Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 5306 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 5306 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 14/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto dalle parti civili:
COGNOME NOME, nato a Gela il DATA_NASCITA
COGNOME NOME, nato a Bologna il DATA_NASCITA, in proprio e quale legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE
nel procedimento a carico di NOME COGNOME, nato a Rossano Calabro il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 21/10/2022 della Corte di appello di Bologna
Visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; udita la requisitoria del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo di rigettare il ricorso; udito l’AVV_NOTAIO, in sostituzione dell’AVV_NOTAIO, difensore delle parti civili, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso e ha depositato conclusioni scritte
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 21 ottobre 2022 la Corte di appello di Bologna, in riforma della sentenza di condanna, emessa il 19 giugno 2017 dal Tribunale della stessa città, ha assolto NOME COGNOME dal reato di cui all’art. 388 cod. pen., perché il fatto non sussiste, e ha revocato le statuizioni civili.
Secondo la contestazione, l’imputato, al fine di sottrarsi all’adempimento degli obblighi nascenti da provvedimenti dell’autorità giudiziaria (due decreti ingiuntivi), aveva compiuto su un proprio bene atti fraudolenti e, precisamente, aveva ceduto l’immobile di sua proprietà a NOME COGNOME con atto del 18 maggio 2015, per la cifra di euro 121.000,00, inferiore al prezzo di mercato, e non aveva ottemperato alle suddette ingiunzioni.
Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione il difensore delle parti civili, che ha dedotto violazione di legge e vizi dell motivazione, in quanto la Corte di appello avrebbe omesso di considerare che, a differenza dei crediti, vantati dalla banca e dalla moglie dell’imputato, a cui erano stati destinati il ricavato della vendita dell’unico cespite di quest’ultimo, titoli, vantati dalle parti civili, erano provvedimenti giudiziali, così che av optato per soddisfare i primi, a discapito dei secondi, era stata una scelta avente carattere di fraudolenza. L’imputato avrebbe avuto un comportamento improntato ad astuzia e scaltrezza, avendo rabbonito le parti civili, perché non attivassero meccanismi giudiziari, mentre si stava organizzando per cedere l’unico bene di cui era titolare, ricavandone quanto bastava per saldare il mutuo verso la banca e facendo sì che il residuo andasse in favore della moglie, così da rendersi totalmente incapiente allorché erano state emesse le ingiunzioni di pagamento nei suoi confronti, su impulso delle parti civili.
In data 18 novembre 2023 è pervenuta una memoria difensiva, depositata nell’interesse delle parti ricorrenti, in cui si è evidenziato che in sed civile è stata accolta l’azione revocatoria, avente ad oggetto l’alienazione dell’immobile, e che i rilievi, decisivi ai fini dell’accoglimento dell’azione civ dovrebbero valere anche in sede penale, essendo la norma di cui all’art. 388 cod. pen. caratterizzata dal c.d. dolo civilistico o, in NOME termini, dalla fraudolenza tratterebbe, cioè, di un illecito recettivo di profitto, che si realizza mediante un condotta con cui il soggetto si procura un vantaggio patrimoniale ingiusto attraverso la sottrazione giuridica del bene, commessa tramite un atto
formalmente lecito ma posto in essere al solo scopo di sottrarre il cespite patrimoniale all’esecuzione da parte dei creditori.
Le parti ricorrenti hanno depositato anche la sentenza emessa in sede civile.
È altresì pervenuta, in data 13 dicembre 2023, una richiesta del difensore dell’imputato di nominare d’ufficio un suo sostituto processuale per l’udienza dinanzi a questa Corte.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Deve premettersi che la nomina di un sostituto processuale per l’udienza, richiesta con istanza depositata dal difensore dell’imputato, è un adempimento che non rientra fra i compiti di questa Corte.
Ciò posto, deve rilevarsi che il ricorso è fondato e la sentenza impugnata va annullata agli effetti civili.
Coglie nel segno, infatti, la doglianza con cui le parti ricorrenti hanno censurato la motivazione della sentenza impugnata, là dove ha assolto l’imputato dal reato di cui all’art. 388, primo comma, cod. pen., in totale riforma della pronuncia di primo grado.
