Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 10341 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 10341 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 28/01/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: NOME COGNOME nato a NAPOLI il 01/12/1966 NOME COGNOME nato a NAPOLI il 07/10/1991 NOME nato a COGNOME il 07/01/1961 COGNOME nato a NAPOLI il 11/06/1969
avverso la sentenza del 23/11/2023 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio nei confronti di COGNOME RAGIONE_SOCIALE e il rigetto degli altri ricorsi;
uditi i difensori dei ricorrenti:
Avv. NOME COGNOME per COGNOME Salvatore,
Avv. NOME COGNOME in sostituzione dell’Avv. NOME COGNOME e dell’Avv. NOME COGNOME per NOME COGNOME
Avv. NOME COGNOME e Avv. NOME COGNOME per Grutteria Aldo,
Avv. NOME COGNOME in sostituzione dell’Avv. NOME COGNOME per COGNOME che hanno concluso chiedendo l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Reggio Calabria, in esito a giudizio abbreviato, parzialmente riformando la sentenza del Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Reggio Calabria, emessa il 24 marzo 2022, ha ritenuto, in conformità alla decisione di primo grado, la sussistenza di una associazione per delinquere, operativa tra il 2017 ed il 2022 in territorio calabrese ma anche in altre regioni del sud Italia, avente come scopo la commissione attraverso complessi meccanismi tra i quali la costituzione di molte società fittizie intestate a soggetti prestanome – di reati tributari e connessi reati di riciclaggio ed autoriciclaggio nel settore del commercio di prodotti petroliferi, con un profitto per milioni di euro.
Di tale organizzazione sono stati ritenuti partecipi tutti e quattro i ricorrenti (COGNOME NOME, NOME e NOME con funzioni apicali, mentre COGNOME NOME quale mero associato).
I primi tre imputati, con conforme giudizio in entrambi i gradi di merito, sono stati condannati, al contrario dell’ultimo, anche per una serie di reati fine.
L’impianto accusatorio – originariamente attinente alle posizioni di sedici imputati – si è basato su intercettazioni telefoniche ed ambientali, documentazione fiscale e bancaria, verifiche fiscali, perquisizioni e sequestri, dichiarazioni degli imputati ed altro.
Ricorrono per cassazione i soli imputati indicati in intestazione, a mezzo dei loro rispettivi difensori e con distinti atti.
3. NOME.
3.1. Con il primo motivo di ricorso, si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità per il reato di autoriciclaggio di cui al capo H.
La Corte di appello non avrebbe fornito adeguata risposta al motivo di appello volto a rappresentare che il reato presupposto rispetto a quello di autoriciclaggio sarebbe stato quello di omessa dichiarazione dell’IVA da parte delle società cartiere, reato produttivo di profitto che si era consumato, in ogni circostanza, successivamente all’autoriciclaggio, avendo come termine ultimo la presentazione delle dichiarazioni ai fini dell’IVA ed il relativo pagamento.
Infatti, il danaro costituente il profitto fuoriusciva dalle società cartiere a seguito delle omesse o false dichiarazioni ai fini dell’IVA, che davano luogo alla riserva patrimoniale la quale, una volta monetizzata attraverso il passaggio ad altre società o persone fisiche, poteva essere distribuita ai partecipi della frode.
Seguendo tale cronologia – che nel ricorso viene indicata specificamente in relazione ai singoli casi (fgg. 5 e 6 del ricorso) – il reato di autoriciclaggio non avrebbe potuto essere configurato in quanto commesso prima e non dopo i reati presupposto.
Inoltre, la contestazione di cui al capo H non riguarderebbe l’autoriciclaggio delle somme ricavate dal mancato pagamento delle accise, evento verificatosi nella seconda fase della vicenda processuale, allorquando, in seguito ad un accertamento dell’Agenzia delle Entrate, le società cartiere non avevano più avuto modo di evadere VIVA.
La motivazione offerta in proposito dalla Corte di appello – riprodotta a fg. 9 del ricorso – sarebbe del tutto apparente ed erronea nella indicazione, quali reati presupposto, non di quelli fiscali “dichiarativi”, ma nei reati di emissione di fatture inesistenti, improduttivi di profitto riciclabile e mancanti della prova che tali fatture erano state utilizzate dai relativi destinatari.
Infine, GLYPH non sarebbe configurabile l’autoriciclaggio dei proventi dell’evasione attraverso acquisizioni aziendali, dal momento che la contestazione mancherebbe di specificità in relazione alle cartiere coinvolte in tale operazione.
3.2. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, non avendo la Corte valorizzato l’assenza di pregiudizi penali e le dichiarazioni confessorie del ricorrente, spontaneamente rese, non tendenti ad alleggerire la sua posizione processuale ed ampiamente utilizzate in sentenza per la ricostruzione dei fatti e della responsabilità sua e di altri coimputati, secondo quanto era stato dedotto con l’atto di appello.
4. NOME
Nell’interesse del ricorrente sono stati proposti due ricorsi.
4.1. Ricorso a firma dell’avv. NOME COGNOME.
4.1.1. Con il primo motivo di ricorso, si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità per i reati fine di natura tributaria.
La Corte non avrebbe operato la valutazione in relazione ad ogni singola figura di reato ipotizzato, ritenendo che l’imputato, in quanto amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE (che fungeva come deposito fiscale del carburante) ed anche amministratore di fatto delle società cartiere, fosse responsabile di tutte le frodi fiscali, in base ad una mera operazione aritmetica sulla base della quale “tutti sono responsabili di tutto” (fg. 7 del ricorso).
Al contrario, il ricorrente non avrebbe operato in alcun modo con le società individuate nei capi di imputazione e si sarebbe reso autore soltanto di una
GLYPH
attività esecutiva di intermediazione finalizzata a fornire società, non sussumibile nelle contestazioni dei reati tributari (fg. 12 del ricorso).
Inoltre, la Corte non avrebbe fatto corretta applicazione dell’art. 9 d.l.vo n. 74/2000 laddove, regolando un caso specifico di esclusione del concorso nel reato tra il soggetto che emette fatture per operazioni inesistenti ed il soggetto utilizzatore delle fatture, si sarebbe resa impossibile la coesistenza del delitto tributario e dell’ipotesi di autoriciclaggio del danaro poi scaturito dai passaggi successivi (anche con transito all’estero) riconducibili sempre ai medesimi soggetti legati da vincolo associativo.
4.1.2. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità per i reati tributari quale conseguenza del riconoscimento in capo al ricorrente della qualifica di amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE
La Corte non avrebbe adeguatamente valutato alcune circostanze decisive sottoposte alla sua attenzione dalla difesa, prima fra tutte il fatto che la RAGIONE_SOCIALE avrebbe avuto come amministratore di fatto il coimputato COGNOME COGNOME, che con essa aveva operato fin dal 2017 e che si interfacciava con altri coimputati separatamente giudicati (COGNOME NOME ed i fratelli COGNOME) e non con il ricorrente. Era lo stesso COGNOME a fungere da amministratore di fatto anche in epoca successiva alla verifica della Agenzia delle Entrate del 13 febbraio 2019, che aveva comportato il mutamento degli assetti societari della RAGIONE_SOCIALE ed una nuova strategia da parte del sodalizio criminale per continuare ad operare illecitamente, ivi compresa la nomina di un nuovo amministratore unico che potesse fungere da prestanome.
In tale congerie di rapporti, il ricorrente avrebbe svolto solo funzioni esecutive, a valle e successive rispetto agli accordi presi tra i veri reggenti della RAGIONE_SOCIALE in una apposita riunione, oggetto di attenzione investigativa, tenutasi 1’11 marzo 2019, alla quale egli non aveva partecipato ed il cui contenuto e programma sarebbe stato avulso dalla sua sfera di cognizione, come dimostrato dai servizi di osservazione e dalle intercettazioni (fg. 17 del ricorso).
In breve, il ricorrente avrebbe “subito le scelte della dirigenza” (fg. 19 del ricorso) ed in tal senso avrebbe operato anche in relazione al pagamento delle accise, non prendendo parte ad importanti snodi gestionali come l’acquisizione di altro deposito di carburanti da parte della. RAGIONE_SOCIALE, vicenda gestita anche in questo caso dal solo Sabatino.
Di tal che, non rinvenendosi alcun legame tra il ricorrente e la RAGIONE_SOCIALE, egli non avrebbe dovuto essere ritenuto responsabile dei reati tributari legati alla gestione ditale società (capi C1, C2, E, E1, E2), essendosi limitato a fungere da “mediatore tra COGNOME, che manifestava la necessità di ricevere società da
GLYPH
impiegare e NOME NOMECOGNOME colui che materialmente forniva le visure camerali delle compagini dietro pagamento”, inserendosi solo nella trasformazione dei proventi illeciti in denaro liquido (fgg. 26 e 27 del ricorso).
4.1.3. Con il terzo motivo di ricorso, si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità del ricorrente per il reato di associazione per delinquere di cui al capo C, per di più con il riconoscimento di funzioni di capo e promotore.
