Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 29444 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 29444 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 01/07/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a Manfredonia (FG) il 30/04/1963 COGNOME NOME nato a San Giovanni Rotondo (FG) il 03/08/1996 COGNOME NOME NOME nato a San Giovanni Rotondo (FG) il 05/11/1990 COGNOME NOME nata a Manfredonia (FG) il 14/01/1963 avverso la sentenza del 04/03/2025 della Corte d’appello di Salerno; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; sentita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso, riportandosi alla requisitoria scritta già depositata; sentito il difensore della parte civile, NOME COGNOME avv. NOME COGNOME in sostituzione dell’avvocato NOME COGNOME che deposita conclusioni e nota spese alle quali si riporta; sentito il difensore degli imputati, l’avvocato NOME COGNOME che si riporta ai motivi di ricorso e insiste per l’accoglimento dello stesso.
RITENUTO IN FATTO
Il processo trae origine dalla contestazione del delitto di atti persecutori
(ex art. 612bis cod. pen.) a carico di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME NOME e COGNOME NOME, per avere, in concorso tra loro, molestato e minacciato ininterrottamente NOME, vicina di casa, cagionandole un grave e perdurante stato di ansia e paura, costringendola anche ad alterare le proprie abitudini di vita. Le condotte asseritamente attuate, protrattesi dal 30 ottobre 2013 fino al 2020, sarebbero consistite in aggressioni verbali, urla, suono ripetuto e ingiustificato del campanello, martellamenti nelle prime ore del mattino, invettive davanti alla porta o al terrazzino e nel suonare ad alto volume strumenti a percussione e a fiato, tanto da impedire alla vittima di riposare e costringerla ad allontanarsi da casa.
Il Tribunale di Salerno, con sentenza del 30 gennaio 2024, ha ritenuto provata la responsabilità penale degli imputati e li ha condannati alla pena di un anno di reclusione ciascuno, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, e al risarcimento dei danni da liquidare in sede civile.
La Corte d ‘a ppello di Salerno, con sentenza del 4 marzo 2025, ha confermato integralmente la pronuncia di primo grado, rigettando l’appello proposto dai difensori degli imputati.
2. Avverso tale sentenza gli imputati hanno proposto ricorso per cassazione.
2.1. Col primo motivo hanno eccepito la nullità della sentenza per omessa valutazione di una memoria difensiva ( ex art. 121 cod. proc. pen.) depositata in data 25 gennaio 2024, la quale rinviava al contenuto di documenti a discarico ( ex art. 237 cod. proc. pen.) prodotti dagli imputati all’udienza del 24 gennaio 2023. Tali documenti (querele sporte dagli imputati nei riguardi della persona offesa; supporto digitale contenente l’abbaio di un cane; post offensivi nei riguardi degli imputati pubblicati su Facebook dalla Ferrigno; censimento di allevamenti avicoli, presso l’abitazione dei COGNOME, operato da dipendenti della ASL e dalla polizia municipale su segnalazione della Ferrigno; determinazioni del Ministero della Difesa e del Comando Generale dell’Arma d ei Carabinieri che attestavano l’esclusione, nel 2017, di COGNOME NOME dall’avanzamento al grado superiore e quella di COGNOME NOME NOME, nel 2016, da un concorso; l’ordinanza di trasferimento di sede di lavoro di COGNOME Michele, a sua domanda, nel 2014; due ordinanze di archiviazione di procedimenti penali emesse dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Salerno, attestanti l’esistenza di una “accesa conflittualità” e di “cattivi rapporti di vicinato” tra le parti), volti a dimostrare sia i gravi nocumenti subiti dalla famiglia COGNOME a causa delle molestie della COGNOME, sia la reciprocità delle condotte e l’insussistenza del dolo del delitto contestato, erano stati totalmente ignorati dai giudici di merito.
