Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 142 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 142 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a NAPOLI il 11/06/1980
avverso l’ordinanza del 23/07/2024 del TRIB. DEL RIESAME di Napoli Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
sentite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME ce si è riportata alla requisitoria depositata e ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
uditi gli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME per il ricorrente, che hanno insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
L’ordinanza impugnata è stata emessa il 23 luglio 2024 dal Tribunale del riesame di Napoli, che ha respinto l’istanza di riesame presentata nell’interesse di NOME COGNOME avverso l’ordinanza con la quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli gli aveva applicato la misura cautelare della custodia in carcere, riconoscendolo gravemente indiziato del reato di autoriciclaggio – così riqualificato dal Giudice per le indagini preliminari
l’originario addebito di riciclaggio – di somme ottenute grazie ad una truffa, che aveva fruttato la somma di 333.709,05 euro. Il Giudice per le indagini preliminari aveva altresì escluso la circostanza aggravante di cui all’art. 416bis. 1 cod. pen. contestata dal pubblico ministero nell’incolpazione provvisoria della mozione cautelare. La truffa era stata perpetrata ponendo in vendita degli orologi su Internet, concludendo l’affare con RAGIONE_SOCIALE Parikh dopo aver mostrato gli orologi ad un suo collaboratore presentandosi con il nome di NOME COGNOME, ottenendo il pagamento della cospicua somma proveniente dalla società RAGIONE_SOCIALE con sede a Honk Kong e poi spedendo a destinazione un pacco che, invece che contenere i preziosi orologi, aveva al suo interno confezioni di pasta. La somma ottenuta con il meccanismo sopra descritto era stata poi trasferita dal conto dell’inesistente COGNOME a due società, la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE
L’indagato ha presentato ricorso a mezzo dei propri difensori di fiducia, che hanno formulato quattro motivi.
2.1. Il primo motivo di ricorso denunzia violazione di legge in relazione agli artt. 273 cod. proc. pen. e 648-ter.1 cod. pen.
Il ricorrente assume che il Tribunale di Napoli avrebbe malamente vagliato la censura rivolta, in sede di riesame, all’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari, siccome ritenuta dall’indagato priva della doverosa, autonoma valutazione della richiesta del pubblico ministero quanto alla sussistenza del reato presupposto di truffa. A questo riguardo, il ricorrente segnala che l’ordinanza genetica, alle pagg. 639 e segg., aveva affrontato l’argomento facendo esclusivo riferimento agli «accertamenti esperiti in banca dati RAGIONE_SOCIALE» a proposito delle circostanze denunziate dal truffato, senza accertare se, per detta truffa, si fosse instaurato un procedimento penale e se fosse stata esercitata l’azione penale; solo nell’udienza dinanzi al Tribunale del riesame il pubblico ministero aveva depositato la denunzia della persona offesa, il che dimostra che tale denunzia non era stata posta all’attenzione del Giudice per le indagini preliminari. A dire del ricorrente, la risposta del Tribunale del riesame alla denunzia del vizio motivazionale dell’ordinanza genetica sarebbe inappagante rispetto alle doglianze proposte in sede di riesame; il mero richiamo al contenuto della denunzia di truffa – si legge nel ricorso – senza conoscere gli sviluppi processuali e trascurando l’ambiguità di alcuni passaggi, non consentirebbe di ritenere il fumus del reato presupposto.
A sostegno della necessità che, per ritenere configurati i reati di riciclaggio o reimpiego, occorra l’esatta individuazione e l’accertamento giudiziale del reato presupposto, il ricorrente cita un precedente di questa Corte e rimarca la
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e
graduazione sanzionatoria prevista nella disciplina dell’autoriciclaggio a seconda della pena individuata dal legislatore per il reato presupposto.
2.2. Il secondo motivo di ricorso lamenta i medesimi vizi e sostiene che il Tribunale del riesame avrebbe trascurato altra argomentazione contenuta nella memoria difensiva, vale a dire quella secondo cui COGNOME non aveva ricevuto la somma di 208.000 euro bonificata alla RAGIONE_SOCIALE“, giacché il conto era stato bloccato prima. In ordine alla somma di 125.709,20 euro, lo stesso Giudice per le indagini preliminari aveva affermato che le chat rinvenute sul telefono di COGNOME avevano mostrato che NOME COGNOME era debitore della somma di 15.500 euro ma «”non emerge se tale somma sia residuale dei 125 euro provento della truffa o si tratti di importi che nulla abbiano a che vedere con loro”» (così il ricorso).
Ne consegue – assume il ricorrente – che non vi era prova che la somma che si assume essere stata oggetto di autoriciclaggio sia mai entrata nella disponibilità di COGNOME.