Sulla base dei rilievi già evidenziati nella sintesi del secondo motivo di ricorso, il ricorrente sostiene di avere avuto un ruolo – peraltro fungibile – soltanto “nell’ultimo segmento commissivo della articolata filiera di attività” (fg. 28 del ricorso), peraltro sotto la direzione di NOME COGNOME (amico d’infanzia del di lui padre, NOME COGNOME, coimputato separatamente giudicato che controllava l’operato del figlio), non impartendo ordini, non avendo mezzi propri, mantenendo rapporti subordinati con altri soggetti, primo fra tutti il COGNOME (dalla stessa Corte di appello ritenuto l’ideatore di tutto) e comparendo nella vicenda solo alla fine del 2019, a fronte di una attività illecita databile quantomeno a partire dal 2017.
Ne consegue che, nella migliore delle ipotesi accusatorie, egli avrebbe dovuto essere qualificato come mero partecipe del sodalizio criminale, qualifica attribuita ad altri coimputati che avrebbero svolto le sue stesse funzioni (cfr. fgg. 38 e 39 del ricorso, con i riferimenti alle posizioni di NOME COGNOME e COGNOME NOME).
In questa prospettiva, il ricorso segnala, dal fg. 29, una serie di dati processuali che la Corte di appello avrebbe trascurato:
-conversazione tra COGNOME e COGNOME NOME del 19 marzo 2019;
-conversazione tra il ricorrente ed il padre del 6 maggio 2019;
-conversazione tra Camastra NOME e COGNOME Salvatore del 28 giugno 2019;
-dichiarazioni del coimputato COGNOME
-dichiarazioni confessorie del ricorrente, non inerenti al suo ruolo nell’associazione.
Viene, inoltre, richiamata per esteso la motivazione della sentenza impugnata a proposito della posizione del ricorrente per evidenziarne le criticità rispetto alle considerazioni difensive sopra evidenziate.
Si critica, ancora, il significato attribuito dalla Corte ad una conversazione intercorsa 1’8 maggio 2019 tra COGNOME ed il ricorrente, laddove il primo faceva riferimento alla spartizione di utili al 50% con NOME solo per fronteggiare pretese di terzi che volevano maggiori compensi e, dunque,
falsamente, secondo quanto dimostrato da altre conversazioni (fgg. 48-54 del ricorso).
4.1.4. Con il quarto motivo di ricorso, si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche ed alla determinazione della pena, avendo la Corte adottato in proposito delle mere clausole di stile (che il ricorso trasfonde), senza tenere conto dell’assenza di precedenti penali, delle dichiarazioni confessorie rese dal ricorrente senza reticenze, del diverso giudizio espresso dal Giudice per l’udienza preliminare nei confronti di altri coimputati in identica posizione processuale che hanno patteggiato la pena, della circostanza di aver fatto ritrovare la somma di 200 mila euro, quale segnale di resipiscenza ed anche ai fini di giustificare la concessione dell’attenuante di cui all’art. 62, primo comma, n. 6), cod.pen.
4.2. Ricorso a firma dell’Avv. NOME COGNOME
4.2.1. Con il primo motivo di ricorso, si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla “ingiustificata omissione delle deduzioni difensive” (fg. 1 del ricorso), che avrebbe comportato l’impossibilità da parte dell’imputato di “difendersi provando”.
4.2.2. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta utilizzabilità delle intercettazioni.
Le intercettazioni erano state avviate illegittimamente nei confronti di Camastra Davide per operazioni sospette e non per la sussistenza di indizi di colpevolezza, peraltro in relazione a reati solo successivamente ascrivibili all’ambito della criminalità organizzata e, peraltro, non collegati a quelli originari, paventandosi l’esistenza di gruppi criminali che avrebbero agito in via autonoma ed indipendente l’uno dall’altro.
Sul punto, la Corte avrebbe reso motivazione apparente, equivocando i termini dell’eccezione.
4.2.3. Con il terzo motivo di ricorso, si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta utilizzabilità delle intercettazioni per quanto inerente a quelle raccolte in altro procedimento, stante l’impossibilità di una verifica circa il rispetto delle condizioni prevista dagli artt. 266 e segg. cod. proc. pen. e, in particolare, della connessione tra procedimenti.
4.2.4. Con il quarto motivo di ricorso, si deduce violazione di legge e vizio di motivazione per avere la Corte ritenuto utilizzabili le conversazioni intervenute sulle utenze telefoniche del ricorrente od a questi riconducibili, come indicate a fg. 9 del ricorso, nonostante l’intervenuta revoca del decreto autorizzativo, che non avrebbe consentito di utilizzare, anche con riguardo alla normativa europea richiamata in ricorso, le conversazioni successive al 30 aprile 2019.
4.2.5. Con il quinto motivo di ricorso, si deduce violazione di legge e vizio di motivazione per avere la Corte ritenuto utilizzabili le intercettazioni nonostante il divieto all’epoca di riferimento con riguardo al reato di cui all’art. 2 D.I.v 74/2000.
4.2.6. Con il sesto motivo di ricorso, si eccepisce l’inutilizzabilità delle intercettazioni effettuate con l’uso del mezzo captativo trojan horse, con riferimento all’epoca nella quale le captazioni erano state avviate e che, in ogni caso, non erano consentite avuto riguardo alla circostanza che nei confronti del ricorrente non erano state ravvisate violazioni inerenti al reato associativo di stampo mafioso.
4.2.7. Con il settimo motivo di ricorso, si deduce violazione di legge e vizio di motivazione per non avere la Corte rilevato l’inutilizzabilità degli esiti investigativi compiuti oltre il termine decorrente dalla iscrizione ex art. 335 cod. proc. pen., tenuto conto della tardiva iscrizione del nome dell’allora indagato nell’apposito registro, in relazione al profilarsi di elementi a suo carico fin dal marzo del 2019, a fronte di una iscrizione intervenuta 1’8 settembre 2020.
4.2.8. Con l’ottavo motivo di ricorso, si deduce violazione di legge e vizio di motivazione per non avere la Corte rilevato l’incompetenza per territorio dell’autorità giudiziaria di Reggio Calabria in favore di quella di Napoli, dal momento che il ricorrente apparterrebbe a gruppo criminale campano (descritto al capo C) diverso e non connesso rispetto a quello al quale era ascrivibile il collegamento con la criminalità organizzata, di cui al capo A della imputazione.
La questione processuale, posta all’udienza preliminare, non sarebbe preclusa dalla scelta del rito abbreviato.
4.2.9. Con il nono motivo di ricorso, si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità del ricorrente per il reato di associazione per delinquere di cui al capo C.
Le censure sono sovrapponibili a quelle del primo ricorso e vengono citati elementi processuali a conforto della tesi difensiva ai fgg. 23-27 del ricorso, che la Corte avrebbe trascurato.
4.2.10. Con il decimo motivo di ricorso, si deduce violazione di legge e vizio della motivazione per avere la Corte ricavato, con ragionamento circolare, la prova della partecipazione del ricorrente alla associazione per delinquere dalla condotta di autoriciclaggio e viceversa.
Quest’ultimo reato, invece, avrebbe meritato ben altro approfondimento sotto il profilo della idoneità della condotta ad ostacolare l’identificazione della provenienza dei beni da delitto.
Peraltro, la “tracciabilità conseguente alla emissione di fatture per transazioni effettivamente avvenute esclude in radice la idoneità dissimulatoria dell’attività realizzata” (fg. 29 del ricorso).
4.2.11. Con l’undicesimo motivo di ricorso, si deduce violazione di legge per non avere la Corte ritenuto che il ricorrente fosse mero partecipe dell’associazione descritta al capo C e non capo o promotore di essa.
Gli argomenti sono sovrapponibili, sul punto, a quelli del primo ricorso. Peraltro, a fronte della contestazione di avere assunto funzioni di capo o promotore, il Pubblico ministero nella sua requisitoria aveva attribuito al ricorrente il ruolo di promotore od organizzatore, così violando le prerogative difensive.
4.2.12. Con il dodicesimo motivo di ricorso, si deduce violazione di legge e vizio di motivazione a proposito della ritenuta sussistenza dell’associazione per delinquere descritta al capo C, dal momento che la Corte non avrebbe valutato che i reati-fine erano stati tutti programmati dai correi fin dall’inizio, sicché vi sarebbe stato solo un concorso di persone nei reati e non un programma indeterminato idoneo a costituire la fattispecie associativa, non provata dalla presenza di mezzi e capacità economica.
La partecipazione del ricorrente a tale organismo, quand’anche provata, sarebbe da escludere per la ristrettezza del periodo di tempo nel quale egli aveva operato, decorrente da febbraio 2019 a fronte di una struttura avviata fin dal 2017.
4.2.13. Con il tredicesimo motivo di ricorso, si deduce violazione di legge e vizio di motivazione per avere la Corte ritenuto la sussistenza dei reati presupposto a quello di autoriciclaggio nelle violazioni tributarie inerenti alla predisposizione di fatture per operazioni inesistenti, senza avvedersi, però, che la consumazione di tali reati era avvenuta attraverso la mancata presentazione delle dichiarazioni dei redditi e, dunque, dopo e non prima rispetto alla consumazione del reato di autoriciclaggio.
