Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 37241 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 37241 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/10/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nato a BOLZANO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del Tribunale per il riesame di TRENTO del 22/07/2025
C
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione, NOME COGNOME, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1.Con l’ordinanza impugnata del 22 luglio 2025, il Tribunale per il riesame di Trento ha rigettato l’appello proposto da NOME COGNOME avverso l’ordinanza
del Tribunale di Trento, che aveva rigettato l’istanza di revoca ex art. 299 cod. proc. pen. della misura cautelare interdittiva della sospensione dall’esercizio del pubblico ufficio di responsabile dell’ufficio “gestione del territorio” del comune di Bolzano in ordine ai reati di cui agli artt. 416, 416-bis.1, 615-ter, secondo comma, cod. pen.
Avverso l’ordinanza indicata del Tribunale di Trento ha proposto ricorso l’indagata, con atto a firma del difensore, AVV_NOTAIO, affidando le proprie censure ad un unico motivo, di seguito enunciato nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., con il quale deduce violazione dell’art. 606, lett. b) ed e) in riferimento agli artt. 274, lett. c), e 275, comma 1, cod. proc. pen.
Con un primo argomento, denuncia come la motivazione resa dal Tribunale del riesame sul punto dell’attualità e concretezza del pericolo di reiterazione del reato sia omissiva e meramente apparente, nella misura in cui, valorizzando il modus operandi in riferimento a condotte ormai risalenti (all’anno 2020 quanto all’art. 416 cod. pen., ed al 2018 in relazione all’accesso abusivo), ha omesso l’effettiva disamina dell’elevata probabilità di ripetizione di condotte omogenee, in presenza di condizioni ambientali e di contesto tali da escludere, invece, tale possibilità, come richiesto dalla giurisprudenza di legittimità. Il Tribunale di Trento ha svolto, invece, un’analisi parziale, omettendo del tutto di prendere atto del mutamento delle condizioni di contesto e dell’evoluzione personologica della ricorrente, anche tenuto conto che le misure interdittive eseguite nei confronti dei coindagati hanno res0 impossibile ai medesimi ogni rapporto con la PRAGIONE_SOCIALE.
Con un secondo punto, censura l’ordinanza impugnata nella parte in cui ha reputato che il reato associativo, in quanto permanente, sarebbe tuttora in corso di consumazione, laddove, invece, la giurisprudenza di legittimità postula che la sussistenza delle esigenze cautelari per il reato di cui all’art. 416 cod. pen. debba essere desunta da specifici elementi di fatto, idonei a dimostrarne l’attualità, non essendo applicabile la regola d’esperienza, invece elaborata per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., della tendenziale stabilità del sodalizio, in difetto di elementi contrari attestanti il recesso individuale o lo scioglimento del gruppo. Evidenzia, al riguardo, come la stessa contestazione sia temporalmente delimitata all’anno 2020, e che la prognosi di reiterazione, invece del tutto carente, avrebbe dovuto essere condotta in relazione a reati che offendano i medesimi beni giuridici delle fattispecie poste a fondamento del titolo cautelare.
Con requisitoria scritta del 30 settembre 2025, il sostituto Procuratore generale presso questa Corte, NOME COGNOME, ha concluso per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è complessivamente infondato.
Nell’unico motivo di ricorso, la difesa rileva, anche sotto il profilo della violazione di legge, il vizio di motivazione dell’ordinanza impugnata in ordine all’incidenza del tempo nella e sulla valutazione dell’attualità delle esigenze cautelari.
In particolare, il ricorrente evidenzia che il giudice di merito non avrebbe tenuto in alcuna considerazione il lasso di tempo decorso dalle condotte in concreto contestate, che risalirebbero agli anni 2020 (art. 416 cod. pen.) e 2018 (art. 615ter, comma secondo, cod. pen.). A tale elemento, poi, si aggiungerebbe l’esito negativo della prognosi di recidivanza, in relazione alla sottoposizione dei coindagati a misure interdittive, da cui deriverebbe la dissoluzione di quel contesto che, ad avviso dei giudici di merito, darebbe ancora corpo al reato associativo.
Trattasi di deduzioni infondate.
1.1. Deve premettersi che il rilievo da attribuire al fattore tempo nel procedimento cautelare è diverso a seconda della fase nella quale viene effettuata la valutazione del giudice circa l’attualità delle esigenze cautelari.
