Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 18573 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 18573 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 05/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a GELA il 20/07/1967
avverso la sentenza del 08/09/2023 della CORTE DI APPELLO di BRESCIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’annullamento con rinvio alla Corte d’Appello di Brescia limitatamente ai reati tributari, alle attenuanti generiche ed al trattamento sanzionatorio, e con il rigetto nel resto del ricorso.
uditi i difensori di NOME COGNOME gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME che hanno insistito per l’accoglimento dei ricorsi e l’annullamento della sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza emessa in data 8 settembre 2023 la Corte di appello di Brescia confermava nei confronti dell’appellante NOME COGNOME la sentenza del Tribunale di
Brescia che lo aveva condannato alla pena complessiva di anni sette, mesi otto di reclusione ed euro 13.400,00 di multa, dopo aver riqualificato il reato di cui al capo 1) ai sensi dell’articolo 416, comma secondo cod. pen., escluse, ove contestate, le aggravanti dell’articolo 416-bis.1 e 648-ter.1, comma terzo, cod. pen., nonché esclusa per tutti i capi di imputazione l’aggravante di cui all’articolo 61, n. 11-quater, cod. pen. Di conseguenza NOME COGNOME veniva così ritenuto responsabile dei reati indicati nei seguenti capi: n. 1 (per partecipazione all’associazione a delinquere ai sensi dell’art. 416, comma secondo, cod. pen., fino a tutto febbraio 2018), nn. 9, 48, 53, 70 (per diversi reati tributari), nn. 108 e 109 (per il reato di cui all’art. 512 cod. pen.), nonché n. 113 (per il delitto di autoriciclaggio).
Avverso la suddetta sentenza NOME COGNOME a mezzo dei suoi difensori, propone due distinti ricorsi, in gran parte sovrapponibili quanto al loro contenuto, formulando sei distinti motivi per i quali chiede l’annullamento della sentenza impugnata. All’udienza del 10 dicembre 2014 la sua posizione è stata separata da quella degli altri imputati a causa di un difetto di notifica al codifensore avv. NOME COGNOME con rinvio a nuovo ruolo e successiva fissazione all’udienza del 5 marzo 2025.
Con il primo motivo i due ricorsi eccepiscono la violazione dell’art. 178 lett. b) e c) cod. proc. pen., per l’omessa indicazione da parte del pubblico ministero nelle sue conclusioni del trattamento sanzionatorio da irrogare «…così integrandosi una nullità relativamente all’atto di esercizio dell’azione penale e vizio riguardo all’esercizio del diritto di difesa per privazione parziale dell’oggetto del contraddittorio». I particolare, la censura attiene all’omessa declaratoria di nullità della sentenza, eccepita dalla difesa con l’appello, conseguente alla genericità della richiesta di pena avanzata dal pubblico ministero, il quale si era rimesso, quanto alla quantificazione, «….alla valutazione unica ed esclusiva della sensibilità dei parametri» che avesse inteso esercitare l’organo giudicante, con ciò profilandosi anche un pregiudizio per l’esercizio del diritto di difesa dall’angolo visuale della non compiuta consapevolezza dei contenuti della pretesa punitiva, da doversi ritenere insussistente per la mancanza di un elemento essenziale qual è la richiesta di pena a conclusione dell’intervento del P.M.