Il ricorrente, peraltro, sarebbe intervenuto solo nel 2019 a fronte di violazioni fiscali commesse nel 2018 e non vi sarebbe stata una esatta descrizione delle condotte attribuite al ricorrente in relazione alle singole violazioni fiscali generatrici della provvista illecita.
4.2.14. Con il quattordicesimo motivo di ricorso, si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche ed al trattamento sanzionatorio.
La Corte non avrebbe tenuto conto del fatto che il ricorrente aveva reso ampie dichiarazioni confessorie, non reticenti, genuine e precoci, accusando alcuni correi e fornendo spunti investigativi importanti, che il ricorso elenca,
GLYPH
sottolineando l’assenza di precedenti penali e l’illogica disparità di trattamento con altri coimputati che hanno definito la loro posizione processuale, anche attraverso il rito del patteggiamento sulla pena.
Si dà atto che nell’interesse del ricorrente sono stati depositati motivi nuovi a firma dell’Avv. NOME COGNOME con i quali si insiste nei motivi di ricorso inerenti alla eccezione di incompetenza territoriale, alla sussistenza dei reati tributari e di autoriciclaggio ed al ruolo di capo e promotore del reato di associazione per delinquere.
5. Amoroso NOME.
5.1. Con il primo motivo di ricorso, si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità per i reati tributari.
La sentenza impugnata non avrebbe tenuto in adeguato conto il fatto che dalle conversazioni intercettate era emerso come il ricorrente, in tre occasioni, aveva venduto al coimputato NOME COGNOME dietro corrispettivo, quanto occorrente per la gestione di tre aziende fittizie, al fine di consentire a quest’ultimo l’evasione dell’IVA e delle accise.
Una volta venduto il “pacchetto” (composto da visura camerale, partita iva, estremi del conto corrente, password di accesso ai sistemi home banking, chiavette e timbro), il ricorrente si sarebbe disinteressato della gestione della società cartiera e non avrebbe concorso alla commissione dei reati tributari.
La cronologia delle intercettazioni, il cui contenuto è stato utilizzato dalla Corte di appello e che vengono citate in ricorso a partire dal dialogo del 26 aprile 2019 intercorso tra il ricorrente ed il coimputato NOME COGNOME darebbe conferma dell’assunto difensivo, dimostrando che l’intervento del ricorrente avveniva solo nella fase della vendita del “pacchetto” e non in quella della gestione delle aziende fittizie, laddove l’NOME si era servito di altri soggetti.
Tutte le fatture inerenti alla gestione delle società sarebbero successive all’opera prestata dall’imputato nei termini detti. Egli, pertanto, non avrebbe potuto essere considerato come amministratore di fatto delle società fittizie procurate ad NOME.
5.2. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce vizio della motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza del ruolo organizzativo del ricorrente in seno alla associazione per delinquere di cui al capo C.
La Corte avrebbe omesso di considerare che soltanto tre ditte fittizie erano state procurate dall’imputato, a fronte delle tredici rilevate al processo. Inoltre, la sentenza confonderebbe i vantaggi conferiti al sodalizio criminoso con l’attività organizzativa individuata dai principi giurisprudenziali richiamati in ricorso.
L’attività del ricorrente si sarebbe svolta all’esterno del perimetro associativo, essendosi egli adoperato per recuperare i contanti pervenuti sui conti correnti bancari intestati ai prestanome delle società da lui procurate (cosiddetti “spalloni”), senza alcuna attribuzione di poteri organizzativi nella fase esecutiva, al contrario svolti da NOME COGNOME al quale era riconosciuta anche potestà decisionale e dal quale il ricorrente si limitava a prendere ordini senza essere dotato di alcuna autonomia.
5.3. Con il terzo motivo di ricorso, si eccepisce l’illegittimità costituzionale dell’art. 416 cod. pen. nella parte in cui fa riferimento a soggetti che organizzano l’associazione, dal momento che in questa dizione, dal contenuto vago, non si riuscirebbe a differenziare la figura dell’organizzatore di un singolo reato satellite dalla figura dell’organizzatore quale elemento apicale dell’associazione, specie ove si debba distinguere questa condotta da quella del capo o del promotore, con consequenziale violazione dell’art. 25, secondo comma, Costituzione in relazione all’art. 1 cod. pen.
6. Grutteria Aldo.
6.1. Con il primo motivo di ricorso, si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità per il reato di partecipazione alla associazione per delinquere di cui al capo C, unico reato per il quale il ricorrente è stato condannato.
La Corte di appello avrebbe offerto una motivazione illogica e contraddittoria nella misura in cui ha assolto il ricorrente dal reato di autoriciclaggio di cui al capo H, originariamente contestatogli, mantenendo ferma la condanna, già inflitta in primo grado, per il reato associativo. Ciò, nonostante la piena sovrapponibilità delle condotte illecite contestate, costituite, nell’un caso e nell’altro, nell’aver ricevuto dal coimputato separatamente giudicato COGNOME Giuseppe “una somma di danaro contante, quale storno delle forniture effettuate dalla RAGIONE_SOCIALE (una delle società inserite nel meccanismo fraudolento imbastito dagli associati).
Più in particolare, nel motivare il giudizio assolutorio per il reato di autoriciclaggio (con la formula per non aver commesso il fatto), la Corte di appello ha affermato, da un lato, che la condotta contestata non sarebbe stata oggettivamente provata (fg. 7 del ricorso), dall’altro che il ricorrente non aveva alcuna consapevolezza della esistenza di una gestione in forma organizzata con uomini e mezzi delle attività illecite, non avendovi preso parte ed avendo avuto rapporti personali solo con il coimputato COGNOME ignaro di quanto si verificasse a monte ed a valle della sua condotta, non integrativa di alcun reato fine né di un contributo, stabile e duraturo, alla esistenza o al rafforzamento del
sodalizio illecito, mancando ogni altro elemento dimostrativo in tal senso riferibile alla sua specifica posizione processuale. Ne sarebbe dovuta conseguire l’esclusione del dolo di partecipazione al reato associativo e, prima ancora, dell’elemento oggettivo del reato.
Inoltre, come era stato dedotto con l’atto di appello, mancherebbe la prova stessa della esistenza dell’unica condotta illecita di ricezione di danaro corrisposto dal sodale COGNOME, non visualizzata dalle telecamere che avevano ripreso l’unico incontro tra il ricorrente ed il coimputato, né ricavabile da altri dati (a meno di non voler ricorrere a mere presunzioni o affermazioni generalizzanti), non essendo attendibile e dimostrativo il prospetto contabile attribuito al COGNOME, non emergendo alcunché dalle intercettazioni e non potendosi valorizzare, senza invertire illegittimamente l’onere della prova, la mancanza di giustificazioni del ricorrente circa la natura dell’incontro con COGNOME.
6.2. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, non avendo la Corte valorizzato l’assenza di precedenti penali, la posizione marginale già ritenuta dal primo giudice e la minima intensità del dolo.
6.3. Con il terzo motivo di ricorso, ci si duole del diniego del beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, nonostante la Corte di appello abbia concesso la sospensione condizionale della pena.
Il ricorso richiama, in proposito, le ragioni a sostegno del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e chiede alla Corte di cassazione di procedervi d’ufficio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto da RAGIONE_SOCIALE è fondato, mentre non lo sono quelli proposti da NOME e NOMECOGNOME
Il ricorso proposto da COGNOME NOME è inammissibile perché proposto per motivi manifestamente infondati.
1. NOMECOGNOME
Il ricorrente è stato condannato, in entrambi i gradi di merito e con conforme giudizio, per il reato di associazione per delinquere di cui al capo C, quale capo e promotore, per una serie di reati tributari con connesso falso (capi C1, C2, E, E1, E2) e per il reato di autoriciclaggio di cui al capo H.
Gli è stata inflitta una pena, ridotta in appello, di anni sette di reclusione ed euro 10.000 di multa.
Con il ricorso l’imputato non contesta il giudizio di responsabilità per il reato associativo e per i reati fiscali, avendo confessato gli addebiti (cfr. fg. 101 della sentenza impugnata). Non contesta neanche l’oggettività delle operazioni sussunte dai giudici di merito nella fattispecie di cui all’art. 648.ter.1. cod. pen.
1.1. Quanto al primo motivo, il ricorrente sostiene che il reato di autoriciclaggio di cui al capo H non potrebbe ritenersi sussistente in quanto commesso prima e non dopo rispetto ai reati di evasione fiscale dell’IVA di tipo “dichiarativo” attribuiti alle società cartiere e la cui consumazione, rapportata alla data delle dichiarazioni infedeli od omesse da parte di tali società fittizie, si sarebbe avuta solo successivamente alle condotte di ostacolo alla identificazione della provenienza delittuosa dei proventi.
D’altra parte, si sottolinea, solo i reati tributari di tipo dichiarati commessi dalle società cartiere – al contrario di quelli relativi alla emissione di fatture per operazioni inesistenti attribuiti ai titolari di fatto o di diritt deposito fiscale (la RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE) – potevano creare la riserva patrimoniale illecita da ripulire attraverso le ulteriori condotte volte a dissimularne l’origine.
