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Attualità pericolosità: onere prova dopo detenzione

La Cassazione annulla una misura di prevenzione, sottolineando che l’attualità della pericolosità deve essere provata con elementi concreti e attuali, non presunta da un singolo incontro sospetto dopo un lungo periodo di detenzione.

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Pubblicato il 1 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Misure di Prevenzione: la Cassazione ribadisce l’onere di provare l’attualità della pericolosità

L’applicazione delle misure di prevenzione personali rappresenta uno strumento cruciale per l’ordinamento giuridico, volto a contrastare la pericolosità sociale di determinati soggetti. Tuttavia, la sua efficacia è strettamente legata al rispetto di principi fondamentali, tra cui la necessità di una rigorosa dimostrazione dell’ attualità della pericolosità. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha annullato un decreto della Corte di Appello, offrendo importanti chiarimenti su come questo requisito debba essere valutato, specialmente dopo un lungo periodo di detenzione del soggetto.

I Fatti del Caso: Dalla Misura di Prevenzione al Ricorso in Cassazione

Il caso trae origine da un decreto della Corte di Appello di Roma che confermava l’applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, con obbligo di soggiorno, per tre anni nei confronti di un individuo. Quest’ultimo era ritenuto socialmente pericoloso in quanto indiziato del reato di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. La misura si basava su fatti risalenti al periodo tra il 2019 e il 2020.

L’interessato ha proposto ricorso per cassazione, sollevando sette motivi di impugnazione. Tra questi, spiccava la censura relativa alla mancanza di un’adeguata valutazione sull’attualità della sua pericolosità sociale, considerando il notevole lasso di tempo trascorso dai fatti contestati e il lungo periodo di detenzione (prima in carcere e poi ai domiciliari) subito nel frattempo.

La Decisione della Corte sulla Attualità della Pericolosità

La Corte di Cassazione ha ritenuto infondati la maggior parte dei motivi di ricorso, tra cui quelli relativi a presunte violazioni processuali e al principio del ne bis in idem. Su quest’ultimo punto, la Corte ha ribadito che le misure di prevenzione non hanno natura penale ma mirano a prevenire la commissione di reati, pertanto non sussiste una duplicazione di giudizio rispetto al procedimento penale per gli stessi fatti.

Tuttavia, i giudici di legittimità hanno accolto il motivo di ricorso relativo al difetto di motivazione sul requisito dell’attualità della pericolosità.

La Valutazione della Pericolosità dopo la Detenzione

La Corte di Appello aveva basato il suo giudizio di persistente pericolosità su un unico elemento successivo alla detenzione: un incontro che il ricorrente, mentre era agli arresti domiciliari, avrebbe avuto con un altro soggetto indicato dalle forze dell’ordine come persona con precedenti per traffico di stupefacenti. Il ricorrente, dal canto suo, sosteneva che tale individuo fosse in realtà incensurato.

La Cassazione ha evidenziato come questo singolo elemento fosse del tutto insufficiente a sostenere una valutazione così importante. Il periodo di detenzione, sebbene non annulli automaticamente la pericolosità, non è un dato neutro e impone al giudice un onere motivazionale rafforzato. È necessario accertare, con elementi concreti, se la pericolosità che connotava il soggetto prima del suo ingresso in carcere sia ancora presente.

L’Insufficienza di un Singolo Incontro Sospetto per la prova dell’attualità della pericolosità

La Corte Suprema ha censurato la decisione dei giudici di merito per non aver approfondito la reale natura dell’incontro e la posizione del terzo soggetto. La motivazione della Corte di Appello è stata giudicata carente perché non ha chiarito:

1. Se e in che misura il terzo soggetto fosse effettivamente gravato da precedenti o carichi pendenti.
2. Il senso e la portata dell’affermazione delle forze dell’ordine che lo descrivevano come “persona gravata da precedenti”.
3. L’esistenza di altri elementi concreti, successivi alla detenzione, che potessero indicare una persistente pericolosità del ricorrente.

Le Motivazioni

La motivazione della Corte di Cassazione si fonda sul principio consolidato secondo cui il giudice della prevenzione ha l’onere di verificare ‘in concreto’ la persistenza della pericolosità, specialmente quando è trascorso un significativo periodo di tempo dai fatti e vi è stato un periodo detentivo potenzialmente risocializzante. Basare il giudizio su un singolo incontro, senza indagarne il contesto e la reale caratura criminale dei soggetti coinvolti, si traduce in una motivazione apparente e in una violazione di legge. Il giudice di merito avrebbe dovuto procedere a necessari accertamenti, fornendo una giustificazione adeguata del perché la pericolosità sociale fosse rimasta immutata nonostante lo stato detentivo.

Le Conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha annullato il decreto impugnato con rinvio alla Corte di Appello di Roma per un nuovo giudizio. Quest’ultima dovrà riesaminare il caso applicando correttamente i principi enunciati, ovvero conducendo una valutazione rigorosa e approfondita sull’attualità della pericolosità sociale del soggetto, basata su elementi concreti e attuali e non su mere congetture o su un singolo episodio non adeguatamente circostanziato.

Un lungo periodo di detenzione annulla automaticamente la pericolosità sociale di una persona?
No, la detenzione non annulla automaticamente la pericolosità, ma non è nemmeno un dato neutro. Impone al giudice di procedere a specifici accertamenti e di fornire una giustificazione adeguata sul perché la pericolosità sociale, che esisteva prima della detenzione, si ritenga ancora immutata.

Un singolo incontro sospetto è sufficiente per dimostrare l’attualità della pericolosità di un soggetto?
No. Secondo la Corte di Cassazione, un singolo incontro, soprattutto se non approfondito nelle sue circostanze e nella reale posizione criminale dei soggetti coinvolti, è insufficiente a fondare un giudizio sulla persistenza della pericolosità sociale, specialmente dopo un lungo periodo detentivo.

Il principio del “ne bis in idem” (non due volte per la stessa cosa) si applica tra un procedimento penale e l’applicazione di una misura di prevenzione?
No. La Corte ha ribadito che il principio del “ne bis in idem” è inapplicabile tra procedimento penale e procedimento di prevenzione, poiché quest’ultimo non applica una sanzione penale per un fatto-reato, ma valuta una “condizione” personale di pericolosità con la funzione di impedire la commissione di futuri atti criminali.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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