Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 25611 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 25611 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 15/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nata a GALLARATE il 13/10/1970
avverso la sentenza del 18/10/2024 della Corte d’appello di Milano
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente al diniego delle attenuanti generiche e all’applicazione della confisca lette le conclusioni della difesa della parte civile Comune di Lonate Pozzolo, che ha chiesto confermarsi la decisione gravata da ricorso anche in punto di statuizioni civili con condanna della ricorrente alla rifusione delle spese del grado
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza descritta in epigrafe, la Corte di appello di Milano ha dato integrale conferma alla condanna, resa in primo grado dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Busto Arsizio, nei confronti di NOME COGNOME ritenuta responsabile del reato di cui all’art. 319 cod. pen. realizzato in concorso con NOME e NOME COGNOME e con NOME COGNOME, separatamente giudicati.
Propone ricorso la difesa di Liccati e deduce 11 motivi di impugnazione.
2.1. Con il primo si lamenta si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione avuto riguardo alle contestazioni mosse in appello rispetto alla possibilità di valutare in termini di utilità illecita, momento dell’asserito patto corruttivo, le dazioni inerenti a
importi versati da RAGIONE_SOCIALE (per 42700 euro) e RAGIONE_SOCIALE (per 13800) alla società riferibile ai fratelli COGNOME, la RAGIONE_SOCIALE nonché all’importo versato da RAGIONE_SOCIALE alla ricorrente (per euro 3982), trattandosi, in realtà, di remunerazioni correlate a specifiche prestazioni professionali commissionate ai detti soggetti.
Deduzione, questa, integralmente pretermessa dalla Corte del merito sulla base di una considerazione in diritto errata, quella della acquisita vincolatività del giudicato caduto sulle sentenze rese nei confronti dei concorrenti NOME e NOME COGNOME attestanti, senza possibilità di rivisitazione alcuna, la sussistenza del patto corruttivo, la natura delle dette dazioni, l’impossibilità di addivenire ad una diversa configurazione delle condotte in questione, malgrado le sollecitazioni difensive in tal senso prospettate nell’interesse dell’appellante.
2.2. Con il secondo motivo la difesa lamenta vizio di motivazione avuto riguardo al contributo concorsuale ascritto alla ricorrente rispetto alla corruzione che avrebbe visto protagonista il compagno NOME COGNOME sindaco del Comune di Lonate Pozzolo, quale soggetto qualificato corrotto.
In particolare, attraverso un pedissequo richiamo al tenore della decisione appellata, valorizzando peraltro aspetti niente affatto decisivi e operando apodittici riferimenti alla sentenza coperta da giudicato resa ai danni del concorrente NOME COGNOME la Corte di appello avrebbe integralmente omesso di confrontarsi con l’insieme di circostanze (in particolare i punti da I a IX del primo motivo di impugnazione) messe in evidenza con l’appello; circostanze che ad avviso della difesa destrutturavano integralmente il ragionamento logico giuridico della sentenza appellata avuto riguardo alla partecipazione concorsuale della Liccati alla corruzione contestata, anche sotto il versante soggettivo.
2.3. Con il terzo motivo la difesa lamenta difetto di motivazione e violazione di legge rispetto alla ritenuta partecipazione della Liccati all’accordo corruttivo o comunque alla affermata consapevolezza da parte di quest’ultima del detto patto illecito, trascurando integralmente le indicazioni fattuali rese con l’appello e valorizzandone altre dotate di neutralità rispetto alla contestazione.
2.4. Con il quarto motivo di ricorso la difesa, sul presupposto di una affermata partecipazione della ricorrente solo alla fase esecutiva dell’accordo illecito, rivendica la non configurabilità del concorso nella corruzione rimarcando la presenza di un conflitto interpretativo sul tema interno alla giurisprudenza di legittimità e sollecitando la devoluzione della questione alle sezioni unite della Corte.
2.5. Con il quinto motivo di impugnazione la difesa sollecita una diversa qualificazione delle condotte a giudizio, da ricondurre alle ipotesi di cui agli artt. 346-bi o in alternativa agli artt., 318 e all’abrogato 323 cod. pen., aspetti integralmente pretermessi dalla Corte de merito sempre sul presupposto erroneo della vincolatività del giudicato riferito alle posizioni dei concorrenti Rivolta.
2.6. Con il sesto e il settimo motivo, la difesa lamenta violazione di legge e vizio di motivazione per il travisamento delle relative allegazioni probatorie per avere la Corte del merito escluso la possibilità di ridurre la pena applicando la diminuente di cui all’art 323 bis comma 2 cod. pen.