3.1. Con il secondo motivo si deduce la violazione dell’art. 416 cod. pen. per aver ritenuto, con motivazione mancante e/o manifestamente illogica, la partecipazione del ricorrente ad un’associazione finalizzata alla consumazione di reati tributari, anche mediante travisamento di elementi di prova in ordine alla non conoscenza da parte del Fiorisi dell’inesistenza dei crediti oggetto di compensazione punibile a norma
dell’art. 10-quater d.lgs. n.74 del 2000. Inoltre, eccepisce la mancanza e/o la manifesta illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza dell’associazione e dell’affectio societatis, con travisamento degli elementi dimostrativi del contrasto tra il ricorrente con alcuni soggetti ritenuti membri dell’associazione (in particolare con NOME COGNOME) che lo avevano determinato ad interrompere il vincolo associativo, una volta che il ricorrente era venuto a conoscenza dell’inesistenza dei crediti fiscali oggetto delle cessioni ai fini delle relative indebite compensazioni. La difesa evidenzia, a tal fine, che la stessa sentenza impugnata non esprimerebbe dubbi sul fatto che, al momento della interruzione dei rapporti del ricorrente con il coimputato COGNOME sarebbe cessata anche la sua partecipazione all’associazione, ritenendo, però, che ciò non ne avrebbe pregiudicato l’appartenenza per il periodo precedente a tali fatti; si lamenta, pertanto, che la Corte di appello non si sarebbe confrontata con l’effettiva causale dell’abbandono del sodalizio (ossia la scoperta della falsità dei crediti fiscali). La sentenza impugnata avrebbe svalutato, inoltre, un altro elemento significativo circa l’assenza del dolo di partecipazione al sodalizio criminoso, ossia il dato costituito dalle condotte svolte dal Marchese volte ad accaparrarsi dei clienti sottraendoli al Fiorisi stesso. Né, al riguardo, potrebbe valere la massima di esperienza utilizzata dalla Corte territoriale secondo cui “fare le scarpe ad un altro” apparterebbe alla logica evoluzione di ogni fenomeno associativo, risultando utilizzabile anche l’argomento inverso, secondo cui tale condotta sarebbe, invece, propria di chi non ritiene di far parte di un’associazione a delinquere. 3.2. Con il terzo motivo si deduce la violazione dell’art. 10-quater d.lgs. n.74 del 2000 per avere la sentenza affermato, con motivazione mancante e/o manifestamente illogica, la responsabilità del ricorrente rispetto alle plurime ipotesi di indebita compensazione di crediti fiscali travisando elementi probatori ovvero omettendone la rilevazione, da cui scaturiva la dimostrazione della non conoscenza dell’inesistenza dei crediti fiscali da parte di COGNOME. In particolare, deduce l’apodittic della motivazione resa a proposito dell’affermazione di responsabilità per le indebite compensazioni (credito per credito) che la Corte di appello avrebbe tratto facendo riferimento alla posizione di un altro coimputato (Arabia Giuseppe), senza indicare i dati specifici relativi alla diversa posizione del ricorrente. Con il medesimo motivo lamenta, anche, la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., non essendo stati osservati dai giudici di merito i restrittivi criteri di valutazione degli i 3.3. Con il quarto motivo la difesa (avv. COGNOME lamenta la violazione degli artt. 512-bis e 416-bis, primo comma, cod. pen. e 125 cod. proc. pen., in ragione della motivazione apparente e del travisamento dei fatti. Viene osservato che il COGNOME risulta imputato anche per autoriciclaggio, con la conseguenza che le condotte Corte di Cassazione – copia non ufficiale
integranti l’oggettività materiale del reato di cui all’articolo 512-bis cod. pen. son considerate: una volta come sostanziale profitto delle fattispecie di reato tributario, un’altra volta come oggetto di interposizione fittizia e un’altra volta ancora come oggetto di autoriciclaggio. Orbene, malgrado l’ipotizzabilità di un concorso formale di tipo eterogeneo, si deduce che l’eventuale configurazione del reato di autoriciclaggio rispetto al profitto del delitto tributario, comporterebbe una duplicazione di intervento penale rispetto alla stessa condotta oggetto dell’applicazione dell’ulteriore fattispecie di cui all’articolo 512-bis cod. pen. Inoltre, il motivo svolto da entrambe le difese che attiene ai capi 108) e 109) della rubrica – fa anzitutto leva sull’assenza del dolo, tenuto conto che l’essersi l’imputato allontanato da Gela sarebbe espressivo, ad avviso della difesa, di una cesura con la criminalità organizzata, con conseguente preclusione ad evocare la possibilità di essere destinatario di una misura di prevenzione, per come avvalorato anche dall’esclusione, compiuta già in primo grado, della natura mafiosa del sodalizio e del presunto ruolo apicale di COGNOME. 