Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 33640 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Relatore: NOME COGNOME
Penale Sent. Sez. 2 Num. 33640 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/09/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta da
– Presidente –
NOME
UP – 18/09/2025
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
NOME COGNOME
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME, nato a Milano il giorno DATA_NASCITA rappresentato ed assistito dall’AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO – di fiducia avverso la sentenza in data 29/1/2025 della Corte di Appello di Milano. visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; preso atto che e stata richiesta la trattazione orale del procedimento; letta la memoria difensiva datata 3/9/2025 a firma dell’AVV_NOTAIO; udita la relazione svolta dal consigliere NOME AVV_NOTAIO; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; udito il difensore dell’imputato, AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 29 gennaio 2025 la Corte di Appello di Milano, in parziale riforma della sentenza in data 11 ottobre 2022 del Tribunale della medesima città, ha:
riconosciuto la continuazione tra i fatti oggetto dell’odierno giudizio e quelli di cui alla sentenza in data 7 aprile 2022 della Corte di appello di Milano;
ritenuto piø grave il delitto di cui al capo 5 di quest’ultima sentenza;
determinato il trattamento sanzionatorio dell’imputato NOME COGNOME attraverso un aumento di quello indicato nella sentenza del 7 aprile 2022;
confermato nel resto l’affermazione della penale responsabilità del COGNOME in relazione al reato di cui agli artt. 81 e 648-ter.1 cod. pen. limitatamente al profitto originato dalla commissione del reato presupposto di cui all’art. 4 del d.lgs. n. 74/2000.
In sintesi, Ł residuata la contestazione all’imputato del reato di autoriciclaggio perchØ, avendo commesso nel periodo compreso tra il 30 luglio 2015 e l’8 aprile 2016, in qualità di amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE, il delitto di cui all’art. 4 del d.lgs. n. 74/200 di cui alla sentenza n. 16959/19 R.G.G.I.P. del 19/2/2020 emessa dal G.U.P. del Tribunale di Milano, impiegava e trasferiva in attività economico imprenditoriali esercitate dalla società RAGIONE_SOCIALE parte del profitto della commissione di tali delitti mediante l’esecuzione di bonifici sui conti correnti intestati a quest’ultima società in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa.
I fatti in contestazione risalgono ad epoca compresa tra il 19 agosto 2015 ed il 15 giugno 2016.
Ricorrono per Cassazione avverso la predetta sentenza i difensori dell’imputato, deducendo:
2.1. Vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. in relazione alla sussistenza dello schema di riciclaggio delle somme come individuato dal Tribunale.
Sulla premessa che la Corte di appello, ha ribadito quanto già indicato dal Tribunale, che la doglianza difensiva relativa alla determinazione del risparmio di imposta, sarebbe “finalizzata a rivisitare una situazione su cui esiste già una sentenza in giudicato” (pag. 13 della sentenza impugnata), evidenzia la difesa del ricorrente che la Corte territoriale nel respingere il relativo motivo di gravame, sarebbe caduta in un travisamento della prova confondendo l’accertamento del delitto di cui all’art. 4 d.lgs., con la determinazione del risparmio di imposta effettivo da ciò derivante, esclusivamente confluito nel presente processo come flusso di cui al delitto di autoriciclaggio.
In particolare, vi sarebbe una totale asimmetria tra la contestazione operata nel primo processo e l’erronea determinazione del profitto utilizzabile nel delitto di cui si discute in quanto, come ammesso dagli operanti nel presente procedimento, l’analisi della Guardia di RAGIONE_SOCIALE si era concentrata su di un periodo del tutto diverso rispetto all’originaria imputazione e aveva fornito un dato numerico palesemente erroneo per una somma complessiva circa 2,25 milioni di euro, che corrispondeva alla mera somma di bonifici effettuati da alcuni conti riconducibili alla RAGIONE_SOCIALE in un periodo di tempo compreso tra il giorno 1 gennaio 2015 ed il 31 dicembre 2016 mentre il delitto in contestazione era limitato al diverso periodo tra il 19 agosto 2015 e il 15 giugno 2016 (e la dichiarazione infedele, tardiva, era stata depositata solo il 28 novembre 2015).
