Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 30129 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 30129 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 08/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Formia il 17/02/1971
avverso il decretoemesso dalla Corte di appello di Roma il 22/10/2024;
visti gli atti ed esaminato il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere, NOME COGNOME
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale, dott.ssa NOME COGNOME che ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Roma ha confermato il decreto con cui è stata applicata la misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, con obbligo di soggiorno nel comune di residenza, per tre anni nei confronti di COGNOME.
COGNOME NOME sarebbe soggetto socialmente pericoloso, ai sensi dell’art. 4, lett. b) d. Igs. n. 159 del 2011, perché indiziato del reato di cui all’art. 74 d.P.R. 9 ottobre 19 n. 309.
Ha proposto ricorso per cassazione il proposto articolando sette motivi.
2.1. Con il primo si deduce violazione di legge processuale e, in particolare, dell’ar 10 d. Igs. n. 159 del 2011; la Corte avrebbe provveduto dopo mesi e non entro il termine di trenta giorni dalla proposizione del ricorso, così invece prevrs,to dalla norma.
Ciò renderebbe il provvedimento abnorme, nullo o quantomeno inefficace, tenuto conto che la motivazione non è stata depositata contestualmente.
2.2. Con il secondo motivo si deduce violazione dell’art. 10, comma 3, d. Igs n. 159 del 2011 in relazione al principio del bis in idem.
Si sostiene che le misure di prevenzione avrebbero natura penale e che, nel caso di specie, sarebbe stato violato il divieto di bis in idem, avendo il procedimento ad oggett gli stessi fatti per i quali, nell’ambito del procedimento penale, sarebbe estata emessa ordinanza custodiale personale.
2.3. Con il terzo motivo si deduce violazione di legge; non vi sarebbero elementi per ritenere il proposto indiziato di appartenenza ad una associazione dedita al narco traffico, riconducibile ai coniugi COGNOME, che avrebbe operato a Formia da 2019 al 2022.
COGNOME avrebbe avuto rapporti esclusivamente con la signora COGNOME e per soli venti giorni (da dicembre 2019 a gennaio 2020), rendendosi protagonista di soli tre episodi di compravendita di sostanza stupefacente, senza, dunque, apportare nessun contributo al sodalizio.
2.4. Con il quarto motivo si lamenta violazione di legge quanto alla ritenuta sussistenza dell’attualità della pericolosità, fatta discendere da un incontro, a distan di quattro anni dai fatti, che il proposto avrebbe avuto con tale NOME NOME, soggetto che, secondo le forze dell’ordine, avrebbe precedenti per traffico di sostanze stupefacenti.
Si assume che NOME sarebbe in realtà un soggetto incensurato e privo di carichi pendenti.
2.5. Con il quinto motivo si deduce violazione di legge; il tema attiene alla genericit del contenuto delle prescrizioni imposte e si fa riferimento all’obbligo di rispettar leggi, a quello di non associarsi abitualmente con soggetti condannati o sottoposti a misura di sicurezza ovvero al divieto di partecipare a pubbliche riunioni, attesa la lo valenza precettiva generica.
2.6. Con il sesto motivo si deduce violazione di legge quanto al divieto di partecipare a pubbliche riunioni; rispetto al motivo di appello, con cui si era evidenziato come divieto di partecipare a riunioni in luogo pubblico sia diverso rispetto a quello partecipare a pubbliche riunioni, la motivazioni sarebbe viziata.
2.7. Con il settimo motivo si deduce violazione di legge quanto alla condanna alle spese.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato limitatamente al quarto motivo di ricorso.
2. È inammissibile, perché manifestamente infondato, il primo motivo.
La Corte di cassazione ha già spiegato come i termini entro i quali il Tribunale e la Corte di appello devono prevedere, rispettivamente sulla proposta di applicazione della misura di prevenzione personale e sul ricorso in appello avverso il decreto di primo grado, non possono che essere ritenuti ordinatori in mancanza della previsione di qualsivoglia conseguenza per il mancato rispetto del termine.