Infine, non sarebbero stati considerati i rilievi fotografici di un locale insonorizzato per esercitazioni musicali, il libretto del conservatorio di COGNOME NOME e una petizione firmata dai vicini (nel 2010), volti a dimostrare che gli strumenti musicali venivano suonati negli orari consentiti e in una stanza insonorizzata, e non con intento molesto, anche al fine di escludere il dolo del reato contestato.
L’omessa valutazione della memoria difensiva e delle prove a discarico avrebbe determinato, in definitiva, una nullità ai sensi dell’art. 178, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., impedendo agli imputati di intervenire concretamente nel processo valutativo dei fatti di causa e di far acclarare che vi erano stati reciproci e paritari contrasti, senza alcuna prevaricazione da parte degli imputati, nonché l’insussistenza dello stato d’ansia in capo alla persona offesa.
2.2. Col secondo motivo di ricorso, si deduce la manifesta illogicità della motivazione della sentenza d’appello, laddove ha ritenuto le dichiarazioni accusatorie della parte civile “significativamente riscontrate” da dichiarazioni rese da altri testi nel 2014, anche rispetto a condotte asseritamente perpetrate fino al 2020: il mancato riscontro dopo il 2014, comporterebbe l’assenza di prova del protrarsi della condotta oltre tale anno e, dunque, la prescrizione del reato.
2.3. Col terzo motivo di ricorso, si censura l’errata applicazione della legge 69/2019 ed il correlato aumento di pena per il delitto di atti persecutori. Si sostiene che, per i reati abituali, la legge sopravvenuta più sfavorevole dovrebbe applicarsi solo in relazione al segmento di condotta successivo alla sua entrata in vigore, in ossequio ai principi costituzionali di legalità, colpevolezza e finalità rieducativa della pena. Si evidenzia che l’applicazione retroattiva di una norma più sfavorevole sarebbe stigmatizzata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.
Il ricorso evidenzia che la cessazione delle molestie al 2020 sarebbe stata ancorata alla vendita della casa da parte della COGNOME, senza alcuna reale prova di condotte delittuose protrattesi sino a tale anno e senza alcuna motivazione sul punto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
2. I primi due motivi sono inammissibili.
L’omessa valutazione di una memoria difensiva non determina alcuna nullità, ma può influire sulla congruità e sulla correttezza logico-giuridica della motivazione del provvedimento, laddove le ragioni difensive ivi formulate, e trascurate, siano effettivamente tali da evidenziare cadute logiche nel tessuto
motivazionale (Sez. 1, n. 26536 del 24/06/2020, Cilio, Rv. 279578-01; confronta, in termini analoghi, Sez. 5, n. 5443 del 18/12/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280670-01, in materia di misure cautelari).
Ma, nella specie, non sono rappresentate, e comunque non sussistono, cadute logiche nel tessuto motivazionale delle pronunce di merito, che, come noto, in caso di doppia conforme si saldano tra loro in un unicum motivazionale da valutare nel suo complesso (Sez. 3, n. 13926 del 1/12/2011, dep. 2012, Rv. 252615-01; Sez. 2, n. 1309 del 22/11/1993, dep. 1994, Rv. 197250-01).
È vero che la Corte d’appello, nell’esaminare analoga censura, si limita a dedurre come non sia necessario che il giudice si esprima in modo dettagliato su ogni aspetto, anche marginale, della vicenda e come alcuni dati processuali possano essere oggetto di implicita valutazione, laddove siano incompatibili con l’ordito argomentativo posto a base di quanto deciso.
Tuttavia, è noto che, in tema di ricorso per cassazione, ai fini della deducibilità del vizio di “travisamento della prova”, che si risolve nell’utilizzazione di un’informazione inesistente o nella omessa valutazione di una prova esistente agli atti, è necessario che il ricorrente prospetti la decisività del travisamento o dell’omissione nell’ambito dell’apparato motivazionale sottoposto a critica (Sez. 6, n. 36512 del 16/10/2020, COGNOME, Rv. 280117-01). E, nella specie, non si deduce la ricorrenza di prove inequivocabilmente decisive nel senso voluto da parte ricorrente (sulla necessaria esplicazione della decisività dell’addotto travisamento si vedano Sez. 6, n. 10795 del 16/02/2021, Rv. 281085-01; Sez. 3, n. 2039 del 02/02/2018, dep. 2019, Rv. 274816-07; Sez. 6, n. 45036 del 02/12/2010, Rv. 249035-01), ovvero che determinino il sicuro sovvertimento della decisione impugnata, che, esistenti, siano state pretermesse o valutate in modo difforme dal loro oggettivo ‘significante’.
