Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 10139 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 10139 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME NOME nato a MILANO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 28/04/2023 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
sentita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME COGNOME.
che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Bologna è intervenuta solo sulle statuizioni civili, confermando per il resto la sentenza del Tribunale di Rimini che aveva condannato NOME COGNOME alla pena di giustizia per il delitto di atti persecutori nei confronti del condomino NOME COGNOME, fatto contestato come commesso dal marzo 2015 al 4 febbraio 2017.
Ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del difensore, deducendo vizio di motivazione.
La Corte territoriale avrebbe reso una motivazione a tratti illogica e a tratti contraddittoria, e sarebbe incorsa nella fallacia logica del post hoc ergo propter hoc, dando per dimostrata la responsabilità dell’imputato per i fatti ascrittigli sulla base della considerazione che, da quando questi si è allontanato dal condominio, la persona offesa non ha più lamentato alcunché.
La Corte di appello avrebbe illogicamente fatto derivare da un’affermazione dell’imputato, che poteva essere intesa quale espressione canzonatoria («la prossima volta ti ci metto anche cucchiaio e forchetta»), l’ammissione di responsabilità in ordine alle molestie denunciate dalla persona offesa e consistite nell’inserimento di immondizia nella cassetta postale.
Analogamente, sarebbe fallace l’argomentazione della Corte di appello che ha ritenuto significativa della responsabilità dell’imputato per la rottura di un vetro la circostanza che tale fatto sia stato constatato contestualmente all’inserimento dell’immondizia nella cassetta: la contestualità delle azioni non è significativa della loro attribuibilità all’imputato.
La motivazione sarebbe contraddittoria, nella parte in cui ha omesso di considerare che quelli che sono stati definiti “diverbi con altro vicino” sono essi pure sfociati in un contenzioso giudiziario (il ricorrente allega il verbale stenotipico da cui tanto risulta), sicché non è persuasivo dedurre che la responsabilità per i fatti ascritti fosse riconducibile senza dubbio all’imputato.
Scarsamente persuasivo, infine, sarebbe il dato, valorizzato dalla Corte di appello, secondo il quale l’abitazione dell’imputato è vicina al quadro elettrico e l’imputato medesimo sarebbe stato visto correre, in un’occasione nella quale era avvenuto un distacco di energia elettrica a danno della persona offesa.
La circostanza che tra tutti i condomini il solo COGNOME abbia subito atti molesti sarebbe una petizione di principio.
Infine, l’evento del reato consistente nella modifica delle abitudini di vita, e cioè nella decisione di inoltrare la corrispondenza altrove, sarebbe irrilevante, a
fronte della mancata prova della responsabilità dell’imputato per l’inserimento dell’immondizia nelle cassette.
I fatti provati sarebbero dunque soltanto il danneggiamento che non costituisce reato (e per il quale, infatti, l’imputato è stato assolto in primo grado con la formula “perché il fatto non è previsto dalla legge come reato”) e un episodio di lesioni non procedibile in quanto la persona offesa non avrebbe sporto querela.
Il Procuratore generale ha concluso per iscritto chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Il ricorrente tenta di disarticolare il ragionamento della Corte dì appello proponendo una lettura parcellizzata di tutti gli elementi di prova, anziché una visione di insieme, laddove invece la lettura fornita dalla Corte territoriale appare priva di manifesta illogicità, risultante dal testo del provvedimento impugnato: in tanto consiste, infatti, il vizio di motivazione. Il sindacato demandato alla Corte di cassazione deve infatti limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali (Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074). Inoltre, va precisato che il vizio della “manifesta illogicità” della motivazione deve risultare dal testo del provvedimento impugnato, nel senso che il relativo apprezzamento va effettuato considerando che la sentenza deve essere logica “rispetto a se stessa”, cioè rispetto agli atti processuali citati nella stessa ed alla conseguente valutazione effettuata dal giudice di merito, che si presta a censura soltanto se, appunto, manifestamente contrastante e incompatibile con i principi della logica.
La sentenza impugnata è esente da vizi logici, laddove le premesse esposte conducono plausibilmente al risultato esposto dalla Corte territoriale: quest’ultima, infatti, non ha tratto la prova della responsabilità dalla vicinanza dell’abitazione dell’imputato rispetto al quadro elettrico o dalla circostanza suggestiva della fine delle molestie in corrispondenza con la fine del rapporto di vicinato, ma ha coordinato gli elementi raccolti e ha concluso nel senso che l’unica spiegazione attendibile capace di tenerli insieme tutti è quella fatta propria dall’ipotes accusatoria.
Così, la Corte territoriale non ha desunto la responsabilità dell’imputato per i versamenti di immondizia nella cassetta condominiale dalla frase, ad avviso del
ricorrente ambigua, da questi pronunciata e significativa di una possibile assunzione di responsabilità; ma ha piuttosto collegato quella frase ad altri elementi costituiti dall’inspiegabile schiaffo assestato dall’imputato alla vittima, dal danneggiamento della sua auto, dal dispetto rappresentato dallo spegnimento del quadro elettrico che è stato del tutto ragionevolmente attribuito all’imputato che è stato visto correre in prossimità dello stesso, in modo altrimenti inspiegabile; ed ha collegato tutti questi elementi al significativo dato rappresentato dalla circostanza che, allontanatosi l’imputato dal condominio, i fatti ascritti sono cessati.
Nemmeno coglie nel segno il vizio di travisamento della prova, che il ricorrente sembra evocare laddove censura la decisione della Corte di non valutare le iniziative giudiziarie prese dalla persona offesa nei confronti di altro condomino.
Il ricorrente omette di dimostrare la decisività del dato, il che connota di per sé la deduzione come inammissibile. In ogni caso, non corrisponde al vero che la Corte abbia omesso di confrontarsi con il dato dei litigi intercorsi tra la persona offesa e altro condomino (cioè, per l’appunto, i litigi che hanno avuto lo strascico giudiziario evocato dal ricorrente attraverso l’allegazione dei verbale stenotipico che ne dà conto): il dato è espressamente considerato a pagina 5 della sentenza, laddove la Corte evidenzia che l’ammissione da parte del COGNOME di aver avuto diverbi non solo con il COGNOME è stata ritenuta elemento significativo della sua attendibilità e dell’assenza di intenti calunniatori nei confronti dell’imputato.
Correttamente la Corte di appello ha ravvisato l’evento del reato nel mutamento delle abitudini di vita consistito nella decisione necessitata di far recapitare altrove la corrispondenza.
Come è noto, ai fini dell’integrazione del delitto ascritto non occorre la prova di tutti gli eventi previsti dalla norma incriminatrice, tra loro alternativi (Sez. 5, 8919 del 16/02/2021, F., Rv. 280497); e, d’altro canto, il mutamento delle abitudini anche transitorio è significativo (Sez. 5, n. 17552 del 10/03/2021, B., Rv. 281078). Nel caso di specie, quella descritta dalla persona offesa è consistita «in una costrizione qualitativamente apprezzabile delle sue abitudini quotidiane» (Sez. 5, n. 1541 del 17/11/2020, dep. 2021, L., Rv. 280491).
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma, ritenuta congrua, di euro tremila alla cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così deciso il 10/01/2024