Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 4193 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 4193 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nata il 16/05/1960 avverso l’ordinanza del 22/07/2024 del TRIBUNALE di ROMA udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
Il procedimento si celebra con contraddittorio scritto, senza la presenza delle pa mancanza di richiesta di trattazione orale pervenuta nei termini secondo quanto disp dagli artt. 610, comma 5 e 611, comma 1-bis e ss. cod. proc. pen.
Il Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Roma, sezione per le misure cautelari reali, rigettava la rich riesame proposta nei confronti del decreto di sequestro probatorio emesso nei confron NOME COGNOME previa valutazione della sussistenza del fumus dei reati previsti dagli artt. 56, 629, 518-sexies e 388 cod. pen.
Alla COGNOME si contestava di avere minacciato NOME COGNOME al quale il quadro stato ceduto da NOME COGNOME, di non consegnargli il quadro “Wine of Babilon” di COGNOME, se non avesse pagato il 75% del suo prezzo di vendita, di avere riciclato l e di avere impedito l’esecuzione di un decreto ingiuntivo per la sua consegna.
Il sequestro riguardava:
(a) i documenti inerenti l’allocazione di depositi o caveau in cui il quadro “W Babylon” di NOME COGNOME potrebbe essere custodito,
(b) la documentazione e la corrispondenza inerente l’occultamento dell’ope trafugata,
(c) i supporti elettronici, computer, smartphone, tablet e memoria di archiviaz su quali poter rinvenire informazioni utili per l’individuazione del quadro.
Avverso tale provvedimento proponeva ricorso per cassazione il difensore deduceva:
2.1. violazione di legge (artt. 56, 629 cod. pen.): mancherebbero i gravi ind reato di tentata estorsione; si deduceva che NOME COGNOME era estranea al contenzio proprietà del quadro “Wine of Babilon”, intercorso tra l’Avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME e che, pertanto, la sentenza del Tribunale di Roma, che riconosceva la pro dell’opera in capo al COGNOME, non sarebbe a lei opponibile. NOME COGNOME allegava, ino l’Avv. COGNOME non aveva mai promosso nei suoi confronti un’azione di rivendicazione ai s dell’art. 948 cod. civ., il che impedirebbe di ritenere sussistente il fumus del reato di tentata estorsione; si deduceva infatti che, non essendo la ricorrente tenuta ad alcuna d mancherebbe il danno, elemento costitutivo del reato contestato;
2.2. violazione di legge (art. 56, 629 cod. pen.): il Tribunale avrebbe tra contenuto della sentenza del Tribunale di Roma del 12 gennaio 2024; questa senten dichiarando la COGNOME estranea al contenzioso tra NOME COGNOME e NOME COGNOME escluderebbe la sussistenza in capo alla stessa di un obbligo di restituzione; si inoltre, che anche la Corte distrettuale statunitense aveva respinto la dom restituzione del bene avanzata nei confronti della COGNOME e che la stessa aveva il d difendere il possesso del quadro conteso;
2.3. violazione di legge (art. 518-sexies cod. pen.): l’opera d’arte in questione come previsto dall’art. 10, comma 5, d.lgs. n. 42 del 2004 non sarebbe protetta dalla legi relativa al patrimonio storico-artistico-ambientale, il che impedirebbe di sussistente il fumus del reato contestato;
2.4. violazione di legge (art. 388 cod. pen.): si contestava (a) che il decreto i n. 9957 del 2020 emesso dal Tribunale di Roma, ingiungeva a NOME COGNOME – e a NOME COGNOME – di consegnare a NOME COGNOME l’opera d’arte, sicché la ricorre avrebbe potuto ostacolare l’esecuzione di un provvedimento che non era a lei dirett che la querela sarebbe tardiva;
2.5. violazione di legge (art. 629 cod. pen.): NOME COGNOME si era costitu civile nel procedimento per appropriazione indebita promosso nei confronti di NOME COGNOME in quella sede, aveva chiesto il risarcimento del danno e non la restituzione dell’op
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scelta processuale impedirebbe a COGNOME di pretendere la consegna del bene, non richiesta neanche dal suo dante causa, COGNOME
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e, come tale, immeritevole di accoglimento.
