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Aumento pena continuazione: discrezionalità del giudice

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 31652/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di due imputati che contestavano la determinazione dell’aumento pena continuazione. La Corte ha ribadito che la quantificazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità se la motivazione è sufficiente e non illogica o arbitraria.

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Pubblicato il 12 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Aumento Pena per Continuazione: Quando la Decisione del Giudice è Insindacabile

L’istituto della continuazione nel diritto penale permette di mitigare il trattamento sanzionatorio per chi commette più reati in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. Tuttavia, la quantificazione dell’aumento di pena spetta al giudice. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 31652 del 2024) ha ribadito i confini invalicabili di questa valutazione, chiarendo quando e come si può contestare l’aumento pena continuazione in sede di legittimità.

I Fatti del Caso: Il Ricorso contro la Determinazione della Pena

La vicenda processuale trae origine dal ricorso presentato da due imputati avverso una sentenza della Corte d’Appello di Torino. L’unico motivo di doglianza sollevato davanti alla Suprema Corte riguardava un presunto difetto di motivazione in ordine alla determinazione dell’aumento di pena applicato a titolo di continuazione. I ricorrenti, in sostanza, non contestavano l’esistenza del vincolo della continuazione tra i reati, bensì la misura dell’aumento stabilito dal giudice di secondo grado, ritenendola ingiustificata.

La Decisione della Corte e l’Aumento Pena per Continuazione

La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato i ricorsi inammissibili. La decisione si fonda su un principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità: la graduazione della pena è espressione del potere discrezionale del giudice di merito. Questo potere, se esercitato correttamente, sfugge al controllo della Cassazione. I giudici hanno condannato i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, confermando la definitività della pena inflitta dalla Corte d’Appello.

Le Motivazioni: la Discrezionalità del Giudice di Merito

Il cuore della motivazione dell’ordinanza risiede nel riaffermare la natura e i limiti del potere discrezionale del giudice nella commisurazione della pena. La Corte ha spiegato che la determinazione della pena base e degli eventuali aumenti, come quello per la continuazione, rientra nella sfera di valutazione del giudice di merito. Tale valutazione deve essere condotta in aderenza ai principi enunciati dagli articoli 132 (Potere discrezionale del giudice nell’applicazione della pena) e 133 (Gravità del reato: valutazione agli effetti della pena) del codice penale.

Il sindacato di legittimità della Corte di Cassazione non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sul merito. La Corte non può sostituire la propria valutazione a quella del giudice che ha esaminato i fatti. Il suo compito è verificare che la decisione sia giuridicamente corretta e logicamente motivata. Pertanto, una doglianza sull’entità della pena è inammissibile qualora la decisione del giudice non sia frutto di mero arbitrio o di un ragionamento palesemente illogico e sia, come nel caso di specie, sorretta da una motivazione sufficiente. La Corte d’Appello aveva motivato la sua scelta e, secondo la Cassazione, tale motivazione era adeguata a giustificare l’aumento di pena applicato.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia

Questa ordinanza consolida un orientamento giurisprudenziale di fondamentale importanza pratica. Chi intende impugnare una sentenza per motivi legati alla quantificazione della pena deve essere consapevole che le possibilità di successo in Cassazione sono estremamente ridotte. Non è sufficiente lamentare una pena ritenuta eccessiva. È invece necessario dimostrare un vizio specifico e grave della motivazione, come una sua totale assenza, una sua manifesta illogicità o una palese contraddizione. In assenza di tali vizi, l’aumento pena continuazione e, più in generale, la commisurazione della sanzione, rimangono di esclusiva competenza del giudice di merito. La decisione, inoltre, serve da monito: la proposizione di ricorsi palesemente infondati o inammissibili comporta non solo la conferma della condanna, ma anche l’addebito di ulteriori spese a carico del ricorrente.

È possibile contestare in Cassazione l’entità dell’aumento di pena per la continuazione?
Sì, ma solo in casi limitati. Il ricorso è ammissibile unicamente se si dimostra che la decisione del giudice di merito è frutto di puro arbitrio o di un ragionamento palesemente illogico e non è sorretta da una motivazione sufficiente. Non si può contestare la decisione semplicemente perché si ritiene la pena troppo alta.

Qual è il ruolo del giudice nel determinare l’aumento di pena?
Il giudice di merito ha un potere discrezionale nel graduare la pena, inclusi gli aumenti per la continuazione. Deve esercitare questo potere seguendo i principi stabiliti dagli articoli 132 e 133 del codice penale, valutando la gravità del reato e la capacità a delinquere del reo.

Cosa succede se un ricorso per Cassazione su questo punto viene dichiarato inammissibile?
Come stabilito in questa ordinanza, la dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro (nel caso specifico, tremila euro) in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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