A sostegno del proprio assunto, il ricorrente richiama il principio di diritto, che reputa adattabile al caso in esame, secondo cui, non integra il delitto di riciclaggio la condotta di sostituzione di somme sottratte agli obblighi di pagamento fiscali mediante delitti in materia di dichiarazione se il termine di presentazione della dichiarazione annuale non sia ancora decorso e la stessa non sia stata ancora presentata, atteso che il delitto di riciclaggio non può consumarsi prima del delitto presupposto (Sez. 2, n. 30889 del 09/09/2020, COGNOME, Rv. 279913; tale principio ha trovato generale conforto anche in una successiva pronuncia, resa da Sez. 5, n. 138 del 20/09/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282730).
Su tale censura – che era stata posta con l’atto di appello – la Corte territoriale, a fg. 120 della sentenza impugnata, ha risposto nei seguenti termini, a giustificazione della ritenuta infondatezza: “detto delitto (l’autoriciclaggio), come detto, trova i propri reati presupposto proprio in quelli fiscali di disposizione di plurime fatture soggettivamente e oggettivamente inesistenti, realizzati nell’immediatezza della loro emissione e che hanno creato, presso i conti delle cartiere, l’ingente provvista di danaro che veniva – successivamente – ripulita mediante l’articolata rete di autoriciclaggio gestita, tra gli altri, dall’COGNOME dall’COGNOME e dal COGNOME“.
Al di là della infelice risposta fornita dalla Corte di appello in questo specifico passaggio motivazionale, richiamato anche in ricorso, dall’analisi del capo di imputazione e di tutta la motivazione della sentenza impugnata e di quella, ancor più dettagliata, del Tribunale, si rinvengono elementi certi, non
contestati dal ricorrente in punto di fatto, per ritenere che l’assunto difensivo è infondato.
1.1.1. Il capo di imputazione sub H, con il quale è stato contestato al ricorrente il delitto di autoriciclaggio, indica un numero considerevole di condotte continuate commesse dall’imputato e da parecchi correi, la maggior parte dei quali separatamente giudicati.
Per quel che qui rileva, il ricorrente aveva agito nella qualità di capo e promotore dell’associazione per delinquere descritta al capo C, che si estende, come da imputazione, dall’anno 2017 al mese di ottobre 2020.
La contestazione sub capo H, individua quali reati presupposto rispetto all’autoriciclaggio, i delitti di cui ai capi C, E, ed F (1 a 13) e quale provento da ripulire “parte della provvista di carburante e finanziaria di origine delittuosa”. Il tempus commissi delicti è indicato “almeno dal 2018 e comunque fino al 2021”.
1.1.2. Fatta questa premessa, deve, in primo luogo, rilevarsi che è lo stesso ricorrente ad affermare, nelle sue dichiarazioni (cfr. fg. 180 della sentenza impugnata) che l’attività fraudolenta commessa in forma organizzata, volta alla evasione fiscale ed all’ottenimento di una provvista illecita da riciclare, aveva avuto inizio nel gennaio del 2018.
A conferma, vi è prova concreta, a tacer d’altro, del fatto che proprio da quel periodo tale attività illecita organizzata aveva comportato l’ottenimento di provvista illecita, costituita da carburante, che andava ripulita attraverso condotte riciclatorie.
Basta, in proposito, richiamare l’analisi dei rapporti, iniziati a gennaio del 2018, tra il coimputato separatamente giudicato COGNOME Giuseppe (attraverso la RAGIONE_SOCIALE) ed il ricorrente COGNOME NOME, secondo quanto più avanti sarà evidenziato a proposito di quest’ultimo ed in relazione al resoconto offerto ai fgg. 411 e segg. della sentenza di primo grado, richiamata da quella di appello.
Tale operazione di autoriciclaggio di “parte della provvista di carburante” (come da imputazione, che ne dettaglia i contenuti), era avvenuta, nel 2018, senza che a monte vi fosse stato alcun pagamento dell’IVA da parte delle società cartiere ed alcuna dichiarazione fedele nei termini previsti dalla legge, circostanze che ne consentivano la vendita a prezzi concorrenziali ai titolari dei distributori e lo “storno” di denaro a loro favore.
1.1.3. Pertanto, nel caso in esame, per le particolari modalità – come restituite dalle sentenze di merito – che aveva assunto la commissione del reato associativo nel periodo di interesse, esso reato, attraverso la perpetrazione di innumerevoli reati-fine, aveva prodotto ampie riserve patrimoniali illecite che, nel corso della vita dell’associazione, fino al 2020, erano state oggetto di
GLYPH
incessante attività di autoriciclaggio in forma continuata, secondo quanto contestato al capo H.
Il ricorrente è stato considerato il leader del gruppo criminale e l’ideatore del marchingegno illecito che dall’evasione dell’IVA sulla vendita del carburante (e, in un secondo tempo, anche delle accise) portava, dopo un percorso programmato, diramatosi senza sosta dall’inizio del 2018 al 2020, all’ottenimento di denaro contante ripulito e, medio tempore, nuovamente reinvestito dall’associazione per perpetuare le illecite compravendite.
A ciò si aggiunga che tra le condotte ascritte nell’imputazione all’alveo di quelle costituenti autoriciclaggio, non vi erano solo quelle che avevano come presupposto i reati tributari di natura dichiarativa posti in essere dalle società cartiere, ma anche le operazioni connesse alla operatività di una società che non era una cartiera (la RAGIONE_SOCIALE) e l’acquisto di depositi commerciali da ricondurre all’associazione quale investimento degli illeciti profitti da essa ottenuti (cfr., particolare, la dettagliata analisi effettuata ai fgg. 760 e segg. della sentenza del Tribunale, richiamata da quella di appello).
Rispetto a tali ultime operazioni di incremento aziendale, descritte sia nella imputazione che nelle sentenze di merito, il ricorrente non può sollevare alcuna questione di indeterminatezza della contestazione, preclusagli dalla scelta del rito abbreviato (in questo senso, Sez. 4, n. 18776 del 30/09/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269880).
Ne consegue che il reato associativo, per la sua particolare estrinsecazione concreta, risulta, nella specie, avere funto, fin dall’inizio del 2018, da reato presupposto rispetto a quello di autoriciclaggio, come da ipotesi accusatoria; ciò è sufficiente per ritenere infondata la tesi difensiva ed integrata quest’ultima fattispecie di reato a carico dell’imputato, con assorbimento di ogni altra obiezione.
1.2. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
La Corte di appello, ai fgg. 221 e 222 della sentenza impugnata, ha reso ampia motivazione in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche, valorizzando le gravi modalità della condotta per il fatto di essersi estrinsecata in forma organizzata per un lungo lasso temporale, attraverso la commissione di parecchi reati e con assenza di ogni scrupolo, a dimostrazione della inclinazione a delinquere del ricorrente, della sua negativa personalità e pericolosità sociale.
Si è fatto espresso riferimento, quindi, ad alcuni parametri di cui all’art. 133 cod. pen., dovendosi rammentare che ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche, è sufficiente che il giudice di merito prenda in esame quello, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno la concessione del beneficio; ed anche
un solo elemento che attiene alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente per negare o concedere le attenuanti medesime. (da ultimo, Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549; Sez. 2, n. 4790 del 16/01/1996, Romeo, Rv. 204768).
Per tali ragioni, il ricorso, proposto per motivi complessivamente infondati, deve essere rigettato.
2. NOME COGNOME
Il ricorrente è stato condannato nei due gradi di merito, con conforme giudizio, per il reato di associazione per delinquere di cui al capo C, quale capo e promotore, per una serie di reati tributari con connesso falso (capi C1, C2, E, E1, E2, F10, F10.1., F11, F11.1., F12, F12.1., F13, F13.1.) e per il reato di autoriciclaggio di cui al capo H.
Gli è stata inflitta una pena, ridotta in appello, di anni sette di reclusione ed euro 9.000 di multa.
Ha reso dichiarazioni ammissive di alcuni fatti, tra i quali quelli di autoriciclaggio (cfr. fg. 102 della sentenza).
I ricorsi, proposti per motivi complessivamente infondati, devono essere rigettati.
2.1. Deve darsi priorità logica ai motivi di carattere processuale contenuti nel ricorso a firma dell’Avv. NOME COGNOME che devono essere ritenuti inammissibili perché generici e, in parte, non consentiti.
2.1.1. Il primo motivo parrebbe essere una introduzione agli altri motivi e si limita a lamentare l’ingiustificata omissione delle deduzioni difensive, senza, tuttavia, specificare quali siano le deduzioni pretermesse e la loro rilevanza ai fini della decisione, così evidenziandosi come del tutto generico.
2.1.2. Sono altrettanto generici, nel senso qui di seguito chiarito, tutti i motivi inerenti alla presunta inutilizzabilità delle intercettazioni (secondo, terzo quarto, quinto e sesto motivo di ricorso) e quello relativo alla inutilizzabilità degl esiti investigativi che si assume essere stati effettuati dopo il termine previsto dalla iscrizione del nome dell’allora indagato nell’apposito registro (settimo motivo).