Con i primi due motivi di ricorso la ricorrente ha dedotto che avrebbe potuto difendere legittimamente il possesso dell’opera, che non era stata intentata nei suoi confronti una azione di rivendicazione e che l’accertamento del diritto di proprietà del quadro “Wine of Babilon” in capo all’Avv. NOME COGNOME non sarebbe a lei opponibile. Non essendo individuabile un obbligo di restituzione in capo alla COGNOME, mancherebbe, infatti, l’elemento del male ingiusto necessario per configurare il fumus del delitto di tentata estorsione.
1.1. Entrambi i motivi sono infondati.
La ricorrente contesta la gravità indiziaria del delitto di tentata estorsione, consisti secondo l’imputazione provvisoria, nel rivolgere a NOME COGNOME alla presenza di NOME COGNOME – la minaccia di non consegnare il quadro “RAGIONE_SOCIALE“, se non dietro la corresponsione del 75% del prezzo della sua vendita.
1.2. Il Collegio rileva che con la richiesta di riesame la ricorrente aveva dedotto d essere la proprietaria del bene, mentre con il ricorso per cassazione ha evidenziato essenzialmente la sua condizione di detentrice, affermando di essere titolare di un diritto di possesso non contestato con una azione civile di rivendicazione. Tale prospettazione escluderebbe la sussistenza in capo alla COGNOME di un obbligo di consegna, rinvenibile solo in capo a NOME COGNOME dante causa del COGNOME.
Invero, secondo la incontestata ricostruzione effettuata dal Tribunale, emergeva che l’Avv. COGNOME si era recato nella primavera del 2018 presso l’abitazione di NOME COGNOME, sita in Roma INDIRIZZO ove era presente, oltre a COGNOME, anche la ricorrente, la quale sì rivolgeva al COGNOME affermando che per consegnare dell’opera chiesta dal COGNOME direttamente al suo dante causa, NOME COGNOME, presente all’evento – ella avrebbe preteso il 75% del ricavato della sua vendita.
Dunque, la richiesta di consegna risulta essere stata rivolta dall’Avv. COGNOME a NOME COGNOME e non alla COGNOME; questa, tuttavia, presente alla richiesta, ha minacciato dì ostacolare la consegna, condizionandola al pagamento di una somma non dovuta, così integrando il fumus del reato di tentata estorsione.
1.3. Tale ricostruzione evidenzia la sussistenza di tutti gli elementi del reat contestato, ovvero la minaccia di un male ingiusto (la pretesa illecita del 75% del prezzo
di vendita dell’opera), ed il danno (la mancata consegna di un dipinto del quale COGNOME era proprietario.
Il terzo motivo, che contesta la sussistenza del fumus del reato previsto dall’art. 518 -sexies cod. pen., è infondato.
2.1. In via preliminare, il Collegio intende riaffermare che, contrariamente a quanto dedotto, in tema di beni culturali, il riferimento contenuto nell’art. 2 del d.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42 alle “altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà” costituisce una formula di chiusura che consente di ravvisare il bene giuridico protetto dalle nuove disposizioni sui beni culturali ed ambientali non soltanto nel patrimonio storico-artistico-ambientale dichiarato, ma anche in quello reale, ovvero in quei beni protetti in virtù del loro intrinseco valore, indipendentemente dal previo riconoscimento da parte delle autorità competenti (cfr., Sez. 3, n. 21400 del 15/02/2005, COGNOME, Rv. 231638; Sez. 3, n. 30653 del 05/06/2024, COGNOME, Rv. 286801).
2.2. Tale condiviso e ribadito principio, sebbene sia contestato nel ricorso, non risulta, tuttavia, rilevante nel caso di specie a fronte della necessità di riqualificare la condotta contestata, inquadrata nella fattispecie prevista dall’art. 518-ter cod. pen., nel delitto di autoricícIaggio: riqualificazione giuridica del fatto, certamente riservata al giudice di legittimità, che non determina la mutazione del fatto stesso ovvero l’illegittimità del provvedimento che conteneva l’originaria qualificazione giuridica.
