Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 13212 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 13212 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 01/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Lentini il DATA_NASCITA avverso il decreto del 21/06/2023 della Corte di appello di Catania visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorsoi
RITENUTO IN FATTO
Con il decreto indicato in epigrafe la Corte di appello di Catania ha parzialmente riformato il decreto del 7 ottobre 2022 del Tribunale di Catania che aveva applicato a NOME COGNOME la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno nel comune di residenza per anni tre con obbligo di cauzione e aveva disposto la confisca di due unità immobiliari site a Carlentini, nonché dell’impresa individuale di autotrasporto intestata a NOME COGNOME e delle quote rappresentative dell’intero capitale sociale della RAGIONE_SOCIALE
In particolare, la Corte di appello ha revocato la confisca dell’impresa
individuale di NOME COGNOME e delle quote della RAGIONE_SOCIALE, confermando nel resto il decreto impugnato.
Avverso detto decreto ha proposto ricorso NOME COGNOME, a mezzo dei suoi difensori, chiedendone l’annullamento ed articolando cinque motivi.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 24 d.lgs. n. 159 del 2011 e mancanza della motivazione, laddove la Corte di merito ha rigettato l’eccezione di inefficacia del provvedimento di confisca perché emesso oltre il termine fissato dalla citata disposizione.
Deduce che il rigetto della relativa eccezione è stato motivato in modo apodittico e che in ogni caso l’eccezione è fondata; il termine di un anno e sei mesi decorreva dalla immissione dell’amministratore giudiziario nel possesso dei beni sequestrati ed era stato prorogato di sei mesi nonché per ulteriori novanta giorni, pari al periodo di tempo fissato per il deposito del decreto applicativo emesso dal Tribunale. Vi era stato anche un periodo di sospensione del termine dal 22 aprile 2020 al 11 maggio 2020, a seguito di un rinvio disposto a causa dell’emergenza pandemica. Non operava la sospensione del termine durante il rinvio dall’udienza del 9 dicembre 2020 a quella del 24 febbraio 2021, disposto a seguito della positività al Covid di uno dei difensori.
Il termine di un anno e sei mesi era stato prorogato o sospeso per ulteriori 9 mesi e diciannove giorni ed era scaduto prima della emissione del decreto del 7 ottobre 2022, depositato il 10 ottobre 2022.
Anche laddove fosse stata ritenuta operante la sospensione del termine dal 9 dicembre 2020 al 24 febbraio 2021, la pronuncia del decreto sarebbe tardiva.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente si duole dell’omessa motivazione del rigetto della richiesta istruttoria di sentire nel contraddittorio il AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
La richiesta, avanzata in primo grado e poi reiterata a mezzo p.e.c. nel corso del giudizio di appello, non poteva essere ritenuta intempestiva, ben potendo il giudice d’appello in materia di misure di prevenzione fondare la propria decisione su elementi non esaminati in primo grado, potendone disporre l’acquisizione ai sensi dell’art. 666, comma 5, cod. proc. pen., in virtù del rinvio operato dall’art. 7, comma 9, d.lgs. 159 del 2011.
L’esame era necessario, avendo la Corte di appello utilizzato le sue dichiarazioni sia per smentire quelle del collaborante NOME COGNOME, sia ritenendolo non attendibile quanto alle misure di prevenzione patrimoniali.
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 4 d.lgs. n. 159 del 2011 nella parte in cui il decreto ha confermato il giudizio di pericolosità
qualificata.
Sul punto la Corte di appello si è limitata ad affermare, in modo meramente assertivo, che il ricorrente appartiene all’associazione di tipo mafioso «RAGIONE_SOCIALE» operante a Lentini e collegata alla RAGIONE_SOCIALE e che non sussiste alcun elemento da quale evincere una sua dissociazione o anche solo un’attenuazione della sua pericolosità in conseguenza del periodo di carcerazione sofferta.
Inoltre, segnala il ricorrente, la Corte di appello ha revocato la confisca dell’impresa individuale di autotrasporto di NOME COGNOME e delle quote della RAGIONE_SOCIALE escludendo che tali aziende fossero riferibili al proposto o che in esse fossero affluiti capitali illeciti o che fossero gestite con metodo mafioso, mentre proprio la riconducibilità a NOME COGNOME di tali aziende aveva fatto ritenere al Tribunale sussistente ed ancora attuale la sua pericolosità, continuando egli a gestire tali imprese nonostante il suo stato di detenzione, tramite i suoi sodali, anche costringendo con minacce o violenze gli agricoltori a rivolgersi ad imprese di mediazione collegate alle sue imprese per il trasporto dei frutti raccolti.
