Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 20049 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 2 Num. 20049 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/04/2025
SECONDA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME
R.G.N. 4754/2025
SANDRA RECCHIONE
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a Chiavenna il 13/01/1967 NOME NOME nato a Colazza il 22/07/1958
avverso la sentenza del 24/05/2024 della Corte di appello di Venezia visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità dei ricorsi;
ricorsi trattati in forma cartolare ai sensi dell’art. 611, comma 1-bis, cod. proc. pen.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 24/05/2024 la Corte di appello di Venezia confermava la sentenza emessa dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Verona il 15/05/2023, che all’esito del giudizio abbreviato aveva condannato NOME COGNOME e NOME COGNOME per il reato di autoriciclaggio loro rispettivamente ascritto.
NOME COGNOME a mezzo del difensore, ha interposto ricorso per cassazione, affidandolo ad un unico motivo con cui deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., nonchØ mancanza o manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla mancata individuazione del reato presupposto ed al mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 648-ter.1, comma terzo, cod. pen. Ritiene che il riferimento al reato presupposto di cui all’art. 8 d. lgs. n. 74 del 2000 indicato nel capo di imputazione sia stato inserito per mero errore materiale, anche perchØ nella stessa imputazione l’oggetto dell’autoriciclaggio Ł individuato nei ‘denari provenienti dalla commissione di tali delitti (pari all’importo dell’imposta risparmiata fraudolentemente attraverso la compensazione indebita)’, senza riferimento alcuno a danari provento dell’ipotetica emissione di fatture per operazioni inesistenti; che Ł chiaro che il reato
presupposto sia stato individuato nell’indebita compensazione di cui all’art. 10-quater d. lgs. n. 74 del 2000; che tale ultima norma prevede due diverse ipotesi: al comma 1 disciplina l’indebita compensazione con crediti non spettanti, punita con la pena della reclusione da sei mesi a due anni, al comma 2 l’indebita compensazione con crediti inesistenti, punita con la pena della reclusione da un anno e sei mesi a sei anni; che, nel caso di specie, l’indeterminatezza delle condotte individuate quali reato presupposto e la generica indicazione nello stesso capo di imputazione dell’art. 10quater cit. – senza specificare se comma 1 o comma 2 – avrebbero dovuto, per il principio del favor rei, portare ad individuare il reato presupposto in quello di cui al comma 1 dell’art. 10-quater cit., con la conseguente applicazione della circostanza attenuante prevista dall’art. 648-ter.1, comma terzo, cod. pen.; che, invece, la Corte territoriale ha erroneamente ritenuto che il richiamo all’art. 8 d. lgs. n. 74 del 2000 contenuto nel capo di imputazione chiarisce la natura inesistente del credito portato in compensazione ed esclude l’applicabilità dell’art. 10-quater, comma 1, d. lgs. n. 74 del 2000; che, invero, se i giudici di appello avessero voluto esplicitare che la società RAGIONE_SOCIALE effettuava compensazioni indebite mediante l’utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, avrebbe dovuto far riferimento non già all’illecito di cui all’art. 8 d. lgs. n. 74 del 2000, ma a quello previsto dall’art. 2 dello stesso decreto legislativo; che, infine, la confessione resa dal ricorrente, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di merito, non può essere considerata come un ulteriore strumento per individuare il reato presupposto, atteso che, se Ł vero che il COGNOME ha confessato, Ł altrettanto vero che non può aver confessato di aver perpetrato l’uno o l’altro reato, posto che il reato presupposto non Ł individuabile nell’imputazione.
NOME COGNOME a mezzo del difensore, ha proposto ricorso per cassazione.
2.1. Con il primo motivo deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., nonchØ mancanza o manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla mancata individuazione del reato presupposto. Rileva che la Corte territoriale ha ritenuto di poter risolvere le questioni poste con i motivi di appello, relative all’indeterminatezza del reato presupposto e all’erroneità del richiamo all’art. 8 d. lgs. n. 74 del 2000 nel capo di imputazione, attribuendo a tale indicazione lo scopo di chiarire che i crediti indebitamente compensati deriverebbero dall’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, per cui sarebbero a loro volta crediti inesistenti; che, dunque, il loro utilizzo in compensazione integrerebbe la fattispecie di cui all’art. 10-quater, comma 2, d. lgs. n. 74 del 2000; che, invece, il d. lgs n. 74 del 2000 prevede due diverse ipotesi di reato: all’art. 2 punisce colui che utilizza fatture emesse da terzi per far risultare in contabilità spese in realtà mai sostenute, così riducendo artificiosamente i guadagni e di conseguenza il reddito imponibile (dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti), mentre all’art. 8 punisce colui che, al fine di consentire a terzi di evadere le imposte sul reddito o sul valore aggiunto, emette fatture per operazioni inesistenti; che il successivo art. 9 esclude espressamente che vi possa essere concorso di colui che emette le fatture nel reato commesso da chi le utilizza e viceversa; che, se il capo di imputazione avesse voluto richiamare una norma per indicare che la società amministrata dal ricorrente aveva operato indebite compensazioni grazie alla utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, avrebbe dovuto far riferimento all’art. 2 d. lgs. n. 74 del 2000, non certo al successivo art. 8; che, dunque, costituendo il richiamo all’art. 8 cit. una mera svista, deve trovare applicazione la circostanza attenuante speciale di cui all’art. 648-ter.1, comma terzo, cod. pen.