Non si comprenderebbe, pertanto, come avrebbe potuto essere dimostrata la correlazione fra le mere operazioni bancarie sui conti di RAGIONE_SOCIALE e i proventi dei delitti presupposti come rassegnati nelle incolpazioni, non collimando nØ le date dei commessi reati presupposto con i flussi ipotizzati dalla Polizia giudiziaria, nØ tantomeno la dichiarazione fiscale infedele, per giunta tardivamente depositata.
In sostanza, il ragionamento che avrebbe permeato la decisione dei Giudici di merito partirebbe dal fatto che se la società RAGIONE_SOCIALE era fittizia e se l’imputato ha commesso il delitto di dichiarazione infedele, allora tutte le somme in uscita sarebbero configurabili come autoriciclaggio, ma tale assunto non tiene conto che i fondi oggetto di contestazione provenivano sia da affidamenti di cui la RAGIONE_SOCIALE godeva del tutto estranei al reato di cui all’art. 4 d.lgs. n. 74/2000, sia da crediti che le banche concedevano alla medesima società in forza di anticipi sulle fatture.
L’errore valutativo per la configurabilità del reato di autoriciclaggio sarebbe quindi consistito nel supporre che tutti i bonifici effettuati da RAGIONE_SOCIALE a MAP a supposto pagamento di fatture emesse in periodo successivo al 10 novembre 2015 ( rectius : 28 novembre 2025) fossero da addebitarsi a proventi del delitto presupposto.
2.2. Violazione di legge ex art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. n relazione agli artt. art. 75 (ora 109) del d.P.R. n. 197 del 1986, 8 del d.l. d.l. 16/2012 e 21 del d.P.R. n. 633/1972 (Legge IVA) rispetto alla valutazione del successivo profitto derivante esclusivamente dall’ipotetico risparmio di imposta quale elemento costitutivo del delitto in esame.
Rileva la difesa del ricorrente che, secondo i Giudici di merito, poichØ le somme utilizzate dall’imputato per commettere il delitto di autoriciclaggio, sarebbero esclusivamente
provenienti dal delitto di cui all’art. 4 d.lgs 74/2000, tali somme non potrebbero che essere individuate in (tutte) quelle riferibili ad operazioni poste in essere da RAGIONE_SOCIALE dopo la presentazione delle dichiarazioni fiscali, solo in data 10 novembre 2015 e 28 novembre 2015, per i periodi di imposta relativi agli anni 2012, 2013 e 2014.
Avrebbero, inoltre, errato i Giudici di merito nell’applicazione proprio dell’art. 109 del d.P.R. n. 197/1986 e dell’art. 8 del d.l. 2 marzo 2012, norma in base alla quale si Ł stabilito che i ricavi qualificati come fittizi devono essere abbattuti in un ammontare pari ai costi qualificati come fittizi.
Ne consegue – prosegue la difesa del ricorrente – che l’accertamento (definitivo) del delitto di cui all’art. 4 non implica la possibilità di imputare a tale infedele dichiarazione ogni somma successivamente transitata sui conti di RAGIONE_SOCIALE a valle delle dichiarazioni, se non commettendo una violazione di legge quantomeno ex art. 8 del d.l. 2 marzo 2012.
Parimenti sarebbe errato il riferimento operato dai Giudici di merito all’art. 21 del d.P.R. n. 633/1972 (Legge IVA)
2.3. Violazione di legge ex art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. con riguardo all’art. 648-ter.1 cod. pen. in relazione all’interpretazione corretta dell’attività dissimulatoria e della nozione di trasferimento di somme in attività economiche finanziarie imprenditoriali o speculative.
Evidenzia la difesa del ricorrente che i Giudici di merito si sono limitati in fatto ad accertare che l’imputato aveva meramente bonificato alcune somme da RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE, somme che, in forza della infedele dichiarazione ex art. 4 d.lgs. 74/2000 (tardiva) depositata in data 10 novembre 2015, sarebbero da ritenersi tutte provenienti da tale delitto e che le descritte condotte non potrebbero integrare il delitto di autoriciclaggio.