2.7. Con l’ottavo motivo di ricorso si contesta il giudizio reso nel negare le generiche nella loro massima espansione.
2.8. Con il nono motivo si contesta la configurabilità dell’ad 319 cod. pen.
Avendo il giudice di primo grado legato la ritenuta contrarietà ai doveri d’ufficio alla illegittimità del permesso di costruire in sanatoria rilasciato dal Comune di Lonate in data 24 febbraio 2016 in favore della RAGIONE_SOCIALE per la ritenuta assenza del requisito della doppia conformità ex art. 36 d.P.R. n. 380 del 2001, requisito venuto meno per effetto della novella apportata con la legge 105 del 2024 di conversione del di. n. 69 del 2024, ad avviso della difesa la condotta non poteva più inquadrarsi in termini di corruzione propria, in applicazione del disposto di cui all’art. 2 .comma 2 cod. pen. proprio in virtù della detta modifica normativa, incidente su una disposizione di legge integratrice del precetto penale.
2.9. Con il decimo motivo si contesta anche sotto il versante del difetto integrale di motivazione, la misura della confisca per equivalente disposta nei confronti dell’imputata, in misura di euro 15.120,55 pari a 1/4 del complessivo profitto ricavato dalla vicenda a giudizio.
2.10. Con l’ultimo motivo la difesa prospetta la illegittimità costituzionale dell’art 317 bis, comma 1, cod. pen. nel testo vigente antecedentemente alla riforma del 2019 perché, imponendo l’applicazione obbligatoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici in presenza di una condanna, come nella specie, pari o superiore ai tre anni, sarebbe in contrasto con gli artt. 3 e 27 Cost.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.La fondatezza del primo motivo di ricorso impone l’annullamento della decisione gravata con rinvio alla Corte del merito per nuovo giudizio senza neppure procedere allo scrutinio delle altre doglianze, trattandosi di disamina condizionata e resa vana dal tema messo in gioco dal rilievo accolto.
I giudici del merito hanno ricostruito nei seguenti termini la vicenda in fatto coperta dalla regiudicanda.
NOME COGNOME all’epoca dei fatti, era la compagna dell’architetto NOME COGNOME in quel torno temporale sindaco del comune di Lonate Pozzolo e, secondo l’accusa, socio di fatto della RAGIONE_SOCIALE, che vedeva quale dominus formale il fratello NOMECOGNOME parimenti coinvolto nella vicenda corruttiva in questione.
Detta società e la stessa COGNOME sarebbero state, infatti, destinatarie di somme versate da NOME COGNOME per conto della RAGIONE_SOCIALE, società proprietaria di un terreno sul quale insisteva un capannone industriale in costruzione – promesso in vendita ad una società terza (la RAGIONE_SOCIALE -, interessata al rilascio del necessario titolo in sanatoria per la detta edificazione.
Tramite fatturazioni per operazioni inesistenti o profittando formalmente dell’incarico relativo alla progettazione e direzione lavori del detto capannone, la RAGIONE_SOCIALE (e per essa i due RAGIONE_SOCIALE) avrebbe incassato dalla Malpensa somme in realtà destinate a compensare l’illecito interessamento del concorrente qualificato alla pronta concessione del titolo in sanatoria. Il tutto in tempi utili a permettere la conclusione del definitivo relativo all cessione del detto capannanone.
In particolare, secondo il primo giudice (vedi da pag. 68), NOME COGNOME avrebbe direttamente influenzato l’assunzione di due delibere illegittime (11 febbraio 2016 e 18 febbraio successivo) ritenute il viatico essenziale per la concessione del permesso in sanatoria perseguito dalla società riferibile a Zocchi: più precisamente avrebbero consentito di monetizzare gli oneri di urbanizzazione che gravano sulla società richiedente in forza dell’originario titolo abilitativo, il cui mancato rispetto in realtà avrebbe impos non la strada tracciata dal Comune su impulso del Sindaco con le dette delibere ma un nuovo piano attuativo dai tempi di approvazione ben più lunghi, oltre che incerto anche nell’an.
Secondo i giudici del merito, inoltre, all’accordo criminale avrebbe preso parte anche la ricorrente la quale, peraltro, sarebbe stata destinataria diretta di quota parte del compenso illecito previsto per l’opera del compagno (avendo formalmente ricevuto l’incarico di curare il collaudo dell’opera di cemento armato, percependo così da COGNOME l’importo di 3982 euro per tale prestazione).
3.Questa la cornice fattuale sulla quale riposano le diverse considerazioni poste a fondamento della responsabilità ascritta alla odierna ricorrente, osserva la Corte come la difesa della Liccati, tramite il gravame di merito, ebbe a contestare siffatta ricostruzione mettendo in discussione il presupposto di fondo della posizione concorsuale riferita alla odierna ricorrente: la possibilità di ritenere comprovato l’accordo corruttivo, perché i pagamenti riscontrati, piuttosto che dare conto del prezzo versato da COGNOME per retribuire la condotta illecita di NOME COGNOME in realtà, in linea con il tenore della documentazione contabile e fiscale che ne rappresentava il portato, altro non erano che compensi, tutti regolarmente fatturati, per le legittime prestazioni professionali rese dai protagonisti della vicenda in oggetto ( la RAGIONE_SOCIALE per un verso, e la stessa odierna ricorrente per altro verso).