A ben vedere, le (eventuali) reazioni della vittima, le sue stesse ipotetiche denunce alle autorità per far acclarare, ed eventualmente cessare, le condotte moleste degli imputati, non implicano, di per sé stesse, che le vessazioni, molestie e aggressioni verbali, da parte di questi ultimi, non integrassero il delitto contestato: che, per contro, con valutazione di merito esente da vizi e qui non censurabile, è stato acclarato dai giudici di merito.
In particolare, è stato ritenuto che le condotte moleste e persecutorie fossero ampiamente provate dalle credibili dichiarazioni della persona offesa (“lineari, coerenti, precise, dettagliate, non contraddittorie, ribadite più volte in udienza”, per il Tribunale; “chiare, precise e coerenti”, per la Corte d’appello), la quale, proprio a causa di esse, si è vista costretta a vendere la propria casa (acquistata per 340.000,00 euro) per soli 250.000,00, in data 15/10/2020.
Si elencano una serie di condotte moleste, minacciose, ingiuriose e, in definitiva, persecutorie, quali il suono immotivato del campanello di casa della vittima, l’uso del martello sin dalle prime ore del mattino da parte degli imputati, il lancio di foglie all’interno de lla proprietà della Ferrigno, il collocamento dell’auto degli imputati di modo da ostacolare il passaggio della stessa e, infine, atteggiamenti provocatori e di sfida dei ricorrenti nei riguardi della persona offesa.
I giudici di merito hanno, poi, dato atto dell’esistenza di riscontri alle parole della vittima.
I rumori molesti, specie derivanti dall’uso di strumenti musicali (sassofono, batteria, piano, tromba), per circa 8 ore al giorno, sono stati ritenuti riscontrati dalla consulenza tecnica acustica acquisita e dall’esame del tecnico, COGNOME NOMECOGNOME che ha evidenziato di aver verificato le immissioni acustiche provenienti dalle abitazioni vicine a quella della Ferrigno nel periodo 8-12 gennaio 2015 e di aver acclarato che le stesse provenivano dall’abitazione adiacente al salotto della persona offesa e che esse superavano i limiti di immissione acustica imposti dal D.P.C.M. del 1/3/1991 (atteso che la differenza tra il rumore ambientale e quello residuo misurato risultava essere superiore ai 5 dB).
Ulteriori riscontri sono stati rinvenuti dai giudici di merito nelle parole di COGNOME NOME (secondo cui la COGNOME aveva cambiato personalità e stile di vita), di NOME e COGNOME NOME (che hanno confermato i suoni assordanti di strumenti musicali provenienti dalla villetta degli imputati), di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME (che hanno narrato il disagio e l’ansia manifestati dalla persona offesa a causa dei rumori e il mutamento delle sue abitudini di vita), di COGNOME NOME (secondo cui la COGNOME aveva proferito “frasi sconnesse e scorrette” all’indirizzo della COGNOME, mentre erano sul terrazzo) e, infine, di NOME COGNOME (che ha confermato di aver assistito personalmente a due episodi specifici di aggressione).
Sulla base di tali dati, con valutazione anch’essa immune da vizi e, come tale, incensurabile in questa sede, i giudici di merito hanno ritenuto credibili le parole della persona offesa, laddove ha evidenziato il protrarsi per anni di siffatte condotte e che esse le avessero provocato un “grave e perdurante stato di ansia e di paura”, insonnia, prostrazione, timore per la propria sicurezza e per quella della famiglia, costringendola a modificare le proprie abitudini di vita (ad esempio, a non invitare più amici, ad andare via di casa nel fine settimana) e, infine, a vendere l’immobile.