3.2. Con il secondo motivo eccepisce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., in relazione all’art. 62-bis cod. pen. Osserva che il mancato riconoscimento al ricorrente delle circostanze attenuanti generiche si fonda su una motivazione nulla affatto corretta; che, invero, l’NOME ha ricoperto un ruolo del tutto analogo agli altri amministratori di diritto delle società coinvolte nel presente procedimento ed ha ‘ripulito’ somme di denaro paragonabili a quelle
autoriciclate dagli altri coimputati; che, l’unica differenza rispetto alla posizione del COGNOME va rinvenuta nella mancata confessione; che, tuttavia, si tratta di elemento non dirimente, atteso che gli altri coimputati si sono limitati ad ammettere gli addebiti, senza fornire un contributo per l’individuazione degli altri soggetti coinvolti nella vicenda criminosa per cui si procede, di talchŁ non possono giustificare una simile disparità di trattamento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Entrambi i ricorsi – che, fondandosi su doglianze del tutto sovrapponibili, possono essere trattati congiuntamente – sono inammissibili.
1.1. Il primo motivo, che Ł comune ai due ricorsi, non Ł consentito, perchØ aspecifico, con le precisazioni di cui si dirà, atteso che non tiene conto del percorso logico argomentativo seguito dalla Corte territoriale, che dà ampiamente conto delle ragioni per cui ha ritenuto non configurabile nel caso di specie la circostanza attenuante di cui all’art. 648-ter.1, comma terzo, cod. pen.; senza tacere che reitera le medesime doglianze avanzate nei motivi di appello, ritenute infondate con motivazione completa ed esaustiva dai giudici di secondo grado, nei limiti di seguito precisati.
Peraltro, la sentenza impugnata sul punto costituisce una c.d. doppia conforme della decisione di primo grado, con la conseguenza che le due sentenze di merito possono essere lette congiuntamente costituendo un unico corpo decisionale, essendo stato rispettato sia il parametro del richiamo da parte della sentenza d’appello a quella del Giudice dell’udienza preliminare, sia l’ulteriore parametro costituito dal fatto che entrambe le decisioni adottano i medesimi criteri nella valutazione delle prove Sez. 2, n. 6560 del 08/10/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280654 – 01; Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218 – 01).
Tanto premesso, osserva il Collegio che il primo motivo di entrambi i ricorsi non si confronta con la motivazione del provvedimento nella parte in cui, condividendo le argomentazioni del primo giudice, ha evidenziato come nel disegno criminoso rientrasse la volontà di operare una compensazione tra gli obblighi contributivi gravanti sulle due società formalmente amministrate dagli odierni ricorrenti con crediti IVA fondati su rapporti commerciali ed operazioni del tutto inesistenti; che il richiamo che le imputazioni operano all’art. 8 del d. lgs. n. 74 del 2000 all’evidenza non indica il reato presupposto commesso dagli odierni ricorrenti, ma ha il solo scopo di richiamare il carattere inesistente del credito portato in compensazione in quanto fondato su rapporti commerciali inesistenti; come tale circostanza non avesse comunque potuto ingenerare dubbi, tenuto conto di quanto emerge dagli atti che fanno parte del fascicolo processuale; come, dunque, la COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE avessero operato indebite compensazioni, utilizzando fatture per operazioni inesistenti, in tal modo accumulando liquidità, poi trasferita a terzi al fine di ostacolarne l’individuazione della provenienza illecita; come, allora, l’indebita compensazione fosse avvenuta traendo in inganno l’Erario proprio sulla esistenza delle sottostanti operazioni commerciali (e non sulla mera spettanza del credito IVA), tenuto conto che il credito IVA che maturi dall’uso di fatture per operazioni inesistenti, adoperate nella dichiarazione IVA, Ł un credito inesistente, in quanto privo di giustificazione e dell’elemento costitutivo del credito; come, in definitiva, il reato presupposto fosse stato chiaramente individuato in quello previsto dall’art. 10-quater, comma 2, d. lgs. n. 74 del 2000, punito con pena edittale superiore nel massimo a cinque anni di reclusione, dato questo che preclude il riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 648-ter.1, comma terzo, cod. pen.
Trattasi all’evidenza di una trama motivazionale che si sviluppa in maniera lineare, piana, esaustiva e convincente, rispetto al quale il ricorso glissa, reiterando pedissequamente le stesse doglianze già avanzate con i motivi di appello, senza argomentare criticamente in ordine ad
eventuali illogicità del percorso argomentativo seguito nel provvedimento impugnato.
Come reiteratamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, Ł inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni già esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (Sez. 6, n. 23014 del 29/4/2021, B., Rv. 281521 – 01; Sez. 3, n. 50750 del 15/6/2016, COGNOME, Rv. 268385 – 01; Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, COGNOME, Rv. 253849).
1.2. Il secondo motivo del ricorso di NOME COGNOME Ł manifestamente infondato. Il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo. Sul punto, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione Ł insindacabile in sede di legittimità, purchØ sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549 – 02, che ha specificato che al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicchØ anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può risultare all’uopo sufficiente). Nel caso di specie, deve quindi ritenersi congrua e immune dal dedotto vizio di carenza di motivazione, l’argomentazione spesa dalla Corte territoriale, nella parte in cui ha sottolineato l’elemento ostativo derivante dalla oggettiva gravità dei fatti ascritti all’imputato e l’assenza di resipiscenza.
All’inammissibilità dei ricorsi segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento nonchØ, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di euro tremila ciascuno, così equitativamente fissata.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 23/04/2025.
Il Presidente
NOME COGNOME