In tema di ricorso per cassazione, è onere della parte che eccepisce l’inutilizzabilità di atti processuali indicare, pena l’inammissibilità del ricorso genericità del motivo, gli atti specificamente affetti dal vizio e chiarirne altresì incidenza sul complessivo compendio indiziario già valutato, sì da potersene inferire la decisività in riferimento al provvedimento impugnato (Sez. U, n. 23868 del 23/04/2009, Fruci, Rv. 243416). Inoltre, nell’ipotesi in cui con il ricorso per cassazione si lamenti l’inutilizzabilità di un elemento a carico, il motivo di
GLYPH
impugnazione deve illustrare, a pena di inammissibilità per aspecificità, l’incidenza dell’eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta “prova di resistenza”, in quanto gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l’identic convincimento (Sez. 3, n. 3207 del 02/10/2014, dep. 2015, Calabrese, Rv. 262011).
Nel caso in esame, non è contestato che la prova di responsabilità a carico del ricorrente, come si evince immediatamente dalla lettura delle motivazioni delle due sentenze di merito, è stata tratta non soltanto dalle intercettazioni, ma da corpose verifiche della Guardia di Finanza, da documentazione bancaria, sequestri di documenti e di danaro, dichiarazioni confessorie dei coimputati (anche dei ricorrenti COGNOME e COGNOME) e, in parte, dello stesso ricorrente, nelle quali si ritrovano chiamate in correità convergenti tra loro ed assistite da riscontri estrinseci diversi dalle intercettazioni.
Il ricorso non si cimenta minimamente nella prova di resistenza, che avrebbe dovuto essere rivolta alla verifica della tenuta dell’impianto accusatorio anche senza le intercettazioni asseritamente inutilizzabili o le investigazioni svolte fuori termine; peraltro, né le une né le altre sono state indicate con il necessario quoziente di specificità.
2.1.3. E’ inammissibile, perché non consentito, anche l’ottavo motivo di ricorso, con il quale è stata eccepita l’incompetenza territoriale dell’autorità giudiziaria di Reggio Calabria.
Come prevede l’art. 438, comma 6-bis, cod. proc. pen. – norma introdotta successivamente alla sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte citata dal ricorrente – la scelta del ricorrente di definire la sua posizione processuale con il rito abbreviato, preclude ogni possibilità di sollevare questioni sulla competenza per territorio del giudice. E ciò, indipendentemente dal fatto che la eccezione fosse stata o meno sollevata dall’imputato prima della sua scelta di definizione del processo con il rito a prova contratta.
2.2. Quanto alle censure che ineriscono al giudizio di responsabilità, con i primi due motivi di ricorso a firma dell’Avv. NOME COGNOME si censura la sentenza impugnata in relazione alla condanna del ricorrente per i reati tributari.
2.2.1. I motivi sono generici e non tengono per nulla in conto, in primo luogo, del fatto – ammesso finanche a fg. 20 dell’altro ricorso, a firma dell’Avv. COGNOME – che lo stesso ricorrente, dichiarando di avere avuto un ruolo nelle condotte di autoriciclaggio di cui al capo H, aveva sostanzialmente confessato anche gli addebiti fiscali contestatigli, affermando di avere reperito ditte compiacenti (alcune cartiere), di avere effettuato con esse – e, dunque,
amministrandole di fatto – operazioni di bonifico utili alla monetizzazione dei proventi illeciti e di avere risolto problematiche verificatesi nella fase d pagamento dei bonifici (cfr. fgg. 187, 188 della sentenza impugnata).
Tali affermazioni erano state, in secondo luogo, corroborate da quelle rese dal COGNOME (cfr. fg. 183), altra importante circostanza del tutto omessa in ricorso.
In terzo luogo, la Corte di appello ha dato atto – in un passaggio decisivo della motivazione che il ricorrente non richiama – del coordinamento dell’attività dell’imputato con quella del Sabatino, dal momento che “ogni ordine di carburante stabilito dal Sabatino, poggiava su un giroconto/bonifico o su altra operazione bancaria che nel frattempo NOME effettuava utilizzando token, chiavette e credenziali di accesso ai conti, che gli consentivano una operatività da remoto in tempo reale ed a raggiera sulla galassia delle società, ditte, teste di legno e spalloni, asserviti come vere e proprie pedine di uno scacchiere di cui i due sodali dettavano i tempi e le modalità di sfruttamento” (fg. 190 della sentenza impugnata).
Le circostanze di fatto poste alla base di queste osservazioni (sul possesso dei mezzi per operare per conto delle società e sull’attività di autoriciclaggio) non sono smentite dalle censure difensive ed ancora una volta erano state ammesse dal ricorrente, più o meno esplicitamente.
Infine, la sentenza impugnata (cfr. fg. 191) ha dato conto del fatto che l’imputato, proprio in forza del ruolo assunto – più avanti meglio inquadrato rispetto al reato associativo – si era coordinato con il COGNOME:
nel cambio di strategia inerente alla società RAGIONE_SOCIALE (compagine assunta come deposito fiscale nella strategia illecita), intervenuto dopo il controllo della Agenzia delle Entrate del febbraio 2019, fornendo il denaro necessario per la intestazione della società a soggetto prestanome e liquidando le quote di altri correi;
nel pagamento delle accise tramite la predisposizione di F24 fasulli utilizzando la provvista di alcune società cartiere;
nell’investire somme utilizzate per la cessione del contratto di affitto tra la RAGIONE_SOCIALE ed altra società relativa a dei locali da adibire a deposito.
Nel che, l’esatta rappresentazione del suo ruolo di amministratore di fatto, in coordinamento con il coimputato COGNOME, anche della RAGIONE_SOCIALE, circostanza della quale il ricorso dubita senza, tuttavia, richiamare simili e decisive emergenze, rimaste indenni rispetto alle critiche difensive.
2.2.2. Solo per completezza si segnala che il richiamo operato dal ricorrente alla norma di cui all’art. 9 d.l.vo 74/2000, che regola, escludendola,
GLYPH
una particolare ipotesi di concorso di persone nel reato tra il soggetto che emette fatture per operazioni inesistenti ed il soggetto che le utilizza, appare improprio, dal momento che all’imputato non è stato contestato il reato di cui all’art. 2 stesso decreto 74/2000 in concorso con quello previsto dall’art. 8, mentre nessuna interferenza si pone, seguendo il costrutto della sentenza, tra la commissione dei reati tributari e l’autoriciclaggio, secondo quanto già si è evidenziato a proposito del ricorrente COGNOME in ordine alle modalità con le quali si era snodata la vicenda illecita nel suo insieme.
2.3. Sono complessivamente infondate tutte le censure, contenute in entrambi i ricorsi proposti nell’interesse del ricorrente, inerenti al giudizio d responsabilità per il reato associativo di cui al capo C.
2.3.1. Deve, in primo luogo, rilevarsi la genericità della censura contenuta nel dodicesimo motivo del ricorso a firma dell’Avv. COGNOME laddove è stata sostenuta l’assenza di prova dell’esistenza di una struttura illecita di tipo organizzato.
L’assunto, invero assai laconico e non oggetto degli altri ricorsi, non tiene conto delle dichiarazioni confessorie del ricorrente COGNOME unite alla moltitudine di circostanze evidenziate dalla sentenza impugnata idonee ad escludere che la congerie coordinata di reati tributari collegati a quello di autoriciclaggio dei proventi ottenuti dai primi, fosse manifestazione di un mero concorso di persone nei delitti. A fg. 176 della sentenza impugnata, vengono richiamati alcuni dati decisivi del tutto pretermessi dal ricorrente, quali quell estratti da una intercettazione nella quale il Sabatino spiegava ad un correo l’esistenza di una ripartizione di utili ben strutturata nel tempo rispetto ad un “lavoro unitario”.
Si evidenziava, altresì, in sentenza, l’esistenza di una ripartizione di ruoli, l’uso di cellulari e computer dedicati, l’esistenza di una cassa comune, la ripetitività dei comportamenti illeciti costituenti i reati-fine in un lungo la temporale e con cadenza continua, a testimonianza di un programma indeterminato nel tempo e destinato a durare ben oltre la commissione di questo o quel reato fine. Si tratta di elementi decisivi a determinare quel quid pluris necessario per la configurazione di una associazione per delinquere rispetto al mero concorso di persone nei singoli reati.
Val la pena di ricordare che, nel concorso di persone nel reato continuato, l’accordo criminoso è occasionale e limitato, in quanto volto alla sola commissione di più reati ispirati da un medesimo disegno criminoso, mentre le condotte di partecipazione e promozione dell’associazione per delinquere presentano i requisiti della stabilità del vincolo associativo e dell’indeterminatezza del programma criminoso, elementi che possono essere provati anche attraverso la
GLYPH
iiv
valutazione dei reati scopo, ove indicativi di un’organizzazione stabile e autonoma, nonché di una capacità progettuale che si aggiunge e persiste oltre la consumazione dei medesimi (cfr., Sez. 2, n. 22906 del 08/03/2023, COGNOME, Rv. 284724; Sez. 5, n. 1964 del 07/12/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 274442).
2.3.2. Quanto al ruolo del ricorrente all’interno della compagine associativa, basta richiamare quanto è stato evidenziato a proposito della sussistenza dei reati tributari, tenendo conto del fatto che lo stesso imputato ha ammesso di aver compiuto le condotte di autoriciclaggio e tutte le operazioni, ivi compreso l’utilizzo di terzi soggetti nell’incasso del danaro poi ritornato ai sodali, volte a dissimulare l’identificazione della provenienza delittuosa della provvista, scoperta solo attraverso approfondite indagini, a conferma della sussistenza oggettiva del reato di cui all’art. 648-ter.1. cod. pen.