3.4. Con il quinto motivo si deduce la violazione di legge relativa all’art. 648-ter e 416-bis, primo comma, cod. pen. e 125 cod. proc. pen. (capo 113 della rubrica), in quanto si evidenzia che i passaggi di denaro erano avvenuti in modo trasparente, pienamente tracciabile, senza alcuna condotta dissimulatoria necessaria per integrare la fattispecie contestata. Sul punto, si sottolinea che la sentenza impugnata, pur prendendo atto che in realtà il trasferimento delle somme era avvenuto con mero passaggio da un conto corrente ad un altro conto corrente, erroneamente ha ignorato l’assunto difensivo secondo cui la condotta con cui si può consumare il delitto di autoriciclaggio, deve essere di per sé e materialmente occultatrice (questa l’essenza della dissimulazione) dell’oggetto dell’attività di riciclaggio, e tale non sarebbero i trasferimento tracciabile, attraverso conti correnti bancari, di somme di denaro, specialmente nell’attuale contesto tecnologico di totale controllo bancario della movimentazione di denaro. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
3.5. Infine, con il sesto motivo, presente solo nel ricorso dell’avv. COGNOME, si deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lettere b), c), ed e) cod. proc. pen., in relazione agli artt. 62-bis e 133 cod. pen., perché la sentenza impugnata, con motivazione apodittica, illogica e contraddittoria, nonché fondata su un’errata applicazione della legge penale, non avrebbe riconosciuto sussistenti le circostanze attenuanti generiche di cui, tuttavia, ricorrerebbero nel caso di specie tutti presupposti soggettivi e oggettivi di operatività, nonché per avere comunque irrogato una pena eccessiva e non di giustizia all’odierno ricorrente. La Corte d’appello avrebbe, infatti, omesso di apprezzare gli elementi del fatto maggiormente
dimostrativi del minor disvalore penale, quali il ridimensionamento della posizione dell’imputato, la condotta di allontanamento dal sodalizio e la successiva cessazione di qualsivoglia rapporto con gli altri imputati, il buon comportamento processuale e il rispetto delle prescrizioni imposte col titolo cautelare degli arresti domiciliari.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso risulta inammissibile perché proposto per motivi non consentiti dalla legge o comunque manifestamente infondati. 2. Preliminarmente, deve essere evidenziato che la sentenza di appello oggetto di ricorso costituisce una c.d. doppia conforme della decisione di primo grado, con la conseguenza che le due sentenze di merito possono essere lette congiuntamente costituendo un unico corpo decisionale, essendo stato rispettato sia il parametro del richiamo da parte della sentenza d’appello a quella del giudice di prime cure, sia l’ulteriore parametro costituito dal fatto che entrambe le decisioni adottano i medesimi criteri nella valutazione delle prove (Sez. 2, n.33588 del 13/07/2023′ n.m.; Sez. 2, n. 6560 del 8/10/2020′ Rv. 280654-01). Va, altresì, evidenziato che la modifica dell’art. 606 lett. E) cod. proc. pen., per effetto della legge n. 46 del 2006, non consente alla Corte di legittimità di sovrapporre la propria valutazione a quella già effettuata dai giudici di merito, mentre comporta che la rispondenza delle dette valutazioni alle acquisizioni processuali possa essere dedotta sotto lo stigma del cosiddetto travisamento della prova, a condizione che siano indicati in maniera specifica e puntuale gli atti rilevanti, e sempre che la contraddittorietà della motivazione rispetto ad essi sia percepibile ictu ocu/i, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato ai rilievi di macroscopica evidenza, senza che siano apprezzabili le minime incongruenze (Sez. 3, n. 18521 dei 11/01/2018, Rv.273217-01; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Rv.253099-01; Sez. 4, n. 35683 del 10/07/2007, Rv. 237652-01). Questa Corte, infatti, con orientamento (si veda Sez. 2, n. 5336 del 9/1/2018, Rv. 272018-01; Sez. 6, n.19710 del 3/2/2009, Rv. 243636-01) che il Collegio condivide e ribadisce, ritiene che, in presenza della c.d. “doppia conforme”, ovvero di una doppia pronuncia di eguale segno (nel caso di specie, riguardante l’affermazione di responsabilità peri reati indicati in epigrafe), i vizio di travisamento dei fatti o della prova possa essere rilevato in sede di legittimità solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) che l’argomento probatorio asseritamente travisato sia stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Va, inoltre, evidenziato che la posizione degli altri imputati dell’originari procedimento, molti dei quali nella posizione di concorrenti del Fiorisi in molti capi di imputazione oggetto anche del presente procedimento, è stata già esaminata da questa Corte che, con la sentenza Sez.2, n.286 del 10/12/2024, dep. 2025, n.m., ha rigettato e/o dichiarato inammissibili i ricorsi, tra gli altri, di NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, proposti avverso la medesima sentenza della Corte di appello di Brescia resa in data 8 settembre 2023.