Tanto era stato ritenuto, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, anche nelle vigenza della disciplina in materia di applicazione delle misure di prevenzione della legge n. 1423 dl 1956 (Sez. 1, n. 2531 del 16/04/1996, COGNOME, Rv. 204905; Sez. 1, n. 3797 del 01/10/1993, COGNOME, rv. 196211).
Conferma di tale opzione interpretativa si trae dalla espressa previsione da parte del legislatore, nel d. Igs. n. 159 del 2011, dell’art. 24, comma 2, che prevede un termine perentorio, a pena di inefficacia, entro il quale il tribunale deve disporre la misura prevenzione patrimoniale della confisca dei beni di cui abbia disposto il sequestro, nonché dell’art. 27, comma 6, che, a sua volta, contempla, un termine entro il quale, a pena di inefficacia, la Corte di appello deve pronunciarsi sulla misura patrimoniale della confisca (cfr, tra le altre, Sez. 1, n. 23407 del 24/03/2015, Lin. Rv. 263963).
3. È infondato anche il secondo motivo di ricorso.
In più occasioni è stato chiarito come sia inapplicabile il principio del diviet “bis in idem” tra procedimento penale e procedimento di prevenzione, poiché il presupposto per l’applicazione di una misura di prevenzione è una “condizione” personale di pericolosità, desumibile da più fatti anche non costituenti illecito, mentre presupposto per l’applicazione di una sanzione penale è un fatto-reato accertato secondo le regole tipiche del processo penale.
Si è al riguardo precisato che il principio del “ne bis in idem” non è applicabi alle misure di prevenzione nemmeno sulla base di quanto affermato nella sentenza della Corte EDU, 4 marzo 2014, Grande Stevens c. Italia, poiché le stesse, alla luce dell’elaborazione della giurisprudenza convenzionale, non hanno natura anche solo sostanzialmente penale, ma la funzione di provvedimenti diretti a impedire la commissione di atti criminali e non a sanzionare la realizzazione di questi ultimi (pe tutte, Sez. 5, n. 6090 del 22/11/2024, dep. 2025, COGNOME, Rv. 287529; cfr. anche Corte cost. n. 24 del 2019).
4. È inammissibile il terzo motivo di ricorso.
4.1. Nel procedimento di prevenzione il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge, nozione nella quale va ricompresa la motivazione inesistente o meramente apparente del provvedimento, che ricorre quando il decreto omette del tutto di confrontarsi con un elemento potenzialmente decisivo prospettato da una parte che, singolarmente considerato, sarebbe tale da poter determinare un esito opposto del giudizio (Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246; Sez. 6, n. 33705 del 15/06/2016, COGNOME, Rv. 270080).
Le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno chiarito come possa dirsi ormai pacifico l’indirizzo giurisprudenziale che, con riguardo a tutti i casi nei quali il rico Cassazione è limitato alla sola “violazione di legge”, esclude la sindacabilità dell’illogi manifesta della motivazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., i quanto vizio non riconducibile alla tipologia della violazione di legge.
“Si ritiene infatti che, in queste ipotesi, il controllo di legittimità non si all’adeguatezza delle linee argomentative ed alla congruenza logica del discorso giustificativo della decisione, potendosi esclusivamente denunciare con il ricorso il cas di motivazione inesistente o meramente apparente (Sez. U, n. 12 del 28/05/2003, COGNOME): quando essa manchi assolutamente o sia, altresì, del tutto priva dei requisit minimi di coerenza e completezza, al punto da risultare inidonea a rendere comprensibile l’iter logico seguito dal giudice di merito, ovvero le linee argomentativ del provvedimento siano talmente scoordinate da rendere oscure le ragioni che hanno giustificato il provvedimento” (Così, Sez. U., n. 5876 del 28/01/2004, COGNOME, Rv. 226710).