La partecipazione con funzioni apicali all’organismo associativo, è stata tratta dal fatto che il ricorrente gestiva uno dei settori nevralgici del sistema illecito, quello della divisione dei profitti e della monetizzazione delle frodi fisca attraverso la ripulitura dei proventi.
Ciò, in totale autonomia d’azione, come ha specificato la sentenza impugnata, senza escludere la cointeressenza con il coimputato COGNOME e gli altri soci. Egli, inoltre, aveva il precipuo ruolo, non contestato, di cassiere del gruppo.
Ancora – come si è detto e contrariamente a quanto si sostiene nei ricorsi – l’imputato era intervenuto anche nelle fasi del marchingegno illecito diverse rispetto all’autoriciclaggio, ingerendosi direttamente nella amministrazione di fatto della RAGIONE_SOCIALE ed in quella di altre società cartiere, così escludendosi ogni circolarità della prova tra le condotte di autoriciclaggio (oggetto di confessione) e quelle associative.
Infine, la Corte di appello, in conformità con il giudizio del Tribunale, ha dato una interpretazione non manifestamente illogica ma, al contrario, coerente con le risultanze fin qui sintetizzate, della conversazione nella quale il COGNOME, dialogando con il ricorrente, faceva riferimento al fatto che entrambi fossero partecipi al 25% ciascuno dell’affare della RAGIONE_SOCIALE (l’altro 50% appartenendosi ad altri due coimputati separatamente giudicati), sottolineando la genuinità del dialogo e la coerenza di tale assunto con l’imponente ruolo criminale svolto dall’NOME (cfr. fg. 189 della sentenza impugnata).
E’ noto che, secondo la costante giurisprudenza della Corte di cessazione, cui anche il Collegio intende prestare adesione, in materia di intercettazioni l’interpretazione del linguaggio e del contenuto delle conversazioni costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, che si sottrae al sindacato di legittimità se motivata in conformità ai criteri della logica e delle
massime di esperienza (cfr., Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, COGNOME, Rv. 282337; Sez. 6, n. 11794 del 11/02/2013, Melfi, Rv. 254439).
D’altra parte, la compromissione del ricorrente nella realtà associativa, al fianco del COGNOME e non in posizione a questi subordinata, risulta anche da altra conversazione nella quale l’imputato si accomunava al correo nella vittoria della loro iniziativa criminale e nella esigenza di dover tirare fuori dalla RAGIONE_SOCIALE tut l’utile possibile prima del suo abbandono alla decozione (“abbiamo vinto ormai e dobbiamo solo tirare fuori”, cfr. fg. 189 della sentenza impugnata).
2.3.3. E’ privo di pregio, ai fini di escludere la responsabilità del ricorrente per il reato associativo con funzioni apicali, l’assunto difensivo secondo il quale egli avrebbe agito illecitamente in un breve lasso temporale ed in un periodo successivo alla nascita del sodalizio.
In punto di diritto, ai fini della configurabilità del reato di partecipazione un’associazione per delinquere comune o di tipo mafioso, non è necessario che il vincolo tra il singolo e l’organizzazione si protragga per una certa durata, ben potendo, al contrario, ravvisarsi il reato anche in una partecipazione di breve periodo (cfr., Sez. 5, n. 18756 del 08/10/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 263698; Sez. 1, n. 31845 del 18/03/2011, D., Rv. 250771).
Da tale principio si trae implicitamente la (persino ovvia) regola secondo cui è indifferente che il partecipe ad una associazione per delinquere abbia assunto tale ruolo fin dal momento della costituzione dell’organismo illecito, potendo subentrarvi successivamente.
Nel caso in esame, non soltanto la partecipazione del ricorrente all’associazione si era protratta per un lungo lasso temporale, decorrente dagli inizi del 2019 al 2020, ma la condotta compiuta non aveva avuto soluzione di continuità e si era mantenuta su una posizione di gestione di vertice degli interessi del gruppo, nei termini detti, fino alla fine della vicenda, secondo quanto emerge dalla ricostruzione dei giudici di merito.
2.4. Per quanto attiene alla questione giuridica, posta anche dal ricorrente, relativa alla sussistenza del reato di autoriciclaggio in quanto commesso successivamente alla commissione dei reati presupposto, si rinvia a quanto già esplicitato a proposito del ricorrente COGNOME (punto 1.1. delle presenti considerazioni in diritto), stante l’identità di posizioni tra i due imputati rispe alla circostanza che il reato associativo, del quale entrambi sono stati ritenuti responsabili con funzioni di vertice, era, nella specie, idoneo a produrre provvista illecita.
2.5. Infine, è manifestamente infondata la censura inerente ad una presunta violazione del diritto di difesa dovuta alla diversa qualificazione della condotta apicale del ricorrente.
Il laconico riferimento operato nell’undicesimo motivo del ricorso a firma dell’Avv. COGNOME ha come termine di paragone non la sentenza impugnata conforme all’imputazione nell’aver ritenuto il ricorrente capo e promotore del sodalizio illecito di cui al capo C – bensì la requisitoria del Pubblico ministero, che aveva inquadrato la figura dell’imputato come organizzatore e non come capo o promotore.
E’ evidente che tale differente attribuzione di ruolo, che sarebbe stata, peraltro, priva di conseguenze sul piano sanzionatorio e della qualificazione del reato, non è stata recepita dalla sentenza impugnata e non ha, per questo, potuto determinare alcuna mancata correlazione tra l’imputazione e la statuizione adottata; fermo restando che, in ogni caso, si sarebbe trattato di una diversa modalità della stessa condotta contestata e non di una diversità strutturale dell’addebito idonea ad integrare la nullità prevista dall’art. 522 cod. proc. pen.
Tanto assorbe e supera ogni ulteriore argomentazione difensiva volta a censurare il giudizio di responsabilità del ricorrente, anche con riferimento a quanto oggetto dei motivi nuovi.
2.6. Sono manifestamente infondati i motivi di entrambi i ricorsi inerenti al diniego delle circostanze attenuanti generiche ed al trattamento sanzionatorio.
La Corte di appello, ai fgg. 214-217 della sentenza impugnata, ha reso ampia motivazione in proposito, valorizzando le gravi modalità della condotta per il fatto di essersi estrinsecata in forma organizzata per un considerevole lasso temporale, attraverso la commissione di parecchi reati e con assenza di ogni scrupolo, a dimostrazione della inclinazione a delinquere del ricorrente, della sua negativa personalità e pericolosità sociale, aggravata dalla vicenda del ritrovamento della somma di 200 mila euro, valutata come assai grave per il fatto che il ricorrente aveva dimostrato di essere ancora in contatto con correi anche quando si trovava già in carcere, così da tentare di strumentalizzare in suo favore la circostanza, comunque costitutiva di un ristoro assai modesto rispetto al profitto negli anni conseguito dagli imputati colpevoli del reato associativo.
La Corte, inoltre, con argomenti tratti dal merito del giudizio qui non più rivedibile, non ha ritenuto che le dichiarazioni del ricorrente fossero state così collaborative da avere un peso preponderante rispetto ai dati indicati a suo sfavore.
La motivazione è conforme ai principi di diritto richiamati al paragrafo 1.2. delle presenti considerazioni in diritto.
3. Amoroso NOME.
Il ricorrente è stato condannato, nei due gradi di merito, per il reato di associazione per delinquere di cui al capo C, quale organizzatore, nonché per una
serie di reati tributari (capi F12., F12.1., F13., F13.1.) e per il reato autoriciclaggio di cui al capo H.
Gli è stata inflitta la pena, ridotta in appello, di anni sei di reclusione e euro 7.000 di multa.
Nel ricorso l’imputato non contesta la sua responsabilità per il reato di autoriciclaggio, avendo confessato l’addebito (vedi fg. 103 della sentenza impugnata).
Il ricorso è inammissibile perché proposto per motivi generici e, comunque, manifestamente infondati.
3.1. In ordine al primo motivo, con il quale si censura il giudizio di responsabilità per i reati tributari, se ne deve rilevare il carattere aspecifico rispetto al complesso delle valutazioni offerte dalla sentenza impugnata.
3.1.1. Il ricorrente non contesta la circostanza di avere procurato al coimputato NOMECOGNOME dietro compenso, tre società fittizie intestate a soggetti prestanome, formalmente esercenti l’attività di commercio all’ingrosso di prodotti petroliferi, per perpetuare il meccanismo fraudolento che portava alla illecita evasione dell’IVA ed alla successiva ripulitura del profitto. Si tratta dell società RAGIONE_SOCIALE di COGNOME Antonio, Ditta Individuale RAGIONE_SOCIALE di Ercolano NOME e COGNOME di NOME.
L’imputato ha ammesso che, in tutte e tre le occasioni, egli aveva consegnato ad NOME una “cartellina” contenente la visura camerale, la partita IVA, gli estremi del conto corrente, la password di accesso ai sistemi di home banking, le relative chiavette (token) ed il timbro delle società (cfr. fgg. 71 e 72 della sentenza impugnata).