3. GLYPH Il GLYPH primo GLYPH motivo GLYPH di GLYPH ricorso GLYPH è GLYPH manifestamente GLYPH infondato. Deve premettersi che nel giudizio di primo grado il pubblico ministero, come indicato in sentenza, con riguardo alla posizione di COGNOME NOME aveva chiesto l’assoluzione per i capi 10, 11, 13, 14, 48 e 98 per non aver commesso il fatto. Esclusa per tutti i capi l’aggravante del 61 numero 11 quater c.p. aveva chiesto per i residui capi, unificati dal vincolo della continuazione, riconosciuta la recidiva reiterata specifica, l condanna a pena di giustizia, alle pene accessorie nonché la confisca e la misura di sicurezza della colonia agricola della casa di lavoro per anni tre. Non può pertanto ritenersi che l’organo dell’accusa non abbia formulato le sue conclusioni come richiesto dall’articolo 523 cod. pen. Nel caso in esame il pubblico ministero ha formulato in maniera specifica le proprie conclusioni in punto di assoluzione, condanna, pene accessorie, misure di sicurezza essendosi limitato a rimettere al giudice l’entità della pena principale. Ciò detto non può assolutamente ritenersi dare luogo a nullità generale ex art. 178 lett. b) cod. proc. pen., per difetto d partecipazione al procedimento del pubblico ministero, il fatto che lo stesso non abbia indicato l’entità della pena principale rimettendo la decisione sul punto al giudicante previa richiesta di condanna nel merito e di applicazione anche delle pene accessorie e delle misure di sicurezza, considerato anche che questa Corte ha avuto modo di ritenere che non dà luogo a nullità generale il fatto che l’organo dell’accusa si sia limitato a rassegnare le proprie conclusioni solo in rito e non anche nel merito. La formulazione solo di determinate conclusioni rientra nell’ambito di discrezionalità tecnica del pubblico ministero. Deve al riguardo farsi riferimento a giurisprudenza ormai datata di questa Corte, che il Collegio condivide, secondo cui non realizza una nullità generale per difetto di partecipazione al procedimento del pubblico ministero, l’essersi quest’ultimo limitato, in esito al giudizio, a rassegnare le proprie conclusioni solo in rito e non anche nel merito, in quanto il dovere di partecipazione deve essere valutato in ordine all'”an” e non al “quomodo” (così Cass. Sez. 3, n.5498 del 2009 Rv. 242482; ripresa da ultimo da Sez. 6, n. 26188 del 2024 non mass.) Corte di Cassazione – copia non ufficiale
4. GLYPH Il GLYPH secondo GLYPH motivo GLYPH è GLYPH inammissibile GLYPH perché GLYPH aspecifico. La sentenza di primo grado (si veda pag. 120 ss. della motivazione), richiamata dalla sentenza di appello (pag. 361), ha motivato ampiamente sulle prove utilizzate per ritenere che COGNOME sia stato partecipe dell’associazione a delinquere capeggiata da NOME COGNOME (fino a tutto il febbraio 2018), con argomentazioni coerenti e prive di manifesta illogicità e/o contraddittorietà. I giudici di merito, peraltro, hann puntualmente motivato anche in ordine ai rilievi difesivi fondati, in particolare, sul contenuto di alcune conversazioni intercettate sulla Fiat 500 del ricorrente nei mesi di marzo e aprile 2018, da cui, secondo le difese, sarebbe emersa la buona fede del COGNOME sull’esistenza dei crediti fiscali fino a quel momento venduti a terzi. I giudici di merito hanno affermato, in base ad una serie di elementi di prova descritti in dettaglio, che gli imputati COGNOME e NOME Arabia (accompagnatore e costante destinatario delle riflessioni/confidenze dell’odierno ricorrente) avevano posto in essere una serie di condotte «…in contrasto con un comportamento in buona fede e compatibili con una evidente riserva mentale in ordine alla bontà dei crediti ceduti», giungendo a tale conclusione anche in ragione del contenuto di numerose comunicazioni telefoniche e ambientali intercettate dagli investigatori, di segno contrario rispetto a quelle evidenziate dalla difesa. È opportuno sottolineare in materia di intercettazioni il consolidato principio giurisprudenziale secondo cui l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità, se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza dell motivazione (ex plurimis, Sez. 2, n.50701 del 04/10/2016, Rv. 268389-01; Sez. u, n.22471 del 26/02/2015, Rv. 263715-01; Sez. 2, n. 35181 del 22/05/2013, Rv. 257784-01). Il giudice di merito è libero di ritenere che l’espressione adoperata assuma, nel contesto della conversazione, un significato criptico, specie allorché non abbia alcun senso logico nel contesto espressivo in cui è utilizzata ovvero quando emerge, dalla valutazione di tutto il complesso probatorio, che l’uso di un determinato termine viene effettuato per indicare altro, anche tenuto conto del contesto ambientale in cui la conversazione avviene (Sez. 3, n.35593 del 17/05/2016, Rv. 267650). Inoltre, deve ricordarsi che, nell’attribuire significato ai contenuti delle intercettazioni, siano esse conversazioni telefoniche ovvero messaggistica, il giudice del merito deve dare mostra dei criteri adottati per attribuire un significato piuttosto che un altro. Tale iter argomentativo è certamente censurabile in cassazione, ma soltanto ove si ponga al di fuori delle regole della logica e della comune esperienza, mentre è possibile prospettare un’interpretazione del significato di un’intercettazione Corte di Cassazione – copia non ufficiale
diversa da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza del travisamento della prova, ovvero nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale, e la difformità risulti decisiva ed incontestabile (cfr. Sez.3, n.6722 del 21/11/2017, dep.2018, n.272558-01), tutte condizioni non riscontrate nel caso in esame.