A parte il fatto che anche la società RAGIONE_SOCIALE Ł stata definita una mera società fittizia, non si comprenderebbe dove si potrebbe configurare in tali operazioni la capacità di ostacolare concretamente la provenienza delittuosa delle somme in esame, ciò in quanto il delitto di autoriciclaggio richiede per la sua configurabilità un quind pluris che non si limita al mero trasferimento di fondi ma richiederebbe il successivo impiego in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative mentre nelle operazioni RAGIONE_SOCIALE non vi sarebbe stato alcun reinvestimento a carattere economico.
2.4. Violazione ed erronea interpretazione dell’art. 545-bis in ordine al mancato avviso circa la possibilità di procedere alla sostituzione della sanzione inflitta al COGNOME con il lavoro di pubblica utilità sostitutivo o con altra sanzione sostitutiva.
Rileva la difesa del ricorrente che poichØ la Corte distrettuale ha del tutto omesso di avvisare l’imputato della possibilità di fruire della sostituzione della sanzione inflitta, nØ ha esplicitato, anche in forma implicita, una valutazione dell’insussistenza dei presupposti per accedere a tale beneficio, ciò imporrebbe anche sotto tale profilo l’annullamento della sentenza impugnata.
2.5. Con memoria difensiva datata 3 settembre 2025 la difesa del ricorrente ha illustrato le ragioni per le quali ha ritenuto di non condividere le conclusioni scritte già depositate dal Procuratore generale ed ha sostanzialmente ribadito quanto già esposto nei motivi principali di ricorso ulteriormente ricordando che:
la Corte di appello avrebbe commesso un evidente vizio logico, e di travisamento di prova laddove ha confuso l’accertamento del delitto di cui all’art. 4 d. lgs 74/2000 (questo sì contenuto nella passata sentenza), con la determinazione del risparmio di imposta effettivo da ciò derivante confluito nel presente processo come flusso di cui al delitto di autoriciclaggio essendovi una totale asimmetria fra la contestazione operata nel primo
processo e l’erronea determinazione del profitto utilizzabile nel delitto di cui si discute in quanto, come ‘ammesso’ dalla Guardia RAGIONE_SOCIALE, l’analisi investigativa si era concentrata su un periodo del tutto dicotomico rispetto all’originaria imputazione;
Ł stato provato che i fondi oggetto di contestazione – del tutto rivisitata dal Tribunale provenissero in primo luogo dagli affidamenti di cui la stessa RAGIONE_SOCIALE godeva (o da altre somme a credito mai smentite dall’accusa) che nulla avevano a che fare con il delitto di cui all’art. 4 d.lgs 74/2000;
i Giudici del merito avrebbero errato nell’applicazione proprio degli artt. 109 dpr 197/1986 (IRES) e dell’art. 8 del DL 2 marzo 2012, norma in base alla quale si Ł stabilito che i ricavi qualificati come fittizi devono essere abbattuti in un ammontare pari ai costi qualificati come fittizi, così come sarebbe parimenti errato il riferimento all’art. 21 del DPR 633/1972 (Legge IVA) come operato sempre dai giudici di merito;
le condotte dell’imputato non possono integrare il contestato delitto di autoriciclaggio essendo stato trascurato il fatto che le somme sono state destinate a società fittizie e mancherebbe nel caso in esame il quid pluris richiesto per la configurabilità del reato consistente in una azione che vada al di là della mera esecuzione dei bonifici e che configuri un reinvestimento di carattere economico;
Ł stato, infine, trascurato il fatto che il COGNOME non avrebbe potuto avanzare specifica richiesta di sostituzione della sanzione inflitta in quanto era stato condannato in origine a pena superiore ai limiti edittali previsti dalla legge.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I primi due motivi di ricorso appaiono meritevoli di trattazione congiunta e sono fondati nei limiti di cui si dirà.
Occorre innanzitutto prendere le mosse dalla sentenza del Tribunale laddove, in sintesi, il COGNOME era chiamato a rispondere del delitto di cui agli artt. 81 e 648-ter.1 cod. pen. per avere trasferito, dalla società RAGIONE_SOCIALE alla società RAGIONE_SOCIALE, somme costituenti parte del profitto sia del reato di cui all’art. 640-bis cod. pen. che di quello di cui all’art. 4 del d.lgs. n. 74/2000.
Il Tribunale per le ragioni illustrate alla pagg. da 5 a 7 della relativa sentenza assolveva (con la formula ‘perchØ il fatto non sussiste’) il COGNOME con riferimento alla contestazione di autoriciclaggio dei profitti originati dalla commissione dei reati presupposto di cui all’art. 640bis cod. pen.
