Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 8914 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 8914 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/11/2023
SRAGIONE_SOCIALENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI RAGIONE_SOCIALE nel procedimento a carico di:
NOME nato a RAGIONE_SOCIALE il DATA_NASCITA
inoltre:
RAGIONE_SOCIALE
POLICLINICO NOME RAGIONE_SOCIALE
avverso la sentenza del 05/12/2022 RAGIONE_SOCIALEa CORTE APPELLO di RAGIONE_SOCIALE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME
che ha concluso chiedendo
Il Proc. Gen. si riporta ai motivi del ricorso e conclude per l’annullamento con rinvio RAGIONE_SOCIALE‘impugnata sentenza.
udito il difensore
Il Difensore di P.C. NOME del foro di RAGIONE_SOCIALE deposita comparsa conclusionale e nota spese e si riporta al ricorso del P.G., del quale chiede
l’accoglimento.
Il Difensore NOME COGNOME del foro di RAGIONE_SOCIALE insiste per l’inammissibilità o, in subordine, per il rigetto del ricorso.
IN FATTO E IN DIRITTO
1. Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di RAGIONE_SOCIALE, in riforma RAGIONE_SOCIALEa sentenza con cui il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di falerOmo, decidendo in sede di giudizio abbreviato, all’esito RAGIONE_SOCIALE‘udienza preliminare, aveva condannato COGNOME NOME RAGIONE_SOCIALE pena ritenuta di giustizia, in relazione ai reati ex artt. 61, n. 9), 81, 640, co. 2, n. 1), c.p; 110, 81, 479, c.p., in rubrica ascrittigli, rispettivamente ai capi A) e B) RAGIONE_SOCIALE‘imputazione, oltre al risarcimento dei danni derivanti da reato in favore RAGIONE_SOCIALEe costituite parti civili, assolveva l’imputato dai suddetti reati con la formula perché il fatto non sussiste, revocando le statuizioni civili.
Secondo l’ipotesi accusatoria il COGNOME, ricercatore a tempo pieno presso il RAGIONE_SOCIALE, da un lato, in violazione RAGIONE_SOCIALEa normativa di settore, avrebbe svolto attività tipiche di libero professionista, incompatibili con il proprio rapporto di lavoro con l’RAGIONE_SOCIALE, presso la RAGIONE_SOCIALE, presso il RAGIONE_SOCIALE” e presso lo studio del padre, sito in Termini Imerese, in tal modo inducendo in errore il predetto ente pubblico sul rispetto del regime di esclusività, che fa divieto ai ricercatori universitari a tempo pieno di esercitare attività di libero professionista, e RAGIONE_SOCIALE‘esclusiva vantata dal RAGIONE_SOCIALE per l’attività prescrittiva relativa ai medicinali a base di ormone somatotropo, in modo da ottenere dall’ente pubblico la retribuzione corrispondente al profilo professionale ricoperto (capo A).
Dall’altro, in concorso con COGNOME NOME, direttrice RAGIONE_SOCIALE‘ORAGIONE_SOCIALE‘RAGIONE_SOCIALE, sempre il COGNOME avrebbe falsamente attestato che la formulazione dei piani terapeutici e RAGIONE_SOCIALEe relative prescrizioni per i medicinali a base di ormone somatotropo, conformemente RAGIONE_SOCIALE normativa regionale, fosse stata compiuta dRAGIONE_SOCIALE COGNOME, in quanto soggetto autorizzato, la quale aveva fornito il suo timbro da apporre alle prescrizioni, nonostante quest’ultima non avesse svolto in prima persona la menzionata attività, materialmente effettuata dal COGNOME, che aveva
apposto la sua firma sulle prescrizioni, in violazione RAGIONE_SOCIALEa normativa regionale, in quanto soggetto a tanto non autorizzato (capo B). Nel ribaltare la decisione di primo grado la corte territoriale si è mossa lungo due direttrici.
Con riferimento RAGIONE_SOCIALE contestazione di cui al capo A), la corte di appello, premesso che, ai sensi RAGIONE_SOCIALE‘art. 8, co. 10, I. n. 240 del 2010, disciplinante la materia, i ricercatori a tempo pieno, fatto salvo il rispetto dei loro obblighi istituzionali, possono svolgere liberamente, anche con retribuzione, attività di valutazione e referaggio, lezioni e seminari di carattere occasionale, attività di collaborazione scientifica e di consulenza, attività di comunicazione e divulgazione scientifica e culturale, nonché attività pubblicistiche ed editoriali, ha ritenuto che le attività svolte dal COGNOME presso i centri medici in precedenza indicati e lo studio del padre non possano qualificarsi propriamente in termini di libera professione.
Ciò in quanto, in ordine all’attività presso la RAGIONE_SOCIALE, essa andava qualificata come attività consulenza e di collaborazione scientifica, conformemente a quanto indicato nel contratto stipulato tra l’ente e l’imputato, mentre, con riferimento alle attività svolte presso il RAGIONE_SOCIALE” e lo studio paterno, trattandosi di collaborazioni sostanzialmente saltuarie e non costanti, esse non hanno integrato una violazione del dettato normativo di cui RAGIONE_SOCIALE richiamata I. n. 240 del 2010. Rilevante, inoltre, nella motivazione RAGIONE_SOCIALEa corte territoriale è la circostanza che a carico del COGNOME era sorto un procedimento disciplinare conclusosi in senso favorevole per quest’ultimo, in quanto i suoi rapporti con la RAGIONE_SOCIALE e il RAGIONE_SOCIALE “RAGIONE_SOCIALE” erano stati qualificati come rapporti di consulenza, per i quali non era configurabile alcuna incompatibilità con il ruolo di ricercatore a tempo pieno, né era necessaria un’autorizzazione da parte RAGIONE_SOCIALE‘ateneo.
Sulla base di tali presupposti, la corte territoriale riteneva l’insussistenza RAGIONE_SOCIALE elementi costitutivi del delitto di truffa, stante: 1) la mancanza di un comportamento “collaborativo” RAGIONE_SOCIALEa vittima, che, anzi, ha aperto uno specifico procedimento disciplinare a carico del COGNOME; 2) l’assenza di
un’offesa penalmente rilevante, non essendo state irrogate sanzioni disciplinari a carico del prevenuto; 3) la mancanza a carico di quest’ultimo di un obbligo di comunicazione nei confronti RAGIONE_SOCIALE‘Ateneo.
