Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 38535 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 38535 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 31/10/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME, nato a Cosenza il DATA_NASCITA avverso l’ordinanza del 30/04/2025 del Tribunale di Catanzaro udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO COGNOME; udito il Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso;
uditi gli AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che hanno concluso per l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale del riesame di Catanzaro ha confermato il provvedimento del 31 marzo 2025, con cui il Giudice per le indagini preliminari dello stesso Tribunale ha disposto nei confronti di NOME COGNOME la misura cautelare della custodia in carcere, in quanto gravemente indiziato, quale esecutore materiale, del delitto di omicidio in danno di NOME COGNOME, fatto avvenuto 1’11 settembre 2001, contestato come aggravato dalla premeditazione, dai motivi abietti, dal numero dei concorrenti superiore a cinque, dal metodo RAGIONE_SOCIALE e dalla finalità di avvantaggiare l’associazione mafiosa dei cosiddetti “RAGIONE_SOCIALE” operante in Cosenza.
Secondo la ricostruzione accusatoria, condivisa dal Giudice per le indagini preliminari e dal Tribunale del riesame, l’omicidio, costituente un tipico caso di “lupara bianca”, era maturato nell’ambito dell’alleanza criminale di matrice ‘ndranghetista tra il gruppo RAGIONE_SOCIALE “RAGIONE_SOCIALE” di Cosenza e quello di Cassano dello Ionio.
Il tribunale del riesame ha posto a fondamento del quadro di gravità indiziaria i contributi dichiarativi dei collaboratori di giustizia NOME COGNOME e NOME COGNOME, ritenuti intrinsecamente attendibili, in quanto connotati da specificità, coerenza e spontaneità, nonché pronnananti da soggetti intranei alla cosca RAGIONE_SOCIALE “RAGIONE_SOCIALE” di Cassano dello Ionio.
I propalanti enucleavano quale causale del delitto l’attitudine dello RAGIONE_SOCIALE a rivelare al gruppo contrapposto RAGIONE_SOCIALE “Italiani” informazioni sulle attività RAGIONE_SOCIALE “RAGIONE_SOCIALE“, narrando che la vittima era stata attirata in un tranello col pretesto di una fornitura di stupefacenti.
COGNOME, intervenuto nella fase esecutiva, rappresentava di essere stato coinvolto nel fatto di sangue da NOME COGNOME, su incarico del quale aveva atteso presso un bar in NOME l’arrivo dello COGNOME in compagnia di NOME COGNOME; dall’esercizio i tre si erano spostati, a bordo dell’autovettura del COGNOME, presso l’abitazione di NOME COGNOME, in San Demetrio in Corione, ove il COGNOME aveva ucciso con due colpi di pistola al capo la vittima: il cadavere era stato successivamente occultato in una buca, già predisposta nei pressi dell’abitazione teatro del delitto.
COGNOME dichiarava di essere stato presente a un confronto in Lauropoli, frazione di Cassano dello Jonio, nel corso del quale tale “banana”, identificato nel coindagato NOME COGNOME NOME. ’54, aveva reso edotti i sodali delle delazioni dello COGNOME agli “Italiani”. Durante il colloquio era sopraggiunto NOME COGNOME, il quale aveva sollecitato il nominato “banana” a portare lo COGNOME a Cassano dello Jonio e da qui ad NOME, col pretesto dell’acquisto di una partita di droga.
I particolari sull’esecuzione del delitto erano stati riferiti al COGNOME d NOME COGNOME. NOME COGNOME aveva condotto la vittima in Lauropoli e da qui, unitamente all’COGNOME, al bar di NOME, ove già attendeva NOME COGNOME. Dal sito COGNOME, COGNOME e COGNOME si erano portati presso l’abitazione «di tale NOME abitante in NOME», ove NOME aveva ucciso lo COGNOME esplodendo un colpo di pistola alla testa. Giorni dopo, in occasione di un accesso presso la medesima abitazione, COGNOME aveva confidato a COGNOME i particolari del delitto, indicando il luogo di seppellimento del cadavere.
Riscontrato un quadro indiziario qualificato ai sensi dell’art. 273 cod. proc. pen., il Tribunale, dato atto dell’operatività della presunzione cautelare di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., ha ravvisato, a dispetto del tempo decorso dal fatto, un pericolo concreto e attuale di reiterazione di gravi delitti con l’uso delle armi o di altri mezzi di violenza personale o della stessa specie di quello per cui si procede, fronteggiabile unicamente con la custodia in carcere, avuto riguardo alla eccezionale gravità del fatto, alla pessima personalità dell’indagato, all’omessa allegazione di elementi indicativi di un allontanamento dell’COGNOME, benché detenuto dal 2003, dal contesto criminale organizzato in cui è maturato il delitto.
