Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 44816 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 44816 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di COGNOME NOMECOGNOME nata a Milano il 22.2.1975, contro la sentenza della Corte d’appello di Milano dell’8.5.2024;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito l’Avv. NOME COGNOME per la costituita parte civile RAGIONE_SOCIALE che ha concluso riportandosi alle conclusioni scritte e depositando richiesta di liquidazione con nota spese.
La Corte d’appello di Milano ha confermato la sentenza con cui, in data 10.5.2023, il Tribunale del capoluogo meneghino aveva riconosciuto NOME COGNOME responsabile del delitto di autoriciclaggio a lei ascritto al capo a) della rubrica limitatamente ai cinque bonifici per euro 75.000 emessi in favore di RAGIONE_SOCIALE per cui, ritenuta la continuazione interna e quella tra tali fatti e quel giudicati con la sentenza n. 14.3.2019 irrevocabile il 29.5.2019, l’aveva condannata alla pena complessiva di anni 3 e mesi 6 di reclusione ed euro 3.220 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali; il primo giudice aveva nel contempo revocato il beneficio della sospensione condizionale già concessa con la sentenza suindicata ed aveva infine condannato l’imputata al risarcimento del danno non patrimoniale patito dalla costituita parte civile liquidandolo in via equitativa;
ricorre per cassazione NOME COGNOME a mezzo del difensore che deduce:
2.1 mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione al mancato riconoscimento della ipotesi di cui al comma quinto dell’art. 648-ter.1 cod. pen.: richiama la motivazione con cui la Corte d’appello ha confermato l’inquadramento dei cinque episodi per cui è intervenuta la condanna nella fattispecie incriminatrice che richiede, quale elemento costitutivo, l’idoneità della condotta ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa dei beni o del denaro; segnala come, nel caso di specie, tale elemento sia stato erroneamente ravvisato nell’accredito delle somme provenienti dalla RAGIONE_SOCIALE, prima di confluire sui conti della RAGIONE_SOCIALE, su una carta postapay intestata soggetto terzo che era, in realtà, la madre dell’imputata che, pacificamente, ne aveva l’esclusiva disponibilità; aggiunge che, nel caso in esame, non è stato accertato l’effettivo reimpiego delle somme che, confluite sui conti della RAGIONE_SOCIALE, erano state utilizzate per spese personali dell’odierna ricorrente, integrandosi in tal modo la causa di non punibilità di cui al comma quinto dell’art. 648-bis.1 cod. pen.;
2.2 violazione di legge processuale in relazione alla sentenza n. 2872/2024 emessa dalla Corte d’appello di Milano ovvero alla denegata rinnovazione dell’istruzione dibattimentale: rileva, infatti, che l’acquisizione del documentazione allegata all’atto di appello, contrariamente all’assunto della Corte territoriale, era essenziale ed indispensabile per dimostrare la finale destinazione delle somme confluite sul conto della RAGIONE_SOCIALE;
2.3 violazione di legge processuale e manifesta illogicità e contraddittorietà in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche ed al
trattamento sanzionatorio: richiamata anche in tal caso la motivazione resa dalla Corte d’appello, osserva che, per un verso, ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche rileva anche la condotta susseguente al reato e che, per contro, non può darsi rilievo, al fine di negare le invocate attenuanti, all’esercizio delle facoltà processuali espressione del diritto di difesa; né, aggiunge, la gravità del fatto può essere di ostacolo a detto riconoscimento; sottolinea che analogo obbligo di adeguata motivazione riguarda l’esercizio della discrezionalità vincolata di cui il giudice di merito è titolare nel determinare il trattamento sanzionatorio;
la Procura Generale ha trasmesso le conclusioni scritte insistendo per l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché articolato con censure manifestamente infondate ovvero non consentite in questa sede.
NOME COGNOME era stata tratta a giudizio e riconosciuta responsabile, nei due gradi di merito ed all’esito di un conforme apprezzamento delle medesime emergenze istruttorie, del delitto di autoriciclaggio (limitatamente, peraltro, alle condotte consistenti nella esecuzione dei bonifici in favore di RAGIONE_SOCIALE per l’importo complessivo di euro 75.000) di somme di denaro provento del delitto di appropriazione indebita posta in essere dalla medesima imputata in danno della società RAGIONE_SOCIALE.
Con l’atto d’appello la difesa aveva chiesto, con un primo motivo, l’assoluzione dell’imputata per la non punibilità del fatto in forza della clausola contenuta nel comma quinto dell’art. 648-ter.1 cod. pen. sollecitando, sul punto, anche la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale non essendo stata a suo dire acquisita la prova dell’utilizzo delle somme provenienti dal delitto di appropriazione indebita in danno della RAGIONE_SOCIALE, in attività di natura economica o speculativa; sotto altro profilo, aveva contestato la sussistenza dell’elemento oggettivo del delitto contestato in quanto le somme predette erano transitate su una carta postepay sì intestata alla madre della COGNOME ma, di fatto, e pacificamente, da costei utilizzata.
Il primo ed il secondo motivo del ricorso replicano, di fatto, le considerazioni difensive spese con l’atto di appello e su cui, rileva il collegio, la
Corte territoriale ha fornito una risposta assolutamente esaustiva in punto di fatto oltre che corretta in diritto.
La Corte ha correttamente giudicato rilevante, ai fini della integrazione della fattispecie, il fatto che le somme distratte dalla RAGIONE_SOCIALE fossero confluite sui conti della RAGIONE_SOCIALE tramite una carta postepay intestata non già all’odierna ricorrente ma alla di lei madre, in tal modo dissimulandosi la provenienza del denaro che vi era confluito e che era il frutto delle condotte di appropriazione indebita poste in essere dall’imputata; ha spiegato, dunque, che proprio quest’ultimo aspetto come il fatto che l’effettiva utilizzatrice della carta fosse proprio la COGNOME dimostra, infatti, proprio la intenzione di nascondere la provenienza dei denaro recidendo o tentando di recidere il rapporto con l’autrice del reato presupposto.