In ordine, invece, al reato di cui al capo B), anche in questo caso la corte territoriale parte dRAGIONE_SOCIALE conclusione in senso favorevole all’imputato del procedimento disciplinare sorto a suo carico, posto che la NOME COGNOME si era assunta in via esclusiva la paternità di tutte le prescrizioni relative ai farmaci soggetti RAGIONE_SOCIALE compilazione di piani terapeutici, negando l’attribuzione al COGNOME – che pure, per il ruolo ricoperto, era stato autorizzato dRAGIONE_SOCIALE stessa COGNOME a collaborare con lei, procedendo RAGIONE_SOCIALE prescrizione dei suddetti farmaci – RAGIONE_SOCIALEa facoltà di scelta del farmaco oggetto di prescrizione.
Secondo la corte territoriale, la firma apposta dal COGNOME non costituisce una mera apparenza RAGIONE_SOCIALEa sottoscrizione dei piani terapeutici, ma, piuttosto, la diretta conseguenza di un’autorizzazione concretamente conferitagli dRAGIONE_SOCIALE COGNOME, RAGIONE_SOCIALE quale competeva la valutazione finale, senza che il COGNOME fosse dotato di un autonomo potere decisionale nella predisposizione dei piani terapeutici.
Sicché, ad avviso del giudice di appello, tenuto conto anche di ulteriori circostanze e, in particolare, che i dati clinici riportati sul piano terapeutico corrispondevano al vero, risultando afferenti ai singoli pazienti; che era la COGNOME a sottoscrivere la relazione finale dei pazienti; che il COGNOME aveva sì ricevuto e visitato i pazienti in separata sede, nel quadro RAGIONE_SOCIALEe collaborazioni di cui al capo A), ma i piani terapeutici non erano mai stati redatti al di fuori del RAGIONE_SOCIALE; che tutti i pazienti sentiti a sommarie informazioni, erano stati inseriti con le relative relazioni al RAGIONE_SOCIALE, il reato di falso ideologico non è configurabile, in difetto di un contenuto RAGIONE_SOCIALE‘atto non corrispondente RAGIONE_SOCIALE realtà.
Avverso la sentenza RAGIONE_SOCIALEa corte territoriale, di cui chiede l’annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione il procuratore generale RAGIONE_SOCIALEa Repubblica presso la corte di appello di
RAGIONE_SOCIALE, lamentando violazione di legge e vizio di motivazione, sotto i seguenti profili.
Con particolare riferimento al reato di cui al capo A), il pubblico ministero ricorrente denuncia vizio di motivazione apparente e un vero e proprio travisamento RAGIONE_SOCIALEa prova, anche per omissione, posto che le risultanze processuali (e, in particolare, le testimonianze dei pazienti escussi; gli esiti RAGIONE_SOCIALEe indagini svolte sul campo dRAGIONE_SOCIALE polizia giudiziaria; i risultati RAGIONE_SOCIALEe disposte intercettazioni e il contenuto RAGIONE_SOCIALEa documentazione sequestrata), dimostrano come l’imputato abbia svolto una vera e propria attività professionale, sia presso lo studio paterno, che presso la clinica “RAGIONE_SOCIALE‘RAGIONE_SOCIALE“, in maniera continuativa e sistematica, come del resto evidenziato dal giudice di primo grado, con la cui motivazione il giudice di appello non si è confrontato.
Senza tacere, inoltre, che il giudice di appello ha immotivatamente ritenuto di non aderire al consolidato orientamento giurisprudenziale, che attribuisce rilevanza penale al “silenzio maliziosamente serbato”, pacificamente idoneo a integrare gli artifizi e i raggiri richiesti dall’art. 640, c.p.
Con riferimento al delitto di falso ideologico, di cui al capo B), il pubblico ministero ricorrente rileva, da un lato, che la NOME COGNOME non aveva alcun potere di autorizzare il COGNOME ad apporre una firma per suo conto sui piani terapeutici, apparendo, sotto questo profilo, le dichiarazioni RAGIONE_SOCIALEa COGNOME non una smentita, ma, piuttosto, un’evidente conferma RAGIONE_SOCIALE‘impianto accusatorio; dall’altro, che i segni grafici apposti al timbro stampato e al codice identificativo NUMERO_DOCUMENTO RAGIONE_SOCIALEa NOME COGNOME, affatto intelligibili, erano idonei a ingenerare nella fede pubblica un equivoco in merito RAGIONE_SOCIALE paternità RAGIONE_SOCIALEa sigla apposta dal COGNOME, integrando la fattispecie di cui all’art. 479, c.p., come del resto ritenuto dRAGIONE_SOCIALE Corte di Cassazione, in un caso analogo (cfr. Sez. 5, n. 48803 del 9.10.2013).
3. Con memoria del 6.9.2023 il difensore di fiducia RAGIONE_SOCIALE‘imputato chiede che il ricorso sia dichiarato inammissibile, perché fondato su motivi aspecifici e versati in fatto, senza tacere che il pubblico ministero
ricorrente avrebbe violato il principio RAGIONE_SOCIALE‘obbligo di motivazione rafforzata, con riferimento RAGIONE_SOCIALE motivazione assolutoria RAGIONE_SOCIALEa corte di appello.
Il ricorso appare fondato e va, pertanto, accolto per le seguenti ragioni.
In via preliminare vanno richiamati, sia pure sinteticamente, i principi da tempo affermati dRAGIONE_SOCIALE giurisprudenza di legittimità, costituenti l’orientamento interpretativo ormai dominante, in ordine all’onere motivazionale che incombe sul giudice di secondo grado quando, come nel caso in esame, riforma in senso assolutorio una sentenza di condanna resa nel primo grado di giudizio.