La Corte di appello, ritenendo il AVV_NOTAIO NOME COGNOME inattendibile, ha ritenuto tali assunti indimostrati, ma tali conclusioni avrebbero dovuto spingere la Corte di appello a ritenere non più attuale la sua pericolosità e quindi a revocare anche la misura di prevenzione personale.
In particolare, la Corte di appello non ha motivato in ordine alla perdurante attualità della pericolosità sociale del proposto, non potendo essa discendere in modo automatico dalla sua appartenenza al RAGIONE_SOCIALE mafioso, specie ove si consideri il lungo periodo di detenzione sofferta dal ricorrente, ristretto in carcere dal 1994; egli era già stato sottoposto a misura di prevenzione personale con decreto del 13 maggio 1996, ma la affiliazione al RAGIONE_SOCIALE era stata ritenuta interrotta già nel 2006, quando il Tribunale di sorveglianza di Perugia aveva revocato la sua sottoposizione al regime di cui all’art. 41-bis ord. pen. Altri elementi di prova a sostegno della non attualità della sua pericolosità erano stati introdotti nel giudizio, ma la Corte di appello aveva ribadito il giudizio espresso dal Tribunale, senza addurre una adeguata motivazione.
2.4. Con il quarto motivo il ricorrente si duole della assenza di motivazione in ordine al rigetto della richiesta di esclusione dell’obbligo di soggiorno.
La difesa aveva chiesto la sua esclusione evidenziando che esso avrebbe dovuto essere applicato solo quando le altre misure di prevenzione fossero state ritenute inidonee alla tutela della pubblica sicurezza, cosicché sul giudice gravava un onere di motivare rafforzato, dovendo essere giustificata l’inidoneità delle altre misure.
2.5. Con il quinto motivo il ricorrente lamenta la mancanza di motivazione nella parte in cui la Corte di appello ha rigettato l’istanza di ridurre la durata della misura di prevenzione, fissata in anni tre.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il secondo motivo di impugnazione, con il quale il ricorrente si duole dell’omesso esame, nel contraddittorio tra le parti, del AVV_NOTAIO di giustizia NOME COGNOME sotto il profilo dell’omessa motivazione del rigetto della richiesta istruttoria, è inammissibile.
Lo stesso ricorrente ammette di avere nel corso del procedimento di primo grado rinunciato alle sue residue istanze istruttorie e di non essersi doluto dell’omesso esame del AVV_NOTAIO di giustizia con l’atto di appello. La sua istanza è stata formulata nel corso del giudizio di secondo grado mediante una memoria inoltrata a mezzo p.e.c.
Trattasi, quindi, di una istanza volta a sollecitare l’esercizio dei poteri istruttori d’ufficio spettanti al giudice di appello; quest’ultimo, tuttavia, pu disporre l’assunzione di nuovi mezzi di prova solo se assolutamente necessario, cosicché il ricorrente, che si dolga dell’omessa giustificazione del mancato esercizio di tale potere, deve indicare le ragioni per le quali la prova sarebbe assolutamente necessaria.
Nel caso di specie, il ricorrente non spiega perché l’esame del AVV_NOTAIO sarebbe assolutamente necessario e perché le circostanze sulle quali egli avrebbe dovuto essere esaminato avrebbero potuto mettere in crisi l’iter logico giuridico sul quale si fonda la decisione qui impugnata, cosicché il motivo di ricorso appare generico ed in quanto tale non consentito.
Quanto alle misure di prevenzione patrimoniali applicate con il provvedimento impugnato in questa sede, deve osservarsi quanto segue.