Ne residua che, in assenza di impugnazione da parte della Pubblica Accusa, il focus dell’imputazione Ł rimasto solo quello del reato di autoriciclaggio del profitto derivante dalla commissione del reato di cui all’art. 4 del d.lgs. n. 74/2000.
Con riguardo a quest’ultimo reato veniva acquisita la sentenza emessa dal G.u.p. di Milano in data 19 febbraio 2020, divenuta nel frattempo irrevocabile a seguito di concordato ex art. 599-bis cod. proc. pen. in sede di appello, nella quale, era evidenziato:
che con la dichiarazione dei redditi presentata il 10 novembre 2015 (in relazione agli anni di imposta 2012 e 2013) nonchØ con altra dichiarazione presentata 28 novembre 2015 (in relazione all’anno di imposta 2014) venivano dichiarati costi ed imponibili acquisti relativi a RAGIONE_SOCIALE che comportavano elevatissime detrazioni IVA;
che, a seguito di indagini della P.G. relative alle società che apparentemente avevano avuto rapporti con la RAGIONE_SOCIALE, era emersa una evidente discrasia tra di dati dichiarati ai fini fiscali e quelli effettivamente accertati, il che aveva consentito di realizzare evasioni sia dell’IVA che dell’IRES per ingentissimi importi;
che RAGIONE_SOCIALE era pertanto da ritenersi una entità giuridica priva di reale
operatività;
d) che tra le società attenzionate nelle indagini vi era anche la RAGIONE_SOCIALE, società risultata formalmente amministrata da tale NOME COGNOME, ma di fatto riconducibile al COGNOME e ad altri;
che, in sostanza, la RAGIONE_SOCIALE (successivamente dichiarata fallita e risultata anch’essa priva di reale operatività) fungeva da schermo per assicurare il riciclaggio di denaro proveniente dai reati commessi da RAGIONE_SOCIALE.
Tutto ciò premesso, rilevava il Tribunale che le sopra menzionate dichiarazioni dei redditi presentate all’Amministrazione Finanziaria il 10 novembre 2015 ed il 28 novembre 2015 erano da ritenersi infedeli ed avevano portato ad una evasione di imposta di complessivi 1.631.015,59 euro per il 2012, 2.050.785,47 euro per il 2013 e 2.473.844,38 euro per il 2014 determinata attraverso la esclusione dal computo dei costi fittizi, mantenendo, invece l’imposizione sui ricavi.
Così ricostruita la situazione legata alla evasione fiscale, il Tribunale prendeva correttamente in considerazione solo i pagamenti effettuati dalla RAGIONE_SOCIALE alla MAP successivi al giorno 10 novembre 2015 (quindi successivi alla prima violazione dell’art. 4 d.lgs. n. 74/2000) riguardanti somme per complessivi 1.218.728,00 euro che sono poi risultate essere retrocesse al COGNOME attraverso l’intermediazione di terze società sempre riconducibili all’imputato o a suoi intermediari.
La Corte di appello nella sentenza oggetto del ricorso qui in esame, dopo avere ricostruito il contenuto della sentenza del Tribunale e quella del G.u.p. relativa all’art. 4 del d.lgs. n. 74/2000 e avere correttamente ricordato che, ai sensi di legge, se viene emessa una fattura per operazioni inesistenti, ovvero se nella fattura i corrispettivi delle operazioni o le imposte relative sono indicati in misura superiore a quella reale, l’imposta Ł dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura, e dopo avere altrettanto correttamente riassunto i motivi di gravame, ha ricordato (v. pag. 13 della sentenza qui impugnata) che RAGIONE_SOCIALE era soggetto che pur non avendo clienti propri e strutture parametrate all’oggetto sociale ed all’attività esposta aveva visto transitare sui propri conti correnti rilevanti somme «che nella massima parte sono risultate di provenienza illecita e, comunque, non sono state supportate da alcuna documentazione che potesse farne ritenere la lecita provenienza», avendo la sentenza riguardante i reati presupposti «accertato la commissione di truffe in pubbliche forniture e tutta una serie di artifici finalizzati all’ottenimento di somme pacificamente non dovute».