Come affermato, infatti, dRAGIONE_SOCIALE Suprema Corte nella sua espressione più autorevole, il giudice d’appello che riformi in senso assolutorio la sentenza di condanna di primo grado non ha l’obbligo di rinnovare l’istruzione dibattimentale mediante l’esame dei soggetti che hanno reso dichiarazioni ritenute decisive, ma deve offrire una motivazione puntuale e adeguata, che fornisca una razionale giustificazione RAGIONE_SOCIALEa difforme conclusione adottata, anche riassumendo, se necessario, la prova dichiarativa decisiva (cfr. Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, Rv. 272430).
Partendo da tale assunto si è ribadito in successivi arresti che il giudice d’appello, in caso di riforma, in senso assolutorio RAGIONE_SOCIALEa sentenza di condanna di primo grado, sulla base di una diversa valutazione del medesimo compendio probatorio, pur non essendo obbligato RAGIONE_SOCIALE rinnovazione RAGIONE_SOCIALE‘istruttoria dibattimentale, è tenuto a strutturare la motivazione RAGIONE_SOCIALEa propria decisione in maniera rafforzata, dando puntuale ragione RAGIONE_SOCIALEe difformi conclusioni assunte, indicando in maniera approfondita e diffusa gli argomenti, specie se di carattere tecnicoscientifico, idonei a confutare le valutazioni del giudice di primo grado (cfr. Sez. 4, n. 24439 del 16/06/2021, Rv. 281404; Sez. 4, n. 2474 del 15/10/2021, Rv. 282612).
Tanto premesso non è revocabile in dubbio, per le ragioni che verranno illustrate in seguito, che nel caso in esame il giudice di appello sia
venuto meno a tale onere di motivazione rafforzata, in quanto la motivazione su cui ha fondato la decisione assolutoria non può dirsi tale da rappresentare in maniera approfondita e diffusa gli argomenti idonei a confutare le valutazioni del giudice di primo grado, presentandosi, piuttosto caratterizzata da carenze e lacune del percorso argomentativo seguito, denunciate dal pubblico ministero, il cui ricorso sul punto, pertanto, lungi dall’essere fondato su motivi versati in fatto e generici, come pretenderebbe il difensore RAGIONE_SOCIALE‘imputato, ha ben evidenziato i limiti strutturali RAGIONE_SOCIALEa suddetta motivazione.
5.1. Iniziando a esaminare le ragioni che hanno condotto all’assoluzione del COGNOME dal reato di cui agli artt. 61, n. 9), 81, 640, co. 2, n. 1), c.p., va COGNOME innanzitutto COGNOME rilevato COGNOME il COGNOME carattere COGNOME meramente COGNOME apodittico RAGIONE_SOCIALE‘affermazione del giudice di appello, secondo cui “essendo la truffa un reato a forma vincolata, la stessa implica un diretto inganno da parte del soggetto di natura attiva comunque escluso nel caso di specie”.
Da tale laconico passaggio motivazionale sembra di dedurre che, ad avviso RAGIONE_SOCIALEa corte territoriale, il silenzio serbato dal COGNOME sull’attività professionale svolta in violazione RAGIONE_SOCIALE‘obbligo di esclusiva che lo legava all’ente pubblico, non possa ritenersi condotta idonea a integrare il requisito RAGIONE_SOCIALE artifizi e raggiri richiesto dall’art. 640, c.p.
Si tratta, tuttavia, di un assunto, non solo del tutto immotivato, ma anche, ad avviso del Collegio, infondato.
Al riguardo non sembra inutile ribadire, sia pure sinteticamente, alcuni principi affermati dall’evoluzione RAGIONE_SOCIALEa giurisprudenza di legittimità in tema di truffa in danno di un ente pubblico, con particolare riferimento al caso in cui il rapporto tra il soggetto attivo e il soggetto passivo del reato siano disciplinati sulla base di uno schema di tipo contrattuale, in cui vengono definiti i termini di tale rapporto, come nel caso del RAGIONE_SOCIALE e del RAGIONE_SOCIALE.
Se la dottrina oscilla sulla rilevanza da attribuire al silenzio, da alcuni ritenuto idoneo a integrare gli artifizi e i raggiri ogniqualvolta sia accertata la violazione di un obbligo giuridico o del dovere di comportarsi secondo buona fede; da altri solo nel caso in cui, per le modalità con cui
viene posta in essere l’intera condotta del soggetto attivo del reato, assuma la forma di un “comportamento concludente”; da altri ancora, considerato privo di rilevanza penale, presentandosi la truffa come un reato a condotta “positiva” e vincolata, l’orientamento consolidato nella giurisprudenza di legittimità è ormai attestato nel senso che il reato di truffa contrattuale possa essere realizzato anche attraverso una condotta omissiva, attribuendo all’espressione artifizi o raggiri un significato ampio, comprensivo anche del silenzio “maliziosamente serbato” su circostanze rilevanti sotto il profilo sinRAGIONE_SOCIALEgmatico da parte di chi aveva il dovere giuridico di far conoscere la circostanza occultata ovvero attraverso il ricorso al meccanismo di equiparazione tra cagionare o non impedire un evento previsto dall’art. 40, c.p.
Si è, infatti, affermato che gli artifizi o i raggiri richiesti per la sussistenza del reato di truffa contrattuale possono consistere anche nel silenzio maliziosamente serbato su alcune circostanze da parte di chi abbia il dovere, anche in forza di una norma extra penale, di farle conoscere, indipendentemente dal fatto che dette circostanze siano conoscibili dRAGIONE_SOCIALE controparte con ordinaria diligenza, in quanto il comportamento RAGIONE_SOCIALE‘agente in tal caso non può ritenersi meramente passivo, ma artificiosamente preordinato a perpetrare l’inganno e a non consentire RAGIONE_SOCIALE persona offesa di autodeterminarsi liberamente (cfr. Sez. 2, n. 41717 del 14/10/2009, Rv. 244952; Sez. 2, n. 23079 del 09/05/2018, Rv. 272981).
La Suprema Corte ha, inoltre, sottolineato come il reato in esame sia configurabile, non soltanto nella fase di conclusione del contratto, ma anche in quella RAGIONE_SOCIALEa esecuzione allorquando una RAGIONE_SOCIALEe parti, nel contesto di un rapporto lecito, tacendo, induca in errore l’altra parte con artifizi e raggiri, conseguendo un ingiusto profitto con altrui danno (cfr. Sez. 6, n. 5579 del 03/04/1998, Rv. 210613; Sez. 2, n. 41073 del 05/10/2004, Rv. 230689).
