Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 1808 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 1808 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/12/2024
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; sentito il difensore, Avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Treviso, in sede di riesame di provvedimenti impositivi di misure cautelari reali, ha confermato il decreto di convalida del sequestro preventivo diretto, cosiddetto impeditivo, emesso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Treviso il 3 luglio 2017, avente ad oggetto tre polizze assicurative riconducibili alla ricorrente, indagata in relazione al reato di autoriciclaggio, commesso, secondo l’imputazione provvisoria, nell’avere impiegato, con modalità tali da ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa, il profitto del reato presupposto di truffa all
compagnia assicurativa RAGIONE_SOCIALE, attraverso l’acquisto di tre polizze vita del valore complessivo di 435.013,70 euro.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME deducendo, con unico ed articolato motivo, violazione di legge per avere il Tribunale ritenuto sussistente il fumus commissi delicti del reato contestato.
Secondo la ricorrente, la condotta ascrittale non sarebbe caratterizzata da attività dissimulatoria idonea ad ostacolare concretamente l’identificazione della provenienza delittuosa del profitto del reato presupposto, dal momento che non vi sarebbe stata alcuna trasformazione del denaro contante – ottenuto a titolo di risarcimento – in polizze vita, bensì la diretta erogazione di parte del risarcimento assicurativo liquidato in favore della società della ricorrente mediante la stipula delle tre polizze assicurative, circostanza della quale la compagnia assicurativa sarebbe stata a conoscenza.
Di tal che, si sarebbe trattato di una operazione volta a configurare il solo reato presupposto di cui all’art. 642 cod.pen., attraverso l’ottenimento del relativo profitto, ma non idonea a integrare il delitto di autoriciclaggio contestato, che presuppone una condotta successiva al perfezionamento del primo.
Peraltro, la beneficiaria delle polizze era la stessa società agricola riconducibile alla ricorrente, che aveva richiesto l’indennizzo – in ipotesi basato su presupposti fasulli – circostanza idonea ad escludere in radice qualsivoglia attività dissimulatoria.
Si assume, infine, che nella condotta della ricorrente doveva, al più, venire in rilievo l’ipotesi di non punibilità di cui all’art. 648-ter.1., quinto comma, cod.pen che si realizza nel caso in cui l’agente usufruisca o destini il danaro o le altr utilità alla mera utilizzazione o al godimento personale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, proposto per motivi complessivamente infondati, deve essere rigettato. Nella condotta della ricorrente si individua il fumus commissi delicti del reato di autoriciclaggio.
Dalla ricostruzione operata dal Tribunale, risulta, infatti, che l’indagata attraverso l’opera di intermediazione effettuata dalla agenzia assicurativa RAGIONE_SOCIALE, riferibile al di lei padre e fratello ed affiliata alla Generali Italia aveva ottenuto un risarcimento pari ad euro 690.500, in relazione ad eventi non produttivi dei danni denunciati agli immobili assicurati, così da concorrere nel
reato di truffa ad una compagnia assicurativa di cui all’art. 642 cod.pen., individuato come reato presupposto rispetto a quello di autoriciclaggio contestato e che regge la misura cautelare.
Una parte della somma indebitamente ottenuta a titolo di risarcimento, era stata erogata alla ricorrente mediante assegni; con la restante e più cospicua parte, quella che qui interessa, erano state accese in suo favore tre polizze vita con la Generali Italia s.p.a., per mezzo della agenzia affiliata RAGIONE_SOCIALE
Tali polizze, oggetto di sequestro, non possono ritenersi, come si vorrebbe in ricorso, la diretta erogazione dell’importo del risarcimento, posto che esse erano state all’apparenza stipulate attraverso un versamento in danaro proveniente da “lavoro autonomo” della ricorrente.
Si tratta di un infingimento, a valle, idoneo a dare alle polizze una causale non collegata al risarcimento proveniente dai sinistri denunciati e che si assumono falsi, così da sganciare tale nuovo prodotto finanziario da ogni riferibilità al truffa, per l’appunto dissimulando l’identificazione della provenienza delittuosa del cespite utilizzato per l’accensione delle polizze.
L’operazione illecita, peraltro, era stata orchestrata non dalla RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE ma dalla agenzia assicurativa ad essa affiliata, appartenente ai congiunti della ricorrente, con un infingimento anche a monte nei confronti della affiliante, che era rimasta in un primo tempo ignara delle modalità del versamento operato dalla ricorrente (fg. 4 del provvedimento impugnato).
La condotta contestata, pertanto, dotata di spiccato e concreto carattere dissimulatorio, era consistita, come ha correttamente evidenziato il Tribunale, nel trasformare il profitto ottenuto dal reato presupposto di cui all’art. 642 cod.pen. attraverso l’acquisto di tre prodotti finanziari nuovi e con origine solo i apparenza lecita e diversa, perché asseritamente costituiti con proventi da lavoro autonomo.
Semmai, seguendo l’ottica difensiva – rilievo che serve a cogliere la differenza tra le due modalità di realizzazione dell’illecito complessivamente considerato il profitto del reato presupposto è rinvenibile in quella parte della somma, proveniente dal risarcimento non dovuto, erogata all’indagata tramite assegni, non oggetto del sequestro all’odierno esame.
Deve aggiungersi, inoltre, che la condotta di autoriciclaggio, commessa nei termini evidenziati, era intervenuta dopo la consumazione del reato presupposto, dal momento che il delitto di cui all’art. 642 cod.pen. è a consumazione anticipata
e si realizza per effetto della denuncia di falso sinistro, l’eventuale perseguimento dell’indennizzo configurandosi come circostanza aggravante.
Peraltro, nel caso in esame, il profitto della truffa alla compagnia assicurativa era già stato interamente quantificato nell’importo complessivo più sopra indicato (euro 690.500), in parte era già stato liquidato in favore della ricorrente per mezzo di assegni ed in parte si trovava a disposizione dei concorrenti nel reato di truffa, congiunti dell’indagata, che gestivano la società affiliata alla RAGIONE_SOCIALE e che avevano proceduto alla accensione delle polizze in sequestro. Infine, la circostanza che l’operazione incriminata potesse rappresentare, per la ricorrente, un godimento personale del cespite, così da essere scriminata ai sensi dell’art. 648-ter.1., quinto comma, cod.pen., non è valutabile in questa sede, non avendo formato oggetto della richiesta di riesame.
In tema di impugnazioni cautelari reali, la parte che propone richiesta di riesame, per la natura di mezzo di gravame della stessa, è tenuta ad articolare appositi motivi, sicché, ove successivamente proponga ricorso per cassazione avverso la decisione del tribunale del riesame, è tenuta a dedurre motivi corrispondenti a quelli con i quali erano state fatte valere le questioni a questo prospettate, pena l’inammissibilità delle deduzioni, siccome nuove (Sez. 3, n. 29366 del
23/04/2024, COGNOME, Rv. 286752 – 01).
In ogni caso, si era trattato di un redditizio investimento in un prodotto finanziario avvenuto con concreta attività dissimulatoria, con esclusione, pertanto, della causa di non punibilità richiamata in ricorso (sul punto, cfr. Sez. 2, n. 13795 del 07/03/2019, COGNOME, Rv. 275528-02, Sez. 2, n. 30399 del 07/06/2018, 6 (n 3-r ór’ massimata).
3, Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, il 05/12/2024.