Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 9815 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 5 Num. 9815 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 10/12/2024
QUINTA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME
R.G.N. 32616/2024
NOME COGNOME
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nata a TERLIZZI il 09/07/1969
avverso la sentenza del 23/02/2024 della CORTE APPELLO di LECCE visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso; udite le conclusioni dell’avv. NOME COGNOME per la ricorrente, che ha chiesto di accogliere il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La sentenza impugnata Ł stata pronunziata il 3 aprile 2024 dalla Corte di appello di Lecce, che ha confermato la sentenza del Tribunale di Lecce, che aveva condannato COGNOME NOME per il reato di diffamazione, commesso in danno di NOME NOMECOGNOME
Secondo l’ipotesi accusatoria, ritenuta fondata dai giudici di merito, l’imputata avrebbe offeso la reputazione della persona offesa, magistrato in servizio presso la Procura della Repubblica di Trani, pubblicando sulla bacheca del social network ‘Facebook’ due messaggi con i quali definiva NOME Michele: «un corrotto che arrestava la gente o per incassare soldi o per punire coloro che si permettevano di attaccarlo con denunzie»; «un uomo che emetteva solo provvedimenti ingiusti perchØ non applicava mai la legge nei confronti dei suoi compagni di merenda, pur se responsabili di reati».
Avverso la sentenza della Corte di appello, l’imputata ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del difensore di fiducia.
2.1. Con un primo motivo, deduce i vizi di motivazione, di erronea applicazione della legge penale e di mancata assunzione di una prova decisiva, in relazione agli artt. 24 e 25 Cost. 6 CEDU e 468 cod. proc. pen.
Rappresenta che: l’imputata, che esercita la professione di avvocato, nel corso del giudizio di primo grado, aveva tempestivamente depositato la lista testi, da lei redatta e sottoscritta; il Tribunale non aveva ammesso le prove richieste dalla parte, ritenendo la lista testi irrituale, in quanto redatta personalmente dall’imputata; con l’atto d’appello, redatto personalmente dall’avv. COGNOME era stato censurato il provvedimento del Tribunale, evidenziando che l’art. 468 cod. proc. pen. consentiva di depositare la lista testi a tutte le parti e dunque anche allo stesso imputato.
Tanto premesso, la ricorrente, in primo luogo, lamenta il vizio di motivazione della sentenza impugnata, sostenendo che la Corte di appello non avrebbe effettivamente affrontato la questione posta con il gravame.
La ricorrente, poi, sollecita questa Corte a sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 468 cod. proc. pen., per contrasto con gli artt. 24 e 25 Cost.
Quanto al primo profilo, la ricorrente sostiene che l’art. 468 cod. proc. pen. violerebbe il principio di determinatezza, recepito dall’art. 25 Cost., poichØ lascerebbe un margine di incertezza riguardo ai soggetti che possono presentare la lista testimoniale. La norma, infatti, fa riferimento alle parti e a buona ragione potrebbe sostenersi che parte sia anche e soprattutto l’imputato. Il codice di rito, d’altronde, in relazione all’esercizio di alcuni diritti pacificamente riconosciuti all’imputato, utilizzerebbe lo stesso generico termine ‘parti’. Così, ad esempio, l’art. 465, comma 2, cod. proc. pen. prevede che il decreto che dispone il giudizio debba essere notificato alle parti e alcun dubbio sussiste sul fatto che il decreto debba esser notificato anche all’imputato.
Non vi sarebbe, dunque, alcuna certezza sul fatto che il legislatore, all’art. 468 cod. proc. pen., abbia inteso riferirsi alla sola parte tecnica e non anche all’imputato. Tale incertezza costituirebbe una violazione del principio di determinatezza, corollario del principio di legalità, recepito dall’art, 25 Cost.
Sotto altro profilo, la ricorrente sostiene che l’art. 468 cod. proc. pen. si porrebbe in contrasto con l’art. 24 Cost. e con l’art. 6 CEDU, determinando un’ingiustificata e sproporzionata limitazione del diritto di autodifesa.
Evidenzia, in particolare, che l’art. 6 CEDU riconosce espressamente il diritto dell’imputato di difendersi personalmente e che la Corte EDU – pur avendo riconosciuto che gli Stati contraenti godono di un certo margine di discrezionalità nella regolamentazione di tale diritto – ha ribadito il proprio compito di verificare che la normativa interna non determini un diniego di giustizia.