Orbene, proprio in applicazione dei principi ora richiamati, la giurisprudenza di legittimità ha ricondotto nell’alveo RAGIONE_SOCIALEa truffa contrattuale in danno di un ente pubblico, posta in essere attraverso il
silenzio maliziosamente serbato su circostanze rilevanti ai fini RAGIONE_SOCIALEa valutazione RAGIONE_SOCIALEe reciproche prestazioni da parte di colui che abbia il dovere di farle conoscere, la condotta del dirigente medico, il quale ometteva di comunicare all’ente di svolgere sistematicamente attività professionale presso il suo studio RAGIONE_SOCIALE, in tal modo inducendo l’ente stesso a corrispondergli lo stipendio maggiorato RAGIONE_SOCIALE‘indennità di esclusiva (cfr. Sez. 6, n. 13411 del 05/03/2019, Rv. 275463); lo svolgimento da parte di un medico di attività professionale privata senza informare e senza farsi autorizzare dall’ente di appartenenza, in violazione RAGIONE_SOCIALEa normativa in tema di c.d. “intra moenia”, in cui la condotta ingannatoria riveste carattere meramente omissivo, e si ripete in occasione di ogni percezione RAGIONE_SOCIALEo stipendio ovvero di illecito utilizzo di personale o di risorse RAGIONE_SOCIALE‘ente (cfr. Sez. 2 n. 47247 del 06/10/2015, Rv. 265364); la condotta di un medico ospedaliero autorizzato all’espletamento di attività sanitaria in regime “intra moenia”, svolta senza aver comunicato all’ente pubblico lo svolgimento di attività professionale presso il proprio studio RAGIONE_SOCIALE, sì da indurre l’ente stesso a corrispondergli lo stipendio maggiorato RAGIONE_SOCIALE‘indennità di esclusiva, sul presupposto che il rapporto si fosse svolto regolarmente, nel rispetto RAGIONE_SOCIALEe norme contrattuali (cfr. Sez. 2, n. 46209 del 03/10/2023, Rv. 285442).
Tale ultimo arresto si segnala perché in esso si è sottolineato, in adesione a uno RAGIONE_SOCIALE orientamenti RAGIONE_SOCIALEa dottrina in precedenza citati, come, in tema di truffa contrattuale, il silenzio possa essere sussunto nella nozione di raggiro quando non si risolve in un semplice silenzioinerzia, ma si sostanzia, in rapporto alle concrete circostanze del caso, in un “silenzio espressivo”, concretizzandosi in un comportamento concludente idoneo ad ingannare la persona offesa.
Infine va sottolineato che, secondo altro condivisibile orientamento, si configura la truffa cd. “a consumazione prolungata”, e non una pluralità di reati, nella condotta del sanitario dipendente di una struttura ospedaliera pubblica che, omettendo di comunicare l’esercizio di attività professionale “extra moenia”, si garantisca la percezione periodica
RAGIONE_SOCIALE‘indennità collegata all’esclusività del rapporto con l’amministrazione di appartenenza, in quanto la percezione dei singoli emolumenti è riconducibile ad un originario ed unico comportamento fraudolento, consistente nell’omissione RAGIONE_SOCIALEa richiesta di passaggio al rapporto non esclusivo, prevista dRAGIONE_SOCIALE normativa di settore, che determinerebbe la cessazione RAGIONE_SOCIALEa situazione di illegittimità e l’interruzione RAGIONE_SOCIALEe indebite riscossioni (cfr. Sez. 2, n. 4150 del 07/11/2018, Rv. 275521; Sez. 2 n. 47247 del 06/10/2015, Rv. 265364).
Come ben si comprende, RAGIONE_SOCIALE luce RAGIONE_SOCIALE‘approdo interpretativo cui è giunta la giurisprudenza RAGIONE_SOCIALEa Corte di Cassazione, assume valore decisivo verificare se la corte territoriale abbia approfondito con il necessario rigore il tema RAGIONE_SOCIALEa natura RAGIONE_SOCIALEe attività svolte dal COGNOME al di fuori del rapporto di lavoro che lo legava, in qualità di ricercatore a tempo pieno e determinato, al RAGIONE_SOCIALE.
Al riguardo occorre fare necessariamente riferimento RAGIONE_SOCIALE normativa di settore.
L’attività libero-professionale dei professori e dei ricercatori universitari a tempo pieno è disciplinata dai commi 9 e 10 RAGIONE_SOCIALE‘art. 6 RAGIONE_SOCIALEa legge 30 dicembre 2010 n. 240, che recitano:
“9. La posizione di professore e ricercatore è incompatibile con l’esercizio del commercio e RAGIONE_SOCIALE‘industria… L’esercizio di attività libero-professionale è incompatibile con il regime di tempo pieno.
10. I professori e i ricercatori a tempo pieno, fatto salvo il rispetto dei loro obblighi istituzionali, possono svolgere liberamente, anche con retribuzione, attività di valutazione e di referaggio, lezioni e seminari di carattere occasionale, attività di collaborazione scientifica e di consulenza, attività di comunicazione e divulgazione scientifica e culturale, nonché attività pubblicistiche ed editoriali. I professori e i ricercatori a tempo pieno possono altresì’ svolgere, previa autorizzazione del rettore, funzioni didattiche e di ricerca, nonché compiti istituzionali e gestionali senza vincolo di subordinazione presso enti pubblici e privati senza scopo di lucro, purché non si determinino situazioni di conflitto di
interesse con l’RAGIONE_SOCIALE di appartenenza, a condizione comunque che l’attività non rappresenti detrimento RAGIONE_SOCIALEe attività didattiche, scientifiche e gestionali loro affidate dall’RAGIONE_SOCIALE di appartenenza”.
Su tale disciplina è successivamente intervenuto l’art. 9, commi 2-bis e 2-ter, del decreto legge 22 aprile 2023, n. 44, convertito con modificazioni dRAGIONE_SOCIALE legge 21 giugno 2023, n. 74, con decorrenza dal 22.6.2023, che ha inserito nuove disposizioni nel precedente testo normativo.