La riproposizione in sede di ricorso per cassazione di una diversa e alternativa tesi circa l’insussistenza dei presupposti della partecipazione all’associazione, integra un’ipotesi di inammissibilità del ricorso per aspecificità dei motivi stessi, dato che le difese del ricorrente non si sono effettivamente confrontate con le ampie motivazioni articolate sia dal Tribunale sia dai giudici di appello; né, come già detto, la Corte di Cassazione può rivalutare gli apprezzamenti probatori compiuti dai giudici di merito, se conformi ai criteri interpretativi forniti dalla giurisprudenza di legittimità espressi con motivazioni non viziate. In questo quadro, deve richiamarsi, inoltre, il costante insegnamento di questa Suprema Corte, secondo il quale, in presenza di un articolato compendio probatorio, non è consentito limitarsi ad una valutazione atomistica e parcellizzata dei singoli elementi.
Nel caso di specie, i giudici di merito hanno fatto corretto uso di siffatte coordinate ermeneutiche, ricostruendo in maniera coerente e compiuta l’intera vicenda ed il ruolo di ciascuno imputato nella realizzazione delle diverse condotte illecite, a partire da quelle tributarie, escludendo possibili interpretazioni alternative alle condotte emergenti dalle prove raccolte, valutate in maniera complessiva e non già in modo atomistico. Le sentenze di merito hanno valorizzato, giustamente, anche le condotte di COGNOME e COGNOME successive alla cessazione dei rapporti con il Marchese, per negare la loro buona fede nel collaborare in precedenza con il Marchese stesso. In primo luogo, è stato evidenziato il fatto che, dopo la rottura dei rapporti con quest’ultimo, non risultava: «… che COGNOME e COGNOME si siano premurati di avvertire i clienti che lo stessi avevano procacciato, con ciò ponendo seri dubbi sulla loro originaria buona fede. E che dire del fatto che, pur avendo in ipotesi saputo solo a marzo dell’inesistenza dei crediti commercializzati dal COGNOME, ancora in data 10 marzo 2018 COGNOME insisteva con Marchese per avere la sua parte dei proventi. Evidente, infine, come il problema dell’inesistenza dei crediti non costituisca alcun ostacolo all’attività di COGNOME e Arabia: risulta infatti che gli stessi abbiano avuto parte n costituzione e/o nel funzionamento, a partire dalla metà del 2018 del ConsorzioZDoppio Infinito: si tratta di struttura che, meglio ancora distanziando le operazioni di compensazione da coloro che percepiscono i profitti di tale compensazioni, ha ripreso ad utilizzare per le compensazioni crediti inesistenti apparentemente nella
5. Al pari anche il terzo motivo è inammissibile, sostanzialmente per le medesime ragioni espresse in precedenza. I reati tributari contestati a Fiorisi in concor altri imputati, sono indicati, insieme ad altre fattispecie, come reat dell’associazione a delinquere di cui al capo 1), che ha descritto con est puntualità i compiti svolti dal ricorrente all’interno del sodalizio criminoso, quelli di procurare i crediti fittizi dai grossisti e di commercializzarli, ceden aziende che avevano necessità di effettuare compensazioni, nonché occupandosi in prima persona degli aspetti operativi afferenti alla commissione degli illeciti fisc evidente che il compendio probatorio utilizzato dai giudici di merito per affermare sussistenza dell’associazione a delinquere si intreccia con le prove d consumazione dei reati-fine. Si ritiene che le censure contenute nel motivo di rico siano aspecifiche, perché contestano genericamente la tenuta logico-giuridica del motivazione, che non presenta, invece, alcun vizio di manifesta illogicità contraddittorietà, né ricorre alcuna violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., ecc che è stata riproposta, anch’essa, in maniera generica e sostanzialmente volt ottenere dalla Suprema Corte una diversa valutazione delle prove utilizzate in pri e secondo grado, compito che, come già evidenziato, esula dai limiti del controllo legittimità. Corte di Cassazione – copia non ufficiale disponibilità della RAGIONE_SOCIALE di NOME e della IM Service “amministrata” COGNOME NOME (ma, per quanto si dirà, riferibile a COGNOME NOME)» (così pagg. 9 della sentenza impugnata). La difesa ha sottolineato la illogicità della motivaz della Corte territoriale, laddove essa ha g~talche non contraddice l’esist di un’associazione la circostanza che il COGNOME abbia cercato di sottrarre clien COGNOME. Orbene, anche a voler ritenere che le argomentazioni utilizzate sul punto d sentenza impugnata siano opinabili e passibili di una lettura opposta, non può n rilevarsi come il quadro probatorio a carico del ricorrente, valutate le prove in complessivo e non atomistico, risulti del tutto solido.