Il Collegio ritiene, infatti, che sia estensibile al riciclaggio, al reimpiego di denaro, e all’autoriciclaggio – con riguardo a quest’ultimo delitto, con le precisazioni che di seguito si esporranno – il principio di diritto, affermato per la ricettazione secondo cui allorquando la non punibilità (o la punibilità “a querela”) del reato presupposto prevista dall’art. 649 cod. pen. si riferisce alla particolare qualità (coniuge, ascendente, discendente, affine, fratello, sorella) della persona offesa sussiste ugualmente il delitto di ricettazione, poiché sono presenti tutti gli elementi costitutivi del “reato presupposto”, alla cui realizzazione possono concorrere soggetti privi delle qualità personali, in presenza delle quali è prevista la “non punibilità” ovvero la “punibilità a querela” (Sez. 2, n. 8384 del 05/12/1990, dep. 1991, COGNOME, Rv. 188008).
2.3. La ricettazione, il riciclaggio, l’impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita e l’autoriciclaggio puniscono, infatti, condotte funzionali e reimmettere nel circuito economico legale beni di provenienza illecita, occultandone l’origine. Tale finalità, che individua l’oggetto della condotta penalmente rilevante, persiste anche se il reato presupposto non è punibile a causa della qualità soggettive dell’autore. Il bene provento di un reato consumato da persona non punibile per qualità soggettive, infatti, ha, comunque, lo stigma dell’illegalità, essendo stato appreso con una condotta oggettivamente delittuosa.
Pertanto, i trasferimenti successivi di tale bene, carpito illecitamente, sono sic idonei ad integrare i reati di riciclaggio e reimpiego di denaro.
Un distinguo deve tuttavia essere effettuato per il delitto di autoriciclaggio.
Mentre per i reati di ricettazione, riciclaggio e reimpiego l’autore del delitto non può coincidere con l’autore del delitto presupposto, nell’autoriciclaggio tale coin “struttura” il delitto, sicché, essendo l’art. 648-ter.1 cod. pen. incluso tra i rea è operativa l’esimente prevista dall’art. 649 cod. pen., occorre verificare in che stessa refluisca sulla punibilità della condotta derivata.
Si riafferma infatti che il delitto dì autoriciclaggio per quanto sia volt dell’ordine economico, tutela anche il patrimonio e, comunque, è compreso nel titolo del codice penale, sicché per espressa disposizione dell’art. 649 cod. pen., non è se commesso in danno delle persone legate all’autore da vincoli civili o di sangue ( n. 17641 del 26/01/2024, COGNOME, Rv. 286305).
La qualità soggettiva che rende operativa l’esimente, tuttavia, può essere ge non solo da un “vincolo di sangue”, ma anche da un “vincolo civile” rescindibile, co matrimonio o l’unione civile.
Nel caso in cui la qualità soggettiva dell’autore, che potrebbe rendere ope l’esimente sia un vincolo civile, è possibile che il reato presupposto venga con quando sussiste il vincolo, mentre il reato derivato – ovvero l’autoricidaggio consumato quando il vincolo è rescisso.
E’ per questo che occorre verificare, in concreto, se nel tempo in cui son consumate le condotte che integrano l’autoriciclaggio, sussisteva il vincolo civile.
2.4. Si ritiene pertanto che il principio in base al quale i reati che colpiscono funzionali ad immettere nel circuito legale beni di provenienza illecita, quali la rice il riciclaggio, l’impiego di denaro, sussistono anche se il reato presupposto non è a causa delle qualità soggettive dell’autore (ai sensi dell’art. 649 cod. pen. sufficiente dimostrare che il bene è stato appreso, in origine, con una co oggettivamente illecita sia estensibile anche al reato di autoriciclaggio, ma ciò solo in cui i vincoli che rendono operativa l’esimente siano di natura “civile” e siano stat nel momento in cui viene consumato il reato derivato: se detta ultima condizione no verifica, la non punibilità del reato presupposto finisce inevitabilmente per riverber reato derivato, rendendo anch’esso non punibile.