In particolare, il menzionato art. 9, commi 2-bis e 2-ter, prevede testualmente “2-bis. All’articolo 6 RAGIONE_SOCIALEa legge 30 dicembre 2010, n. 240, dopo il comma 10 è aggiunto il seguente: “10-bis. I professori e i ricercatori a tempo pieno possono altresì assumere, previa autorizzazione del rettore, incarichi senza vincolo di subordinazione presso enti pubblici o privati anche a scopo di lucro, purché siano svolti in regime di indipendenza, non comportino l’assunzione di poteri esecutivi individuali, non determinino situazioni di conflitto di interesse con l’RAGIONE_SOCIALE di appartenenza e comunque non comportino detrimento per le attività didattiche, scientifiche e gestionali loro affidate dall’RAGIONE_SOCIALE‘ di appartenenza”.
2-ter. Il primo periodo del comma 10 RAGIONE_SOCIALE‘articolo 6 RAGIONE_SOCIALEa legge 30 dicembre 2010, n. 240, con specifico riferimento alle attività di consulenza, si interpreta nel senso che ai professori e ai ricercatori a tempo pieno è consentito lo svolgimento di attività’ extra-istituzionali realizzate in favore di privati o enti pubblici ovvero per motivi di giustizia, purché prestate senza vincolo di subordinazione e in mancanza di un’organizzazione di mezzi e di persone preordinata al loro svolgimento, fermo restando quanto previsto dall’articolo 23-ter del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dRAGIONE_SOCIALE legge 22 dicembre 2011, n.214.”.
La lettura RAGIONE_SOCIALEe menzionate disposizioni consente di affermare che per il ricercatore a tempo pieno è sempre vietato lo svolgimento di attività imprenditoriale e l’attività libero professionale, mentre è consentita, tra le altre, l’attività di consulenza, nel rispetto RAGIONE_SOCIALEe condizioni e dei limiti
previsti dall’art. 6, co. 10, I. 30 dicembre 2010 n. 240, come integrato e interpretato dall’art. 9, commi 2-bis e 2-ter, d.l. 22 aprile 2023, n. 44, convertito con modificazioni dRAGIONE_SOCIALE legge 21 giugno 2023, n. 74.
Giova osservare che in una recente decisione, su cui si tornerà nel prosieguo RAGIONE_SOCIALEa presente trattazione, la Corte dei Conti, in sede di interpretazione del citato art. 6, I. 30 dicembre 2010 n. 240, ha chiarito la differenza tra attività di consulenza e attività libero-professionale nei seguenti termini.
Premesso che l’accertamento RAGIONE_SOCIALEa natura RAGIONE_SOCIALE incarichi svolti da professori universitari a tempo pieno, al fine di valutare se siano o meno consulenze consentite ai sensi RAGIONE_SOCIALEa legge “Gelmini”, può essere svolto a livello globale unicamente a seguito di una valutazione RAGIONE_SOCIALE‘omogeneità RAGIONE_SOCIALE incarichi medesimi, i giudici contabili hanno affermato che, qualora tale accertamento preliminare non sia stato effettuato, il giudice dovrà procedere ad una disamina analitica di tutti gli incarichi al fine di accertare, caso per caso, l’appartenenza RAGIONE_SOCIALE stessi al concetto di “consulenza” liberalizzata dal legislatore; tale attività è ammissibile purché abbia un carattere scientifico, il cui contenuto, cioè, consiste in una prestazione di opera intellettuale resa da un esperto nel proprio campo disciplinare, in modo non organizzato, non implicante lo svolgimento di attività tipicamente riconducibile alle figure professionali di riferimento, non comprensiva di prestazioni a carattere strumentale o esecutivo e che si chiuda con una relazione, un parere, uno studio; le consulenze, comunque, devono essere svolte in modo occasionale, non abituale, né continuativo e non possono mai coincidere con lo svolgimento di attività libero professionale per conto di privati o di enti pubblici (cfr. Sez. GA2, sentenza n. 172 del 22/06/2023 PD H02987).
Orbene è proprio RAGIONE_SOCIALE luce del complesso dei principi giurisprudenziali e RAGIONE_SOCIALEe disposizioni normative in precedenza richiamati che vanno valutati i diversi percorsi motivazionali seguiti dai giudici di merito.
Il giudice di primo grado ha ritenuto che vi fosse una “commistione illecita tra attività pubblica e attività privata”, con riferimento a quanto evidenziato dalle risultanze processuali in ordine alle attività svolte dal
COGNOME, COGNOME sia COGNOME presso COGNOME l’ambulatorio specialistico COGNOME attivato COGNOME presso COGNOME il “RAGIONE_SOCIALE” di RAGIONE_SOCIALE, sia presso lo studio professionale “RAGIONE_SOCIALE“, sito in Termini Imerese, RAGIONE_SOCIALE INDIRIZZO, formalmente intestato al padre del prevenuto. Quanto RAGIONE_SOCIALE prima struttura sanitaria, il giudice per le indagini preliminari ha sottolineato come, sulla base del contenuto RAGIONE_SOCIALEa documentazione acquisita, anche di natura fiscale, e RAGIONE_SOCIALEe informazioni assunte da diversi pazienti, nonché dal direttore sanitario del RAGIONE_SOCIALE, AVV_NOTAIO NOME COGNOME, è stato acclarato che il COGNOME dal maggio/giugno del 2009, data RAGIONE_SOCIALE‘inizio del suo rapporto con l’indicata struttura sanitaria, sino al 21 dicembre del 2015, quando decise di interromperlo, “di norma espletava la sua funzione di medico endocrinologo una volta a settimana compatibilmente con i suoi orari di servizio al RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, normalmente nei giorni di martedì o sabato mattina, effettuando 10/20 visite per volta” e utilizzando per la redazione dei referti, a margine dei quali apponeva il suo timbro e la sua firma, carta intestata all’ambulatorio polispecialistico “RAGIONE_SOCIALE”
Ad ulteriore conferma RAGIONE_SOCIALE‘esistenza del menzionato rapporto e RAGIONE_SOCIALEe concrete modalità del suo svolgersi, il giudice di primo grado utilizzava un altro dato oggettivo: “le numerosissime annotazioni riportate nelle agendine” di proprietà RAGIONE_SOCIALE‘imputato, cadute in sequestro, riportanti “con cadenza pressoché settimanale e nei vari anni, la dicitura “S. RAGIONE_SOCIALE“, con a fianco l’indicazione di somme di denaro incassate come corrispettivo RAGIONE_SOCIALEe visite effettuate” (cfr. pp.10-11 RAGIONE_SOCIALEa sentenza di primo grado).