6. Il quarto motivo, che attiene ai capi 108) e 109) della rubrica relativi al del cui all’art. 512-bis cod. proc. pen., riguarda due distinte questioni. In primo lu eccepisce nel ricorso dell’avv. COGNOME che le sentenze di merito hanno condannato il COGNOME per condotte (quelle relative all’utilizzo del profitto dei reati tribu oggettività materiale avrebbe integrato sia il reato di cui all’art. 512-bis cod. p quello di autoricícIaggio, comportando sostanzialmente una duplicazione dell’intervento penale rispetto ad un’attività illecita di fatto unitaria, senza a la questione di un possibile concorso apparente di norme penali. Tale eccezione risu inammissibile in quanto investe accertamenti nel merito e il tema non è stato ogge
di impugnazione con i motivi di appello. La censura è stata sollevata per la prima volta solo con il ricorso per cassazione. Infatti, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità: «È inammissibile, ai sensi dell’art. 606, comma 3, ultima parte, cod. proc. pen., il ricorso per cassazione che deduca una questione che non ha costituito oggetto dei motivi di appello, tale dovendosi intendere anche la generica prospettazione nei motivi di gravame di una censura solo successivamente illustrata in termini specifici con la proposizione del ricorso in cassazione» (così Sez. 2, n.9092 del 12/12/2024, dep.2025, COGNOME, n.m. sul punto; conf. tra le tante, Sez.2, n.34044 del 20/11/2020, COGNOME, Rv. 280306-01; Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017, COGNOME, Rv. 270316- 01), poiché in tali casi viene ad interrompersi la cd. catena devolutiva.
In secondo luogo, entrambi i difensori deducono l’assenza del dolo specifico richiesto dall’art. 512-bis cod. pen., tenuto conto che l’essersi l’imputato allontanato da tempo da Gela sarebbe espressivo, ad avviso delle difese, di una cesura con la criminalità organizzata, con conseguente preclusione ad evocare la possibilità di essere destinatario di una misura di prevenzione, per come avvalorato anche dall’esclusione compiuta già in primo grado della natura mafiosa del sodalizio e del ruolo apicale che il ricorrente vi avrebbe rivestito. Sul punto i giudici di appello, con motivazioni che non si reputano viziate, hanno risposto alla medesima censura riproposta con il ricorso, sostenendo «… che è irrilevante che il COGNOME ritenesse che i giudici di Gela essendosi allontanato da quel territorio, non potessero procedere nei suoi confronti, avendo comunque in corso il provvedimento di sorveglianza ed essendo consapevole, come sopra argomentato, dell’attività illecita che stava compiendo, occorrendo occultare il ricavato di tale attività». Al riguardo il Collegio richiama, condividendone il principio, quanto già sostenuto da questa Corte in tema di dolo specifico, secondo cui: «Il delitto di trasferimento fraudolento di valori può essere commesso anche da chi non sia ancora sottoposto a misure di prevenzione patrimoniali e ancora prima che il relativo procedimento sia iniziato, occorrendo solo, ai fini della configurabilità del dolo specifico di eludere le disposizioni di legge in materia di prevenzione patrimoniale, che l’interessato possa fondatamente presumere l’avvio di detto procedimento» (così Sez.5, n.1886 del 07/12/2021, dep.2022, Rv. 282645-01). Orbene si osserva che COGNOME, pur non essendo sottoposto a misure di prevenzione patrimoniali, certamente era nella condizione soggettiva, anche perché sottoposto iv alla misura di sicurezza della libertà vigilata, di poter presumere il possibile avvio di detti procedimenti di prevenzione patrimoniale, come è dimostrato dal fatto di ricorrere a intestazioni fittizie tramite i coimputati NOME COGNOME e NOME COGNOME
per occultare il ricavato dei delitti tributari a lui contestati. Per queste ragion motivo, anche sotto questo profilo, si ritiene manifestamente infondato.
