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Autoriciclaggio reato presupposto: la Cassazione

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3101/2024, ha rigettato il ricorso di un imprenditore accusato di autoriciclaggio. La Corte ha stabilito un principio fondamentale sull’autoriciclaggio reato presupposto: il reato di autoriciclaggio sussiste anche se il delitto da cui provengono i capitali illeciti è caduto in prescrizione. La sentenza ha inoltre confermato la responsabilità dell’amministratore di fatto (‘dominus’) per l’evasione fiscale, considerata un valido reato presupposto, basando la decisione su intercettazioni che ne provavano il controllo effettivo sull’attività imprenditoriale.

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Pubblicato il 26 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Autoriciclaggio: reato presupposto prescritto non ferma l’accusa

La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 3101 del 2024, ha affrontato una questione di cruciale importanza nel campo dei reati economici: la configurabilità del delitto di autoriciclaggio anche quando il reato da cui provengono i fondi illeciti è estinto per prescrizione. Questa decisione chiarisce che l’autoriciclaggio reato presupposto mantiene la sua autonomia, confermando la possibilità di procedere contro chi reimpiega capitali illeciti, indipendentemente dalla sorte giudiziaria del delitto originario. Analizziamo insieme i dettagli del caso e le motivazioni della Suprema Corte.

I Fatti del Caso: un intreccio tra società, familiari e proventi illeciti

La vicenda giudiziaria ha origine da un’indagine su un imprenditore, ritenuto il dominus occulto di una nota società di ristorazione, formalmente intestata ai suoi familiari. Le accuse a suo carico erano principalmente due:

1. Trasferimento fraudolento di valori (art. 512-bis c.p.): per aver attribuito fittiziamente a terzi la titolarità della società al fine di eludere le misure di prevenzione patrimoniale.
2. Autoriciclaggio (art. 648-ter.1 c.p.): per aver reimpiegato i proventi derivanti sia dal trasferimento fraudolento sia da una sistematica evasione fiscale nella stessa attività commerciale e nell’acquisto di un terreno destinato alla costruzione di un resort.

Il Tribunale del Riesame, pur dichiarando prescritto il reato di trasferimento fraudolento, aveva confermato la misura cautelare per l’autoriciclaggio, ritenendo che i proventi illeciti derivassero anche dal reato di dichiarazione infedele (evasione fiscale).

La questione dell’autoriciclaggio con reato presupposto prescritto

La difesa dell’imputato ha presentato ricorso in Cassazione sostenendo un punto chiave: se il reato presupposto (il trasferimento fraudolento) è prescritto, non può esistere il conseguente reato di autoriciclaggio. Secondo questa tesi, la mancanza di un delitto ‘fonte’ ancora perseguibile farebbe crollare l’intera impalcatura accusatoria.

Inoltre, la difesa contestava che l’imputato potesse essere ritenuto responsabile per l’evasione fiscale, in quanto non figurava formalmente come amministratore della società.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato completamente il ricorso, fornendo motivazioni chiare e in linea con il suo consolidato orientamento.

1. L’irrilevanza della prescrizione del reato presupposto

Il punto centrale della sentenza è l’applicazione dell’art. 170 del codice penale. Questa norma stabilisce che, quando un reato è il presupposto di un altro, la causa che estingue il primo (come la prescrizione) non si estende al secondo. L’autoriciclaggio, così come il riciclaggio e la ricettazione, è un reato autonomo. Ciò che conta è che i beni o i capitali provengano oggettivamente da un delitto, non che l’autore di quel delitto sia stato condannato o sia ancora perseguibile. Pertanto, la prescrizione del trasferimento fraudolento non impedisce di contestare l’autoriciclaggio dei suoi proventi.

2. Il ruolo del dominus e l’evasione fiscale come presupposto

La Corte ha inoltre confermato che l’evasione fiscale (nello specifico, l’omessa dichiarazione dei redditi societari) costituisce un valido autoriciclaggio reato presupposto. Per attribuire la responsabilità di tale reato all’imputato, i giudici hanno valorizzato il suo ruolo di amministratore di fatto o dominus. Le intercettazioni telefoniche avevano inequivocabilmente dimostrato che era lui a gestire l’attività, a disporre delle finanze e a prendere le decisioni operative, anche quelle relative alla gestione fiscale. L’amministratore formale (il figlio) era un mero prestanome. In tema di reati tributari, la giurisprudenza è costante nell’affermare che l’autore principale del reato è chi detiene la gestione effettiva della società, mentre l’amministratore di diritto risponde a titolo di concorso per non aver impedito l’evento.

Le Conclusioni

La sentenza n. 3101/2024 ribadisce due principi di estrema importanza pratica:

* L’autoriciclaggio reato presupposto non deve essere necessariamente accertato con una sentenza di condanna né essere ancora perseguibile. È sufficiente che il giudice che procede per autoriciclaggio accerti in via incidentale la sua esistenza e la provenienza illecita dei fondi.
La figura del dominus* o amministratore di fatto è centrale nell’imputazione dei reati societari e tributari. Le schermature formali non sono sufficienti a escludere la responsabilità penale di chi, nei fatti, controlla e gestisce l’impresa.

È possibile essere accusati di autoriciclaggio se il reato da cui provengono i soldi (reato presupposto) è prescritto?
Sì. La Corte di Cassazione, applicando l’art. 170 del codice penale, ha chiarito che l’estinzione del reato presupposto per prescrizione non impedisce la punibilità del reato di autoriciclaggio, che è considerato un illecito autonomo.

Chi risponde dell’evasione fiscale di una società: l’amministratore formale o chi la controlla di fatto (il ‘dominus’)?
Secondo la sentenza, il responsabile principale del reato tributario è l’amministratore di fatto, ovvero colui che detiene l’effettiva gestione e il controllo della società. L’amministratore formale (prestanome) può essere ritenuto responsabile a titolo di concorso per non aver impedito il reato.

Quali prove possono dimostrare che una persona è il ‘dominus’ occulto di una società?
Nel caso esaminato, le intercettazioni telefoniche sono state decisive. Le conversazioni hanno rivelato il ruolo di gestore effettivo dell’imputato, il suo controllo sui flussi finanziari e la sua autorità nelle decisioni operative, dimostrando la sua posizione di dominus al di là dell’intestazione formale delle quote societarie.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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