La stessa Corte di appello (pag. 16 della sentenza) ha poi ribadito che la RAGIONE_SOCIALE era una società «la cui esistenza si parametrava in maniera pressochØ esclusiva alla percezione del profitto di truffe in pubbliche forniture e alla realizzazione di illeciti tributari».
Rileva preliminarmente il Collegio:
che non risulta specificamente indicato nel ricorso qui in esame alcun elemento che porta a ritenere l’erroneità dei calcoli dell’imposta evasa e che ha portato alla affermazione definitiva della responsabilità dell’imputato in relazione al reato di cui all’art. 4 del d.lgs. n. 74/2000 con la conseguenza che i relativi dati non possono piø essere messi in discussione;
b) che, in ogni caso, risulta dallo stesso testo del capo di imputazione che solo ‘parte’ del relativo profitto Ł stata utilizzata per la consumazione del reato di autoriciclaggio;
c) che, partendo dal presupposto accertato in fatto, secondo il quale la RAGIONE_SOCIALE Ł risultata essere soggetto che non aveva clienti propri e non aveva strutture in qualche modo parametrate all’oggetto sociale e all’attività esposta e che, nonostante ciò, sui conti di tale società transitavano somme, anche rilevanti sotto l’aspetto economico, che, nella massima
parte, sono risultate di provenienza illecita e, comunque, non sono state supportate da alcuna documentazione che potesse farne ritenere la lecita provenienza, la Corte di appello ha correttamente evidenziato che le doglianze difensive – come detto riproposte anche in questa sede di legittimità – tendono inammissibilmente alla rivisitazione degli elementi di un reato in relazione al quale Ł già intervenuta una sentenza irrevocabile di condanna dell’odierno imputato il quale – ha osservato la stessa Corte territoriale – in sede di concordato in appello, nell’ambito del primo procedimento aveva rinunciato ai motivi inerenti la propria responsabilità con la conseguenza che ha, in tal modo, prestato acquiescenza proprio sui punti che Ł tentato di far riesaminare in sede di gravame nel presente procedimento;
che, anche alla luce di quanto appena esposto, non emerge alcuna discrasia di natura temporale tra quanto accertato in relazione al reato presupposto di cui all’art. 4 d.lgs. n. 74/2000 (non piø rivalutabile in questa sede) ed il reato di autoriciclaggio qui in esame il cui ambito temporale di consumazione, diversamente – ma non incompatibilmente – per quanto Ł accaduto per la violazione finanziaria, Ł legato ai versamenti effettuati dalla società RAGIONE_SOCIALE alla società RAGIONE_SOCIALE dopo la presentazione della prima delle dichiarazioni infedeli;
che la sentenza impugnata ha dato corretta risposta in punto di fatto e diritto anche alle dedotte questioni relative alla corretta applicazione in principalità dell’art. 8 del d.l. n. 16/2012 ben spiegando le condivisibili ragioni per le quali, nel caso in esame, Ł del tutto inconferente la doglianza relativa alla mancata applicazione di tale disposizione di legge.
Purtuttavia, osserva il Collegio, la motivazione della sentenza della Corte di appello sconta un vizio di fondo che può essere rilevato in questa sede di legittimità.
Infatti, anche a voler dare per assodato come hanno fatto i Giudici di entrambi i gradi di merito, che sui conti di RAGIONE_SOCIALE transitavano somme di denaro per la quasi totalità di provenienza illecita, non risulta corretto apoditticamente affermare che i fondi economici movimentati e trasferiti alla MAP sono quelli derivanti dai proventi ottenuti per effetto della consumazione del reato di cui all’art. 4 del d.lgs. n. 74/2000.
Il problema sorge, infatti, per effetto della rigorosa sopravvenuta delimitazione del capo di imputazione al solo impiego e trasferimento alla società RAGIONE_SOCIALE dei fondi provenienti dal reato di cui al citato art. 4 e non Ł possibile affermare, come ha sostanzialmente fatto la Corte territoriale, senza idoneo approfondimento motivazionale legato ad elementi probatori opportunamente vagliati, che, sebbene RAGIONE_SOCIALE godesse di plurime fonti di approvvigionamento di denaro ottenuto con modalità illecite, la parte di denaro trasferita alla MAP fosse proprio quella realizzata attraverso la consumazione del reato di cui all’art. 4, in quanto la provvista economica oggetto di trasferimento alla MAP ben avrebbe potuto essere quella che aveva fatto ingresso nelle casse della società per effetto di operazioni diverse, anche lecite, da quelle che hanno determinato l’accertata violazione dell’obbligazione tributaria.
