Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 43129 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 43129 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 31/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di
COGNOME NOME, nato a Canicattì il DATA_NASCITA, avverso la ordinanza emessa il 25 luglio 2024 dal Tribunale di Palermo; Visti gli atti, l’ordinanza impugnata, il ricorso, l’ordinanza del GIP e la richiesta
del Pubblico Ministero;
udita nell’udienza camerale del 31 ottobre 2024 la relazione del consigliere NOME COGNOME;
udito in udienza camerale il Pubblico ministero, nella persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorso, riportandosi alla requisitoria scritta già trasmessa 11 ottobre 2024;
udito il difensore del ricorrente, AVV_NOTAIO, che ha insistito per l’annullamento della ordinanza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 25 luglio 2024 (avviso ex art. 128 cod. proc. pen. il 7 agosto successivo), il Tribunale per il riesame dei provvedimenti cautelari di Palermo ha respinto la richiesta di riesame proposta nell’interesse di NOME COGNOME avverso l’ordinanza emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo il 3 luglio 2024, con la quale era stata disposta la misura cautelare della custodia in carcere per il delitto di concorso in estorsione aggravata (costrizione, dietro minaccia di danni gravi alla persona, a non concedere il locazione un locale-officina ad un potenziale concorrente degli agenti; fatto commesso in Canicattì il 24 marzo 2023).
Avverso l’ordinanza del Tribunale per il riesame ha proposto ricorso per cassazione il difensore di NOME COGNOME, articolando i due motivi in appresso sintetizzati, secondo quanto dispone l’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Inosservanza della legge processuale prevista a pena di nullità (art. 606, comma 1, lett. c, cod. proc. pen., in relazione agli artt. 125, comma 3, 273, 292, comma 2, lett. c, 309, comma 9, cod. proc. pen.), giacché l’ordinanza emessa dal Giudice per le indagini preliminari, così come quella intervenuta a seguito della impugnazione incidentale di riesame, sono del tutto prive di autonoma motivazione rispetto alla mozione cautelare del Pubblico ministero.
2.2. Il medesimo vizio, in uno a quello di motivazione mancante o meramente apparente è stato dedotto con il secondo motivo di ricorso, speso in tema di concretezza ed attualità delle esigenze cautelari di prevenzione speciale, di cui alla lettera gdell’art. 274 cod. proc. pen., atteso anche che non sono stati registrati, dopo l’autunno del 2023 ulteriori episodi di minaccia costrittiva ai danni delle persone offese.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I motivi di ricorso sono manifestamente infondati.
1.1. Il primo motivo dedotto (difetto di autonoma valutazione della gravità indiziaria da parte del G.i.p. emittente e del Tribunale della cautela) manca di concreta fondatezza e di specificità, non avendo la difesa evidenziato, con i motivi di ricorso, quale concreto interesse cautelare muove ad insistere per una differente morfologia valutativa dei fatti descritti in consonanza (nei termini: Sez. 1, n. 46447 del 16/10/2019, Firozpoor, Rv. 277496; da ultinno ,si veda Sez.
2, n. 38756 del 11/06/2024, ric. COGNOME, non massinnata) dal Tribunale per il riesame, dal G.i.p. e dall’organo che ha promosso l’azione cautelare.
Giova richiamare, in premessa, l’orientamento espresso in modo uniforme da questa Corte di legittimità sul tema sollevato dal ricorrente (tra le tante, Sez. 1, n. 5787 del 21/10/2015, COGNOME, Rv 265983; Sez. 5, n. 11922/2016, COGNOME, Rv. 266428; Sez. 2, n. 5497, del 29/1/2016, COGNOME, Rv. 266336; Sez. 6, n. 13864 del 16/3/2017, COGNOME, Rv. 269648) ove si è precisato che la previsione a pena di nullità (art. 292 co.1 lett. c, come novellato ai sensi della legge n. 47 del 2015) della necessità di ‘autonoma valutazione’ da parte del GIP dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari, oltre a non possedere carattere innovativo, è compatibile con l’utilizzo di una tecnica redazionale per relationem o che “incorpori” nel provvedimento del giudice parti o anche l’intera richiesta del pubblico ministero, per ciò che attiene i contenuti delle fonti dimostrative utilizzate, essendo imposta non già una riscrittura di aspetti del fatto, quanto una ‘visibile’ elaborazione autonoma delle ragioni per cui dalle fonti citate si possa trarre il convincimento della sussistenza dei parametri previsti dalla legge per l’adozione della misura. Non Munque,la ‘percentuale grafica’ di conformità tra richiesta e decisione a determinare il particolare vizio, quanto la constatazione di una mera apparenza di motivazione proveniente dall’organo terzo. Si è avuto modo altresì di precisare che l’eventuale vizio rappresenta, in simile contesto, un fatto processuale la cui prova (ai sensi dell’art. 187, comma 2, cod. proc. pen.) deve essere introdotta dall’interessato. Nel caso in esame, il Tribunale, come pure il GIP che lo ha preceduto nella valutazione del fatto, si è limitato a condividere