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Autoriciclaggio peculato: quando sussiste il reato?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 26369/2025, affronta un caso di presunto autoriciclaggio e peculato. La Corte stabilisce che i fondi ricevuti da un’associazione privata come corrispettivo per un servizio pubblico perdono la loro natura pubblicistica. Di conseguenza, la loro appropriazione non configura il reato di peculato, ma quello di appropriazione indebita. Tuttavia, la Corte chiarisce un punto fondamentale sull’autoriciclaggio: questo reato può sussistere anche se il reato presupposto (l’appropriazione indebita) non è procedibile per mancanza di querela, annullando con rinvio la decisione precedente.

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Pubblicato il 25 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Autoriciclaggio, Peculato e Appropriazione Indebita: La Cassazione Fa Chiarezza

Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 26369 del 2025, getta nuova luce sulla complessa relazione tra autoriciclaggio, peculato e appropriazione indebita, specialmente in contesti dove il confine tra pubblico e privato è sottile. La decisione è cruciale per comprendere quando la gestione di fondi, provenienti da enti pubblici ma destinati a soggetti privati che svolgono servizi di pubblica utilità, possa integrare un reato contro la Pubblica Amministrazione o un più comune reato contro il patrimonio.

I Fatti del Caso: La Gestione dei Fondi di un’Associazione di Pubblica Assistenza

Il caso ha origine da un procedimento a carico dell’amministratore di un’associazione di pubblica assistenza, convenzionata con l’Azienda Sanitaria Locale per fornire servizi di trasporto sanitario. L’amministratore era accusato di essersi appropriato di somme di denaro che l’associazione aveva ricevuto dall’ASL come corrispettivo per i servizi svolti. I fondi, anziché essere utilizzati per gli scopi istituzionali dell’ente, sarebbero stati dirottati su conti personali e impiegati per finalità private. Le accuse iniziali erano di peculato e autoriciclaggio.

La Decisione del Tribunale del Riesame: Da Peculato a Appropriazione Indebita

In una prima fase, il Tribunale del riesame aveva annullato un sequestro preventivo disposto sui beni dell’indagato. Secondo il Tribunale, il reato configurabile non era il peculato. La motivazione era che le somme, una volta pagate dall’ASL all’associazione, erano entrate a far parte del patrimonio privato di quest’ultima, perdendo la loro natura pubblicistica. Di conseguenza, l’eventuale appropriazione da parte dell’amministratore doveva essere qualificata come appropriazione indebita. Poiché per tale reato è necessaria la querela della persona offesa (l’associazione stessa), e questa mancava, il reato non era procedibile. Venendo meno il reato presupposto (il peculato), il Tribunale aveva annullato il sequestro anche per l’accusa di autoriciclaggio.

L’Analisi della Cassazione sul Reato di Peculato

La Procura ha impugnato la decisione davanti alla Corte di Cassazione. Sul primo punto, quello relativo alla qualificazione del reato, la Suprema Corte ha confermato la visione del Tribunale del riesame. I giudici hanno chiarito che, sebbene l’amministratore possa essere considerato un “incaricato di pubblico servizio” durante l’effettivo svolgimento delle attività di trasporto sanitario, ciò non significa che i fondi ricevuti come pagamento per tali servizi mantengano una natura pubblica.

Il delitto di peculato richiede che il soggetto si appropri di denaro o beni di cui ha la disponibilità “per ragioni del suo ufficio o servizio”. In questo caso, il denaro era nella disponibilità dell’associazione non per una funzione pubblica, ma come corrispettivo contrattuale di natura privatistica. Una volta incassato, il denaro diventa patrimonio privato dell’ente, e la sua successiva distrazione da parte di un amministratore integra il reato di appropriazione indebita.

Il Principio Decisivo sull’Autoriciclaggio e il Reato Presupposto

Il punto più innovativo e rilevante della sentenza riguarda la contestazione di autoriciclaggio peculato. La Cassazione ha ribaltato la decisione del Tribunale del riesame su questo aspetto, accogliendo il ricorso della Procura.

Il Tribunale aveva erroneamente ritenuto che, riqualificato il fatto in appropriazione indebita e data la mancanza di querela, fosse venuto meno il presupposto stesso dell’autoriciclaggio. La Cassazione ha invece affermato un principio di diritto fondamentale: il reato di autoriciclaggio sussiste anche quando il reato presupposto non è punibile per una condizione di procedibilità, come appunto la querela.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha basato la sua decisione sull’interpretazione dell’art. 648-ter.1 del codice penale, che disciplina l’autoriciclaggio. Questa norma richiama espressamente una disposizione contenuta nell’art. 648 c.p. (ricettazione), la quale stabilisce che il reato sussiste anche se l’autore del delitto presupposto non è imputabile o non è punibile. La mancanza di querela rende il reato di appropriazione indebita “non punibile” in concreto, ma non lo cancella come fatto storico illecito. Di conseguenza, la sua astratta configurabilità è sufficiente a fungere da presupposto per il delitto di autoriciclaggio. Pertanto, il Tribunale del riesame avrebbe dovuto valutare la sussistenza dei presupposti per il sequestro in relazione al reato di autoriciclaggio, considerando come reato presupposto l’appropriazione indebita, seppur non procedibile.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia

Questa sentenza ha importanti implicazioni. Da un lato, traccia una linea netta tra peculato e appropriazione indebita nella gestione di fondi da parte di enti privati che operano in convenzione con il pubblico. Dall’altro, rafforza in modo significativo lo strumento repressivo dell’autoriciclaggio. Si stabilisce che le condotte di reimpiego di capitali illeciti possono essere perseguite anche quando il reato da cui quei capitali provengono non può essere punito per motivi procedurali. Ciò amplia notevolmente il raggio d’azione della magistratura nel contrasto ai fenomeni di inquinamento dell’economia legale da parte di proventi criminali.

Quando l’appropriazione di fondi da parte di un’associazione che svolge un servizio pubblico costituisce peculato?
Secondo la Corte, non costituisce peculato se i fondi rappresentano il corrispettivo per servizi resi. Una volta che il denaro viene pagato dall’ente pubblico all’associazione privata, esso entra nel patrimonio di quest’ultima e perde la sua natura pubblica. Il peculato si configura solo quando l’agente ha la disponibilità di fondi che mantengono natura pubblica in ragione del suo ufficio o servizio.

Il reato di autoriciclaggio può esistere se il reato presupposto (es. appropriazione indebita) non è perseguibile per mancanza di querela?
Sì. La Corte di Cassazione ha affermato che, in base all’art. 648-ter.1 del codice penale, il delitto di autoriciclaggio è configurabile anche quando il reato presupposto non è concretamente punibile per la mancanza di una condizione di procedibilità, come la querela. È sufficiente che il reato presupposto sia astrattamente previsto dalla legge.

Qual è la differenza tra la qualifica di ‘incaricato di pubblico servizio’ e la natura dei beni gestiti?
La sentenza distingue nettamente i due concetti. Una persona può rivestire la qualifica di incaricato di pubblico servizio limitatamente allo svolgimento di una specifica attività (es. il trasporto sanitario), ma questa qualifica non trasforma automaticamente in ‘beni pubblici’ i fondi che gestisce. Il corrispettivo pagato per un servizio è un bene privato dell’associazione, e la sua gestione rientra nell’ambito privatistico, non in quello della pubblica amministrazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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