2.5. Fermo quanto precede, il Collegio ritiene che, nella fattispecie:
(a) il reato presupposto debba essere individuato non in un ipotetico “furto” consum da persone diverse dalla Ruzic ma nel reato di “appropriazione indebita”, consum direttamente dalla ricorrente stessa;
(b) tale reato-presupposto non sia punibile ai sensi dell’art. 649 cod. pen. in re allo stato di coniugio di NOME COGNOME con NOME COGNOME sussistente al mo
dell’interversio possessionis (come accertato dalla sentenza n. 2827 del 2014 del Tribunale di Roma);
(c ) tuttavia, lo stato di coniugio, nel 2018, all’atto del trasferimento del parte della COGNOME ad altri al fine di garantire un prestito e di occultarne la p delittuosa, non sussisteva, essendo già intervenuto il divorzio dall’ex marito NOME
(d) identificato il reato presupposto in un delitto – l’appropriazione indebit in essere dalla stessa ricorrente, il successivo trasferimento dell’opera ille appresa, quando la COGNOME non era più legata dal vincolo matrimoniale con COGNOME Go integra un “investimento” e, dunque, per le ragioni precedentemente esposte, consent ritenere configurato il fumus del reato previsto dall’articolo 648-ter.1 cod. pen. particolare, l’attività investigativa richiamata nel provvedimento impugnato ha, consentito di accertare che l’opera era stata consegnata in garanzia dalla COGNOME a ta NOME COGNOME a fronte di un prestito, sicché era stata oggetto di un “investi con l’evidente scopo di far circolare il bene, senza che fosse identificabile la sua pr delittuosa.
Con il quarto motivo di ricorso la ricorrente contesta la sussistenza del fumus del reato di cui all’art. 388 cod. pen. rilevando come il decreto ingiuntivo non adempi stato emesso nei confronti di NOME COGNOME sicché nessuna condotta ost all’adempimento avrebbe potuto esserle addebitata.
La doglianza è infondata per le seguenti ragioni:
in primo luogo, si osserva che – allo stato – la fase nel quale il procedime non consente di verificare se l’imputazione, ora solo provvisoria, avrà una st definitiva di tipo concorsuale, il che consentirebbe di ritenere legittima l’accusa e confronti della COGNOME, che assumerebbe la veste di concorrente esterno di un reato pr quale quello previsto dall’art. 388, comma 1, cod. pen.;
a ciò si aggiunge che, in sede di riesame, non è verificabile la tempestivi querela. Sul punto il Collegio riafferma, infatti, che la questione dell’improcedi difetto di querela del reato ipotizzato esula dall’ambito del giudizio di legitt decisione di riesame del provvedimento applicativo di una misura cautelare reale, pe attiene al merito (Sez. 2, n. 30675 del 26/06/2013, COGNOME, Rv. 257067).
Con il quinto motivo la ricorrente deduce , , altresì, che, poiché NOME COGNOME aveva chiesto il risarcimento del danno, e non la restituzione dell’opera, nel proce penale a carico di NOME COGNOME per il reato di appropriazione indebita, NOME COGNOME a perso il diritto alla restituzione, poiché a tale diritto avrebbe implicitamente ri suo dante causa, NOME COGNOME.
La doglianza non è consentita in quanto proposta per la prima volta in sed legittimità: il Collegio riafferma che è inammissibile il ricorso per cassazione a provvedimento del Tribunale del riesame con cui si deducano, per la prima volta, in di legittimità motivi di censura inerenti al decreto di sequestro preventivo che non costituito oggetto di doglianza dinanzi allo stesso Tribunale (Sez. 2, n. 9 27/01/2023, COGNOME, Rv. 284419; e con riguardo alle misure cautelari personali: Se n. 42408 del 21/09/2012, COGNOME, Rv. 254037; Sez. 2, n. 11027 20/01/2016, COGNOME, Rv. 266226; Sez. 5, n. 24693 del 28/02/2014, COGNOME, 259217).
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta il la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spes procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso, il giorno 3 dicembre 2024.