Con riguardo a due delle tre società (la Ditta RAGIONE_SOCIALE di Ercolano Giovanna e la RAGIONE_SOCIALE di NOME), egli è stato ritenuto dai giudici di merito amministratore di fatto, in concorso con NOME ed altri coimputati con posizione separata.
In tale qualità, il ricorrente è stato condannato per avere emesso fatture per operazioni inesistenti (art. 8 d.l.vo 10 marzo 2000 n. 74) ed omessa dichiarazione dell’IVA (art. 5 stesso decreto 74/2000).
Si tratta dei capi di imputazione F.12. ed F.12.1., per quanto inerente alla Ditta Individuale COGNOME e dei capi F.13. ed F.13.1. per quanto relativo alla RAGIONE_SOCIALE di NOMECOGNOME
Di tali imputazioni la sentenza si occupa ai fgg. 75-87.
3.1.2. L’assunto difensivo secondo il quale il ricorrente si sarebbe limitato, in entrambi i casi, a consegnare la “cartellina” ad NOME senza occuparsi della successiva gestione di fatto delle due società, così da essere esente da
w
responsabilità penale connessa a tale attività, è smentita da alcuni elementi processuali sui quali il ricorso ha sorvolato del tutto.
In particolare, la sentenza ha fatto riferimento alla circostanza – tratta da intercettazioni dei dialoghi tra il ricorrente e l’NOME – che egli, su richiest del coimputato, era intervenuto nella gestione da remoto del conto corrente della società Juarez, in epoca in cui essa era già operativa nel sistema illecito, come dimostra il confronto tra la data della conversazione di interesse – del 6 maggio 2019 – e la data di molte fatture emesse dalle società e riportate nei capi di imputazione.
Inoltre, anche nella fase preventiva, il ricorrente dava indicazioni al coimputato sul trasferimento di fondi sul conto della società, dimostrando un ruolo di ben altro peso rispetto alla mera consegna della “cartellina”.
Del pari, con riferimento alla società RAGIONE_SOCIALE, il ricorrente e l’COGNOME discutevano del passaggio tra loro delle chiavette utili per i collegamenti da remoto, del passaggio della amministrazione della società da Amoroso ad COGNOME, del fatto che l’imputato avesse avvertito il correo che il conto della società – operativo dal 15.4.2019, epoca precedente alla conversazione, che è del 2 maggio 2019 (cfr. fgg. 584-586 della sentenza di primo grado, più volte richiamata da quella di appello ed il cui contenuto con essa si fonde stante il conforme giudizio di colpevolezza) – era stato bloccato da Poste Italiane, spiegandone le ragioni.
Di tali decisivi elementi processuali – che smentiscono la generica cronologia degli eventi indicata in ricorso – l’atto di impugnazione non fa alcuna menzione, sicché il giudizio della Corte di appello risulta esente da vizi logicoricostruttivi e giuridici.
3.2. Anche il secondo motivo di ricorso – con il quale si censura il giudizio di responsabilità per il reato associativo di cui al capo C, con funzioni organizzative – è generico.
Il ricorso non si confronta con alcuni decisivi elementi processuali a carico del ricorrente contenuti ai fgg. 183,187, 192-201 della sentenza impugnata.
In primo luogo, la Corte di appello ha dato atto che il coimputato NOME COGNOME chiamando in correità il ricorrente, aveva dichiarato che egli coordinava il giro dei prelievi dagli sportelli ATM, reclutando terzi soggetti adibiti al compit di recuperare il danaro contante (poi consegnato ai vertici dell’associazione), attraverso cui aveva termine il processo di ripulitura dei proventi dell’evasione fiscale.
Tutta la dinamica illecita, ampiamente sviscerata in sentenza (cfr. fgg. 59, 41-43, 100, 101), ricomprendeva nell’ambito associativo sia l’attività volta alla evasione fiscale dell’IVA e delle accise inerenti alla vendita di prodotti petroliferi
– con la costituzione di società cartiere e la commissione di numerosi reati tributari – sia quella finalizzata al riciclaggio (o autoriciclaggio) dei proventi.
La condotta del ricorrente, secondo quanto evidenziato trattando del primo motivo di ricorso, si era dipanata tanto nella fase inerente alla commissione delle frodi fiscali, quanto, come riferito dall’NOME, nella fase successiva, alla prima collegata all’interno di un unico, complessivo programma criminoso.
L’imputato non ha negato di avere reclutato terzi soggetti con il compito di prelevare danaro (da lui chiamati “spalloni”); tuttavia, ha sorvolato, in ricorso, sul fatto che le indagini aveva disvelato (ancor prima delle dichiarazioni di NOME) come tale attività fosse di grosse dimensioni, come l’imputato fosse capace di “ripulire” fino a 120 mila euro al giorno e disponesse di duecento conti personali intestati a persone fisiche compiacenti e da lui controllate, così da rivelare il carattere organizzato della condotta, sempre posta in essere in collegamento con NOMECOGNOME con il quale, a tenore dei dialoghi, aveva un rapporto paritario.
La motivazione della sentenza impugnata, anche in relazione alla sussistenza della responsabilità del ricorrente per il reato associativo di cui al capo C, rimane esente dalle critiche difensive, dal momento che l’estraneità dell’imputato a quel contesto e l’assenza di un ruolo organizzativo in seno al sodalizio sono state sostenute in ricorso attraverso una pretermissione dei dati processuali decisivi. E ciò, sia in relazione alla compromissione del ricorrente nel segmento del programma criminoso volto alla evasione fiscale, con compiti gestionali di due società cartiere (come si è visto trattando del primo motivo), sia nella fase successiva, nella quale si è ancor più rivelata la sua funzione organizzativa volta a realizzare il programma criminoso dell’associazione per delinquere attraverso l’attività di ripulitura dei proventi della frode fiscal correttamente contestatagli a titolo di autoriciclaggio (capo H) e la cui commissione, salvo il ridimensionamento qualitativo e quantitativo della condotta, non è contestata in ricorso.
3.3. La questione di legittimità costituzionale sollevata con il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondata.
L’art. 416, primo comma, cod. pen., distingue l’attività di chi promuove o costituisce una associazione per delinquere da quella di chi la organizza.
Le prime due condotte si riferiscono alla fase di impianto della organizzazione criminale o di sua espansione, la terza a quella del suo concreto svolgimento.
Nessuna possibilità di equivoco può esistere tra queste tre funzioni, svolte, a seconda dei casi, da chi si associa allo scopo di commettere più delitti, rispetto a chi tali funzioni può assumere con riguardo alla commissione di reati-fine, come
è noto, non necessaria affinchè possa ritenersi sussistente il reato di cui all’art. 416 cod. pen.
Ne consegue che la norma è tutt’altro che indeterminata, contemplando anche la figura del capo, che soggiace alla stessa sanzione di chi promuove, costituisce o organizza l’associazione.
In questo senso, la giurisprudenza della Corte di cassazione ha sempre saputo distinguere tra loro le funzioni di vertice di un organismo delinquenziale di tipo organizzato.
Nel reato di associazione per delinquere “capo” è non solo il vertice dell’organizzazione, quando questo esista, ma anche colui che abbia incarichi direttivi e risolutivi nella vita del gruppo criminale e nel suo esplicarsi quotidiano in relazione ai propositi delinquenziali realizzati (Sez. 2, n. 7839 del 12/02/2021, Serio, Rv. 280890).
In tema di reato associativo, riveste il ruolo di promotore non solo chi sia stato l’iniziatore dell’associazione, coagulando attorno a sè le prime adesioni e consensi partecipativi, ma anche colui che contribuisce alla potenzialità pericolosa del gruppo già costituito, provocando l’adesione di terzi all’associazione ed ai suoi scopi attraverso un’attività di diffusione del programma (Sez. 2, n. 52316 del 27/09/2016, Riva, Rv. 268962, nella cui parte motiva la Corte ha precisato che il ruolo del promotore non richiede la partecipazione alla complessiva attività di gestione dell’associazione, nè l’assunzione di funzioni decisionali, trattandosi di condotte che connotano le diverse figure dell’organizzatore e del capo).
Si è inoltre affermato che, in tema di associazione per delinquere, la qualifica di organizzatore spetta all’affiliato che, sia pure nell’ambito dell direttive impartite dai capi e non necessariamente dalla costituzione del sodalizio criminoso, esplica con autonomia la funzione di curare il coordinamento dell’attività degli altri aderenti ovvero l’impiego razionale delle strutture e del risorse associative o di reperire i mezzi necessari alla realizzazione del programma criminoso (Sez. 5, n. 37370 del 07/06/2011, COGNOME, Rv. 250491, in fattispecie relativa all’attività esercitata in seno al sodalizio dedito a commissione di reati fallimentari da parte del professionista impegnatosi nella costituzione di società all’estero strumentali all’occultamento delle risorse finanziarie distratte; nello stesso senso, Sez. 5, n. 39378 del 22/06/2012, COGNOME, Rv. 254317; Sez. 3, n. 2039 del 02/02/2018, COGNOME, Rv. 274816-03; Sez. 6, n. 44064 del 23/10/2024, COGNOME, Rv. 287296).