A fronte di tanto, si ripete, l’omesso esame di una serie di atti e documenti, la cui chiara decisività non è neppure esplicata dai ricorrenti, e che comunque non si desume dal loro tenore, è del tutto ininfluente.
Peraltro, i ricorrenti sollevano solo in questa sede, per la prima volta, in modo inammissibile, il dubbio circa la protrazione delle condotte sino al 2020.
Nel loro appello non deducono, e men che meno motivano, l’erroneità della sentenza di primo grado laddove afferma il protrarsi delle condotte sino alla vendita dell’immobile nel 2020 . Nella sentenza di primo grado, infatti, a pagina 17, si legge: «gli odierni imputati si sono resi autori, consapevolmente e volontariamente, del reato di atti persecutori ai danni di COGNOME, dal 30.10.2013 al 15.10.2020 (data di vendita dell’immobile)».
Orbene, i ricorrenti, nel loro gravame, si erano limitati a contestare che, nel vigore della nuova disciplina sanzionatoria si fosse tenuta una parte di condotta sufficiente -trattandosi di reato abituale -ad integrare, ex se considerata, il reato di cui si tratta: ma, per quanto subito dopo si dirà, tanto è del tutto irrilevante.
Ad ogni modo, non risulta da loro contestato che la condotta si sia protratta sino al 2020, dubbio che pongono per la prima volta (inammissibilmente, come detto) in questa sede.
3. Il terzo motivo è infondato.
Come noto, la pena prevista per il delitto di atti persecutori è stata elevata (da sei mesi a cinque anni di reclusione a quella da un anno a sei anni e sei mesi di reclusione) dall’art. 9, comma 3, della legge 69/2019, in vigore dal 9 agosto 2019.
Con orientamento assolutamente prevalente, è stato chiarito che tale delitto, in quanto abituale, si consuma nel momento in cui ha luogo l’ultima condotta attuata dall’agente, sicché , ai fini dell’applicazione del le modifiche in peius del regime sanzionatorio, introdotte dalla detta legge 69/2019, è sufficiente che la sua consumazione, con la cessazione della abitualità, avvenga nel vigore della nuova normativa (Sez. 5, n. 3427 del 19/10/2023, dep. 2024, Rv. 285848-01; Sez. 5, Sentenza n. 46824 del 26/9/2024, non massimata), a prescindere dal numero di episodi commessi durante la sua vigenza e senza la necessità che gli stessi integrino, di per sé soli, l’abitualità del reato (Sez. 6, n. 23204 del 12/03/2024, Rv. 286616-01).
Né si vede, invero, quale sarebbe il vulnus a carico di chi continui negli atti persecutori anche dopo l’entrata in vigore dell e modifiche peggiorative del sistema sanzionatorio e, anzi, nonostante tali modifiche: essendo, lo stesso, perfettamente in condizione di prevedere l’inasprimento di pena che la sua condotta – reiterativa degli atti persecutori sin lì posti in essere – comporti.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., alla declaratoria di rigetto segue la
condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
I ricorrenti vanno condannati alla rifusione delle spese processuali in favore della parte civile e, per essa, in favore dello Stato, essendo la stessa ammessa al patrocinio a sue spese. In tema di liquidazione, nel giudizio di legittimità, delle spese sostenute dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, compete alla Corte di cassazione, ai sensi degli artt. 541 cod. proc. pen. e 110 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, pronunciare condanna generica dell’imputato al pagamento di tali spese in favore dello Stato, mentre è rimessa al giudice del rinvio, o a quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato, la liquidazione delle stesse mediante l’emissione del decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 del citato d.P.R. (Sez. U, n. 5464 del 26/09/2019, dep. 2020, De, Rv. 277760-01).
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, i ricorrenti in solido tra loro alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Salerno con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 d.p.r. 115/2002, disponendo il pagamento in favore dello Stato.
Così è deciso, 01/07/2025
Il Consigliere estensore
NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME