Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 23958 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 23958 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME COGNOME nato a Napoli il 02/04/1975 avverso la sentenza del 29/10/2024 della Corte di appello di Milano visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME per il tramite del difensore, impugna la sentenza della Corte di appello di Milano che, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Milano, ha ridotto la pena in anni due e mesi tre di reclusione, confermando nel resto la sentenza di condanna in ordine ai delitti di concorso in corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio e per l’esercizio della funzione ex art. 110, 81, 319, 320 cod. pen. (capo A) 110, 81, 318, 320 cod. pen. (capo B) e 110, 81, 318 e 320 cod. pen. (capo C1).
1.1. Secondo l’accusa, NOME COGNOME quale operatore in servizio presso l’obitorio dell’Ospedale Sacco di Milano, in concorso con altri operatori ed in violazione della disciplina regolamentare deliberata dalla struttura ospedaliera, riceveva somme di denaro da rappresentanti di agenzie di onoranze funebri in
cambio della comunicazione del decesso dei pazienti, i cui familiari venivano veicolati alle agenzie in questione, e della sistematica vestizione dei pazienti deceduti.
1.2. Il Tribunale di Milano, all’esito del giudizio celebrato con rito ordinario, in ordine ai plurimi fatti di corruzione che avevano interessato numerosi operatori in servizio presso l’Ospedale Sacco, ha riqualificato i fatti di corruzione, inizialmente contestati ex artt. 110,319 e 320 cod. pen. di cui al capo C1 ai sensi · dell’art. 318 cod. pen., disponendo la confisca ex art. 322-ter cod. pen., anche per equivalente, della somma di euro 2.966,50 e la condanna al pagamento di analoga somma a titolo riparatorio in favore della “RAGIONE_SOCIALE” ai sensi dell’art. 322-quater cod. pen.
1.3. La Corte di Appello, per quel che in questa sede rileva, ha confutato i motivi di ricorso in ordine alla responsabilità e ridotto complessivamente la pena, sia in relazione alla pena base per il reato ritenuto più grave di cui al capo A), che al reato satellite di cui al capo B).
NOME COGNOME per mezzo di due distinti motivi di ricorso, deduce vizi di motivazione e violazione di legge ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., censurando la quantificazione degli aumenti di pena applicata a titolo di continuazione sul reato più grave.
Il ricorrente rileva l’eccessiva quantificazione dell’aumento applicato per i reati satellite di cui ai fatti di corruzione ex art. 318 cod. pen. contestati ai capi B e C1 t determinato in quattro mesi e venti giorni per il capo B e un mese per il capo C1; la esclusione di una condotta connotata da una propensione criminale del ricorrente, l’incensuratezza, l’irrilevanza del vantaggio economico ed una scarsa comprensione dei profili etici della propria condotta imponevano una riduzione di pena da contenere complessivamente nei minimi edittali onde consentire la concessione della sospensione condizionale della pena.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, in quanto riproducente censure non dedotte nei motivi di gravame e manifestamente infondato, deve essere dichiarato inammissibile.
Deve premettersi che il giudice di merito, nel determinare la complessiva pena riferibile agli aumenti dei reati satellite per la ritenuta continuazione, oltre ad individuare il reato più grave e stabilire la pena base, deve anche calcolare e motivare l’aumento di pena in modo distinto per ciascuno dei reati satellite.
Ciò premesso in termini astratti e generali I si rileva come il rigore che deve caratterizzare la decisione del Giudici di merito nell’operazione che lo porta ad operare il calcolo dei vari aumenti, deve essere di volta in volta calato nel caso concreto, visto che il grado di impegno richiestogli nel motivare in ordine ai singoli aumenti di pena è strettamente correlato all’entità degli stessi e deve essere funzionale alla verifica del rispetto del rapporto di proporzione esistente tra le pene, anche in relazione agli altri illeciti accertati, con particolare riferimento ai limiti previsti dall’art. 81 cod. pen. e che non si sia operato surrettiziamente un cumulo materiale di pene (Sez. U, n. 47127 del 24/06/2021, COGNOME, Rv. 282269 – 01).
