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Autoriciclaggio: il trasferimento a società diverse basta

Un imprenditore trasferiva fondi da una società, poi dichiarata fallita, ad altre due imprese da lui stesso amministrate. La Corte di Cassazione ha confermato il sequestro per autoriciclaggio, stabilendo che il trasferimento di denaro a entità giuridiche distinte costituisce di per sé una condotta dissimulatoria idonea a configurare il reato, anche se l’amministratore è la medesima persona. La modifica della titolarità giuridica dei fondi è l’elemento chiave che ostacola la tracciabilità della loro provenienza illecita.

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Pubblicato il 12 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Autoriciclaggio e Bancarotta: Quando il Trasferimento tra Società Configura il Reato

La linea di demarcazione tra la gestione del profitto di un reato e la commissione di un nuovo e autonomo delitto è spesso sottile. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti cruciali sul reato di autoriciclaggio, specialmente quando questo si intreccia con la bancarotta fraudolenta. La Corte ha stabilito che il semplice trasferimento di fondi distratti da una società fallita a altre entità giuridiche, anche se gestite dallo stesso soggetto, è sufficiente a integrare il reato. Vediamo nel dettaglio la vicenda e le motivazioni dei giudici.

I Fatti del Caso

Un imprenditore, amministratore di tre diverse società, veniva indagato per bancarotta per distrazione e autoriciclaggio. L’accusa sosteneva che egli avesse trasferito una somma superiore a 200.000 euro da una delle sue società, successivamente dichiarata fallita, verso le altre due. L’operazione, secondo la Procura, non era finalizzata a un mero utilizzo personale del denaro, ma al suo reimpiego nelle attività economiche e imprenditoriali delle società beneficiarie, ostacolando così l’identificazione della sua provenienza delittuosa.

Il Percorso Giudiziario e la questione sull’autoriciclaggio

Il percorso giudiziario è stato complesso. Inizialmente, il Tribunale del riesame aveva negato il sequestro preventivo delle somme, ritenendo che la condotta rientrasse unicamente nel reato di bancarotta. Tuttavia, la Procura aveva presentato ricorso in Cassazione, la quale aveva annullato la decisione, affermando un principio di diritto fondamentale: per l’autoriciclaggio non è necessario un comportamento particolarmente artificioso, ma è sufficiente che vengano poste in essere condotte idonee a ostacolare la tracciabilità del denaro. Rinviata la causa al Tribunale del riesame, quest’ultimo, conformandosi al principio della Corte, disponeva il sequestro. Contro questa nuova ordinanza, l’imprenditore proponeva un nuovo ricorso in Cassazione, sostenendo che mancasse il quid pluris, ovvero quell’elemento aggiuntivo con concreta attitudine dissimulatoria richiesto dalla legge.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione, nel rigettare definitivamente il ricorso, ha offerto una motivazione chiara e lineare. La ratio della norma sull’autoriciclaggio (art. 648-ter.1 c.p.) è quella di ‘congelare’ il profitto nelle mani di chi ha commesso il reato presupposto, per impedirne l’utilizzazione e la reimmissione nel circuito dell’economia legale, che verrebbe così inquinata.

Il punto centrale della decisione risiede nell’individuazione della condotta dissimulatoria. I giudici hanno chiarito che, sebbene il mero trasferimento di somme non sia di per sé sufficiente, il caso in esame presentava un elemento decisivo: la cosiddetta ‘divaricazione soggettiva’. Il denaro non era stato semplicemente spostato da un conto all’altro dello stesso soggetto, ma era stato trasferito dalla società fallita ad altre due compagini sociali. Queste ultime, pur essendo amministrate dalla stessa persona, sono soggetti giuridici distinti e autonomi.

Questo passaggio di titolarità formale del denaro da una persona giuridica a un’altra è stato ritenuto dalla Corte come la condotta con concreta capacità dissimulatoria. Tale operazione, infatti, rende oggettivamente più complessa l’individuazione della provenienza illecita dei fondi, poiché richiede un’indagine sui flussi finanziari tra entità diverse. Non si tratta più di un semplice godimento del profitto illecito, ma di un suo reinvestimento in altre attività economiche che, grazie a questo capitale, hanno potuto continuare a operare, alterando la concorrenza e inquinando il mercato.

Le Conclusioni

La sentenza stabilisce un principio di notevole importanza pratica: la condotta di autoriciclaggio si configura quando il profitto di un reato (nel caso di specie, la bancarotta) viene trasferito a un soggetto giuridico diverso da quello originario, anche se l’amministratore di fatto è il medesimo. La modifica della titolarità formale del bene è l’elemento che integra il quid pluris richiesto dalla norma, poiché è intrinsecamente idoneo a ostacolare la ricostruzione dell’origine delittuosa del capitale. Questa interpretazione rafforza gli strumenti di contrasto all’inquinamento dell’economia legale, ponendo un’attenzione particolare sui flussi finanziari all’interno di gruppi di società gestite dalla medesima governance.

Il semplice trasferimento di denaro proveniente da bancarotta a un’altra società dello stesso amministratore è autoriciclaggio?
Sì. Secondo la Corte, il trasferimento a un’entità giuridica diversa, anche se amministrata dalla stessa persona, integra il reato di autoriciclaggio perché muta la titolarità formale del bene, rendendone più difficile l’identificazione della provenienza illecita.

Cosa si intende per ‘concreta idoneità dissimulatoria’ nel reato di autoriciclaggio?
Si intende un’azione che, al di là del semplice godimento del profitto illecito, è oggettivamente capace di rendere difficoltosa l’identificazione della provenienza delittuosa del bene. Nella sentenza, il trasferimento a una diversa persona giuridica è stato ritenuto una condotta con tale idoneità.

Perché la Corte ha ritenuto che non vi fosse una doppia punizione per la stessa condotta (bancarotta e autoriciclaggio)?
La Corte ha specificato che la condotta di autoriciclaggio è successiva e autonoma rispetto a quella di bancarotta. La bancarotta si consuma con la distrazione dei fondi; l’autoriciclaggio si configura con il loro successivo reimpiego in altre attività economiche attraverso un’operazione, come il trasferimento a un’altra società, che ne ostacola la tracciabilità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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