La ricorrente, al riguardo, richiama il caso Dylus c. Polonia del 23 settembre 2021, nel quale la Corte EDU ha ritenuto che il rigetto del ricorso da parte dell’autorità giudiziaria dello Stato contraente – basato proprio sul fatto che l’atto era stato redatto personalmente dall’imputato, che era anche un avvocato – fosse fondato su un «approccio … troppo formalistico e quindi sproporzionato rispetto allo scopo perseguito».
Analogamente, nel caso in esame, la non ammissione della lista testi redatta dall’avv. COGNOME alla quale peraltro era stato legittimamente riconosciuto il diritto di proporre l’impugnazione, determinerebbe un non necessario e sproporzionato sacrificio del diritto di autodifesa, limitato per il solo fatto che quella lista, redatta comunque da un avvocato, non fosse stata ratificata da una «difesa tecnica terza».
2.2. Con un secondo motivo, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione all’art. 595 cod. pen.
Rappresenta che i numerosi articoli di giornale e il libro ‘Frammenti di storie semplici’ avevano, ben prima dei messaggi oggetto di contestazione, pregiudicato la credibilità dei magistrati in servizio presso gli uffici giudiziari di Trani.
Tanto premesso, la ricorrente sostiene che la Corte di appello sarebbe caduta in errore nel ritenere che il suddetto libro avesse a oggetto fatti di pura fantasia e che, in ogni caso, non
riferirebbe fatti specificamente riferibili alla persona offesa.
Tale affermazione, infatti, risulterebbe smentita dalla stessa persona offesa, che aveva dichiarato che l’autore del libro, pur avendo utilizzato nomi di fantasia, avrebbe poi fornito delle descrizioni dei fatti e dei personaggi così particolareggiate da consentire di intuire quali fossero i veri protagonisti delle vicende narrate.
Sotto altro profilo, la ricorrente sostiene che la motivazione del provvedimento impugnato sarebbe illogica anche nella parte in cui la Corte di appello ha affermato che l’imputata avrebbe riconosciuto la paternità dei messaggi dal contenuto diffamatorio.
Tale affermazione sarebbe contraddetta dal reale contenuto delle dichiarazioni rese dall’imputata, che aveva precisato che il messaggio oggetto di contestazione non corrispondeva ai post da lei pubblicati, che si riferivano genericamente ai magistrati della Procura di Trani e non specificamente al dott. COGNOME
La motivazione della sentenza impugnata sarebbe illogica anche nella parte in cui la Corte di appello avrebbe affermato che, anche se il contenuto dei messaggi fosse stato quello riferito dall’imputata, non sarebbe comunque venuto meno il reato contestato.
2.3. Con un terzo motivo, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 62, n. 2, 62-bis e 599 cod. pen.
La ricorrente contesta anche il mancato riconoscimento dell’esimente di cui all’art. 51 cod. pen., sostenendo che sussistevano i presupposti per la sua applicabilità, considerato che l’imputata aveva riconosciuto, tra i protagonisti del libro in questione, la persona offesa e che numerosi erano gli articoli di giornale che aspramente criticavano la magistratura di Trani.
Sotto altro profilo, la ricorrente sostiene che l’imputata sarebbe stata vittima di un errore giudiziario, in relazione al quale era stata sottoposta anche agli arresti domiciliari.
Tanto premesso, sostiene che tale errore poteva sicuramente costituire un fatto ingiusto, da valorizzare al fine del riconoscimento della provocazione, quantomeno con riferimento alla circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 2, cod. pen.
Il notevole tempo trascorso tra l’esecuzione della misura cautelare e la pubblicazione dei post in questione, infatti, non poteva far sorgere dubbi in ordine alla configurabilità dell’attenuante prevista dall’art. 62, n. 2, cod. pen. La giurisprudenza di legittimità, infatti, riconosce l’applicabilità della circostanza anche nel caso in cui lo stato d’ira sia stato determinato da un accumulo di rancore formatosi nel corso del tempo e si sia poi manifestato in occasione di un episodio scatenante.
Ebbene, nel caso in esame, il rancore per l’errore giudiziario si sarebbe accumulato nel corso del tempo, per poi esplodere a seguito delle vicende successive e anche della lettura del libro, che avrebbe operato come causa scatenante dello stato d’ira.
