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Atto di violenza: liberarsi dalla presa è reato?

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un individuo che contestava la qualificazione del suo gesto – liberarsi dalla presa di un agente – come un atto di violenza. La Corte ha confermato la decisione, ritenendo che anche un semplice divincolarsi integri un’azione violenta, condannando il ricorrente al pagamento delle spese e di una sanzione.

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Pubblicato il 23 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Atto di violenza: anche divincolarsi è reato secondo la Cassazione

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, è tornata a pronunciarsi su un tema delicato: cosa si intende esattamente per atto di violenza nel contesto della resistenza a un pubblico ufficiale? La vicenda analizzata offre uno spunto cruciale per comprendere come anche un gesto apparentemente minore, come il divincolarsi dalla presa di un agente, possa avere serie conseguenze penali. La decisione sottolinea la rigidità con cui la legge interpreta qualsiasi forma di opposizione fisica all’operato delle forze dell’ordine.

I fatti alla base del ricorso

Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato contro la sentenza della Corte d’Appello. La difesa non contestava la ricostruzione dei fatti, ovvero che l’imputato si fosse effettivamente liberato con uno strattone dalla presa di un agente di polizia. Piuttosto, il punto cruciale del ricorso verteva sulla qualificazione giuridica di tale gesto. Secondo la tesi difensiva, l’azione di divincolarsi non avrebbe dovuto essere classificata come un “atto di violenza”, ma come una reazione istintiva e non aggressiva. La questione posta alla Suprema Corte era, quindi, prettamente di diritto: un gesto di questo tipo è sufficiente a integrare la violenza richiesta dalla norma penale?

La decisione della Corte e la nozione di atto di violenza

La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. Questa decisione non entra nel merito della questione di fatto, ma si concentra sui requisiti formali e sostanziali dell’impugnazione. Gli Ermellini hanno ritenuto che i motivi addotti dal ricorrente non fossero ammissibili in sede di legittimità. Il ricorso, infatti, si risolveva in doglianze su profili di merito che erano già stati adeguatamente esaminati e respinti dalla Corte d’Appello con argomentazioni giuridiche corrette. La Cassazione ha ribadito che il suo ruolo non è quello di riesaminare i fatti, ma di assicurare la corretta applicazione della legge, e in questo caso la Corte territoriale si era attenuta a un principio di diritto pacifico e consolidato.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su un principio cardine del nostro sistema processuale: la distinzione tra giudizio di merito e giudizio di legittimità. Il ricorrente, pur cercando di mascherare la sua contestazione come una questione di qualificazione giuridica, stava in realtà chiedendo alla Cassazione una nuova valutazione del fatto, ovvero della natura del suo gesto. Questo tipo di valutazione è precluso alla Suprema Corte. La Corte ha evidenziato che i giudici d’appello avevano correttamente applicato il principio, citando un precedente specifico (Cass. Sez. 1, n. 29614/2022), secondo cui anche una spinta o un semplice divincolarsi, purché finalizzati a opporsi a un atto d’ufficio, costituiscono un atto di violenza. Di conseguenza, il ricorso è stato ritenuto privo dei requisiti per essere esaminato, portando a una dichiarazione di inammissibilità e alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria di tremila euro a favore della Cassa delle ammende.

Le conclusioni

L’ordinanza in esame rafforza un’interpretazione rigorosa del concetto di violenza nel reato di resistenza a pubblico ufficiale. La lezione pratica che se ne trae è chiara: qualsiasi forma di reazione fisica attiva, anche se non palesemente aggressiva come un pugno o un calcio, può essere legalmente qualificata come violenta se ha lo scopo di impedire o ostacolare l’azione di un pubblico ufficiale. Questa decisione serve da monito, sottolineando che la legge non tollera forme di opposizione fisica, anche minime, nei confronti delle forze dell’ordine nell’esercizio delle loro funzioni.

Liberarsi dalla presa di un agente di polizia è considerato un atto di violenza?
Sì, secondo l’ordinanza, anche l’atto di divincolarsi dalla presa di un agente può essere qualificato come ‘atto di violenza’, conformemente a un principio di diritto consolidato citato dalla Corte.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi presentati non erano consentiti in sede di legittimità. Essi consistevano in doglianze su profili di merito già correttamente valutati e decisi dal giudice precedente, anziché in censure sulla violazione della legge.

Quali sono state le conseguenze per il ricorrente a seguito della decisione della Cassazione?
Il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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