Avverso l’ordinanza COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite dell’AVV_NOTAIO, articolando tre motivi, che vengono di seguito sintetizzati ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Con il primo motivo ha eccepito violazione di legge, mancanza e manifesta illogicità della motivazione, ai sensi RAGIONE_SOCIALE artt. 606, comma 1, lett. b ed e, cod. proc. pen., in relazione agli artt. 125, 292, comma 2, lett. a), 178, lett. c, cod. proc. pen., con riferimento all’inosservanza dell’obbligo di autonoma valutazione da parte del Giudice per le indagini preliminari rispetto al compendio indiziario sottoposto al suo vaglio con la richiesta cautelare.
Ha lamentato che il Tribunale ha rigettato l’eccezione di nullità dell’ordinanza cautelare per difetto dell’autonoma valutazione senza confrontarsi con i rilievi elaborati nella memoria depositata nel procedimento incidentale, in cui la difesa aveva evidenziato che il Giudice per le indagini preliminari, nel descrivere alle pagg. 28 e 29 dell’ordinanza cautelare il ruolo dell’COGNOME nel delitto, aveva mutuato testualmente le argomentazioni del pubblico ministero a pag. 27 della richiesta cautelare.
Ha denunciato, quale ulteriore dato sintomatico dell’assenza di un autonomo vaglio, che il Giudice per le indagini preliminari aveva espresso una valutazione cautelare che accomunava tutti i destinatari della misura restrittiva senza distinguere tra le singole posizioni.
Con il secondo motivo ha dedotto violazione di legge, mancanza e manifesta illogicità della motivazione, ai sensi RAGIONE_SOCIALE artt. 606, comma 1, lett. b ed e, cod. proc. pen., in relazione agli artt. 273, 192, commi 3 e 4, 292 cod. proc. pen.
Ha segnalato che il tribunale distrettuale ha annullato il titolo cautelare nei confronti di altri coindagati, ai quali nell’imputazione provvisoria era ascritto il ruolo di mandanti e/o concorrenti materiali nell’esecuzione del crimine, indebolendo la complessiva tenuta dell’ipotesi accusatoria.
Ha evidenziato un contrasto tra i contributi dei collaboratori di giustizia sui soggetti che avevano assolto all’incombente di condurre la vittima presso il bar di NOME.
Con il terzo motivo ha dedotto violazione di legge, mancanza e manifesta illogicità della motivazione, ai sensi RAGIONE_SOCIALE artt. 606, comma 1, lett. b ed e, cod. proc. pen., in relazione agli artt. 274, 125 e 292 cod. proc. pen., avendo il tribunale apoditticamente ritenuto sussistenti le esigenze di cautela, nonostante il tempo decorso dal fatto, la restrizione carceraria dell’COGNOME sin dal 2003, l’assenza di contatti tra il ricorrente e il presunto clan di appartenenza.
Con successiva memoria trasmessa il 27 ottobre 2025 l’AVV_NOTAIO ha insistito nei motivi di ricorso, producendo le ordinanze emesse dal Tribunale del riesame di Catanzaro nei confronti dei coindagati NOME COGNOME e NOME COGNOME.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato nei termini che si esporranno.
Prima di affrontare i motivi di censura, deve rilevarsi l’inammissibilità della produzione effettuata dal ricorrente unitamente alla memoria trasmessa il 27 ottobre 2025, avente ad oggetto due ordinanze ex art. 309 cod. proc. pen. depositate dal Tribunale di Catanzaro nelle date del 16 giugno e del 1° agosto 2025.
In proposito va ribadito il pacifico principio giurisprudenziale secondo cui, nel caso di ricorso per cassazione avverso provvedimenti in materia di libertà personale, il comma quarto dell’art. 311 cod. proc. pen. consente in via eccezionale la presentazione di motivi nuovi prima dell’inizio della discussione, ma non attiene alla produzione di documenti, che resta disciplinata dalle regole generali concernenti il procedimento di legittimità ai sensi RAGIONE_SOCIALE artt. 127 e 311, comma 5, cod. proc. pen., dovendo intervenire al più tardi con una memoria depositata nella cancelleria cinque giorni prima dell’udienza (Sez. 3, n. 209 del 17/09/2020, dep. 2021, Marotta, Rv. 281047 – 02; Sez. 3, n. 12641 del
05/02/2013, COGNOME, Rv. 255118 – 01; Sez. F, n. 34554 del 25/07/2003, COGNOME, Rv. 228393 – 01).