3. L’imputata ha depositato una memoria da lei sottoscritta.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Va preliminarmente rilevato che l’avvocato COGNOMEnominato difensore di fiducia con atto pervenuto a mezzo PEC solo in data 9 dicembre 2024, alle ore 16.59, in sostituzione dell’avv. COGNOME che aveva rinunziato al mandato con comunicazione pervenuta in data 19 novembre 2024 a questa Corte e alla stessa COGNOME in data 15 novembre 2024) ha chiesto, per l’odierna udienza, termine a difesa, ai sensi dell’art. 108 cod. proc. pen., per aver ricevuto mandato in epoca prossima alla celebrazione dell’udienza.
Al riguardo, si osserva che non e stato concesso il chiesto termine, in conformità al costante indirizzo di questa Corte, secondo il quale «nel giudizio per cassazione, nel caso di revoca del precedente difensore e di nomina di uno nuovo verificatesi nell’immediatezza della celebrazione del processo, non Ł consentita la concessione di un termine a difesa poichØ, in tale giudizio, l’intervento
del difensore Ł meramente eventuale per i procedimenti che si celebrano in pubblica udienza ed Ł escluso per quelli in camera di consiglio in cui il contraddittorio, salvo che sia diversamente disposto, Ł meramente cartolare» (Sez. 5, n. 2655 del 05/10/2021, COGNOME, Rv. 282647; Sez. 1, n. 19784 del 10/04/2015, COGNOME, Rv. 263459; Sez. 5, n. 9365 del 19/11/2013, Snopec, Rv. 258266).
Va, piø in generale, rilevato che, secondo la prevalente giurisprudenza di legittimità, condivisa da questo Collegio, il termine a difesa di cui all’art. 108 cod. proc. pen. Ł funzionale ad assicurare una difesa effettiva e non determina il diritto dell’imputato ad ottenere il rinvio dell’udienza in ogni caso di nomina tardiva, dovendo il diritto di difesa essere bilanciato con il principio della ragionevole durata del processo ed esercitato senza trasformare le nomine e le revoche dei difensori in un sistema di controllo delle scansioni e dei tempi del processo. (Sez. 4 n. 4928 del 27/10/2022, Rv. 284094).
Sempre in via preliminare, va rilevata l’inammissibilità della memoria personalmente sottoscritta dall’imputata. Al riguardo, va ribadito che, «nel giudizio per cassazione, le memorie difensive non possono essere sottoscritte dalla parte personalmente atteso che, a seguito della riforma dell’art. 613, comma 1, cod. proc. pen., come interpolato dall’art. 1, comma 63, della legge 23 giugno 2017, n. 103, tali atti vanno redatti, a pena di inammissibilità, da difensori iscritti nell’albo speciale della Corte di cassazione» (Sez. 6, n. 31560 del 03/04/2019, COGNOME, Rv. 276782).
La sentenza impugnata, agli effetti penali, deve essere annullata senza rinvio, per essere il reato estinto per prescrizione. Agli effetti civili, essendo parzialmente fondato il terzo motivo di ricorso, la sentenza deve essere annullata con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello.
3.1. Il primo motivo Ł manifestamente infondato.
3.1.1. In primo luogo, va rilevato che Ł manifestamente infondata la censura con la quale la ricorrente si duole della mancata ammissione della lista testimoniale presentata personalmente dall’imputata. Secondo la giurisprudenza di legittimità, invero, «Ł inammissibile la lista testimoniale presentata personalmente dall’imputato in quanto, in difetto di un’espressa previsione di legge che la legittimi, l’autodifesa non Ł consentita nel processo penale: ne consegue che l’imputato rientra tra le parti legittimate alla presentazione della lista testimoniale, ai sensi dell’art. 468 cod. proc. pen., solo se assistito dal difensore» (Sez. 5, n. 49551 del 03/10/2016, COGNOME, Rv. 268744). Piø, in generale, va ricordato che, «nel processo penale, non Ł consentito all’imputato, che rivesta la qualità di avvocato, di esercitare l’autodifesa, difettando un’espressa previsione di legge che la legittimi» (Sez. 6, n. 46021 del 19/09/2018, COGNOME, Rv. 274281).
3.1.2. Risulta, poi, manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale prospettata dalla ricorrente.
Quanto al primo profilo evidenziato dalla ricorrente – a prescindere dalla questione dell’effettiva riferibilità dell’art. 25 Cost. anche alla ‘legalità processuale’ – va rilevato che l’art. 468 cod. proc. pen. non lascia spazio ad alcuna indeterminatezza, atteso che la presentazione della lista testimoniale Ł esplicazione della difesa tecnica, per cui – considerato che nel nostro ordinamento non Ł consentita l’autodifesa tecnica – alcun dubbio può sussistere sul fatto che la norma non si riferisca all’imputato.