Sempre contestando la detta ricostruzione in fatto, si sollecitava, comunque, da parte della difesa, anche una possibile riconfigurazione delle condotte in questione da
ricondurre, eventualmente, alla diversa ipotesi di reato prevista dall’art. 346-bis cod. pen o, in alternativa, all’abrogato abuso d’ufficio ex art. 323 cod. pen. all’epoca vigente.
Ciò premesso, non può sfuggire il rilievo fondamentale, sul piano logico giuridico, da assegnare alla complessiva ricostruzione della vicenda in fatto riguardante il patto stipulato dal partecipe qualificato con il corruttore, trattandosi di aspetto sul quale poi innestare, per forza di cose, la condotta partecipativa ascritta alla ricorrente, formalmente estranea alle funzioni messe in gioco dall’accordo corruttivo.
Ciò malgrado, avverso i detti rilievi, comunque estranei a profili di aspecificità rispetto al tenore della decisione appellata su tale punto, la Corte del merito ha pretermesso ogni risposta effettiva, sulla base di una assorbente quanto errata considerazione in diritto: la ritenuta opponibilità alla Liccati del giudicato caduto su tale tema nel separato giudizio che, riguardo ai fatti in questione, ha portato alla condanna, ormai definitiva, dei concorrenti COGNOME, ritenuti responsabili della contestata corruzione (NOME COGNOME in esito a patteggiamento) con accertamento ritenuto vincolante nel diverso processo che occupa quanto alla esistenza in sé della vicenda corruttiva, anche sul versante della relativa qualificazione giuridica dei fatto.
L’assunto è all’evidenza erroneo e vizia integralmente l’ulteriore percorso argomentativo, posto a fondamento della decisione gravata.
Nessuna disposizione, infatti, legittima una siffatta soluzione, seguendo la quale, di contro, si finirebbe per attribuire alla legittima scelta dei concorrenti di farsi giudicar anche separatamente nelle forme processuali ritenute più confacenti alle proprie strategie difensive, l’effetto di privare l’imputato concorrente, non ancora giudicato in termini di definitività, della possibilità di difendersi appieno nel giudizio che immediatamente lo riguarda, dovendo pedissequamente subire il giudicato esterno maturato in altra situazione processuale, pur se per il medesimo fatto.
E’ vero, piuttosto, il contrario: la separazione delle posizioni processuali inerenti ad imputati concorrenti nel medesimo fatto di reato, nel caso per effetto della scelta di riti alternativi quale ragione impeditiva del simultaneus processus, lascia immutata l’autonomia valutativa di ciascun decidente quanto alla ricostruzione del fatto e alla conseguente configurabilità del reato contestato, dovendosi radicalmente escludere che le legittime scelte processuali di uno o più concorrenti possano precludere il pieno esercizio di tutte le prerogative difensive degli altri perché condizionate da valutazioni rese fuori dal contradditorio di riferimento.
In realtà, nell’ipotesi in cui i due procedimenti relativi a più concorrenti nel medesimo fatto siano trattati ab origine o proseguano separatamente, proprio il principio dell’autonomia della rispettiva cognizione giudiziale legittima il regime disciplinare previsto dall’art 238-bis cod. proc. pen.: la sentenza pronunciata in diverso procedimento
e passata in giudicato nei confronti di uno dei concorrenti sarà infatti utilizzabile ai fin della prova dei fatti in essa accertati, nel distinto giudizio nei confronti del concorrente
non ancora coperto dal giudicato, solo a norma degli artt. 187 e 192, comma 3, cod.
proc. pen., senza dunque vincolare l’indipendenza di giudizio del decidente nella realtà
processuale ancora aperta. Si suole infatti affermare da parte della giurisprudenza di questa Corte che “l’acquisizione agli atti del procedimento, ai sensi dell’art. 238 bis cod.
proc. pen., di sentenze divenute irrevocabili non comporta, per il giudice di detto procedimento, alcun automatismo nel recepimento e nell’utilizzazione a fini decisori dei
fatti e dei relativi giudizi contenuti nei passaggi argomentativi della motivazione delle suddette sentenze, dovendosi al contrario ritenere che quel giudice conservi integra
l’autonomia e la libertà delle operazioni logiche di accertamento e formulazione di giudizio a lui istituzionalmente riservate” (ex multis, Sez. 4, n. 10103
del 01/02/2023, Rv. 284130; Sez. 3, n. 20559 del 24/03/2022, Rv. 283234; Sez. 1, n.
11140 del 15/12/2015, dep. 16/03/2016, Rv. 266338).
Da qui la decisione di cui al dispositivo che segue.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Milano.
Così è deciso, 15/05/2025
Il Consigliere estensore COGNOME