7. Il quinto motivo è inammissibile perché manifestamente infondato. Va rilevato che il capo d’imputazione n.113) relativo alla condotta di autoriciclaggio da parte di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, contesta specificamente «…che COGNOME e COGNOME, dopo aver ricevuto i proventi dell’attività delittuosa direttamente dai cosiddetti soggetti fruitori delle illecite compensazioni tributarie …, nonché dagl affiliati alla loro struttura criminale (COGNOME) o da società da questi gestite …giravano parte delle somme di provenienza illecite su conti correnti di altre società e in particolare: la somma di 84.400 euro a favore della RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME (loro prestanome), che successivamente li monetizzava, parzialmente, in contanti (68.829,00 euro); la somma di 26.250,00 euro a favore della società maltese RAGIONE_SOCIALE, e così trasferivano il denaro provento dei reati loro contestati in attività economiche e imprenditoriali, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della provenienza illecita». Sul delitto contestato è necessario sottolineare che la Suprema Corte, in più occasioni, ha affermato il principio secondo cui: «In tema di autoriciclaggio, è configurabile la condotta dissimulatoria nel caso in cui, successivamente alla consumazione del delitto presupposto, il reinvestimento del profitto illecito in attività economiche, finanziarie o speculative sia attuato attraverso il mutamento dell’intestazione soggettiva del bene, in quanto la modifica della formale titolarità del profitto illecito è idonea ostacolare la sua ricerca, l’individuazione dell’origine illecita e il successiv trasferimento» (così Sez. 2, n.13352 del 14/03/2023, Rv.284477-01). Ed ancora, si è sostenuto in altra decisione che : «In tema di autoriciclaggio, è configurabile una condotta dissimulatoria allorché, successivamente alla consumazione del delitto presupposto, il reinvestimento del profitto illecito in attività economiche, finanziarie o speculative sia attuato attraverso la sua intestazione ad un terzo, persona fisica ovvero società di persone o capitali, poiché, mutando la titolarità giuridica del profitto illecito, la sua apprensione non è più immediata e richiede la ricerca ed individuazione del successivo trasferimento» (così Sez.2, n.16059 del 18/12/2019, Rv. 279407-02). In forza di questo consolidato orientamento giurisprudenziale, che si intende ribadire, risulta irrilevante che i passaggi di denaro provento dei reati tributari sia avvenuto in maniera “trasparente” a mezzo regolari bonifici bancari, ritenuto che il trasferimento di denaro di provenienza illecita in favore di persone giuridiche formalmente estranee al ricorrente rientra certamente nell’ipotesi di condotta dissimulatoria di cui all’art 648-ter.1, cod. pen., senza contare che una parte delle somme, successivamente, Corte di Cassazione – copia non ufficiale
veniva anche monetizzata in contanti e quindi destinata a non essere, in concreto, più rintracciabile. La sentenza impugnata, seppure sinteticamente, ha tratteggiato correttamente gli elementi essenziali dell’attività di autoriciclaggio, evidenziando, in particolare, che «…la somma proveniva dalla RAGIONE_SOCIALE dove il COGNOME risultava un mero dipendente ed era trasferita alla RAGIONE_SOCIALE, intestata ad altro prestanome di COGNOME, non si vede come possa negarsi che si tratti di attività dissimulatoria posto che il reale gestore e destinatario della somma (il COGNOME) non compare». Il motivo di ricorso non si confronta con queste chiare argomentazioni, limitandosi a ribadire censure già formulate in sede di appello basate su una diversa e alternativa interpretazione dei fatti e delle norme penali contestate.