Il testo della disposizione incriminatrice (comma 1) è nel senso che la condotta incriminata è quella di colui che “… impiega, sostituisce, trasferisce, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità …”.
Ancora recentemente, questa stessa Sezione ha avuto di ribadire che, in tema di autoriciclaggio, è configurabile la condotta dissimulatoria nel caso in cui, successivamente alla consumazione del delitto presupposto, il reinvestimento del profitto illecito in attività economiche, finanziarie o speculative sia attuato attraverso il mutamento dell’intestazione soggettiva del bene, in quanto la modifica della formale titolarità del profitto illecito è idonea a ostacolare la sua ricerca, l’individuazione dell’origine illecita e il successivo trasferimento (cfr., così Sez. 2 – , n. 13352 del 14/03/2023, COGNOME, Rv. 284477 – 01; conf., Sez. 2, n. 16059 del 18/12/2019, dep. 27/05/2020, Rv. 279407 – 02 che, in motivazione, aveva precisato che: “… deve conseguentemente essere escluso che l’avvenuta identificazione delle operazioni di dissimulazione del denaro o del bene illecito, frutto della consumazione del delitto presupposto da parte dello stesso autore di detto reato, escludano la punibilità della condotta perché prive di concreta capacità decettiva; una tale interpretazione radicale finirebbe per escludere la punibilità di qualsiasi condotta per il solo fatto della successiva verificazione e ricostruzione della stessa e comporterebbe la irragionevole conseguenza di dovere affermare la non applicabilità della norma penale di cui all’art. 648-ter.1 cod. pen. a qualsiasi fatto accertato”).
La finalità ultima cui risponde l’incriminazione della condotta di autoriciclaggio è quella di congelare il profitto in mano al soggetto che ha commesso il reato-presupposto, in modo da impedirne la sua utilizzazione maggiormente offensiva, ovvero quella che espone a pericolo o addirittura lede
l’ordine economico; è stato perciò escluso potesse integrare il delitto in esame il versamento del profitto di furto su conto corrente o su carta di credito prepagata, intestati allo stesso autore del reato presupposto mentre la modifica della formale intestazione integra quella condotta di sostituzione del proprietario o utilizzatore del bene idonea ad ostacolare l’origine illecita dello stesso e si profila quale ipotesi astrattamente punibile (cfr., in tal senso, Sez. 2, n. 33074 del 14/07/2016, Rv. 267459); se, poi, il trasferimento ad altre imprese è attuato con l’intestazione del profitto illecito ad un soggetto giuridico diverso, sia esso una persona fisica ovvero una società di persone o capitali, vi è la possibilità di ritenere la condotta dissimulatoria proprio perché, mutando la titolarità giuridica del profitto illecito, la sua apprensione non è più immediata e richiede la ricerca ed individuazione del successivo trasferimento.
4. Una volta chiarito questo aspetto, va affrontato il secondo tema che è stato posto dalla difesa all’attenzione del collegio, ovvero quello della utilizzazione per fini “personali” delle somme fatte pervenire alla RAGIONE_SOCIALE ed asseritamente destinate al soddisfacimento di esigenze di natura individuale e non “imprenditoriale” o speculativa, ritenuto non penalmente non rilevante ai sensi del comma quinto dell’art. 648-ter.1 cod. pen..
Anche in tal caso, la risposta fornita dalla Corte d’appello è assolutamente corretta in diritto: il legislatore, infatti, ha giudicato rilevante, ai fini integrazione del delitto di autoriciclaggio, non soltanto l’impiego ma anche il trasferimento del denaro in attività economiche quali, pacificamente ed in termini non contestati, quella rappresentata dalla RAGIONE_SOCIALE che, d’altra parte, ai sensi degli artt. 2462 e 2200 cod. civ., è certamente una società di natura “commerciale”; che, poi, l’odierna ricorrente abbia utilizzato queste risorse, di pertinenza della società, per finalità di natura personale non rileva trattandosi, anzi, di una condotta distrattiva che, in presenza di determinati presupposti, è idonea ad integrare o il delitto di appropriazione indebita (in danno dell’ente) o di bancarotta per distrazione.
Di qui, peraltro, la assoluta irrilevanza della pur sollecitata attività di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello in quanto diretta a dimostrare la “finale” destinazione delle risorse distratte dalla RAGIONE_SOCIALE e fatte confluire, con le modalità sopra indicate, nella RAGIONE_SOCIALE
Il terzo motivo è manifestamente infondato ma, a ben guardare, e prima ancora, generico in quanto la difesa non è stata in grado di indicare alcun elemento positivamente valutabile ai fini del riconoscimento delle attenuanti generiche che, pur evidenziato con l’atto d’appello, sia stato completamente trascurato, ovvero
la cui valutazione sia stata viziata dal travisamento di circostanze rilevanti ovvero, ancora, oggetto di una motivazione manifestamente illogica.
L’inammissibilità del ricorso comporta la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., della somma, che si stima equa, di euro 3.000 in favore della Cassa delle Ammende, non ravvisandosi circostanze tali consentirne la esclusione.
La COGNOME va infine condannata alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla costituita parte civile liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Condanna, inoltre, l’imputata alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile RAGIONE_SOCIALE in persona del leg. rappr. p.t. che liquida in complessivi euro 3.686,00 ioltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 15.10.2024