in toto i dati conoscitivi rappresentati dal Pubblico ministero, dati che rendono concreta univocamente rilevante-della ricorrenza dei profili della condivisa gravità indiziaria (Sez. 5, n. 70, del 24/9/2018, dep. 2019, Pedato, Rv. 274403). La motivazione espressa dal Tribunale sul punto non può, quindi, dirsi meramente apparente e non è in alcun modo smentita dai contenuti del ricorso, che finisce con il proporre una doglianza senza reale confutazione dei contenuti motivazionali espressi dal giudice del merito-cautelare. I motivi non adempiono infatti l’onere di esporre le ragioni in base alle quali la mancanza di valutazione, su un piano di autonomia rispetto alla prospettazione della parte pubblica, avrebbe avuto una incidenza sulle determinazioni cautelari, sì che, ove essa si fosse compiuta, l’esito sarebbe stato diverso. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Il ricorrente si è così limitato a denunciare l’esistenza di un mero indice della mancanza di autonoma valutazione e non ha tenuto conto del fatto che la legge processuale non vieta l’uso di tecniche di redazione del provvedimento cautelare ispirate a economia e semplificazione dell’impegno motivazionale; e che pertanto )
non impedisce che il giudice possa avvalersi, sul presupposto che condivida il contenuto critico del ragionamento condotto dal pubblico ministero nella richiesta, dei brani espositivi di cui la stessa si compone, per evitare ripetizioni, in altra veste discorsiva, dello stesso elaborato critico. La nullità, che la legge pone a presidio del corretto adempimento del dovere di valutazione critica, non può invece essere relegata in una dimensione squisitamente formalistica, e non può, quindi, essere dedotta facendo leva esclusivamente sulla rilevazione di particolari tecniche di redazione, che al più possono valere quali indici sintomatici, ma non sono esse stesse ragioni del vizio. Quel che occorre per l’apprezzamento del vizio è che siano indicati gli aspetti della motivazione in relazione ai quali l’asserita accettazione acritica ha impedito apprezzamenti di segno contrario e di tale rilevanza da condurre a conclusioni diverse da quelle adottate. La previsione del dovere di autonoma valutazione, con la sanzione di nullità per il caso di mancata osservanza, mira infatti ad evitare il rischio – e a reprimere i comportamenti violativi comunque posti in essere – che l’assenza di una considerazione critica della richiesta del pubblico ministero esponga il bene della libertà personale ad aggressioni ingiustificate, impedendo peraltro al giudice dell’impugnazione cautelare di porvi successivamente rimedio con lo svolgimento, per la prima volta in quella sede, del necessario esame critico (Sez. 1, n. 333 del 28/11/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 274760).
È necessario allora, pena la genericità della doglianza, che sia delineata la rilevanza causale dell’omissione valutativa che si denuncia. Se la deduzione della nullità si risolve, come nel caso in esame, nella indicazione della sovrapponibilità di brani dell’ordinanza con quelli della richiesta, non si fa altro che criticare i costrutto motivazionale del provvedimento che si impugna sotto i consueti profili dei vizi che sono propri della motivazione. Per la rilevazione di una nullità afferente alla formazione della decisione giudiziale è invece richiesta la prospettazione dell’incidenza su quel risultato decisorio di una mancanza di elaborazione critica, nel senso che occorre denunciare, con sufficiente specificità, in quale parte e per quale aspetto l’omessa autonoma valutazione abbia determinato una conclusione decisoria che altrimenti non sarebbe stata.
Percorso che non è stato calcato dai motivi proposti, neppure sotto il profilo del denunciato “appiattimento” in punto di valutazione della sussistenza e del grado delle ravvisate esigenze cautelari, non potendo il ricorrente revocare in dubbio che la teoria di pregiudizi penali specifici a carico del ricorrente (puntualmente riportati in ordinanza) abbia sfavorevolmente influito sulla detta valutazione.
Sicché non resta che rilevare la genericità del motivo.
1.2. Con riferimento alla stimata gravità indiziaria per la contestata ipotesi di estorsione consumata, in concorso, così come circostanziata dal metodo mafioso,
gli argomenti di censura proposti postulano un’alternativa rilettura delle fonti dichiarative valorizzate in cautela (quanto a natura intimidatoria concorsuale delle azioni realizzate, sia verbis che re) ed ipotizzano, quindi, un travisamento del quadro indiziario, con effetti sulla ravvisata gravità dello stesso e sul fatto circostanziale ingravescente, che non trova riscontro nel testo della motivazione, per la logica e congruente argomentazione della decisione assunta nel merito, allo stato degli atti; la richiesta duplice valutazione (sulla condotta che identifica il “tipo” e sulla circostanza aggravante) risulta quindi estranea al sindacato di legittimità, per quanto già adeguatamente apprezzata, con corretti argomenti giuridici, sostenuti da logica ineccepibile.
