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Atti persecutori: la parola della vittima è prova?

La Cassazione ha confermato una misura cautelare per il reato di atti persecutori, stabilendo che le dichiarazioni della persona offesa possono essere sufficienti per i gravi indizi di colpevolezza, anche senza riscontri esterni, se valutate con rigore. La Corte ha ritenuto irrilevante la presenza di un conflitto reciproco tra le parti, se il giudice motiva adeguatamente l’esistenza di un danno concreto (come ansia o cambiamento delle abitudini di vita) per la vittima.

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Pubblicato il 17 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Atti persecutori: quando la parola della vittima è sufficiente

Nel complesso ambito del diritto penale, il reato di atti persecutori (comunemente noto come stalking) solleva spesso questioni delicate sulla valutazione delle prove, specialmente quando la principale fonte di accusa è la testimonianza della persona offesa. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 9574/2025, offre chiarimenti fondamentali su questo tema, confermando che le dichiarazioni della vittima possono costituire gravi indizi di colpevolezza sufficienti per l’applicazione di una misura cautelare, anche in contesti di accesa conflittualità reciproca.

I fatti del caso

La vicenda trae origine da un’aspra lite di vicinato. Un uomo è stato accusato di aver posto in essere una serie di condotte persecutorie nei confronti di una famiglia residente nelle vicinanze, composta da marito, moglie e figlio. Tali comportamenti, motivati da futili ragioni, hanno portato all’emissione di una misura cautelare del divieto di dimora nel comune di residenza a carico dell’indagato. Quest’ultimo, ritenendo il provvedimento ingiusto, ha presentato ricorso fino in Cassazione.

Il ricorso e le argomentazioni della difesa

La difesa dell’indagato ha contestato la decisione del Tribunale del riesame, sostenendo che si basasse unicamente sulle dichiarazioni delle persone offese, senza un’adeguata valutazione delle prove a discarico. In particolare, il ricorrente evidenziava di aver a sua volta sporto querela contro la presunta vittima, suggerendo una situazione di conflittualità reciproca. Inoltre, la difesa lamentava la mancanza di motivazione sulla sussistenza del cosiddetto “evento di danno”, ovvero il cambiamento delle abitudini di vita o il grave stato d’ansia e di paura, elementi costitutivi del reato di stalking.

Le motivazioni della Corte sugli atti persecutori

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato e offrendo una motivazione chiara e strutturata.

In primo luogo, i giudici hanno ribadito un principio consolidato: nel giudizio cautelare, le dichiarazioni della persona offesa, anche se non corroborate da riscontri esterni oggettivi, possono integrare i gravi indizi di colpevolezza necessari per l’applicazione di una misura. Ciò che conta è che il giudice valuti tali dichiarazioni con particolare rigore e prudenza, verificandone la credibilità soggettiva e la coerenza interna.

Nel caso specifico, il Tribunale aveva correttamente operato questa valutazione, sottolineando la coerenza delle diverse denunce presentate nel tempo dalla persona offesa e l’assenza di intenti ritorsivi. Ma non solo. La Corte ha evidenziato come, in realtà, esistessero anche riscontri esterni decisivi: un filmato su DVD che riprendeva l’indagato mentre ingiuriava, minacciava di morte e sferrava calci al trattore della vittima, oltre alle dichiarazioni testimoniali della moglie di quest’ultima, perfettamente collimanti.

Per quanto riguarda la reciprocità delle condotte, la Cassazione ha chiarito che un conflitto in atto tra le parti non esclude di per sé la configurabilità del delitto di atti persecutori. Sebbene in tali casi il giudice abbia un onere di motivazione più stringente riguardo alla sussistenza del danno, nel caso in esame tale onere era stato pienamente assolto. Il Tribunale aveva infatti collegato il cambiamento delle abitudini di vita (in particolare lavorative) e il disagio psicologico delle vittime al comportamento complessivo dell’indagato, fatto di molestie, minacce e atteggiamenti offensivi.

Le conclusioni

La sentenza in commento rafforza la tutela delle vittime di stalking, stabilendo con fermezza che la loro parola ha un peso probatorio significativo, soprattutto nella fase cautelare. Il principio chiave è che, pur in presenza di una lite reciproca, il comportamento di una delle parti può travalicare i limiti del conflitto e integrare il reato di atti persecutori, qualora provochi nella vittima un comprovato stato d’ansia o la costringa a modificare le proprie abitudini di vita. La presenza di riscontri, anche minimi come un video, serve a corroborare un quadro accusatorio che, tuttavia, può reggersi validamente anche sulla sola testimonianza attendibile della persona offesa.

Le sole dichiarazioni della persona offesa sono sufficienti per una misura cautelare per atti persecutori?
Sì, secondo la sentenza, le dichiarazioni accusatorie della persona offesa possono integrare i gravi indizi necessari per l’applicazione di una misura cautelare, senza necessità di riscontri oggettivi esterni, a condizione che il giudice le valuti con particolare rigore e prudenza per verificarne la credibilità.

Un conflitto reciproco tra le parti esclude il reato di atti persecutori?
No, la sentenza chiarisce che l’asserita reciprocità dei comportamenti molesti non esclude di per sé la configurabilità del delitto di atti persecutori. Tuttavia, in questi casi, impone al giudice un onere di motivazione più accurato riguardo alla sussistenza dell’evento di danno (ansia, paura, cambiamento delle abitudini di vita) nella vittima.

Come viene provato l’evento di danno nel reato di atti persecutori?
Nel caso esaminato, l’evento di danno, consistente nel cambiamento delle abitudini di vita (segnatamente, lavorativa) e nel disagio psicologico, è stato provato riconducendolo al generale comportamento tenuto dall’indagato. Tale comportamento, tradottosi in molestie, minacce e atteggiamenti offensivi, è stato ritenuto causa diretta della lesione alla dignità e alla libertà di autodeterminazione delle vittime, con il supporto di prove come le dichiarazioni e un filmato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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