2.1. Appare in primo luogo opportuno rammentare che le Sezioni Unite di questa Corte di cassazione hanno affermato che «la pericolosità sociale, oltre ad essere presupposto ineludibile della confisca di prevenzione, è anche “misura temporale” del suo ambito applicativo e, quindi, della sua efficacia acquisitiva. Sennonché, mentre nell’ipotesi di pericolosità “generica” l’individuazione cronologica rappresenta operazione tutt’altro che disagevole, in caso di pericolosità qualificata la relativa determinazione appare più complessa e problematica. Ed infatti, fermo restando il principio che la pericolosità (rectius l’ambito cronologico della sua esplicazione) è “misura” dell’ablazione, la proiezione temporale di tale qualità non sempre è circoscrivibile in un
determinato arco temporale. Tuttavia, nell’ipotesi in cui la pericolosità investa, come accade ordinariamente, l’intero percorso esistenziale del proposto e ricorrano i requisiti di legge, è pienamente legittima l’apprensione di tutte le componenti patrimoniali ed utilità, di presumibile illecita provenienza, delle quali non risulti, in alcun modo, giustificato il legittimo possesso. Resta ovviamente salva – come per la pericolosità generica – la facoltà dell’interessato di fornire prova contraria e liberatoria, attraverso la dimostrazione della legittimità degli acquisti in virtù di impiego di lecite fonti reddituali. Con l’imprescindibile corollario che una prova siffatta, specie per gli acquisti risalenti nel tempo, non deve rispondere, neppure in questo caso, ai rigorosi canoni probatori del giudizio petitorio, con il rischio di assurgere al rango di probatio diabolica, potendo – per quanto si è detto – anche affidarsi a mere allegazioni, ossia a riscontrabili prospettazioni di fatti e situazioni che rendano, ragionevolmente, ipotizzabile la legittima provenienza dei beni in contestazione. Invece, ove la fattispecie concreta consenta al giudice della prevenzione di determinare comunque – in forza di insindacabile apprezzamento di merito (in quanto congruamente giustificato) e sulla base di ogni utile indagine – il momento iniziale ed il termine finale della pericolosità sociale, saranno suscettibili di apprensione coattiva “soltanto” i beni ricadenti nell’anzidetto perimetro temporale» (Sez. U, n. 4880 del 26/06/2014 – dep. 2015, COGNOME, Rv. 262604; conf. Sez. 6, n. 31634 del 17/05/2017, COGNOME, Rv. 270710).
La pericolosità sociale, oltre ad essere presupposto ineludibile della confisca di prevenzione, è anche «misura temporale» del suo ambito applicativo, sicché, con riferimento alla c.d. pericolosità generica, sono suscettibili di ablazione soltanto i beni acquistati nell’arco di tempo in cui si è manifestata la pericolosità sociale, mentre, con riferimento alla c.d. pericolosità qualificata, il giudice dovrà accertare se questa investa, come ordinariamente accade, l’intero percorso esistenziale del proposto, o se sia individuabile un momento iniziale ed un termine finale della pericolosità sociale, al fine di stabilire se siano suscettibili d abiezione tutti i beni riconducibili al proposto ovvero soltanto quelli ricadenti nel periodo temporale individuato (Sez. U, n. 4880 del 26/06/2014 – dep. 2015, COGNOME, Rv. 262604).
Deve pure evidenziarsi in questa sede che questa Corte di cassazione ha affermato, in tema di misure di prevenzione, che il principio di reciproca autonomia tra provvedimenti personali e provvedimenti patrimoniali, pur consentendo di applicare la confisca prescindendo dal requisito della pericolosità del proposto al momento dell’adozione della misura, non esclude, però, che, a tal fine, la pericolosità del soggetto debba essere comunque accertata con riferimento al momento dell’acquisto del bene oggetto della richiesta, in quanto
la finalità preventiva perseguita con il provvedimento ablatorio è quella di impedire che il sistema economico legale sia funzionalmente alterato da anomali accumuli di ricchezza (Sez. 1, n. 23641 del 11/02/2014, COGNOME, Rv. 260103).
2.2. Il terzo motivo di ricorso è espressamente volto ad attaccare la motivazione del decreto nella parte in cui ha ritenuto tuttora concreta ed attuale la pericolosità sociale del proposto e quindi sottoporre lo stesso alle misure di prevenzione personali. Il terzo motivo, quindi, al pari del quarto e del quinto motivo, non è volto ad impugnare la decisione nella parte in cui applica le misure di prevenzione patrimoniali.
Unico residuo motivo di impugnazione attinente alle misure patrimoniali è il primo, che tuttavia risulta anch’esso inammissibile.