Nello stesso senso Sez. U, n. 17 del 21/06/2000, Primavera e altri, RV. 216665, secondo cui vi è mancanza della motivazione non solo quando l’apparato giustificativo manchi in senso fisico-testuale, ma anche quando la motivazione sia apparente, semplicemente ripetitiva della formula normativa, del tutto incongrua rispetto al provvedimento che dovrebbe giustificare.
Acutamente si è osservato che la violazione di legge sussiste in caso di mancanza di motivazione “la quale si verifica nei casi di radicale carenza di essa, ovvero del su estrinsecarsi in argomentazioni non idonee rivelare la’ ratio decidendi’ (cosiddetta motivazione apparente), o fra di loro logicamente inconciliabili, o comunque perplesse od obiettivamente incomprensibili”(Sez. U. civ., 16 maggio 1992, n. 5888, Rv. 477253; Sez. U. civ., 30 ottobre 1992, n. 11846, Rv. 479257; Sez. U. civ., 24 settembre 1993, n. 9674, Rv. 483829).
In tal senso, si afferma che, in tema di provvedimenti applicativi della misura d prevenzione, la violazione di legge sussiste ove si profila la totale esclusione argomentazione su un elemento costitutivo della fattispecie che legittima l’applicazione della misura, configurandosi, in caso di radicale mancanza di argomentazione su punto essenziale (Sez. U., n. 111, del 30/11/2017, COGNOME, Rv. 271511).
4.2. In applicazione dei principi indicati, non sussistono gli ipotizzati viz provvedimento impugnato.
La Corte di appello, valorizzando gli esiti investigativi che hanno condotto all emissione del titolo cautelare nel procedimento penale per il reato di cui all’art. 74 d.P. n. 309 del 1990, ha spiegato perché nei riguardi del ricorrente sia possibile formulare un giudizio di pericolosità qualificata; si è spiegato come il proposto sia un soggett portatore di una vicinanza operativa rispetto alle finalità del sodalizio quanto al perio giugno 2019 – gennaio 2020, in cui ha compiuto almeno quattro cessioni di sostanza stupefacente; si è fatto riferimento alla peculiarità specifica del ricorrente, che, in qu appartenente alle Forze dell’Ordine, era favorito, in ragione della sua condizione personale, per lo spaccio per strada, e si sono descritti i rapporti intercorsi da una par con il vertice del gruppo, costituito da NOME COGNOME con la quale nel tempo si erano succeduto relazioni alterne, e, da un dato momento, con altri soggetti quali COGNOME NOME e NOME NOME.
Rispetto a tale quadro di rifermento, nulla di specifico è stato dedotto, essendosi limitato il proposto, da una parte, a contestare, in modo assolutamente generico, il contenuto delle captazioni e, dall’altro, a reiterare le stesse argomentazioni portate all cognizione dei Giudici di merito e da questi correttamente valutate .
E’ invece fondato il motivo di ricorso relativo al requisito dell’attualità pericolosità sociale.
Con riferimento al giudizio di attualità, la Corte di cassazione ha avuto modo di affermare che è onere del giudice verificare «in concreto» la persistenza della pericolosità del proposto, soprattutto nei casi in cui sia decorso un apprezzabile periodo di tempo tra l’epoca dell’accertamento penale e il momento della formulazione del giudizio sulla prevenzione e quando tra la pregressa violazione della legge penale e tale ultimo giudizio si collochi un periodo detentivo tendente alla risocializzazione comunque esente da ulteriori condotte sintomatiche di pericolosità (tra le tante, Sez. 6, n. 5267 del 14/01/2016, Grande Aracri, Rv. 266184).
Se non esiste incompatibilità tra un giudizio di attualità della pericolosità sociale fini dell’applicazione di misura di prevenzione e lo stato di detenzione, è altrettanto ve che la detenzione non è un dato neutro (Corte cost. n. 6 del 2013).