In relazione al laboratorio di RAGIONE_SOCIALE di Termini Imerese, anche in questo caso il giudice per le indagini preliminari, sulla base RAGIONE_SOCIALEe dichiarazioni rese dai pazienti sentiti a sommarie informazioni testimoniai; RAGIONE_SOCIALEe annotazioni riportate sulle agendine sequestrate all’imputato; del contenuto RAGIONE_SOCIALEe conversazioni telefoniche “intercettate sull’utenza fissa in uso al laboratorio RAGIONE_SOCIALE di Termini Imerese”, contattata dai pazienti, che “chiedevano all’interlocutore RAGIONE_SOCIALEa struttura quando COGNOME NOME “sarebbe tornato a fare studio”; del contenuto di numerosi
files sequestrati all’imputato, “riguardanti COGNOME referti COGNOME medici aventi intestazione “AVV_NOTAIO, con l’indicazione RAGIONE_SOCIALEe sedi presso le quali effettuava visite private”, tra le quali vi era, per l’appunto, il laboratorio di Termini Imerese, era giunto RAGIONE_SOCIALE conclusione che presso tale sede il COGNOME svolgesse attività specialistica libero-professionale, convincimento ulteriormente motivato dRAGIONE_SOCIALE circostanza che, come evidenziato dal giudice di merito, in occasione di uno specifico sopralluogo effettuato da personale del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE in Termini Imerese, RAGIONE_SOCIALE INDIRIZZO, “è stata constatata la presenza di una targa affissa nel prospetto RAGIONE_SOCIALEo stabile riportante la seguente dicitura: AVV_NOTAIO NOME COGNOME – medico chirurgo – specialista in endocrinologia e malattie del ricambio – riceve per appuntamento – NUMERO_TELEFONO” (cfr. pp. 11-13 RAGIONE_SOCIALEa sentenza di primo grado).
Alla luce di tali elementi, il giudice per le indagini preliminari, accertato che il COGNOME rivestiva la qualifica di ricercatore a tempo determinato e a tempo pieno presso l’indicata struttura pubblica a far data dal primo dicembre del 2013, con scadenza al 30 novembre 2016, e che mai aveva chiesto nel periodo di vigenza del contratto autorizzazione alcuna allo svolgimento di attività esterna, aveva concluso per l’affermazione di responsabilità RAGIONE_SOCIALE‘imputato, rilevando che “la conseguenza RAGIONE_SOCIALEa omessa comunicazione RAGIONE_SOCIALE‘attività di libero professionista variamente svolta dal COGNOME è stata l’induzione in errore RAGIONE_SOCIALE‘amministrazione RAGIONE_SOCIALE‘RAGIONE_SOCIALE, che, a sua volta, ha prodotto un danno ingiusto per l’ente pubblico universitario COGNOME parametrato COGNOME agli COGNOME emolumenti COGNOME stipendiali, COGNOME che l’amministrazione ha corrisposto al COGNOME in misura superiore rispetto a quelli spettanti qualora costui fosse stato inquadrato come ricercatore a tempo parziale” (cfr. pp. 13-15 RAGIONE_SOCIALEa sentenza di primo grado).
Rispetto a tale articolata motivazione, il percorso seguito dRAGIONE_SOCIALE corte territoriale per disattenderla si dimostra incompleto.
Innanzitutto va rilevato come la corte di appello abbia escluso che le attività svolte dal COGNOME presso le strutture sanitarie in precedenza indicate potessero essere qualificate in termini di libera professione,
ritenendo che esse fossero consentite in ragione del loro carattere saltuario, che permette di ricondurle RAGIONE_SOCIALE nozione di semplici consulenze. Tale assunto, con riferimento all’impegno profuso presso il laboratorio di RAGIONE_SOCIALE di Termini Imerese, è, tuttavia, il precipitato di un’affermazione meramente apodittica, fondata esclusivamente sul richiamo alle “testimonianze dei pazienti escussi COGNOME COGNOME COGNOME“, che la corte territoriale operava, senza soffermarsi specificamente sul contenuto di tali “testimonianze” e, soprattutto, omettendo di confrontarsi con gli altri elementi di fatto, in precedenza richiamati, posti a fondamento RAGIONE_SOCIALEa sentenza di condanna.
Lo stesso dicasi in relazione all’attività svolta presso il RAGIONE_SOCIALE “RAGIONE_SOCIALE‘RAGIONE_SOCIALE“, che la stessa corte territoriale riconosce essere stata qualificata dal contratto stipulato con il COGNOME come di libera-professione, desumendo, tuttavia, la discontinuità del rapporto lavorativo esclusivamente dRAGIONE_SOCIALE circostanza che le ricevute fiscali sequestrate presso l’ambulatorio del RAGIONE_SOCIALE relative agli anni 2014 e 2015, dimostrerebbero che l’imputato vi avrebbe svolto cinquantadue visite in due anni, senza confrontarsi in maniera specifica con gli altri elementi di fatto, in precedenza indicati, su cui si è fondata la decisione del giudice di primo grado, a partire da quanto dichiarato dal AVV_NOTAIO COGNOME. Ma vi è di più.
Alla luce RAGIONE_SOCIALEa disciplina vigente nel periodo in cui il COGNOME era legato all’RAGIONE_SOCIALE da un rapporto di lavoro a tempo pieno, l’attività di consulenza non poteva ritenersi del tutto libera, ma poteva svolgersi solo nel rispetto RAGIONE_SOCIALEe condizioni e dei limiti previsti dall’art. 6, co. 10, I. 30 dicembre 2010 n. 240, come interpretato dall’art. 9, comma 2-ter, d.l. 22 aprile 2023, n. 44, convertito con modificazioni dRAGIONE_SOCIALE legge 21 giugno 2023, n. 74, norma quest’ultima che, in quanto di natura strettamente interpretativa, ha efficacia retroattiva.