Difatti, questa Corte di cassazione ha affermato, in tema di misure di prevenzione patrimoniali, che il sequestro non costituisce condizione per l’applicazione della confisca, sicché la circostanza che il primo perda efficacia per inosservanza delle sequenze temporali previste dal d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, non comporta l’estinzione del procedimento, né impedisce che possa essere disposta la misura ablatoria definitiva della confisca (Sez. 5, n. 49149 del 11/09/2019, COGNOME, Rv. 277652, che ha confermato la decisione di merito che aveva ritenuto non ostativa al provvedimento di confisca la circostanza che, nelle more del procedimento, il sequestro fosse divenuto inefficace, con restituzione dei beni al proposto, per il decorso del termine di cui all’art. 24, comma 2, del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159).
Né il ricorrente ha dedotto un eventuale suo ulteriore interesse all’accertamento della scadenza del termine e del venir meno degli effetti del sequestro, diverso da quello volto ad accertare l’illegittimità del provvedimento di confisca.
2.3. In ogni caso, anche laddove si ritenesse che il ricorrente abbia inteso contestare la pericolosità sociale anche ai fini delle misure patrimoniali, applicando i principi sopra esposti al caso di specie, deve evidenziarsi che dal decreto di confisca emesso dal Tribunale emerge che i terreni oggetto di misura di prevenzione patrimoniale sono stati acquistati in data 11 ottobre 1995 da NOME COGNOME, fratello del proposto, e poi ceduti ai figli del proposto NOME e NOME COGNOME senza che gli stessi disponessero delle risorse occorrenti al loro acquisto.
Nel decreto viene menzionata una conversazione intercettata all’interno del carcere tra l’odierno ricorrente, sua moglie e sua figlia dalla quale è stata ricavata la natura fittizia dell’intestazione e la riconducibilità dei terreni NOME COGNOME.
L’acquisto, avvenuto nel 1995, è immediatamente precedente alla sentenza
di condanna per il delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen. commesso sino al 5 agosto 1994 pronunciata in primo grado dalla Corte di assise di appello di Catania il 9 febbraio 1998 ed è di poco successivo ai numerosi reati di omicidio volontario commessi nel 1992 e nel 1994, aggravati ai sensi dell’art. 7 decretolegge n. 152 del 1991.
Peraltro, NOME COGNOME è stato già destinatario di misura di prevenzione personale applicatagli con decreto del Tribunale di Siracusa del 13 maggio 1996 e divenuto definitivo in data 11 dicembre 1996, cosicché, sulla base della motivazione del decreto emesso all’esito nel presente procedimento dal Tribunale di Catania e richiamato dal provvedimento qui impugnato, l’acquisto dei terreni è avvenuto in un momento in cui NOME COGNOME era socialmente pericoloso.
Ne deriva che in ogni caso, quanto alle misure di prevenzione patrimoniali, il ricorso è inammissibile.
Quanto alle misure di prevenzione personali, il ricorso appare, invece fondato.
Questa Corte di cassazione ha affermato che ai fini dell’applicazione di misure di prevenzione nei confronti di appartenenti ad associazione di tipo mafioso, non è necessaria alcuna particolare motivazione in ordine all’attualità della pericolosità, una volta che l’appartenenza risulti adeguatamente dimostrata e non sussistano elementi dai quali desumere che essa sia venuta meno per effetto del recesso personale ovvero della disintegrazione del RAGIONE_SOCIALE stesso e, tuttavia, la presunzione della pericolosità non è assoluta ed è destinata ad attenuarsi, facendo risorgere la necessità di una specifica motivazione, quanto più gli elementi rilevatori dell’inserimento nel RAGIONE_SOCIALE siano lontani nel tempo rispetto al momento del giudizio (Sez. 6, n. 33923 del 15/06/2017, Martorana, Rv. 270908).