In sostanza, la Corte di appello se da un lato ha correttamente evidenziato che il giudicato sulla violazione dell’art. 4 – unico reato, come detto, oggi costituente il presupposto del delitto di autoriciclaggio qui in esame – non può piø essere messo in discussione, non ha tenuto conto del fatto che proprio quel giudicato comportava che:
la società interessata aveva anche entrate lecite in ordine alle quali era gravata dall’onere di presentare dichiarazioni fedeli;
le dichiarazioni presentate erano infedeli;
il profitto autoriciclato poteva solo corrispondere al risparmio d’imposta ricavato dalle dichiarazioni infedeli.
Quanto appena esposto non consente, pertanto, di affermare, coma ha fatto la Corte territoriale, che tutte le entrate della RAGIONE_SOCIALE fossero di origine illecita e che detta società fosse in toto una cartiera.
Del resto, si Ł anche sopra già evidenziato che da un lato la Corte di appello (v. pag. 13 della sentenza impugnata) ha sostenuto che le somme che transitavano sui conti della società erano ‘nella massima parte’ di provenienza illecita, in tal modo dando atto che vi erano anche delle provviste lecite, e dall’altro, ha dato però per scontato, senza adeguatamente motivarlo, che le somme transitate dalla RAGIONE_SOCIALE alla MAP erano proprio quelle provenienti dalla violazione dell’art. 4.
NØ potrebbe valere a supportare tale affermazione il semplice fatto che, pure in presenza di plurime fonti di provenienza di denaro di natura sia lecita che illecita confluito nelle casse di RAGIONE_SOCIALE, in ogni caso, il profitto derivante dalla consumazione del reato ( rectius : dei reati) di cui all’art. 4, sostanzialmente coincidente con un risparmio di imposta, sarebbe comunque superiore (sulla base degli accertamenti effettuati dalla Guardia di RAGIONE_SOCIALE e riportati nelle sentenze di merito) alle somme trasferite dalla RAGIONE_SOCIALE alla MAP.
Ne consegue che si impone l’annullamento sul punto della sentenza impugnata e la trasmissione degli atti ad altra sezione della Corte di appello di Milano per le integrazioni probatorie (ove possibili) e, comunque, di motivazione al riguardo.
Per opportuno dovere di completezza, deve comunque essere rilevata la manifesta infondatezza del terzo motivo di ricorso nel quale la difesa dell’imputato contesta la corretta configurabilità del reato di cui all’art. 648-ter.1 cod. pen.
La Corte di appello (pagg. 18 e 19 della relativa sentenza) ha dato a tale questione risposta congrua e logica oltre che rispondente ai principi di diritto che regolano la materia.
E’ innanzitutto appena il caso di ricordare che in base al disposto della disposizione di legge sopra citata il delitto di autoriciclaggio si realizza allorquando – in via alternativa e non cumulativa – si «… impiega, sostituisce, trasferisce, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative il denaro, i beni o le altre utilità» provenienti dalla commissione di un delitto commesso dal soggetto agente o nel quale lo stesso ha concorso «in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa».
Pacifico Ł, innanzitutto, il fatto della realizzazione nel caso in esame della richiesta condotta dissimulatoria avendo questa Corte chiarito che «In tema di autoriciclaggio, Ł configurabile la condotta dissimulatoria nel caso in cui, successivamente alla consumazione del delitto presupposto, il reinvestimento del profitto illecito in attività economiche, finanziarie o speculative sia attuato attraverso il mutamento dell’intestazione soggettiva del bene, in quanto la modifica della formale titolarità del profitto illecito Ł idonea a ostacolare la sua ricerca, l’individuazione dell’origine illecita e il successivo trasferimento» (Sez. 2, n. 13352 del 14/03/2023, PMT c/Carabetta, Rv. 284477 – 01; Sez. 2, n. 16059 del 18/12/2019, dep. 2020, Fabbri Rv. 279407 – 02).