Le attività di consulenza da parte del COGNOME, in altri termini, per potersi considerare consentite, avrebbero dovute essere prestate senza vincolo di subordinazione e in mancanza di un’organizzazione di mezzi e di persone preordinata al loro svolgimento ovvero, come chiarito dRAGIONE_SOCIALE
Corte dei Conti in relazione a una fattispecie che ricadeva sotto l’originaria disciplina RAGIONE_SOCIALEa “legge Gelmini”, solo ove avessero avuto, come si è già detto, un carattere puramente scientifico, consistendo in una prestazione di opera intellettuale resa da un esperto nel proprio campo disciplinare, in modo non organizzato, non implicante lo svolgimento di attività tipicamente riconducibile alle figure professionali di riferimento, non comprensiva di prestazioni a carattere strumentale o esecutivo e che si chiuda con una relazione, un parere, uno studio.
Solo ove caratterizzate da tale contenuto le consulenze potevano essere consentite, sempre che si svolgessero in modo occasionale, non abituale, né continuativo, e non coincidessero con lo svolgimento di attività liberoprofessionale per conto di privati o di enti pubblici.
Tali profili risultano del tutto negletti dRAGIONE_SOCIALE corte territoriale, la cui motivazione, peraltro, risulta generica anche nella parte in cui giustifica la pronuncia assolutoria RAGIONE_SOCIALE luce del richiamato esito positivo del procedimento disciplinare avviato dall’RAGIONE_SOCIALE nei confronti del COGNOME il 26.4.2016, che si sarebbe concluso, non è dato sapere sulla base di quali argomentazioni, nel senso di ritenere attività di consulenza il rapporto di collaborazione instaurato dall’imputato con il RAGIONE_SOCIALE “RAGIONE_SOCIALE‘RAGIONE_SOCIALE“.
Senza tacere che anche tale considerazione non assume valore decisivo ai fini RAGIONE_SOCIALEa pronuncia assolutoria, stante la completa autonomia del procedimento penale da quello disciplinare, sancita dall’art. 653, c.p.p., secondo cui il giudicato penale, di assoluzione o di condanna, ha efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare quanto all’accertamento del fatto, RAGIONE_SOCIALEa sua illiceità penale e RAGIONE_SOCIALEa responsabilità RAGIONE_SOCIALE‘imputato.
Occorre, dunque, procedere, RAGIONE_SOCIALE luce RAGIONE_SOCIALEe svolte riflessioni, a una nuova valutazione RAGIONE_SOCIALEa natura RAGIONE_SOCIALEe attività professionali svolte dal COGNOME al di fuori del rapporto di lavoro che lo legava al RAGIONE_SOCIALE, con l’unica eccezione di quelle svolte presso la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, non avendo formato oggetto di contestazione da parte del pubblico ministero ricorrente.
6. Passando a esaminare le ragioni che hanno condotto all’assoluzione del COGNOME dal reato di cui agli artt. 110, 81, 479, c.p., due appaiono gli aspetti critici non adeguatamente valutati dRAGIONE_SOCIALE corte territoriale, come ben messo in luce dal pubblico ministero, meritevoli, pertanto, di approfondimento.
Nella sentenza di primo grado si era evidenziato che “in base ai decreti assessoriali 317/11, 804/11 e D.A. del 18.12.2014 RAGIONE_SOCIALE‘RAGIONE_SOCIALE Salute, l’unica struttura individuata sul territorio RAGIONE_SOCIALEa Regione Siciliana è l’U.O.C. del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE” di RAGIONE_SOCIALE, presso cui prestano servizio la Prof. NOME COGNOME e la AVV_NOTAIOssa NOME COGNOME, unici sanitari autorizzati, ai sensi del citato D.A. del 18.12.2014, RAGIONE_SOCIALE prescrizione RAGIONE_SOCIALE‘ormone somatotropo” (cfr. p. 5 RAGIONE_SOCIALEa sentenza del giudice per le indagini preliminari)
Ne consegue, evidenziava il giudice di primo grado, che il COGNOME non aveva il potere di prescrivere autonomamente farmaci a base di somatotropina, “in quanto attività demandata esclusivamente RAGIONE_SOCIALE prof. COGNOME e RAGIONE_SOCIALE AVV_NOTAIOssa COGNOME“, non delegabile a terzi.
Tale profilo non è stato adeguatamente considerato dRAGIONE_SOCIALE corte territoriale, nonostante il giudice di secondo grado, tra le ragioni poste a fondamento RAGIONE_SOCIALEa sua decisione, abbia ricompreso proprio l’autorizzazione fornita dRAGIONE_SOCIALE COGNOME al COGNOME a coadiuvarla nella predisposizione RAGIONE_SOCIALEe prescrizioni dei farmaci soggetti RAGIONE_SOCIALE compilazione di piani terapeutici, contenuta nella nota n. prot. 802/12, peraltro, come ha rilevato il giudice di primo grado, mai comunicata dRAGIONE_SOCIALE COGNOME al “Dipartimento farmaceutico RAGIONE_SOCIALEa RAGIONE_SOCIALE, né al Direttore Sanitario RAGIONE_SOCIALEa RAGIONE_SOCIALE“, e ribadita nelle dichiarazioni rese da quest’ultima.
Non si tratta, giova evidenziare, di un profilo di poco momento, poiché, ove anche si volesse ipotizzare che l’autorizzazione concessa al COGNOME rispondesse a una prassi diffusa presso il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, in ogni caso la legittimità di una prassi del genere avrebbe dovuto essere verificata RAGIONE_SOCIALE luce del principio affermato in un condivisibile arresto di questa Corte, secondo cui il pubblico dipendente, o comunque la persona
addetta ad un pubblico servizio, ha l’obbligo di astenersi dal porre in essere comportamenti dubbi ed acquisire dai competenti organi amministrativi le necessarie informazioni ed assicurazioni circa la legittimità RAGIONE_SOCIALE‘attività svolta, quando una prassi diffusa si sia inserita in un contesto giuridico amministrativo, se non contrario, incerto in ordine RAGIONE_SOCIALE possibilità di realizzare l’attività contestata (cfr. Sez. 3, n. 33039 del 04/11/2015, Rv. 268120).