Né, avuto riguardo alla data di deposito dei provvedimenti, è stata allegata l’impossibilità di una tempestiA produzione (cfr. Sez. 2, n. 42052 del 19/06/2019, COGNOME, Rv. 277609-01).
Ciò premesso, non ricorre la nullità eccepita con il primo motivo di ricorso.
Il ricorrente ripropone nella presente sede la doglianza formulata nella memoria depositata nel procedimento di riesame, reputando insoddisfacente la risposta del Tribunale.
Il Collegio RAGIONE_SOCIALE libertate, premesso che l’instante non aveva esposto le ragioni in base alle quali il preteso deficit di valutazione avrebbe avuto incidenza sulle determinazioni cautelari, ha rigettato l’eccezione, evidenziando che, a fronte di una corposa mozione cautelare, il primo giudice aveva selezionato e rielaborato il materiale indiziario, offrendo una valutazione critica e non meramente adesiva alla prospettazione del richiedente.
Si è in presenza di argomentazioni condivisibili e ineccepibili sul piano giuridico.
Dinanzi a una richiesta cautelare di 90 pagine il Giudice per le indagini preliminari ha esplicitato in 34 pagine l’iter motivazionale a fondamento del titolo restrittivo, operando una selezione delle fonti di prova riportate nella richiesta e una sintesi RAGIONE_SOCIALE argomenti fattuali e giuridici esposti dall’organo requirente, attività in sé sintomatiche di una ragionata e consapevole rielaborazione di conclusioni condivise.
L’autonomia della motivazione non è esclusa dalla trasposizione nel provvedimento di parti della domanda cautelare, ricorrendo anche quando venga richiamato, in maniera più o meno estesa, l’atto di riferimento con la tecnica di redazione “per incorporazione”, con condivisione delle considerazioni già svolte da altri, poiché valutazione autonoma non vuol dire edizione originale, sempreché emerga dal provvedimento una conoscenza RAGIONE_SOCIALE atti del procedimento e, se necessario, una rielaborazione critica RAGIONE_SOCIALE elementi sottoposti a vaglio giurisdizionale (Sez. 5, n. 70 del 24/09/2018, dep. 2019, Pedato, Rv. 274403-01; Sez. 6, n. 13864 del 16/03/2017, COGNOME, Rv. 269648-01).
Lo stesso ricorrente, d’altronde, limita la denunciata riproduzione della richiesta del pubblico ministero a due pagine dell’ordinanza, là dove il giudizio di gravità indiziaria è frutto di un articolato percorso argomentativo, sviluppato nell’ambito del più ampio provvedimento.
Né può considerarsi quale sintomo dell’assenza dell’autonoma valutazione la circostanza che il Giudice per le indagini preliminari, nel paragrafo relativo q e
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esigenze cautelari, di cui è incontestata l’originalità espositiva, abbia valutato unitariamente il periculum criminis senza fare distinzione tra i singoli indagati.
La giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di chiarire che la motivazione del provvedimento applicativo di una misura cautelare personale in punto di esigenze di cui all’art. 274, lett. c), cod. proc. pen., qualora queste siano tratte esclusivamente dalla particolare modalità di commissione del reato, caratterizzata dal coinvolgimento in pari grado di tutti i coindagati, può accomunare, in una visione cumulativa, le singole posizioni RAGIONE_SOCIALE stessi, non essendo necessario ripetere per ciascuno, in modo formalistico, le ragioni fondanti il pericolo di reiterazione della condotta criminosa (Sez. 2, n. 14316 del 18/02/2022, COGNOME, Rv. 282978 – 02; Sez. 2, n. 9483 del 04/11/2015, dep. 2016, Magnifico, Rv. 266355)
Coerentemente al principio appena indicato, il Tribunale ha fondato il giudizio cautelare su un apprezzamento comune a tutti gli indagati, ancorato alla gravità del delitto, maturato nell’ambito di dinamiche e vendette in contesti organizzativi di tipo RAGIONE_SOCIALE, e all’operatività della presunzione cautelare prevista dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen.
Le superiori considerazioni rendono superflua ogni considerazione relativa all’interesse del ricorrente a denunciare la ricordata nullità.
