Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 18705 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 18705 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 19/09/2023 della CORTE APPELLO di TORINO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 19/09/2023 la Corte di appello di Torino ha confermato la sentenza del Tribunale di Torino 29/11/2021, che aveva condannato NOME COGNOME (CUI CODICE_FISCALE), in esito a rito abbreviato, in ordine al reato di cui all’articolo 73, comma 5, d.P.R. 309/90, alla pena di anni 2 mesi 6 di reclusione ed C 2.400,00 di multa.
Avverso tale sentenza l’imputata propone ricorso per cassazione, lamentando violazione dell’articolo 81 cod. pen., avendo la Corte territoriale irrogato un aumento per la continuazione interna eccessivo, a seguito del riconoscimento della recidiva ex art. 99 comma 4 cod. pen..
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
In relazione agli aumenti per continuazione, non può che prendersi le mosse da Sez. U. n. 47127, del 24/06/2021, COGNOME, Rv. 282269: «ove riconosca la continuazione tra reati, ai sensi dell’art. 81 cod. pen., il giudice, nel determinare la pena complessiva, oltre ad individuare il reato più grave e stabilire la pena base per tale reato, deve anche calcolare e motivare l’aumento di pena in modo distinto per ognuno dei reati satellite» (c.d. “visione multifocale” descritta dalle Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263717, poi richiamata da Sez. U, n. 40983 del 21/06/2018, NOME, Rv. 273750, che una volta ancora hanno rimarcato la necessità della individuazione delle pene per i singoli reati satellite).
Non vi è quindi dubbio sull’obbligo di autonoma determinazione degli aumenti di pena previsti per i singoli reati satellite.
Diversa è la questione relativa all’obbligo di motivazione su ciascun aumento di pena, che sia pur obbligatorio nell’an, merita ulteriore approfondimento in relazione al quantum necessario nel singolo caso.
Come chiarito dalle Sezioni Unite COGNOME, l’obbligo motivazionale richiede modalità di adempimento diverse a seconda dei casi; ed infatti, risulta consolidato il principio secondo il quale nel caso in cui venga irrogata una pena di gran lunga più vicina al minimo che al massimo edittale, il mero richiamo ai «criteri di cui all’art. 133 cod. pen.» deve ritenersi motivazione sufficiente per dimostrare l’adeguatezza della pena all’entità del fatto; invero, l’obbligo della motivazione, in ordine alla congruità della pena inflitta, tanto più si attenua quanto maggiormente la pena, in concreto irrogata, si avvicina al minimo
edittale (Sez. 1, n. 6677 del 05/05/1995, COGNOME, Rv.201537; Sez. 2, n. 28852 del 08/05/2013, COGNOME, Rv. 256464). E, per converso, quanto più il giudice intenda discostarsi dal minimo edittale, tanto più ha il dovere di dare ragione del corretto esercizio del proprio potere discrezionale, indicando specificamente, fra i criteri oggettivi e soggettivi enunciati dall’art. 133 cod. peri., quelli ritenut rilevanti ai fini di tale giudizio (Sez. 6, n. 35346 del 12/06/2008, COGNOME, Rv. 241189; Sez. 5, n. 511 del 26/11/1996, dep. 1997, Curcillo, 207497).
Sottolinea la Corte nella sua massima composizione come talune pronunce propendono a definire l’impegno motivazionale adottando quale parametro di riferimento la media edittale; si afferma che, nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale, non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice, essendo sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi cli cui all’art. 133 cod. pen. (Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, COGNOME, Rv. 265283; Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, COGNOME, Rv. 276288).
Mentre l’irrogazione di una pena base pari o superiore al medio edittale richiede una specifica motivazione in ordine ai criteri soggettivi ed oggettivi elencati dall’art. 133 cod. pen., valutati ed apprezzati tenendo conto della funzione rieducativa, retributiva e preventiva della pena (Sez. 3, n. 10095 del 10/01/2013, COGNOME, Rv. 255153; conforme Sez. 5, n. 35100 del 27/06/2019, Torre, Rv. 276932).
A fortiori, l’irrogazione della pena in una misura prossima al massimo edittale rende necessaria una specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata (Sez. 4, n. 27959 del 18/06/2013, COGNOME, Rv. 258356).
Ancora, elemento che può fungere da parametro di giudizio sulla ragionevolezza del calcolo è il rispetto della «proporzionalità interna» tra la pena irrogata per il reato base e quelle determinate per i reati satellite (Sez. 3, n. 24979 del 22/12/2017, dep. 2018, non massirnata sul punto).
Da tale complesso di pronunce si evince un principio di fondo, esplicitato da Sez. 6, n. 8156 del 12/01/1996, Moscato, Rv. 205540 (richiamata dalle Sez. U. Zingaro), secondo cui «è praticabile la via della indicazione di ciò che attraverso la motivazione deve essere assicurato: che risultino rispettati i limiti previsti dall’art. 81 cod. pen.; che non si sia operato surrettiziamente un cumulo materiale di pene; che sia stato rispettato’ ove ravvisabile, il rapporto di proporzione tra le pene, riflesso anche della relazione interna agli illeciti accertati».
Scendendo in concreto, la Corte di appello ritiene congruamente motivata la sentenza di primo grado sul trattamento sanzionatorio e proporzionata alla gravità fatti nel suo ammontare.
In particolare, a pag. 10-11 della prima sentenza si specificano le ragioni (gravità della condotta, contatti serrati coi fornitori e i clienti, guadagni lauti che consentiva all’imputato viaggi all’estero e cambiare cellulare e schede molto spesso, quantità di droga venduta in data 3 maggio 2016), per cui la pena base si deve discostare dal minimo edittale e veniva stabilita in anni 1 mesi 6 di reclusione e C 2.400 di multa; aumento per la recidiva, ritenuta sussistente in ragione della dimostrata pericolosità (condanne per reati specifici, assenza di attività lavorativa, ecc.) ed applicata nella misura legale (2/3), con successivo aumento per la continuazione interna, in ragione della molteplicità delle cessioni, ad anni 3 mesi 9 ed euro 3.600, diminuita per la scelta del rito.
La seconda sentenza conferma (pag. 7) le ragioni del primo giudice, rimarcando i precedenti penali riportati, anche come alias, e il numero delle cessioni.
Il provvedimento impugnato fa buon governo dei principi evidenziati al par. 2, mentre il ricorso non si confronta affatto in modo realmente critico con la motivazione addotta dalle due sentenze globalmente considerate (che si fondono per formare un unicum inscindibile), limitandosi a generiche doglianze del tutto inidonee a disarticolare il tessuto motivazionale della sentenza.
Non può quindi che concludersi, data la manifesta infondatezza delle doglianze, nel senso dell’inammissibilità del ricorso.
Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così deciso in Roma il 23 febbraio 2024
Il Consigliere estensore