1.1.1 II tempo trascorso dalla commissione del reato, ovvero dal momento nel quale la condotta è stata posta in essere, assume in generale rilievo nella sola fase genetica: è questo il momento nel quale il giudice è tenuto a valutare, per la prima volta, se le esigenze cautelari siano o meno attuali e, quindi, a considerare con particolare attenzione il tempo decorso dalla commissione del fatto e il comportamento tenuto successivamente dall’agente. Nella fase di applicazione della misura cautelare, infatti, come più volte affermato da questa Corte, il requisito dell’attualità del pericolo, previsto dall’art. 274, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., richiede, da parte del giudice della cautela, una valutazione prognostica sulla possibilità di condotte reiterative, alla stregua di un’analisi accurata della fattispecie concreta, che tenga conto delle modalità realizzative della condotta, della personalità del soggetto e del contesto socio-ambientale; analisi che deve essere tanto più approfondita quanto maggiore sia la distanza temporale dai fatti (cfr tra le tante, Sez. 5, n. 11250 del 19/11/2018, Avolio, Rv. 277242). Si è evidenziato, in particolare, che la novella legislativa del 2015, attraverso l’espressa indicazione normativa del requisito dell’attualità, ha introdotto la valutazione del rilievo del tempo trascorso dalla commissione dei fatti, avendo rafforzato l’obbligo della motivazione sulle
esigenze cautelari, tanto più qualificato quanto più aumenti la cesura cronologica tra i fatti e l’applicazione della misura (cfr. Sez. 2, n. 18744 del 14/4/2016, Foti, Rv. 266946 e Sez. 5, n. 49038 del 2017).
1.1.2. Il medesimo onere di valutazione, secondo un orientamento, si pone anche per i reati di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen.
Ad avviso di siffatta opzione interpretativa, anche se per i reati di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. è prevista una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari, qualora intercorra un considerevole lasso di tempo tra l’emissione della misura e i fatti contestati in via provvisoria all’indagato, il giudice ha l’obbligo di motivare, su impulso di parte o d’ufficio, in ordine alla rilevanza del tempo trascorso sull’esistenza e sull’attualità delle esigenze cautelari, anche nel caso in cui, trattandosi di reati associativi o di delitto aggravato dall’art. 416-bis1. cod. pen., non risulti la dissociazione dell’indagato dal sodalizio criminale (così Sez. 3, n. 6284 del 16/1/2019, Planta, Rv. 274861; Sez. 6, n. 16867 del 20/03/2018, COGNOME, Rv. 272919).
1.1.3. A tale orientamento, sempre in riferimento alla fase genetica, se ne contrappone un altro, secondo il quale l’onere di motivazione deve ritenersi rispettato mediante il semplice riferimento alla mancanza di elementi positivamente valutabili nel senso di un’attenuazione delle esigenze di prevenzione (Sez. 2, n. 3105 del 22/12/2016, dep. 2017, Puca, Rv. 269112) e la presunzione relativa di adeguatezza della custodia cautelare in carcere, operante ai sensi del terzo comma dell’art. 275 cod. proc. pen., può essere superata soltanto quando, in relazione al caso concreto, siano acquisiti elementi specifici dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure, non essendo idonea, allo scopo, la mera allegazione del tempo trascorso e della durata della restrizione sofferta (Sez. 2, n. 6574 del 2/2/2016, Cuozzo, Rv. 266236).
1.2. 1. Altro è il “tempo” che assume rilievo nella fase dell’esecuzione della misura cautelare, nella quale il giudice, chiamato a pronunciarsi per la revoca o la sostituzione della misura, deve compiere una diversa e nuova valutazione al fine di verificare se il quadro originario si sia modificato.
In tale fase, il tempo trascorso tra i fatti contestati e l’applicazione della misura non può più venire in rilievo (Sez. 2, n. 46368 del 14/09/2016, Mirabelli, Rv. 268567). In generale – e quindi a prescindere dall’esistenza dei diversi orientamenti citati in merito all’incidenza del tempo c.d. silente nella fase di applicazione della misura – è infatti pacifico che sulle questioni e sugli elementi, originariamente valutati dal giudice per applicare la misura si forma il c.d. giudicato cautelare (cfr. Sez. 5, n. 47078 del 19/06/2019, COGNOME, Rv. 277543).
Nella successiva fase, l’unico “tempo” che può assumere rilievo è quello trascorso dall’applicazione o dall’esecuzione della misura in poi (Sez.2, n. 47120 del 04/11/2021, Attento, Rv. 282590 – 01; n. 12807 del 2020, Rv. 278999).