Con la più recente memoria invero il ricorrente deduce che l’interesse della difesa a far valere la nullità dell’ordinanza cautelare non necessita di alcuna dimostrazione ulteriore, relegando in tal modo il dedotto vizio in una dimensione squisitamente formalistica, in contrasto con il principio, reiteratamente espresso da questa Corte, che onera il ricorrente per cassazione, il quale denunci la nullità dell’ordinanza cautelare per omessa autonoma valutazione delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza, di indicare gli aspetti della motivazione in relazione ai quali detta omissione abbia impedito apprezzamenti di segno contrario, di tale rilevanza da condurre a conclusioni diverse da quelle adottate (Sez. 1, n. 46447 del 16/10/2019, COGNOME NOME, Rv. 277496; Sez. 1, n. 333 del 28/11/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 274760).
4. Infondato è il secondo motivo di impugnazione.
È opportuno, innanzitutto, ribadire che, in tema di misure cautelari personali, allorché sia censurato, con il ricorso per cassazione, il provvedimento emesso dal Tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte Suprema spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza
della motivazione riguardante la valutazione RAGIONE_SOCIALE elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828).
Nella cornice così tratteggiata, deve osservarsi che la gravità indiziaria si profila motivata in modo adeguato dai giudici del riesame, che hanno valorizzato la convergenza, sulla causale del delitto e sul ruolo di NOME COGNOME, dei contributi dichiarativi dei collaboratori di giustizia NOME COGNOME, concorrente nella fase esecutiva del reato, e NOME COGNOME, presente al colloquio propedeutico all’omicidio e informato dallo stesso NOME COGNOME sulle dinamiche esecutive.
I propalanti, le cui dichiarazioni sono stati ritenute indipendenti e intrinsecamente attendibili, hanno indicato nell’NOME COGNOME colui che aveva condotto il defunto NOME COGNOME dapprima presso il bar di NOME, ove attendeva NOME COGNOME, e successivamente presso l’abitazione di NOME COGNOME, all’interno della quale COGNOME era stato ucciso da NOME COGNOME. Sia COGNOME che COGNOME, contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente nella più recente memoria, hanno prospettato un intervento dell’COGNOME anche nello spostamento del cadavere dall’abitazione, ove era stato commesso il crimine, al vicino luogo di seppellimento, indicato qualche tempo dopo dall’COGNOME al COGNOME.
Il Tribunale si è pertanto conformato all’insegnamento, a tenore del quale «in tema di valutazione della chiamata in reità o correità in sede cautelare, le dichiarazioni accusatorie rese dal coindagato o coimputato nel medesimo reato o da persona indagata o imputata in un procedimento connesso o collegato, integrano i gravi indizi di colpevolezza di cui all’art. 273, comma 1, cod. proc. pen. – in virtù dell’esplicito richiamo all’art. 192, commi 3 e 4, operato dall’art. 273, comma 1 bis, cod. proc. pen., introdotto dall’art. 11 L. n. 63 del 2001 – soltanto se esse, oltre ad essere intrinsecamente attendibili, risultino corroborate da riscontri estrinseci individualizzanti, tali cioè da attribuire capacità dimostrativa e persuasività probatoria in ordine all’attribuzione del fatto-reato al soggetto destinatario di esse, ferma restando la diversità dell’oggetto della delibazione cautelare, preordinata a un giudizio prognostico in termini di ragionevole e alta probabilità di colpevolezza del chiamato, rispetto a quella di merito, orientata invece all’acquisizione della certezza processuale in ordine alla colpevolezza dell’imputato» (così, tra le tante, Sez. 5, n. 50996 del 14/10/2014, S., Rv. 264213 – 01). È, del resto, risalente e compiutamente delineata l’indicazione giurisprudenziale, in tema di verifica giudiziale della chiamata in correità, secondo cui il riscontro alla chiamata di correo può essere rappresentato anche da altre chiamate in correità o in reità le quali, per essere reciprocamente confermative,
devono mostrarsi indipendenti, autonome, convergenti in ordine al fatto materiale oggetto della narrazione (Sez. 6, n. 3329 del 02/09/1997, COGNOME, Rv. 208860 – 01; Sez. 1, n. 4140 del 13/06/1997, COGNOME, Rv. 208482 – 01).
Né si può condividere l’argomento sviluppato dalla difesa, secondo la quale il giudizio di gravità indiziaria nei confronti dell’COGNOME e la complessiva ricostruzione del fatto sarebbero inficiati dell’intervenuto annullamento del titolo cautelare nei confronti di taluni coindagati: l’assunto, oltre ad essere fondato su produzioni inammissibili, è affidato, nella memoria ex art. 311, comma 4, cod. proc. pen., a deduzioni generiche circa gravi divergenze, non meglio esplicitate, tra i contributi dichiarativi e valutazioni di inattendibilità dei collaboratori giustizia NOME COGNOME e NOME COGNOME – quest’ultimo non valorizzato nel provvedimento impugnato, che ha considerato non autonome e generiche le relative dichiarazioni – evincibili dai provvedimenti di annullamento resi dal Tribunale distrettuale.
