Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 46621 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 46621 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 20/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Vibo Valentia il 4.6.1978
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro del 22.11.2023;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi il ricorso inammissibile;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza resa in data 22.11.2023, la Corte d’Appello di Catanzaro ha confermato la sentenza emessa dal g.i.p. del Tribunale di Vibo Valentia in data 17.5.2018 all’esito di un giudizio abbreviato, con cui COGNOME NOME era stato condannato per i reati di cui agli artt. 648 cod. pen. e 23, comma 3, L. n. 110 del 1975 (in esso assorbito il reato ex artt. 4 e 7 L. n. 895 del 1967) alla pena di anni uno e mesi otto di reclusione ed euro 800 di multa, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche (pena base per il reato ex art. 648 cod. pen. di
anni uno e mesi quattro di reclusione ed euro 800 di multa; aumentata per la continuazione con il reato ex art. 23 L. n. 110 del 1975 di anni uno e mesi due di reclusione ed euro 400 di multa, per una pena complessiva di anni due e mesi sei di reclusione ed euro 1.200 di multa; ridotta per il rito ad anni uno e mesi otto di reclusione ed euro 800 di multa).
L’imputato aveva proposto appello limitatamente alla determinazione della pena inflitta, chiedendone la riduzione in quanto eccessiva nonostante il comportamento collaborativo di COGNOME e nonostante l’arma oggetto dei reati contestati fosse arrugginita e priva di munizionamento.
La Corte territoriale ha rigettato l’appello, evidenziando: a) che la pena base per la ricettazione è stata calcolata nel minimo edittale; b) l’aumento a titolo di continuazione “è congruo avuto riguardo all’intensità del dolo, desumibile dalle modalità di tempo e di luogo di detenzione”.
Avverso la predetta sentenza, ha proposto ricorso il difensore di COGNOME NOMECOGNOME articolandolo in un unico motivo, con cui deduce la violazione degli artt. 81 e 133 cod. pen., da cui sarebbe derivata una motivazione apparente.
Si censura che la motivazione sia apparente, in quanto la Corte d’Appello non ha spiegato le ragioni che hanno portato ad applicare un aumento di pena per la continuazione quasi pari a quella inflitta per il reato più grave.
La sentenza di primo grado non aveva motivato affatto circa le ragioni di tale aumento, pur avendo individuato la pena per il reato di cui all’art. 648 cod. pen. nel minimo edittale e pur avendo concesso le attenuanti generiche, salvo poi “azzerare” di fatto questo trattamento benevolo con una pena assai severa in aumento per la continuazione.
A fronte di tale carenza della prima pronuncia, ì giudici di secondo grado non hanno adempiuto all’onere motivazionale, che deve essere tanto più accresciuto quanto più l’aumento per la continuazione si discosti dal minimo edittale.
La Corte ha operato un generico riferimento all’intensità del dolo, che rende la motivazione contraddittoria, in quanto è stato dato atto, al contempo, che la Polizia intervenne su segnalazione dello stesso COGNOME, autodenunciatosi, e che l’imputato era esasperato perchè le Poste gli avevano bloccato un assegno di 12.000 euro.
Di conseguenza, dalla lettura congiunta delle due sentenze di merito emerge la contraddizione tra una valutazione benevola della genesi dell’illecito e un aumento della pena per la continuazione motivato con un rinvio a formule di stile.
Con requisitoria scritta del 30.5.2024, il Sostituto Procuratore generale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso, richiamando giurisprudenza di
legittimità secondo cui il giudice non è tenuto ad una motivazione dettagliata quando individui aumenti di entità prossima al minimo piuttosto che al massimo edittale, nel quale caso è sufficiente il richiamo ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen.
4. In data 5.6.2024, il difensore dell’imputato ha depositato conclusioni scritte, nelle quali ha evidenziato che le considerazioni del Procuratore Generale sono errate, perché la proporzione dell’aumento di pena va valutata, non in rapporto ai limiti edittali del reato satellite, bensì in rapporto alla pena stabilita per il reato più grave, a maggior ragione se questa è stata contenuta nel minimo edittale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è complessivamente infondato e, pertanto, deve essere rigettato.
Nella sentenza impugnata, l’aumento a titolo di continuazione per il reato satellite di cui all’art. 23, comma 3, L. n. 110 del 197viene ritenuto congruo “atteso che vi è prova in atti, siccome confessato dall’imputato, che l’arma era stata da questi detenuta sin dal 2007”: di conseguenza, vengono valorizzate le “modalità di tempo e di luogo di detenzione” per desumerne una valutazione sfavorevole a COGNOME quanto “all’intensità del dolo”.
Si tratta di una motivazione che – a differenza di quanto lamentato nel ricorso – non può essere considerata né apparente, né contraddittoria.
Va considerato, a tal riguardo, che la quantificazione della pena è avvenuta in misura pressoché coincidente con il minimo edittale previsto per il reato da porre in continuazione con quello più grave.
Ora, il dovere di specifica motivazione si accentua progressivamente laddove maggiore sia il grado di scostamento dal minimo edittale, sicché è ragionevole affermare che l’impegno motivazionale rispetto ad un aumento di pena sensibilmente inferiore al medio edittale, tanto da rasentare il minimo, può essere assolto anche con una motivazione con cui il giudice dia conto in modo non particolarmente dettagliato di avere preso in considerazione i criteri di cui all’art. 133 cod. pen. e dia ragione, sia pure sinteticamente, del modo in cui ha esercitato il proprio potere discrezionale nella determinazione del trattamento sanzionatorio.
Nel caso di specie, la sentenza ha messo in evidenza la circostanza che la detenzione dell’arma clandestina – condotta che, peraltro, integra un reato di non marginale gravità – durava da oltre dieci anni, così operando un riferimento del tutto ragionevole al fatto che una così lunga e pervicace inosservanza del precetto penale fosse indice di una manifestazione del dolo con maggiore intensità.
La motivazione, dunque, indica il criterio soggettivo, tra quelli previsti dall’art. 133 cod. pen., che ha ritenuto rilevante ai fini del giudizio e, alla luce di esso, individua la misura dell’aumento sanzionatorio. Non incorre, pertanto, in alcuno dei vizi denunciati con il ricorso.
Ne consegue il rigetto del ricorso, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 20.9.2024