2.3. Il terzo motivo di ricorso deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 292 cod. proc. pen.
La denunzia del ricorrente circa la mancanza di autonoma valutazione da parte del Giudice per le indagini preliminari si focalizza, questa volta, sulla omessa allegazione agli atti valutati dal primo Giudice della cautela della denunzia della persona offesa della truffa, che era stata depositata dal pubblico ministero solo in udienza dinanzi al Tribunale di Napoli.
2.4. Il quarto motivo di ricorso denunzia violazione del principio di proporzionalità perché, qualora dovesse riconoscersi la gravità indiziaria, occorrerebbe ravvisare la fattispecie attenuata di cui all’art. 648-ter.1, comma 3 cod. pen.
Ne consegue che sarebbe proporzionata una misura meno afflittiva di quella carceraria, che il ricorrente individua negli arresti domiciliari con divieto di comunicazione e con applicazione dei meccanismi di controllo, anche tenuto conto che il fatto risale al 2019 e che vi è stato sequestro.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è nel suo complesso infondato e va, pertanto, respinto.
Con il primo motivo di ricorso, COGNOME contesta il vaglio del Tribunale del riesame quanto al giudizio di gravità indiziaria.
Tale motivo è infondato innanzitutto perché muove da un presupposto errato in diritto, ossia quello secondo cui, per ritenere configurato il delitto d
autoriciclaggio, occorra un accertamento giudiziale circa la sussistenza del reato presupposto, così propugnando un’interpretazione che non trova riscontro negli approdi di questa Corte.
A questo riguardo, va infatti ricordata e ribadita l’esegesi consolidata di questa Corte in materia di ricettazione e riciclaggio – che può essere trasposta anche al delitto di autoriciclaggio per cui si procede, essendo sovrapponibili i rapporti della fattispecie con il delitto presupposto – esegesi che richiede che il delitto antecedente sia individuato solo nella sua tipologia, ma non che esso sia ricostruito in tutti gli estremi storici e fattuali (Sez. 2, n. 46773 del 23/11/2021 Peri, Rv. 282433 – 02; Sez. 2, n. 6584 del 15/12/2021, dep. 2022, Cremonese, Rv. 282629 – 01; Sez. 2, n. 29689 del 28/05/2019, COGNOME, Rv. 277020 01). Più di recente, nella direzione di un’accentuazione del rigore precettivo della disposizione, si è finanche attribuito significato dimostrativo alla mera prova logica circa la provenienza da delitto, pur in assenza non solo di un accertamento giudiziale dei suoi estremi, ma anche dell’esatta individuazione della sua tipologia (Sez. 2, n. 16012 del 14/03/2023, COGNOME, Rv. 284522 – 01, a proposito del rinvenimento di una grossa somma di denaro in contanti).
Al netto di questo argomento teorico, vi è poi da segnalare un ostacolo più concreto all’accoglimento della tesi del ricorrente, giacché il ricorso non coglie nel segno neanche quando predica la tesi secondo la quale il Giudice per le indagini preliminari prima e il Tribunale del riesame non avrebbero potuto ritenere dimostrata la provenienza delittuosa della somma di cui si discute perché mancava in atti la denunzia di truffa, materialmente prodotta dal pubblico ministero solo nel corso dell’udienza dinanzi al Collegio della cautela.
A questo riguardo, il ricorrente non fa altro che ribadire una censura già formulata dinanzi al Collegio de libertate e da questo persuasivamente affrontata quando ha sancito l’irrilevanza del mancato inserimento agli atti del fascicolo informatico della denunzia di truffa, irrilevanza data dal fatto che se ne dava ampiamente conto nell’informativa di polizia giudiziaria sulla base della quale era stata formulata la richiesta cautelare ed emessa l’ordinanza genetica. Che la denunzia di truffa sia stata materialmente prodotta dopo l’emissione del provvedimento cautelare non ha dunque alcun rilievo, sia perché il dato conoscitivo utile a fondare la misura cautelare poteva essere tratto dal resoconto che di quella denunzia aveva fatto l’organo deputato alle investigazioni; sia perché tale denunzia correttamente non era stata inviata al Tribunale del riesame ex art. 309, comma 5, cod. proc. pen., visto che non faceva parte degli atti trasmessi dal pubblico ministero al Giudice per le indagini preliminari insieme alla richiesta cautelare ai sensi dell’art. 291, comma 1, cod. proc. pen. di cui era obbligatoria la trasmissione nel termine di legge a pena di inefficacia della
misura cautelare ex art. 309, commi 5 e 10 cod. proc. pen. (eccezione, quest’ultima, che non pare essere stata formulata dal ricorrente).
Infine la censura non pare confrontarsi con un altro dato che pure emerge dall’ordinanza impugnata, vale a dire che era stato lo stesso COGNOME nel propugnare la tesi della sua estraneità al contesto associativo, ad avere affermato che aveva, tra le altre cose, “solo” «truffato qualcuno».