Solo tale arco temporale, non quello precedente e già considerato, d’altro canto, può a certe condizioni, essere qualificato come fatto sopravvenuto ai sensi dell’art. 299 cod. proc. pen.
Il periodo per il quale si è protratta l’esecuzione, infatti, come autorevolmente evidenziato, «non può in generale essere ritenuto “neutro” poiché il decorrere dello stesso, in presenza di significativi elementi dai quali possa desumersi il venir meno ovvero anche il solo affievolimento delle esigenze originarie, deve essere adeguatamente considerato dal giudice» (così Sez. U, n. 16085 del 31/03/2011, COGNOME, Rv. 249324; Sez. 1, n. 11905 del 28/02/2017, COGNOME, non massimala; Sez. 2, n. 54298 del 16/09/2016, COGNOME, Rv. 268634).
Tanto premesso, la questione dedotta nel ricorso circa il rivo da attribuire al tempo intercorso tra la data di consumazione delle condotte e quello di valutazione dell’istanza ex art. 299 cod. proc. pen. non è correttamente posta.
2.1. La giurisprudenza citata dalla ricorrente in ordine all’incidenza del fattore temporale si riferisce, invero, alla fase genetica di applicazione della misura, e non già alla revoca della stessa, in tal modo incorrendo in un evidente vulnus dell’approccio alla questione di diritto.
Il caso di specie, infatti, si riferisce al procedimento che ha preso le mosse da una istanza di revoca della misura e non a un provvedimento applicativo della stessa. In questa fase, quindi, una nuova valutazione sulla questione relativa al tempo decorso dalle condotte (2018-2020) e al tempo c.d. silente, sino alla data di applicazione della misura, è preclusa.
Nell’attuale fase, invece, non risulta alcun fatto sopravvenuto, in tesi ignorato dal Tribunale procedente, che consenta di ritenere che siano venute meno le originarie esigenze cautelari.
La stessa difesa, se si esclude un incidentale riferimento alla dissoluzione dell’associazione a delinquere che si reputa derivante dall’esecuzione di misure interdittive anche a carico dei coindagati, non ha allegato alcun elemento ulteriore idoneo a “scardinare” il precedente giudizio di attualità delle esigenze, soprattutto in considerazione della natura della misura in atto – sospensione dall’esercizio del pubblico ufficio di responsabile dell’ufficio Gestione del territorio del Comune di
Bolzano) – e dei reati oggetto di provvisoria incolpazione, tutti radicati nell’esercizio delle funzioni, con l’aggravante di cui all’art. 416-bis 1. cod. pen.
Per contro, l’ordinanza impugnata ha ampiamente argomentato riguardo il concreto ed attuale pericolo di recidiva, correlato alla estensione e reiterazione del modus operandi, reputato tale da poter essere replicato laddove l’indagata potesse accedere alla funzione pubblica interdetta.
2.2. Ne discende che siffatto giudizio predittivo, esplicato senza aporie logiche, non si risolve – come invece dedotto dal ricorrente – nella mera qualificazione di reato permanente dell’incolpazione provvisoria di cui all’art. 416 cod. pen., ma si estende proprio a delibare il nesso funzionale tra il munus pubblico e i reiterati abusi contestati, tutti – al netto delle citate violazioni dell’art. 323 cod. pen. – espressiv della reiterazione di condotte tanto collaudate, da rivelarsi in concreto reiterabili.
Nei predetti termini, il Tribunale ha incensurabilmente raccordato il pericolo di reiterazione alla commissione di reati che presentano uguaglianza di natura in relazione al bene tutelato e alle modalità esecutive (Sez. 6, n. 47887 del 25/09/2019, I., Rv. 277392 – 01), in quanto connotati da condotte omogenee e posti a presidio dei medesimi beni giuridici, salvaguardando entrambi anche il buon andamento della pubblica amministrazione.
In conclusione, non è dato ravvisare alcun decisivo indicatore, introdotto nella fase di esecuzione della misura e sopravvenuto alla sua applicazione, che il Tribunale abbia ingiustificatamente ignorato in riferimento alla perdurante attualità e concretezza del pericolo di reiterazione di reati funzionali alle attribuzioni pubblicistiche interdette all’indagata.
Il ricorso è, pertanto, infondato.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 17 ottobre 2025