Il ricorrente si duole ancora che il Tribunale non abbia risolto il contrasto tra le dichiarazioni del COGNOME e quelle del COGNOME in ordine al ruolo di NOME COGNOME, nominato unicamente dal primo, nel condurre lo COGNOME presso il bar di NOME.
La questione non risulta sottoposta al giudice del riesame, che non ne fa menzione tra le doglianze difensive esaminate alle pagg. 13-14 dell’ordinanza impugnata, e come tale non può essere dedotta in questa sede (cfr., tra le altre, Sez. 1, n. 1786 del 05/12/2003, dep. 2004, COGNOME, Rv. 227110 – 01; Sez. 2, n. 42408 del 21/09/2012, COGNOME, Rv. 254037 – 01).
Va detto in ogni caso che la segnalata divergenza è stata già vagliata e considerata meramente apparente dal Giudice per le indagini preliminari, il quale ha osservato che, secondo quanto riferito dal COGNOME, de relato sul punto da COGNOME NOME, COGNOME, dopo aver lasciato COGNOME e COGNOME al bar di NOME, aveva fatto immediato rientro a Cosenza, senza incontrare il COGNOME.
Non è superfluo rammentare che, in materia cautelare, così come la motivazione del Tribunale del riesame può integrare e completare la motivazione elaborata dal giudice che ha emesso il provvedimento restrittivo, quest’ultima può, a sua volta, essere utilizzata per colmare le eventuali lacune del successivo provvedimento: trattandosi di ordinanze complementari e strettamente collegate, esse, vicendevolmente e nel loro insieme, connotano l’unitario giudizio di sussistenza in ordine ai presupposti di applicabilità della misura cautelare (Sez. U, n. 7 del 17/04/1996, Moni, Rv. 205257 – 01; Sez. 2, n. 672 del 23/01/1998, dep. 1999, Trimboli, Rv. 212768-01).
Anche il terzo motivo di ricorso, inerente alla verifica delle esigenze cautelari, va disatteso.
Il Tribunale ha valutato il tempo intercorrente tra la data di commissione dell’omicidio e l’esecuzione della misura coercitiva, reputandolo inidoneo a neutralizzare il rischio di recidiva, a prescindere dall’operatività di meccanismi presuntivi, ai sensi dell’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., collegati al titolo di reato e alla contestata aggravante mafiosa.
Il giudice di merito ha fornito una congrua giustificazione dell’attualità e della concretezza del pericolo di reiterazione criminosa specifica, unico pericolo ravvisato, fondata sull’efferatezza del fatto di sangue, sulla professionalità manifestata dagli autori, sulla negativa personalità dell’indagato (gravato da due condanne per omicidio), sulla finalizzazione della condotta ad agevolare il RAGIONE_SOCIALE, sull’omessa allegazione di elementi dimostrativi di un allontanamento dell’COGNOME dal contesto organizzativo in cui è maturato il crimine.
L’omicidio rientrava nelle strategie e nelle vendette di ‘ndrangheta ideate da una cosca mafiosa che, come rimarcato nell’ordinanza cautelare genetica, è ancora attiva e potente, in grado di programmare nuovi delitti.
La detenzione dell’COGNOME, sin dal 2003, non esclude la persistenza dei legami criminali disvelati dai contributi dei collaboratori di giustizia, non comportandone la restrizione carceraria l’automatica recisione, specie in presenza di soggetti condannati per reati costituenti attuazione del programma criminoso di un’articolazione della ‘ndrangheta, che di regola annovera l’assistenza ai detenuti tra i compiti materiali della struttura organizzativa. Ne consegue che non può interpretarsi come dato dimostrativo di cessazione della pericolosità lo stato di risalente detenzione del soggetto, non riconducibile a un’autonoma opzione dell’indagato, espressiva della volontà di allontanarsi dall’ambiente criminale di riferimento.
Ritenuta la sussistenza delle descritte esigenze connesse al pericolo di reiterazione criminosa specifica, il tribunale ha motivato in modo ragionevole in ordine alla inadeguatezza a contenerle di una misura diversa dalla custodia in carcere, e in particolare RAGIONE_SOCIALE arresti donniciliari con controllo elettronico a distanza.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso i GLYPH ottobre 2025.