Il ricorso è poi inammissibile per manifesta infondatezza e genericità quando, nel secondo motivo, assume che il Tribunale del riesame non avrebbe dato riscontro ad alcune argomentazioni contenute nella memoria depositata nel corso del giudizio ex art. 309 cod. proc. pen., perché si tratta di argomentazioni la cui decisività in punto di gravità indiziaria può essere esclusa o, comunque, non è stata adeguatamente illustrata nel ricorso.
In primo luogo, quando nel ricorso si assume che non vi sarebbe autoriciclaggio perché COGNOME non era riuscito a rientrare nella disponibilità della somma di 208.000 euro bonificata alla “RAGIONE_SOCIALE, a causa del blocco del conto, predica una tesi del tutto ininfluente sul giudizio di gravità indiziaria, dal momento che non ha alcun rilievo, ai fini della già avvenuta consumazione del reato di cui all’art. 648-ter.1 cod. pen., che poi la somma trasferita da COGNOME secondo la direttrice MedugnoRAGIONE_SOCIALE per occultarne la provenienza delittuosa (ossia l’in se della condotta illecita che gli viene contestata) non sia rientrata nella sua disponibilità a causa di circostanze sopravvenute.
Quanto all’altra tranche della somma provento della truffa, quella di 125.300 euro bonificata dall’inesistente Medugno alla GR.A, il ricorso contiene delle argomentazioni di fatto e, comunque, scarsamente intellegibili.
D’altra parte, la tesi difensiva circa la portata scardinante delle osservazioni difensive della memoria in tesi pretermesse avrebbe richiesto un’illustrazione ben più specifica, dal momento che l’omessa valutazione di una memoria difensiva non determina alcuna nullità, ma può solo influire sulla congruità e sulla correttezza logico-giuridica della motivazione del provvedimento che definisce la fase o il grado nel cui ambito sono state espresse le ragioni difensive (Sez. 5, n. 11579 del 22/02/2022, COGNOME, Rv. 282972 – 01; Sez. 5, n. 51117 del 21/09/2017, COGNOME, Rv. 271600 – 01 quanto all’omessa valutazione di memorie da parte del Tribunale del riesame; Sez. 1, n. 26536 del 24/06/2020, COGNOME, Rv. 279578 – 01; Sez. 5, n. 24437 del 17/01/2019, COGNOME, Rv. 276511 01; Sez. 2, n. 14975 del 16/03/2018, Tropea e altri, Rv. 272542 – 01; Sez. 4, n. 18385 del 09/01/2018, COGNOME e altro, Rv. 272739 – 01; Sez. 5, n. 4031 del
23/11/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 267561 – 01; Sez. 6, n. 18453 del 28/02/2012, COGNOME e altri, Rv. 252713, in ordine al giudizio di cognizione).
Tale esegesi non trova sbarramenti applicativi – ma solo adattamenti – nel procedimento cautelare, rispetto al quale si è condivisibilmente sostenuto che la disposizione di cui all’art. 292, comma 2-ter, cod. proc. pen. – in base alla quale l’ordinanza di applicazione della custodia cautelare deve contenere, a pena di nullità, anche la valutazione degli elementi a favore dell’imputato – non impone al giudice l’indicazione di qualsiasi elemento che sia ritenuto favorevole dal difensore, né tantomeno gli prescrive, in sede di riesame, la confutazione, punto per punto, di qualsivoglia argomento difensivo di cui appaia manifesta l’irrilevanza o la pertinenza. L’obbligo motivazionale resta circoscritto, infatti, all disamina di specifiche allegazioni difensive oggettivamente contrastanti con gli elementi accusatori ed aventi rilievo concludente, mentre restano escluse le mere posizioni difensive negatorie e gli assunti chiaramente defatigatori o le prospettazioni di tesi interpretative alternative, le quali restano assorbite nell’apprezzamento complessivo cui procede il giudice de libertate (Sez. 5, n. 44150 del 13/06/2018, M., Rv. 274119 – 01, in motivazione; Sez. 2, n. 13500 del 13/03/2008, Rv. 239760; Sez. 6, n. 12442 del 09/03/2011, Rv. 249641). Anche la sentenza Adiletta di questa sezione, pur sottolineando la rilevanza difensiva delle memorie nel giudizio di riesame, caratterizzato dall’effetto interamente devolutivo e dalla facoltà della parte di illustrare i motivi a sostegno fino all’udienza di discussione, ha attributo rilievo ai contenuti degli scritti e all loro specificità censoria, cui corrisponde, da una parte, in misura direttamente proporzionale, il dovere del Tribunale del riesame di affrontarli e, dall’altra, l’effetto di compromissione della tenuta del provvedimento ex art. 309 cod. proc. pen. legato all’eventuale silenzio del Collegio della cautela. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Ispirandosi a detto fronte interpretativo, il Collegio ritiene, dunque, che il Giudice di legittimità non sia legato al dato “secco” e formale della mancata menzione ed espressa considerazione di questa o quella argomentazione presente nella memoria, ma che debba operare un apprezzamento concreto. Tale accertamento deve avere ad oggetto, da una parte, la capacità del dato esaltato nella memoria e trascurato dal Giudice di mettere in discussione la completezza, la tenuta logica o l’univocità del percorso argomentativo del provvedimento impugnato; dall’altro, deve soppesare la consistenza intrinseca della memoria, onde neutralizzare la portata scardinante di enunciati difensivi ripetitivi ovvero privi di uno specifico ancoraggio al thema decidendum ovvero, ancora, sforniti della capacità di incidere sulla regiudicanda.