8. Il sesto motivo del ricorso a firma dell’avv. COGNOME, è manifestamente infondato. Quanto alle circostanze attenuanti generiche si ribadisce che non vanno intese come oggetto di benevola “concessione” da parte del giudice: «posto che la ragion d’essere della relativa previsione normativa è quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso più favorevole all’imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si è reso responsabile, ne deriva che la meritevolezza di detto adeguamento non può mai essere data per scontata o per presunta, sì da dar luogo all’obbligo, per il giudice, ove questi ritenga invece di escluderla, di giustificarne sott ogni possibile profilo, l’affermata insussistenza» (Sez. 1, n. 46568 del 18/05/2017, Rv. 271315; in senso conforme, ex plurimis, v. Sez. 2, n. 35570 del 30/05/2017, Rv. 270694, nonché Sez. 3, n. 26272 del 07/05/2019, Rv. 276044, non mass. sul punto). Il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente giustificato con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la modifica dell’art. 62-bis, disposta con il d.l. 23 maggio 2008, n. 92, convertito dalla legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente non è più sufficiente lo stato di incensuratezza dell’imputato (Sez. 3, n. 24128 del 18/03/2021, Rv. 281590; Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, Rv. 270986; Sez. 3, n. 44071 del 25/09/2014, Rv. 260610; più di recente v. Sez. 3, n. 20664 del 16/12/2022, dep. 2023, non mass.). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Secondo la costante giurisprudenza di legittimità, il giudice di merito non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi dedotti dalle parti o rilevabili dagli att ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 2, 23903 del 15/07/2020, Rv. 279549-01; Sez. 3, n. 1913 del 20/12/2018, dep. 2019,
Rv. 275509-01; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Rv.271269-01; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, Rv. 265826-01).
Detti principi sono stati ribaditi in una recente pronunzia delle Sezioni Unite, emessa in tema di rapporti fra diniego delle attenuanti generiche e applicazione della recidiva (ai fini del calcolo della prescrizione), nella quale si è ribadito che la meritevolezza dell’adeguamento, in senso più favorevole all’imputato, della sanzione prevista dalla legge, con l’applicazione dell’art. 62-bis cod. pen., necessita, «quando se ne affermi l’esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio; trattamento la cui esclusione risulta, per converso, adeguatamente motivata alla sola condizione che il giudice, a fronte di specifica richiesta dell’imputato volta all’ottenimento delle attenuanti in questione, indichi delle plausibili ragioni a sostegno del rigetto di detta richiesta, senza che ciò comporti tuttavia la stretta necessità della contestazione o della invalidazione degli elementi sui quali la richiesta stessa si fonda» (così Sez. U, n. 20208 del 25/10/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 27531901, non mass. sul punto). Anche i soli precedenti penali possono essere valorizzati per escludere il riconoscimento delle attenuanti (cfr., ad es., Sez. 3, n. 34947 del 03/11/2020, S., Rv. 280444; Sez. 6, n. 57565 del 15/11/2018, Rv. 274783; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Rv. 271269). Il giudice di appello, inoltre, non è tenuto a motivare il diniego delle circostanze attenuanti generiche sia quando nei motivi di impugnazione si ripropongano, ai fini del riconoscimento, gli stessi elementi già sottoposti all’attenzione del giudice di primo grado e da quest’ultimo disattesi, sia quando si insista per quel riconoscimento senza addurre alcuna particolare ragione (Sez. 1, n. 33951 del 19/05/2021, Rv. 281999-01). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Sul punto la motivazione della sentenza impugnata ha seguito i consolidati orientamenti giurisprudenziali di questa Corte, in particolare evidenziando che, in considerazione dei precedenti penali di Fiorisi e della mancanza di segni di ravvedimento, non si riteneva possibile riconoscere le circostanze attenuanti generiche, atteso che l’osservanza delle prescrizioni imposte in sede cautelare non può certo considerarsi elemento dirimente ai fini del riconoscimento delle attenuanti, dato l’interesse dell’imputato a non aggravare le misure cautelari in atto. Si tratta in tutta evidenza di motivazioni congrue, osservanti dei criteri interpretativi dell’art. 62bis cod. pen., ragion per cui le censure della difesa risultano manifestamente infondate.
Anche con riferimento all’entità della pena, la sentenza della Corte di appello, seppur sinteticamente, ha motivato sulle ragioni della ritenuta congruità della pena irrogata, individuate nella gravità e nel numero dei reati commessi. La censura relativa al vizio
della motivazione non può essere accolta, dato che in giurisprudenza è consolidato principio secondo cui: «Deve ritenersi adempiuto l’obbligo di motivazione del giudi
di merito sulla determinazione in concreto della misura della pena, allorché siano
indicati nella sentenza gli elementi ritenuti rilevanti o determinanti nell’ambito della complessiva dichiarata applicazione di tutti i criteri di cui all’art. 133 cod. pen.» (cos
Sez.1, n.3155 del 25/09/2013, dep. 2014, Rv.258410-01), né si rinviene alcuna violazione di legge, che la difesa ha eccepito in modo del tutto generico, risultando,
anche sotto questo profilo, il motivo di ricorso manifestamente infondato.
9. Per le considerazioni esposte, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili. Alla inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., valutati i profili d colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte
Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che si si ritiene equa di euro tremila a favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa per le ammende.
Così deciso il 05 marzo 2025
Il Consigliere estensore
La Presidente