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Atto d’ufficio: Cassazione annulla condanna per corruzione

La Corte di Cassazione ha annullato con rinvio la condanna per corruzione e rivelazione di segreti a carico di un dipendente pubblico. La Corte ha chiarito la nozione di “atto d’ufficio”, specificando che per configurare la corruzione, l’atto deve rientrare nella sfera di competenza o influenza dell’agente e non essere meramente compiuto “in occasione dell’ufficio”. Nel caso specifico, le condotte contestate, come l’interessamento per la nomina di amministratori di condominio, non rientravano nei poteri funzionali del dipendente, portando all’annullamento della sentenza.

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Pubblicato il 26 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Atto d’ufficio: Quando un favore non è Corruzione? La Cassazione Annulla

La distinzione tra un atto d’ufficio e un atto compiuto semplicemente “in occasione dell’ufficio” è un confine sottile ma cruciale nel diritto penale, specialmente quando si parla di reati contro la Pubblica Amministrazione. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha riaffermato questo principio, annullando una condanna per corruzione e fornendo importanti chiarimenti su cosa costituisce un vero e proprio mercimonio della funzione pubblica.

I Fatti del Caso: Un Dipendente Pubblico alla Sbarra

Il caso riguardava un dipendente in servizio presso un’importante Procura della Repubblica, accusato di corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio e di rivelazione di segreti. Secondo l’accusa, l’uomo aveva messo a disposizione la propria funzione a favore di un imprenditore. In particolare, gli avrebbe fornito informazioni riservate sugli spostamenti di un magistrato e su indagini di suo interesse. Inoltre, si sarebbe impegnato a fare da intermediario con funzionari del Tribunale civile per favorire l’imprenditore nella nomina come amministratore di condomini. In cambio di questi favori, l’imprenditore avrebbe dovuto assumere una persona vicina al dipendente pubblico.

Sia il Tribunale che la Corte d’appello avevano ritenuto provate le accuse, condannando l’imputato a una pena di quattro anni e tre mesi di reclusione, basandosi principalmente sui risultati di alcune intercettazioni.

La Decisione della Corte di Cassazione: Annullamento con Rinvio

La Suprema Corte, accogliendo il ricorso della difesa, ha annullato la sentenza di condanna, rinviando il caso a un’altra sezione della Corte d’appello per un nuovo esame. La decisione si fonda su una rigorosa analisi della nozione di atto d’ufficio e sulla sua applicabilità ai fatti contestati.

Le Motivazioni della Sentenza: La Nozione di Atto d’Ufficio

La Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: per configurare il reato di corruzione previsto dall’art. 319 del codice penale, è necessario che l’atto oggetto dello scambio illecito (il cosiddetto “merciomonio”) rientri nella sfera di competenza o, quantomeno, di influenza del pubblico ufficiale corrotto. L’atto deve essere un’espressione, anche deviata, dei poteri pubblicistici di cui l’agente è titolare.

Nel caso in esame, i giudici hanno osservato che le condotte contestate all’imputato non soddisfacevano questo requisito. L’interessamento per l’assegnazione di incarichi di amministratore condominiale, di competenza del Tribunale civile, era palesemente al di fuori delle mansioni e della sfera di influenza di un dipendente della Procura. Tali azioni, quindi, non potevano essere qualificate come un atto d’ufficio, ma al massimo come atti compiuti “in occasione dell’ufficio”, sfruttando la posizione per millantare un’influenza inesistente. Questi comportamenti, pur essendo potenzialmente illeciti, non integrano la fattispecie di corruzione.

Analogamente, la Corte ha ritenuto infondata l’accusa relativa alla comunicazione dell’orario di lavoro di un magistrato, poiché dalle intercettazioni emergeva che l’informazione era stata fornita in modo estemporaneo, senza alcun nesso con un accordo corruttivo.

Infine, la sentenza ha sollevato un dubbio cruciale sulla qualifica soggettiva dell’imputato. La Corte ha sottolineato che, per essere accusati di corruzione, bisogna essere un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio. Se le mansioni dell’imputato fossero state limitate a quelle di autista, come sembrava emergere, egli avrebbe svolto mere prestazioni materiali, una condizione che, secondo l’art. 358 c.p., esclude la qualifica di incaricato di pubblico servizio e, di conseguenza, la possibilità di commettere i reati contestati.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia

Questa sentenza riafferma l’importanza di un’interpretazione rigorosa dei reati contro la Pubblica Amministrazione. Non ogni comportamento scorretto o moralmente discutibile di un dipendente pubblico può essere automaticamente classificato come corruzione. È indispensabile dimostrare che l’agente ha concretamente “venduto” un atto che rientrava nei suoi poteri o nella sua capacità di influenza funzionale. In assenza di questo nesso diretto tra il favore ricevuto e l’esercizio deviato della funzione pubblica, il reato di corruzione non sussiste. La Corte ha quindi incaricato i giudici del rinvio di riesaminare i fatti alla luce di questi principi, verificando in primis la qualifica soggettiva dell’imputato e la reale natura delle condotte a lui addebitate.

Quando un’azione di un dipendente pubblico è considerata un “atto d’ufficio” ai fini della corruzione?
Un’azione è considerata un “atto d’ufficio” quando rappresenta un comportamento, posto in essere dal pubblico ufficiale nello svolgimento del suo incarico e contrario ai suoi doveri, che rientra nella sua sfera di competenza o di influenza. Non deve essere un atto meramente compiuto “in occasione dell’ufficio”.

Qual è la differenza tra un atto compiuto “d’ufficio” e uno “in occasione dell’ufficio”?
Un “atto d’ufficio” implica l’uso o l’abuso dei poteri funzionali connessi alla qualifica del soggetto. Un atto “in occasione dell’ufficio” è invece un’attività svolta a margine o collateralmente all’incarico, che non è direttamente riconducibile ai poteri dell’agente e quindi non integra il reato di corruzione.

Perché la Corte ha annullato la condanna in questo caso?
La Corte ha annullato la condanna perché ha ritenuto che le condotte contestate all’imputato, come l’interessamento per la nomina di amministratori di condominio, non rientrassero nella sua sfera di competenza o influenza, non potendo quindi essere qualificate come “atto d’ufficio”. Inoltre, ha sollevato dubbi sulla sua qualifica soggettiva di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, necessaria per la configurabilità del reato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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