Un corollario di queste affermazioni – legato al dovere di specificità dei motivi di ricorso per cassazione ribadito da Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep.
2017, COGNOME, Rv. 268823 – è che la concreta idoneità dei temi della memoria pretermessa a minare la pronunzia avversata deve essere oggetto di una specifica rappresentazione del ricorrente, che – con precipuo riferimento al vizio di motivazione – ponga in risalto il collegamento tra le difese in tesi pretermesse e questo o quel profilo di carenza, contraddittorietà o manifesta illogicità argomentativa del provvedimento. Non basta, cioè, che nel ricorso ci si dolga della circostanza che il Giudice di merito abbia trascurato uno o più enunciati della memoria prodotta, ma occorre che detta omissione venga tradotta, nell’impostazione del ricorso, in specifiche doglianze che esaltino l’idoneità dei temi negletti a mettere in discussione la completezza, univocità e razionalità del costrutto argomentativo del Giudice di merito.
Tale inciso teorico rende ulteriormente ragione della genericità del ricorso che, oltre a predicare tesi errate in diritto, agita vagamente il tema della pretermissione delle argomentazioni contenute nella memoria, senza indicare elementi che consentano di percepire la decisività del predicato, omesso esame.
Il terzo motivo di ricorso critica il vaglio del Tribunale del riesame sulla mancanza di autonoma valutazione da parte del Giudice per le indagini preliminari.
Ebbene, il ricorso è, oltre che aspecifico, anche meramente reiterativo di una tesi già prospettata nel giudizio ex art. 309 codice di rito e sufficientemente riscontrata dal Collegio della cautela, che ha esaltato due dati per smentire l’idea che il Giudice per le indagini preliminari avesse recepito acriticamente il costrutto del pubblico ministero. Si tratta, in primo luogo, della revisione critica del costrutto accusatorio che ha visto la riqualificazione, da parte del Giudice per le indagini preliminari, della contestazione provvisoria elevata dall’organo inquirente da riciclaggio ad autoriciclaggio; in secondo luogo, sintomatica dell’autonoma valutazione è stata ritenuta l’esclusione della circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen.
D’altra parte è corretta anche l’altra affermazione dell’ordinanza impugnata, secondo la quale l’uso, da parte del Giudice per le indagini preliminari, di tratti della richiesta del pubblico ministero per illustrare l’ipotesi di accusa non è sintomo di mancanza di autonoma valutazione, risolvendosi in una scelta espositiva neutra rispetto al tema dedotto (in termini, tra le altre, Sez. 2, n. 13838 del 16/12/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269970 – 01; Sez. 3, n. 35296 del 14/04/2016, COGNOME, Rv. 268113 – 01).
Quanto al tema della mancanza agli atti della denunzia per la truffa, si rimanda a quanto osservato a proposito del primo motivo di ricorso.
Il quarto motivo di ricorso – che attiene al versante della scelta della misura cautelare – è del tutto aspecifico.
Tale limite della doglianza si coglie sotto due aspetti.
Il primo è che il ricorso trascura di controbattere alla giustificazione offerta dal Collegio della cautela quanto alla scelta della custodia in carcere, che ha fatto leva sia sul sistema truffaldino collaudato che COGNOME aveva praticato, sia sul complesso schema attuato per far perdere le tracce delle somme ricavate dagli illeciti, schema che era stato reso possibile grazie agli ampi collegamenti dell’indagato con altri soggetti che si prestavano, dietro commissione, a consentire i transiti consecutivi delle somme.
Il secondo limite del ricorso attiene al silenzio serbato sull’altra ratio decidendi dello scrutinio sulle esigenze cautelari, vale a dire il pericolo di fuga testimoniato dalla grande disponibilità di denaro in contanti, di contatti esteri e dalla scelta accertata di trasferirsi a Dubai per impiantarvi una nuova attività imprenditoriale.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Giacché dal presente provvedimento non discende la rimessione in libertà del detenuto, si dispone che la Cancelleria effettui gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda la Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen. Così deciso il 19/11/2024.