Quanto al secondo profilo, questa Corte ha già rappresentato che il fatto che l’autodifesa tecnica non sia consentita nel processo penale dipende da una non irragionevole scelta del legislatore, mirata a garantire l’effettività del diritto di difesa (Sez. 5, n. 32143 del 03/04/2013, Querci, Rv. 256085) e non contrastante con la possibilità di autodifesa prevista dall’art. 6, paragrafo terzo, lett. C, CEDU in termini non assoluti, ma limitati dal diritto dello Stato a emanare disposizioni
concernenti la presenza di avvocati davanti ai tribunali allo scopo di assicurare una buona amministrazione della giustizia (cfr. Sez. 5, n. 49551 del 03/10/2016, COGNOME, Rv. 268744; Sez. 1, n. 7786 del 29/01/2008, Rv. 239237).
Va, peraltro, rilevato che questa Corte, seppur in relazione all’art. 97 cod. proc. pen., ha già ritenuto manifestamente infondata analoga questione di legittimità costituzionale, sollevata in riferimento all’art. 24 Cost., ritenendo che la limitazione della facoltà di autodifesa dell’imputato costituisca una scelta politica del legislatore mirata a garantire l’effettività del diritto di difesa e non priva di ragionevolezza (Sez. 5, n. 32143 del 03/04/2013, Querci, Rv. 256085).
3.1.3. La questione relativa alla mancata ammissione della lista testimoniale presentata personalmente dall’imputata, in relazione alla quale la ricorrente si duole del fatto che la Corte territoriale non abbia fornito adeguata risposta, risulta, dunque, manifestamente infondata. Deve, pertanto, ritenersi che la mancanza di una risposta specifica della Corte di merito non conduca all’annullamento della sentenza, trattandosi di motivo di appello manifestamente infondato, rispetto al quale la ricorrente Ł priva di interesse a dolersi di una lacuna motivazionale, che, in caso di annullamento, non sortirebbe alcun esito positivo nel giudizio di rinvio (Sez. 3, n. 46588 del 03/10/2019, COGNOME, Rv. 277281; Sez. 2, n. 35949 del 20/06/2019, COGNOME, Rv. 276745; Sez. 6, n. 47722 del 06/10/2015, COGNOME, Rv. 265878; Sez. 2, n. 10173 del 16/12/2014, COGNOME, Rv. 263157).
3.2. Il secondo motivo Ł inammissibile.
Le censure mosse dalla ricorrente con tale motivo sono generiche, versate in fatto e manifestamente infondate.
Alcune censure sembrano riferirsi alla parte della sentenza impugnata nella quale la Corte di appello affronta la tesi sostenuta dall’imputata, che aveva riferito di non esser stata mossa da alcun intento diffamatorio nei confronti del COGNOME, ma di essersi limitata a riportare alcune parti del libro ‘Frammenti di storie semplici’.
Ebbene, la Corte di appello, con motivazione priva di vizi logici, ha ritenuto infondata tale tesi, evidenziando che: nello stesso libro Ł espressamente specificato che tutti i personaggi descritti e tutti i fatti narrati nel libro sono frutto di fantasia; in nessun brano del libro viene citata la persona offesa; la stessa imputata, nel corso dell’esame, non era stata in grado di indicare il brano del libro che avrebbe riportato nei suoi messaggi.
La Corte territoriale, peraltro, ha correttamente rilevato che, anche se effettivamente il libro in questione contenesse delle accuse alla persona offesa, non per questo l’imputata avrebbe potuto dare ulteriore diffusione a tali accuse, in assenza di qualsiasi accertamento sulla fondatezza di esse. L’esimente del diritto di cronaca, infatti, opera entro i limiti di un preventivo accertamento sulla verità della notizia.
Quanto alle restanti censure, va rilevato che la Corte di appello ha desunto la provenienza dei messaggi in questione dai seguenti elementi: il movente; l’argomento trattato; il rapporto tra le parti; la provenienza dei messaggi dalla bacheca dell’imputata; l’utilizzo del nickname della stessa imputata; l’assenza di qualsiasi denuncia di furto di identità da parte dell’intestataria del profilo. Solo per mera completezza, la Corte territoriale ha richiamato anche la motivazione del giudice di primo grado, che aveva fatto riferimento anche al fatto che l’imputata, nel corso dell’interrogatorio di garanzia, si era attribuita la ‘paternità’ dello scritto. Ha, in ogni caso, escluso l’ipotesi della manipolazione del messaggio da parte della stessa persona offesa (che dunque si sarebbe diffamata da sola), ritenendola inverosimile e priva di qualsiasi riscontro concreto.