È, infatti, ormai consolidato l’indirizzo giurisprudenziale che pone l’accento sulla funzione della motivazione come tesa al controllo dell’uso del potere discrezionale, non essendo invece consentita la determinazione della pena senza l’indicazione della pena stabilita per ciascun reato, di quello ritenuto più grave e dell’aumento per la continuazione (Sez. U, n. 7930 del 21/04/1995, COGNOME, Rv. 201549 – 01).
La Sentenza COGNOME citata, pur rilevando come il peso in concreto assegnato dal giudice a ciascun reato satellite concorra a determinare un razionale trattamento sanzionatorio, con la conseguente necessità che siano palesati gli elementi che hanno condotto alla determinazione della pena finale, ha tuttavia precisato che l’obbligo della motivazione non può essere astrattamente circoscritto secondo canoni predeterminati, specie quando la pena irrogata sia stata determinata in misura prossima al minimo piuttosto che al massimo edittale (si fa riferimento al principio di diritto ormai consolidato secondo cui il mero richiamo ai “criteri di cui all’art. 133 cod. pen.” deve ritenersi motivazione adeguata per dimostrare l’intervenuta ponderazione della pena rispetto all’entità del fatto, v. tra le tante: Sez. 2, n. 28852 del 08/05/2013, COGNOME, Rv. 256464; Sez. 1, n. 6677 del 05/05/1995, COGNOME, Rv.201537).
Si rende, invece, necessaria una specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata allorché la sua determinazione avvenga in misura prossima al massimo edittale (in proposito, v. Sez. 4, n. 27959 del 18/06/2013, COGNOME, Rv. 258356) o comunque la stessa sia individuata in maniera significativa.
Ciò posto in ordine all’ampiezza, in concreto, dell’onere di motivazione in ordine alla pena da applicare per i reati satellite, si osserva come la Corte di appello, pur non essendo stata compulsata con idoneo motivo di gravame o con motivi aggiunti (la sentenza rileva come la richiesta di riduzione della pena fosse stata formulata nelle sole conclusioni), evenienza che rende ex se inammissibile
il ricorso ai sensi dell’art. 606, comma 3, cod. proc. pen. (si richiama il pacifico principio secondo cui non possono essere dedotte con il ricorso per cassazione
questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunciare, perché non devolute alla sua cognizione, cfr. Sez. 3, n. 16610 del
24/01/2017, COGNOME, Rv. 269632), ha comunque ritenuto di ridurre la pena di tre anni di reclusione per come determinata dal primo giudice: partendo dalla pena
base di un anno e nove mesi di reclusione (pena base individuata nel minimo edittale di quattro anni di reclusione cui sono state applicate le attenuanti di cui
agli artt. 62-bis e 323-bis cod. pen., pena sensibilmente inferiore a quella di quattro anni e mesi sei da parte del Tribunale che perveniva alla pena base di
anni due e mesi sei di reclusione), la Corte territoriale ha applicato l’aumento di mesi quattro e giorni venti di reclusione a titolo di continuazione (rispetto alla
maggior pena di cinque mesi di reclusione applicata dal Tribunale) in ordine alle plurime ipotesi di corruzione
ex art. 318 cod. pen. previste nel capo
B, per poi operare un ulteriore aumento di un mese di reclusione per l’unico fatto di
corruzione ex
art. 318 cod. pen. di cui al capo C1, aumento, quest’ultimo, corrispondente a quello già determinato dal Tribunale.
Alla luce della completa e logica valutazione operata dalla Corte di appello / che ha dato prova di aver preso in esame i criteri di cui all’art. 133 cod. pen., proprio al fine di contenere la pena complessivamente determinata in anni due e mesi tre di reclusione, così apportando una significativa riduzione rispetto alla pena di tre anni di reclusione irrogati dal Tribunale, manifestamente infondate risultano le dedotte carenze di motivazione o illegittimità della sentenza in punto di trattamento sanzionatorio.
All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna della ricorrente sia al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, secondo quanto previsto dall’art. 616, comma 1, cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i’14 ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 14/05/2025.