In particolare, ai fini dell’applicazione di misure di prevenzione nei confronti di indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso è necessario accertare il requisito della attualità della pericolosità e, laddove sussistano elementi sintomatici di una «partecipazione» del proposto al RAGIONE_SOCIALE mafioso, è possibile applicare la presunzione semplice relativa alla stabilità del vincolo associativo, purché la sua validità sia verificata alla luce degli specifici elementi di fatto desumibili dal caso concreto e la stessa non sia posta quale unico fondamento dell’accertamento di attualità della pericolosità (Sez. 6, n. 20577 del 07/07/2020, COGNOME, Rv. 279306, che ha annullato con rinvio il provvedimento impugnato, sul rilievo della omessa valutazione, da parte della corte di appello, del lungo periodo di permanenza del ricorrente in stato
detentivo, della confessione resa e della formulazione da parte sua di un’offerta reale alle persone offese dei reati, a fini risarcitori, elementi di cui era necessario accertare se denotassero l’abbandono delle logiche criminali in precedenza condivise all’interno del RAGIONE_SOCIALE).
Ancora, si è osservato che nel procedimento di prevenzione di appello, con riferimento alle misure personali di prevenzione, la valutazione di attualità della pericolosità sociale del proposto deve essere riferita a quello di primo grado, ma la motivazione deve tenere conto dell’eventuale anomala distanza temporale tra i due gradi di giudizio e della datazione risalente dei fatti posti a fondamento dello stesso giudizio di pericolosità (Sez. 5, n. 28343 del 12/04/2019, Mazzagatti, Rv. 276135, che, in un’ipotesi di pericolosità qualificata, ha inquadrato come vizio di assenza assoluta di motivazione il completo silenzio serbato dal giudice d’appello sulle condotte tenute dal proposto nel periodo compreso tra i due gradi di giudizio successivo alla commissione dei delitti posti a base della pericolosità, pari ad anni otto, e sui periodi di detenzione, pari ad anni undici, sofferti dallo stesso per effetto dei provvedimenti giudiziari richiamati a sostegno della sua pericolosità).
Nel caso di specie, la Corte di appello ha affermato, a sostegno della persistente attualità della pericolosità sociale del proposto, che non è emerso alcun elemento indicativo di una sua dissociazione dalla associazione di tipo mafioso di appartenenza e che la lunga carcerazione sofferta non ha inciso significativamente sulla sua pericolosità sociale.
Quanto al primo aspetto, la partecipazione del COGNOME al RAGIONE_SOCIALE COGNOME è stata accertata con sentenza passata in giudicato e la Corte di appello ha evidenziato che le condanne ormai irrevocabili pronunciate nei confronti del proposto non possono essere smentite dalle dichiarazioni del collaborante COGNOME.
Tuttavia, la Corte di appello, pur dando atto che NOME COGNOME è detenuto ininterrottamente dal 1994, non ha chiarito perché la sua pericolosità sociale sarebbe ancora attuale nonostante il lungo periodo di tempo trascorso in sin dai fatti per i quali ha riportato condanna (quasi stato di detenzione trent’anni).
Una motivazione sul punto si imponeva specie laddove si consideri che mentre il Tribunale aveva ritenuto che il proposto continuasse a mantenere i contatti con i sodali allo scopo di indurre gli agricoltori a rivolgersi, per trasporto dei loro raccolti agricoli, ad un’agenzia di intermediazione sotto il controllo del RAGIONE_SOCIALE mafioso, che provvedeva a ripartire le commesse tra i vari trasportatori attivi sul territorio, compreso il ricorrente, che operava tramite le imprese formalmente intestate a NOME COGNOME, la Corte di appello ha escluso sia che le suddette imprese fossero riconducibili al proposto, sia che egli
si fosse attivato per procurare alle stesse la conclusione dei contratti di trasporto con gli agricoltori, giungendo ad affermare che le imprese di autotrasporto di NOME COGNOME erano anch’esse vittime del sistema spartitorio organizzato dalla cosca che esercitava il controllo sul territorio, in quanto tenute anch’esse a versare una percentuale a detta agenzia.
La motivazione del provvedimento impugnato, per la carenza sopra esposta, risulta meramente apparente, cosicché il decreto emesso dalla Corte di merito deve essere annullato con rinvio per nuovo esame alla Corte di appello di Catania limitatamente alla applicazione delle misure di prevenzione personali, con assorbimento dei residui motivi di impugnazione, anch’essi attinenti a tali misure.
P.Q.M.
Annulla il provvedimento impugnato limitatamente alla misura di prevenzione personale, con rinvio per nuovo esame sul punto alla Corte di appello di Catania. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.