Sotto tale profilo, dunque, anche se si volesse dare rilievo alla censura della ricorrente, che sostiene di avere espressamente affermato che il messaggio specificamente contestato non fosse quello da lei pubblicato, risulta evidente che l’argomento non risulterebbe decisivo.
3.3. Il terzo motivo Ł parzialmente fondato.
3.3.1. Il motivo risulta infondato, per i motivi già esposti, nella parte in cui invoca l’esimente dell’art. 51 cod. pen., adducendo che l’imputata aveva riconosciuto, tra i protagonisti del libro ‘Frammenti di storie semplici’, la persona offesa e che numerosi erano gli articoli di giornale che aspramente criticavano la magistratura di Trani.
Al riguardo, va ribadito quanto già detto con riferimento al libro e al fatto che, anche se esso effettivamente contenesse delle accuse alla persona offesa, non per questo l’imputata avrebbe potuto dare ulteriore diffusione a tali accuse, in assenza di qualsiasi accertamento sulla fondatezza di esse. Del tutto generica risulta poi la deduzione relativa alle critiche che la stampa muoveva alla magistratura di Trani.
3.3.2. Il motivo risulta, invece, fondato nella censura relativa alla provocazione.
La Corte di appello, invero, ha escluso la configurabilità della causa di non punibilità, sostenendo che vi sarebbero «forti dubbi sulla possibilità di una persecuzione giudiziaria» nei confronti della COGNOME, atteso che «piø magistrati, in servizio a Trani come a Bari, requirenti e giudicanti, hanno ritenuto fondate almeno in parte le ipotesi di reato» a suo carico. Tale giudizio viene espresso, sulla base della mera elencazione di una serie di provvedimenti giudiziari (richieste di archiviazione, imputazioni coatte, sentenze di non luogo a procedere, sentenze di non doversi procedere per prescrizione, sentenze di incompetenza, ecc.), all’esito dei quali sembra di capire che sia rimasta una pronuncia di condanna in relazione solo ad alcuni reati contestati alla COGNOME; nØ si comprende bene quali sarebbero i reati e se questi fossero ricompresi tra quelli per i quali era stata disposta la misura cautelare.
La questione non era tanto quella di capire se vi fosse stata una persecuzione giudiziaria a carico della COGNOME, ma di verificare se lo specifico reato per il quale l’imputata era stata ristretta agli arresti domiciliari fosse risultato completamente infondato e se ciò potesse costituire un fatto ingiusto idoneo a ‘giustificare’ la reazione dell’imputata.
Quanto alla distanza temporale, pure valorizzata dalla Corte di appello, va ribadito che il dato temporale deve essere interpretato con elasticità, non essendo necessaria una reazione istantanea (cfr. Sez. 5, n. 30502 del 16/05/2013, COGNOME, Rv. 257700; Sez. 1, Sentenza n. 16790 del 08/04/2008, COGNOME, Rv. 240283) e che, nel caso specifico, deve essere valutato non solo il momento in cui la COGNOME era stata ristretta agli arresti domiciliari, ma anche quello in cui l’eventuale infondatezza del reato a base di quella misura cautelare fosse stata accertata.
3.4. Agli effetti penali, tuttavia, va rilevato che il reato contestato risulta estinto per prescrizione. Il termine massimo di prescrizione (iniziato a decorrere con la consumazione del reato il 9 luglio 2016), pari a sette anni e sei mesi e sospeso per complessivi 70 giorni, risulta decorso il 19 marzo 2024, dopo la sentenza di appello, emessa il 23 febbraio 2024.
Ne segue che, in difetto dell’evidenza di cause di non punibilità riconducibili all’art. 129, comma 2, cod. proc. pen., la sentenza impugnata, agli effetti penali, deve essere annullata senza rinvio, perchØ il reato Ł estinto per prescrizione.
Agli effetti civili, la parziale fondatezza del terzo motivo determina l’annullamento della sentenza con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio agli effetti penali la sentenza impugnata perchŁ il reato Ł estinto per prescrizione. Annulla la medesima sentenza agli effetti civili e rinvia al giudice civile competente per valore in grado di appello.
Così Ł deciso, 10/12/2024
Il Consigliere estensore
NOME
Il Presidente NOME COGNOME NOME COGNOME