Occorre ancora una volta ribadire, con riguardo ai limiti del sindacato di legittimità sulla motivazione dei provvedimenti oggetto di ricorso per cassazione, delineati dall’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. e), che, il giudice della legittimità non può certo sovrapporre la propria valutazione a quella già effettuata dai giudici del merito, dovendo invece limitarsi a verificare l’adeguatezza delle considerazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per giustificare il suo convincimento. Il deficit di adeguatezza delle dette considerazioni alle acquisizioni processuali può essere dedotto quale motivo di ricorso qualora comporti il c.d. travisamento della pej n Jui (consistente nell’utilizzazione di un’informazione inesistente o nell’omissione della valutazione di una prova, accomunate dalla necessità che il dato probatorio, travisato od omesso, abbia il carattere della decisività nell’ambito dell’apparato motivazionale sottoposto a critica), purché siano indicate in ricorso -in maniera specifica ed inequivoca- le prove che si pretendono travisate. Nella fattispecie lil Tribunale di Palermo ha dato ampiamente conto della affidabilità soggettiva della vittima di estorsione e della obiettiva attendibilità del narrato, descritto con dovizia di particolari anche nell’atteggiarsi intimidatorio dell’autore (Sez. U., n. 41461 del 19/07/2012, COGNOME, Rv. 253214; Sez. 2, n. 43278 del 24/09/2015, COGNOME, Rv. 265104; Sez. 5, n. 21135 del 26/03/2019, S., Rv. 275312). Le Sezioni Unite di questa Corte hanno anche insegnato che «la valutazione della credibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni», ipotesi che non appare affatto ricorrere nel caso di specie. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Il Tribunale della revisione cautelare, investito del riesame, ha quindi valorizzato le limpide, costanti, reiterate ed inequivoche affermazioni della persona offesa, che ha descritto nel dettaglio le modalità della domanda intimidatoria subita, indirizzata alla imposizione della rinuncia all’offerta in locazione commerciale
dell’immobile posseduto dall’offeso. Il che integra il paradigma normativo scolpito nel testo dell’art. 629 del codice penale, avendo gli agenti esercitato minaccia alla persona, con la precisa finalità di costringerla a rinunziare all’esercizio di un diritto dominicale potenzialmente produttivo di lucro (Sez. U, n. 30016 del 28/03/2024, Annunziata, Rv. 286656).
Del pari deve ritenersi per il contributo offerto alla intimidazione dalle azioni commesse anche individualmente dal ricorrente, attesa l’evidente efficacia intimidatoria delle minacce espresse personalmente dal ricorrente e quella derivante dalla mera presenza del locale esponente della locale criminalità organizzata di stampo mafioso.
1.3. Quanto alla dedotta violazione di legge, nell’esegesi della norma che determina aggravamento ad effetto speciale della sanzione, costituito dal coinvolgimento nell’attività minatoria del ricorrente, storicamente inserito nel locale contesto mafioso, il ricorso non tiene conto della natura obiettiva dell’aggravante (metodo mafioso). Il Tribunale della cautela motiva espressamente sul punto, valorizzando il ricorso ad una strategia comune, ideata dai soggetti interessati alla finalità patrimoniale della costrizione. Ricorrono pertanto i presupposti di fatto, opportunamente valorizzati dal giudice di merito, per il riconoscimento della aggravante ad effetto speciale contestata.
Quanto alla valutazione delle esigenze cautelari ed alla scelta della misura (artt. 274 e 275 cod. proc. pen.), deve preliminarmente evidenziarsi che nella fattispecie, in ragione del fatto oggetto di imputazione, opera il comma 3 dell’art. 275 cod. proc. pen., che pone una presunzione “temperata” di adeguatezza del presidio di massima afflittività ove il fatto sia commesso (come nella fattispecie contestata) con il ricorso al c.d. metodo di intimidazione mafiosa.
Il Tribunale della cautela ha, nella concreta fattispecie posta al suo esame, ritenuto che la presunzione di adeguatezza scolpita al comma 3 dell’art. 275 del codice di rito non poteva considerarsi vinta da alcun segnalato elemento di novità concreta, né il tempo trascorso dalla data del fatto (marzo 2023) può consentire di ritenere non attuali le esigenze di prevenzione speciale, attese anche le ragioni (esplicitarsi concreto del capillare e protervo controllo del territorio, imposizione di regole di comportamento che inibiscono la libera esplicazione della libera facoltà di esercitare le proprie legittime prerogative dominicali) della imposizione. Tali profili risultano valutati sulla base di criteri logici lineari e massime di esperienza condivise, tanto da determinare un apparato motivazionale altrettale, come tale esente da vizi sindacabili in questa sede (Sez. 2, n. 27272 del 17/5/2019, COGNOME, Rv. 275786; Sez. 3, n. 7268,
del 24/1/2019, COGNOME, Rv. 275851; Sez. 6, n. 17314 . del 20/4/2011, Soriato, Rv. 250093).
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.
3.1. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, per la parte privata ricorrente, la condanna, ai sensi dell’art. 616 del codice di rito, al pagamento delle spese processuali e la corresponsione di una somma di denaro in favore della cassa delle ammende, somma che si ritiene equo determinare in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 31 ottobre 2024.