La Corte costituzionale, con sentenza del 2 dicembre 2013 n. 291, ha dichiarato parzialmente illegittimi l’art. 12 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 e, in v consequenziale, l’art. 15 del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, nella parte in cui non prevedono che, nel caso in cui l’esecuzione di una misura di prevenzione personale resti sospesa a causa dello stato di detenzione della persona ad essa sottoposta, l’organo che ha adottato il provvedimento di applicazione debba valutare, anche d’ufficio, la
persistenza della pericolosità sociale dell’interessato nel momento dell’esecuzione della misura.
Secondo il Giudice delle Leggi, la valutazione, va compiuta quando, “all’esito della detenzione, emergano profili o dati di fatto specifici potenzialmente idonei ad incider sullo stato di pericolosità sociale precedentemente delibato in senso positivo”.
Il Giudice di merito, dunque, deve procedere ai necessari accertamenti, fornendo giustificazione adeguata del perché ritenga che nella situazione concreta la pericolosità sociale che connotava il prevenuto prima del suo ingresso in carcere, sia ancora immutata, nonostante l’intervenuto stato detentivo, soprattutto nei casi in cui g elementi posti a fondamento nel giudizio di prevenzione siano tutti precedenti all’insorgere dello stato detentivo (Sez. 5, n. 34150 del 22/09/2006, Commisso, Rv. 235203; Sez. 2, n. 39057 del 3/06/2014, COGNOME, Rv. 260781).
Tali accertamenti, di per sé doverosi, impongono un onere motivazionale ulteriore nei casi in cui, oltre allo stato detentivo, sussistano anche altri elementi successivi a detenzione che depongano in senso favorevole al proposto.
Le Sezioni unite della Corte di cassazione, facendo riferimento al grave reato di associazione di tipo mafioso, hanno affermato che, conformemente a quanto già statuito in sede di applicazione della misura cautelare, occorre confrontarsi, al fine del valutazione di persistente pericolosità, con qualsiasi elemento di fatto suscettibile, anch sul piano logico, di mutare la valutazione di partecipazione al gruppo associativo, al d là della dimostrazione di un dato formale di recesso dalla medesima, quale può ravvisarsi nel decorso di un rilevante periodo temporale o nel mutamento delle condizioni di vita, tali da renderle incompatibili con la persistenza del vincolo (Sez. U, n. 111 de 30/11/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 271511).
In tale articolato quadro di riferimento la Corte di appello di Roma non ha fatt corretta applicazione dei principi indicati.
A fronte di fatti penalmente rilevanti accertati fino al gennaio 2020 e di uno stato detenzione, prima carcerario e poi domiciliare, protrattosi dal maggio 2022 almeno fino al novembre 2024, la pericolosità sociale è stata ritenuta attuale sulla base di u incontro avuto, nel mentre il ricorrente era agli arresti domiciliari, con COGNOME NOMECOGNOME
E tuttavia, di tale incontro, al di là degli assunti del difensore e della Corte di app nulla è dato sapere e, più in generale, nulla è stato spiegato su: a) se e in che misur NOME, soggetto incensurato, sia gravato da carichi pendenti; b) quale sia il senso e la portata dell’affermazione di polizia secondo cui NOME sarebbe invece una “persona gravata da precedenti per traffico di sostanza stupefacente; c) se, al di là di det incontro, vi siano elementi concreti successivi allo stato detentivo che depongano in
senso sfavorevole al proposto; d) quali siano le attuali condizioni di vita del ricorrente e se esse siano compatibili con un giudizio di pericolosità sociale attuale.
Su tale decisivi profili, il decreto impugnato è silente
Una affermazione, quella relativa alla attualità della pericolosità sociale, fondata su una presunzione di attualità della pericolosità, esplicitata attraverso una motivazione
priva di stabilità.
6. Ne discende che il decreto impugnato deve essere annullato con rinvio per nuovo giudizio; la Corte di appello applicherà i principi indicati e verificherà se e in che limiti
sia possibile formulare nei confronti del ricorrente un giudizio di pericolosità sociale attuale.
7. I residui motivi di ricorso sono assorbiti.
P. Q. M.
Annulla il decreto impugnato con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Roma.
Così deciso in Roma 1’8 maggio 2025
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