Proprio quest’ultimo principio si attaglia alla posizione del ricorrente e fa comprendere come, una volta posta la sua specifica condotta in ambito associativo – come compiutamente evidenziatosi nella sentenza impugnata – il
reclutamento di società cartiere e la loro gestione, nonché il reclutamento degli “spalloni”, giustifica la contestazione e ne rende manifesta la sua rilevanza autonoma nell’ordinamento penale senza rischi di indeterminatezza e di confusione alcuna con altri profili di eventuale responsabilità per reati diversi. Sotto questo primo profilo la questione di legittimità costituzione si rivela, pertanto, manifestamente infondata.
Peraltro, alle medesime conclusioni si deve pervenire anche in relazione al secondo profilo proposto.
Deduce il ricorrente che la qualifica di organizzatore assunta nell’ambito del reato associativo riverbererebbe ingiustificati effetti negativi in ordine alla responsabilità e/o al trattamento sanzionatorio sui reati fine commessi dallo stesso organizzatore, in ragione della sua qualifica operativa in seno all’organizzazione criminale, determinando astratte presunzioni di colpevolezza o inopinati aggravamenti di pena nell’ambito delle valutazioni operate ai sensi dell’art. 133 cod. pen.
Dette conclusioni risultano del tutto ingiustificate, attesa l’autonomia e l’indipendenza delle due diverse fattispecie (reato mezzo e reato fine), le cui interazioni possono operare, a determinate condizioni ed in presenza di identità soggettiva, solo ai fini del riconoscimento della continuazione – che costituisce effetto in favor per l’agente – tra le diverse condotte (Sez. 1, n. 39858 del 28/04/2023, COGNOME, Rv. 285369) ovvero attraverso la possibilità di ricavare la prova dell’esistenza del sodalizio dalla commissione dei delitti rientranti nel programma comune e dalle loro modalità esecutive (Sez. 2, n. 33580 del 06/07/2023, COGNOME, Rv. 285126-02): effetti che, in ogni caso, prescindono da inesistenti automatismi valutativi negativi per l’imputato che il legislatore non riconosce e non consente in alcun modo in via interpretativa.
4. Grutteria Aldo.
Il ricorrente è stato condannato nei due gradi di merito, con conforme giudizio, per il reato di associazione per delinquere di cui al capo C, quale mero partecipe.
La Corte di appello, riformando la sentenza di primo grado, lo ha assolto dal reato di autoriciclaggio di cui al capo H.
Per il reato associativo gli è stata inflitta la pena, ridotta in appello, di an uno e mesi quattro di reclusione, condizionalmente sospesa.
4.1. Il primo motivo – con il quale si censura il giudizio di responsabilità è fondato ed ha carattere assorbente.
4.1.1. Deve rilevarsi che l’imputato è stato ritenuto partecipe del sodalizio illecito descritto al capo C in quanto aveva avuto rapporti con uno dei suoi
membri, COGNOME coimputato separatamente giudicato al quale è stata contestata l’assunzione di funzioni organizzative.
Il COGNOME, infatti, come ha spiegato la sentenza impugnata a proposito della posizione del ricorrente (fgg. 204-209), era uno dei soggetti (detti broker) che, attraverso la legale rappresentanza di una delle società inserite nel circuito illecito (la RAGIONE_SOCIALE, aveva a che fare con i titolari di diversi distrib di carburante sparsi sul territorio calabrese, ai quali consegnava, ad un prezzo conveniente, il carburante ottenuto dalla sua società attraverso la intromissione delle società cartiere che lo acquistavano fittiziamente in ogni caso senza pagare VIVA, successivamente provvedendo a consegnare ai titolari dei distributori di carburante una parte di denaro contante in una percentuale dello 0,20-0,50 per ogni litro (cosiddetto “storno”), che rappresentava un ulteriore guadagno per costoro.
Nella “rete commerciale” del De Lorenzo vi era, tra gli altri, il ricorrente RAGIONE_SOCIALE, che aveva avuto rapporti con il coimputato in quanto legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, società con sede in Lamezia Terme che gestiva un impianto di distribuzione di carburanti in Calabria.
Tali rapporti si erano snodati tra il gennaio 2018 ed il 30 aprile 2019 ed in questo lasso temporale – contrariamente a quanto si sostiene in ricorso, laddove, però, non si tiene conto della certosina ricostruzione in fatto effettuata dalla Corte di appello e, ancor meglio, dal Tribunale, cfr. fgg. 421 e segg. della sentenza di primo grado, con il richiamo alla scrupolosa contabilità delle operazioni tenuta dal COGNOME e scoperta in fase di indagini, nonché alle intercettazioni – il ricorrente ed il correo avevano avuto nove incontri finalizzati allo storno del danaro nei termini detti, per complessivi euro 118.064,00 (che non si fosse trattato di un unico incontro, come si sostiene in ricorso, risulta dalla annotazione della frase captata nei quali i due imputati fissavano un appuntamento nel luogo dove si erano visti la volta precedente).
Sulla base di tali acquisizioni, all’imputato erano stati contestati i reati d partecipazione all’associazione per delinquere di cui al capo C e di autoriciclaggio di cui al capo H, per i quali egli era stato condannato nel primo grado di giudizio. La Corte lo ha assolto dal reato di autoriciclaggio ed ha confermato l’affermazione di responsabilità per il reato associativo, ritenendo che il ricorrente, sia pure posto quale ultimo anello della catena criminale, avesse avuto un ruolo nella compagine illecita per la condotta estrinsecatasi nei termini delineati, commessa nella consapevolezza dell’esistenza, a monte, della organizzazione criminale ed in esecuzione del pactum sceleris.
4.1.2. Tuttavia, la sentenza impugnata, ai fgg. 125 e 126, ha escluso la responsabilità del ricorrente per il reato di autoriciclaggio di cui al capo H
GLYPH
ritenendo che egli non avesse avuto consapevolezza della “rete di autoriciclagg io”.
Vale a dire che è stata esclusa la cognizione della dinamica interna al sodalizio criminale, in ragione di quella che è stata tutta la ricostruzione operata in sentenza, posta al termine della catena illecita, la quale prendeva corpo dalla evasione fiscale dell’IVA e delle accise e si concludeva con la ripulitura dei proventi così ottenuti.
Ma l’imputato, secondo l’assunto in suo danno, era inserito proprio in questa fase terminale e non in quella a monte, sicché avere escluso la consapevolezza di questo ultimo segmento dell’iter illecito unico, è in contrasto con l’affermazione secondo cui egli, al contrario, avrebbe avuto contezza dell’esistenza dell’associazione che operava nel segmento antecedente volto alla evasione fiscale, al quale era stato del tutto estraneo.
Per di più, egli aveva avuto rapporti esclusivamente con COGNOME, che aveva operato sempre e solo attraverso la sua azienda (la RAGIONE_SOCIALE) e mai con altri associati o altre aziende, né dalle conversazioni tra gli interessati, riprodott nella sentenza di primo grado, emergono riferimenti del COGNOME ad un gruppo organizzato alle sue spalle.
Che l’esistenza di un sodalizio dedito all’evasione fiscale potesse ipotizzarsi nella mente del ricorrente – a motivo delle modalità dei suoi rapporti con COGNOME e per la loro continuità – è ipotesi plausibile che, però, non si può affermare oltre ogni ragionevole dubbio. Rimane, infatti, altrettanto plausibile salvo ulteriori accertamenti in punto di fatto demandati al giudice del rinvio – che il ricorrente, esperto del settore della distribuzione di carburanti, pur comprendendo chiaramente che vi fosse qualcosa di illecito a monte dell’ottenimento del carburante e dello “storno” di contante in suo favore (condizioni che egli accettava per suo interesse personale, ponendosi come affidabile interlocutore del COGNOME in un losco affare), non avesse contezza che vi fosse una struttura organizzata ai sensi dell’art. 416 cod. pen., potendo il COGNOME avere agito in proprio con la sua azienda od anche in concorso con altri correi ma senza costituire una associazione per delinquere, che necessita di un minimo di tre persone.
Le affermazioni della sentenza non sono rassicuranti in questo senso, perché tendono a presumere (ma non a dare per certa) una conoscenza del ricorrente della esistenza della organizzazione criminale che la stessa Corte ritiene, con frase ambigua, non sia stata “nei minimi dettagli con riferimento a mezzi e persone” (fg. 208 della sentenza impugnata).
Vero è che per far parte di una organizzazione criminale non occorre avere conoscenza di tutti i suoi membri, ma certamente occorre che si abbia piena
contezza dell’esistenza dell’organismo criminale e del suo programma illecito, al quale si aderisce con dolo specifico.
Per tali ragioni e – come detto – con assorbimento in questa sede dei motivi subordinati, la sentenza, quanto alla posizione del RAGIONE_SOCIALE deve
essere annullata con rinvio per nuovo giudizio, che terrà conto dei principi formulati in questa sede.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME Aldo e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Reggio Calabria.
Rigetta i ricorsi di NOME e di NOME COGNOME che condanna al pagamento delle spese processuali.
Dichiara inammissibile il ricorso di COGNOME NOME che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della
Cassa delle Ammende.
Così deciso, il 28/01/2025.