Soprattutto il giudice di secondo grado ha completamente omesso di confrontarsi con il percorso motivazionale seguito dal giudice di primo grado, che, attraverso una puntuale disamina dei 204 piani terapeutici acquisiti, ha rilevato come “sia l’indicazione di “timbro e firma” e del codice EMPAN RAGIONE_SOCIALEa Prof.ssa NOME COGNOME, che l’apposizione da parte del COGNOME di una sigla illeggibile sopra il sottostante timbro del RAGIONE_SOCIALE recante (ancora una volta) il nominativo RAGIONE_SOCIALEa Prof.ssa NOME COGNOME, sono elementi che univocamente certificano erga omnes la sottoscrizione dei piani terapeutici da parte RAGIONE_SOCIALEa dottNOME COGNOME“.
Inoltre, osservava il giudice di primo grado, “ad ulteriore conferma RAGIONE_SOCIALEa consapevolezza da parte dei protagonisti RAGIONE_SOCIALEa vicenda RAGIONE_SOCIALEa assenza di qualsivoglia legittimazione RAGIONE_SOCIALE sottoscrizione da parte del COGNOME sta (secondo l’interpretazione data dal COGNOME: “per conto di”) la lettera “P”, anch’essa apposto in modo evanescente, in un continuum di segni grafici che riconduce solo ed esclusivamente ad una realtà fattuale: la personale sottoscrizione di quei piani terapeutici da parte RAGIONE_SOCIALEa Prof.ssa NOME COGNOME” (cfr. p.16 RAGIONE_SOCIALEa sentenza di primo grado).
Nell’apparente (dunque falsa) riconducibilità dei piani terapeutici RAGIONE_SOCIALE NOME, mentre essi erano stati predisposti e sottoscritti dall’imputato, il giudice per le indagini preliminari ha ravvisato l’integrazione RAGIONE_SOCIALE elementi costitutivi del delitto dii falso ideologico in atto pubblico, trovando, peraltro, tale assunto conforto nella giurisprudenza di legittimità.
Come affermato, infatti, da un condivisibile arresto di questa Corte, citato dal giudice di primo grado e dal pubblico ministero ricorrente,
integra il reato di falso ideologico la condotta di due medici, uno dei quali, libero professionista, sostituisca l’altro, medico convenzionato con la RAGIONE_SOCIALE, in visite non comunicate all’RAGIONE_SOCIALE, apponendo una sigla illeggibile su ricette e prescrizioni redatte con i ricettari e con l’uso di timbri fornitigli dal medico convenzionato, in modo tale da ingenerare la falsa rappresentazione RAGIONE_SOCIALEa riconducibilità a quest’ultimo RAGIONE_SOCIALEe visite e RAGIONE_SOCIALEe conseguenti prescrizioni. Né, in tal caso, è prospettabile l’innocuità del falso, considerata la funzione attestatrice RAGIONE_SOCIALE atti, la quale comprende anche i necessari presupposti di fatto RAGIONE_SOCIALEa realtà documentata, in virtù RAGIONE_SOCIALEa quale rileva – nel giudizio sulla concreta offensività RAGIONE_SOCIALEa condotta nei confronti del bene RAGIONE_SOCIALEa fede pubblica l’indicazione RAGIONE_SOCIALE‘identità fisica del medico responsabile RAGIONE_SOCIALEe prescrizioni, avuto anche riguardo ad eventuali contestazioni in ordine all’operato del sanitario (cfr. Sez. 5, n. 48803 del 09/10/2013, Rv. 257552).
Si tratta di una decisione assolutamente in linea con la natura pubblica RAGIONE_SOCIALE atti (come, ad esempio, la cartella clinica) redatti dai medici di una struttura sanitaria pubblica, che fanno fede RAGIONE_SOCIALEa loro provenienza dal pubblico ufficiale che li ha redatti (cfr. Sez. 5, n. 31858 del 16/04/2009, Rv. 244907), provenienza che, nel caso in esame, aveva un valore decisivo per la tutela RAGIONE_SOCIALEa fede pubblica, in quanto l’utenza doveva essere messa nella condizione di non avere dubbi sulla provenienza RAGIONE_SOCIALEe prescrizioni mediche dagli unici soggetti dotati del potere di adottarle, tra cui, all’epoca dei fatti, era ricompresa la NOME COGNOME, ma non il AVV_NOTAIO COGNOME.
Non può, infine, non rilevarsi come anche in questo caso del tutto generico risulti il riferimento operato dRAGIONE_SOCIALE corte territoriale all’esito favorevole per la COGNOME ,con cui si era concluso il procedimento disciplinare sorto a suo carico, nel corso del quale, sembra di comprendere, quest’ultima avrebbe escluso di avere attribuito al COGNOME il compito di scegliere il farmaco oggetto RAGIONE_SOCIALEe prescrizioni, fermo restando quanto già osservato nelle pagine precedenti sull’autonomia del procedimento penale, rispetto a procedimento disciplinare.
Sulla base RAGIONE_SOCIALEe svolte osservazioni la sentenza impugnata va pertanto annullata con rinvio ad altra sezione RAGIONE_SOCIALEa corte di appello di RAGIONE_SOCIALE, che provvederà, attraverso un nuovo giudizio, a colmare le evidenziate lacune motivazionali e a risolvere le indicate aporie, uniformandosi ai principi di diritto in precedenza richiamati. Sulla richiesta di refusione RAGIONE_SOCIALEe spese sostenute dRAGIONE_SOCIALE costituita parte civile nel presente giudizio, si provvederà all’esito RAGIONE_SOCIALEa definitiva
definizione del procedimento.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione RAGIONE_SOCIALEa corte di appello di RAGIONE_SOCIALE.
Così deciso in RAGIONE_SOCIALE il 7.11.2023.