Altrettanto Ł pacifico che nel caso in esame sia avvenuto il trasferimento delle somme di cui all’imputazione tra due società di capitali (dalla RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE) che, ancorchØ fittiziamente, risultavano come operanti nel settore di attività economiche ed imprenditoriali e ciò basta in quanto per la configurabilità del reato non Ł necessario l”impiego’ (cioŁ l’effettivo uso dei proventi illeciti in attività economiche) come richiesto dall’art. 648-ter cod. pen., prevedendo, come detto, la fattispecie di cui all’art. 648-ter.1 cod. pen. un piø ampio spettro di condotte, non necessariamente cumulative, tra le quali quella di mero ‘trasferimento’.
In sostanza il disposto dei cui all’art. 648-ter.1 cod. pen. (contrariamente all’art. 648-ter) si presenta come una norma strutturata su di una elencazione di condotte (oltre che su un catalogo di destinazioni) che contempla modalità alternative di condotta con la conseguenza che il reato Ł configurabile sia quando sono poste in essere esclusivamente le condotte di ‘trasferimento’ o ‘sostituzione’, che consistono in comportamenti che mutano la titolarità del bene, sia quando sono poste in essere esclusivamente attività di ‘reimpiego’ che si concretizzano in qualsiasi tipologia di re-immissione di proventi illeciti nel ciclo economico.
A ciò si aggiunge che le operazioni ricostruite in fatto nel caso qui in esame hanno comportato il trasferimento di somme in un circuito economico-finanziario ed il conseguente inserimento di tali operazioni nelle scritture contabili di società caratterizzate da fini di lucro e ciò a prescindere dalla concreta realizzazione di tale fine, il che basta per ritenere configurato il delitto de quo .
Il quarto motivo di ricorso, ferma restando una diversa rivalutazione dell’intera vicenda anche sotto il profilo sanzionatorio all’esito del processo di rinvio, Ł anch’esso, allo stato, da ritenersi manifestamente infondato.
Occorre, infatti, ricordare che in relazione al reato oggetto del presente procedimento la Corte territoriale ha riconosciuto la continuazione ex art. 81, comma 2, rispetto ad altro reato già giudicato in altro procedimento definito con sentenza irrevocabile e, per l’effetto, ha proceduto ad un aumento del trattamento sanzionatorio nella misura di anni 1 e mesi 10 di reclusione, così giungendo alla pena complessiva in relazione ai fatti oggetto di entrambe le pronunce di anni 5 e mesi 9 di reclusione, pena quest’ultima che travalica i limiti di cui all’art. 20-bis cod. pen. e che, pertanto, non consente l’applicazione di pene sostitutive.
Al riguardo deve ricordarsi il principio secondo il quale «Ai fini della determinazione dei limiti entro cui possono trovare applicazione le pene sostitutive di pene detentive brevi, deve tenersi conto, nel caso in cui vengano in rilievo piø reati unificati per concorso formale o continuazione, della pena detentiva risultante dagli aumenti effettuati ex art. 81, cod. pen., sicchØ il giudice potrà sostituire la pena detentiva solo se, dopo aver determinato l’aumento di pena per il concorso formale o la continuazione dei reati, la pena detentiva risulti quantificata in misura complessiva non superiore a quattro anni» (Sez. 2, n. 9612 del 05/02/2025, COGNOME, Rv. 287640).
Deve altresì essere ricordato che questa Corte ha, altresì, già avuto modo di chiarire che «In tema di sanzioni sostitutive di pene detentive brevi, il giudice non Ł tenuto a proporre, in ogni caso, all’imputato l’applicazione di una pena sostitutiva, essendo investito di un potere discrezionale al riguardo, sicchØ l’omessa formulazione, subito dopo la lettura del dispositivo, dell’avviso di cui all’art. 545-bis, comma 1, cod. proc. pen., non comporta la nullità della sentenza, presupponendo un’implicita valutazione dell’insussistenza dei presupposti per accedere alla misura sostitutiva» (Sez. 1, n. 2090 del 12/12/2023, dep. 2024, S., Rv. 285710 – 01; Sez. 2, n. 43848 del 29/09/2023, D., Rv. 285412 – 01).
P.Q.M
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Milano.
Così Ł deciso, 18/09/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente
NOME
NOME COGNOME