatoria di reimpiego in attività economiche e finanziarie di tali somme, in quanto si verifica in tale ipotesi la lesione della garanzia patrimoniale dei creditori, sia la lesione autonoma e successiva dell’ordine giuridico economico, mediante l’inquinamento delle attività legali (cfr., in tal senso, Sez. 2, n. 13352 del 14/03/2023, COGNOME, Rv. 284477). Ed è pacifico che il delitto di bancarotta fraudolenta prefallimentare si consuma nel momento in cui interviene la sentenza dichiarativa di fallimento e non con le singole condotte distrattive precedenti a tale declaratoria (cfr., tra le tante Sez. 5, n. 45288 del 11/05/2017, COGNOME, Rv. 271114; Sez. 5, n. 572 del 16/11/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268600; Sez. 5, n. 26548 del 19/03/2014, Hauner, Rv. 260577 – 01); si è tuttavia chiarito che il delitto di autoriciclaggio deve a sua volta ritenersi configurabile nell’ipote
di distrazioni fallimentari compiute prima della dichiarazione di fallimento, in tutt i casi in cui tali distrazioni qualificabili come appropriazione indebita, ai sens dell’art. 646 cod. pen. (cfr., così, ad esempio, Sez. 2, n. 33725 del 19/04/2016, Dessì, Rv. 267497; Sez. 5, n. 572/2017, cit.), in considerazione del rapporto in cui si trovano il delitto di appropriazione indebita e quello di bancarotta patrimoniale, per cui il secondo assorbe il primo, divenendo l’appropriazione un elemento costitutivo della bancarotta (cfr., Sez. 5, n. 2295 del 03/07/2015, COGNOME, Rv. 266018), quando la società, a danno della quale l’agente ha realizzato la condotta appropriativa (che diviene distrattiva), venga dichiarata fallita all’esito della progressione criminosa.
E, tuttavia, osserva il Collegio che, anche in tal caso, la questione sollevata dalla difesa non assume, invero, concreta rilevanza in questa sede dove si discute di una misura cautelare reale la cui portata, in ordine al quantum, rimarrebbe comunque la stessa anche qualora uno dei reati oggetto di provvisoria contestazione, e fondanti la misura, dovesse essere escluso trovandoci in presenza di un’unica complessiva operazione delittuosa che incide – come detto – sui medesimi importi oggetto di sequestro.
Quanto all’astratta configurabilità del delitto di cui al capo 1), il Tribunal ha correttamente considerato irrilevante che l’avviso di accertamento scaturito dalla verifica fiscale del 2014 fosse stato annullato con sentenza del 2017; i giudici del riesame – senza che sul punto il ricorso abbia preso posizione – hanno infatti chiarito che “… nei periodi oggetto di contestazione sono stati emessi anche altri avvisi di accertamento in relazione all’omesso pagamento delle imposte sui redditi e nonostante ciò la condotta distrattiva è proseguita a dimostrazione dell’intento fraudolento”.
Questa Corte ha comunque più volte ribadito che, ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 11 del D. L.vo 10 marzo 2000, n. 74, che punisce colui che, per sottrarsi alle imposte, aliena simulatamente o compie atti fraudolenti sui propri o altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva, non è necessaria la fondatezza della pretesa erariale (cfr., ex multis, Sez. 3, n. 19989 del 10/01/2020, COGNOME, Rv. 279290, resa in una fattispecie relativa ad un’operazione di scissione societaria volta a deprivare il patrimonio della società contribuente, in cui la Corte ha ritenuto legittimo il sequestro preventivo delle quote e dei beni societari, nonostante lo sgravio parziale delle somme dovute all’erario a seguito di annullamento dell’avviso di accertamento).
E ciò alla luce della pacifica la natura del reato in esame come reato di pericolo concreto, su cui la giurisprudenza di questa Corte è ormai consolidata
(cfr., in tal senso, Sez. 3, n. 35853 del 11/05/2016, COGNOME, Rv. 267648, che ha affermato che il delitto in questione è reato di pericolo, integrato dall’uso di att simulati o fraudolenti per occultare i propri o altrui beni, idonei a pregiudicare secondo un giudizio “ex ante” l’attività recuperatoria della amministrazione finanziaria; nello stesso senso, Sez. 3, n. 13233 del 24/02/2016, Pass, Rv. 266771).
4.5. Il quinto motivo è, per un verso formulato in termini non consentiti finendo per proporre una ricostruzione alternativa della vicenda ma, soprattutto, radicalmente inammissibile per carenza di interesse in questa sede non avendo le condotte di bancarotta documentale alcuna relazione con il provvedimento di sequestro in esame.
4.6. Il sesto motivo del ricorso si risolve nell’affermazione della insussistenza delle ipotesi di autoriciclaggio all’esito ed in conseguenza della diversa ricostruzione fattuale proposta dalla difesa; la difesa, infatti, nel negare la configurabilità degli elementi costitutivi della fattispecie incriminatrice finisce realtà per contestare la valutazione cui sono approdati i giudici di merito in punto di ritenuta sussistenza del fumus commissi delicti.
4.7. Analogamente inammissibile è il settimo motivo del ricorso, con cui la difesa lamenta violazione di legge in relazione all’art. 25-octies del D. L.vo n. 231/2001 che attiene alla responsabilità dell’ente e, per altro verso, non fonda il sequestro adottato nei confronti dell’odierno ricorrente.
L’inammissibilità del ricorso comporta pertanto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. perì., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma – nella misura che si stima equa – di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 05.12.2024