Al riguardo giova ricordare che questa Corte (Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, P.G. in proc. Troise, Rv. 272430 – 01), muovendo dal rilievo che la presunzione di innocenza e il ragionevole dubbio impongono soglie probatorie asimmetriche in relazione alla diversa tipologia dell’epilogo decisorio (ossia, la certezza della colpevolezza per la condanna, il dubbio processualmente plausibile per l’assoluzione), ha sottolineato come, all’assenza di un obbligo di rinnovazione della prova dichiarativa in caso di ribaltamento assolutorio, deve affiancarsi l’esigenza che il giudice di appello strutturi la motivazione della decisione assolutoria in modo rigoroso, dando puntuale ragione delle difformi conclusioni assunte.
Tale principio – come sottolineato nell’anzidetta sentenza – affonda le sue radici in una risalente elaborazione giurisprudenziale di questa Corte (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, COGNOME, Rv. 231679 – 01; Sez. U, n. 6682 del 4/02/1992, COGNOME, Rv. 191229 – 01), che ha stabilito, in linea generale, l’obbligo di una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia ragione delle difformi conclusioni raggiunte nel caso in cui il giudice di appello riform totalmente la decisione di primo grado, sostituendo all’assoluzione l’affermazione
di colpevolezza dell’imputato. Ne discende che il giudice di appello, nel riformare la condanna pronunciata in primo grado con una sentenza di assoluzione, dovrà confrontarsi con le ragioni addotte a sostegno della decisione impugnata, giustificandone l’integrale riforma, senza limitarsi ad inserire nella struttur argomentativa della riformata pronuncia delle generiche notazioni critiche di dissenso, ma riesaminando, sia pure in sintesi, il materiale probatorio vagliato dal primo giudice e quello eventualmente acquisito in seguito, per offrire una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia adeguata ragione delle difformi conclusioni adottate.
Nel caso in esame, tale onere motivazionale non è stato assolto dalla Corte di appello di Bologna.
5.1. Chiamati a verificare se l’operazione posta in essere dall’imputato integrasse gli estremi del reato di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice, mediante il compimento di atti fraudolenti sui propri beni ex art. 388, primo comma, cod. pen., entrambi i Giudici del merito hanno concordemente ritenuto provato sia il fatto che l’imputato non aveva adempiuto all’obbligo di corrispondere alle persone offese le somme di denaro indicate nei decreti ingiuntivi R.G. n. 3658/2015 e n. 4449/2015, emessi dal Tribunale di Bologna e non opposti a seguito delle notifiche del 4 aprile 2015 e del 4 maggio 2015, sia la circostanza che l’imputato, con atto del 18 maggio 2015, aveva venduto ad NOME COGNOME l’immobile, di cui era comproprietario con la moglie al 50%, per un corrispettivo di euro 121.000,00.
Le due pronunce del merito divergono, invece, riguardo alla possibilità di inquadrare la vendita dell’immobile alla stregua di un atto fraudolento e di connotare l’elemento psicologico dell’imputato in termini di dolo specifico, come richiesto dall’art. 388, primo comma, cit.
5.2. Al riguardo giova premettere che l’art. 388, primo comma, cit. sanziona la condotta di chi, per sottrarsi all’adempimento degli obblighi nascenti da un provvedimento dell’autorità giudiziaria o di cui sia in corso l’accertamento, «compie, sui propri o sugli altrui beni, atti simulati o fraudolenti».
Si è affermato (Sez. 6, n. 4945 del 30/01/2020, Frongia, Rv. 278119 – 02) che, atteso il tenore letterale della disposizione, non è sufficiente, al fine colorare di illiceità penale la condotta de qua, che gli atti siano oggettivamente finalizzati a consentire al loro autore di sottrarsi agli adempimenti indicati, ma è necessario che gli stessi si caratterizzino altresì per la loro natura simulatoria o fraudolenta.
La necessità di individuare questo quid pluris nella condotta dell’agente è stata sottolineata anche dalle Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 12213
del 21/12/2017, COGNOME e NOME, Rv. 272171 – 01) che, nell’ambito di una più ampia riflessione sul concetto di atti simulati o fraudolenti di cui all’art. 388 co pen., norma il cui schema risulta richiamato dall’art. 11 d.lgs. n. 74/2000, hanno affermato che sarebbe in contrasto con il principio di legalità una lettura della norma che facesse coincidere il requisito della natura fraudolenta degli atti con la loro mera idoneità alla riduzione delle garanzie del credito, per cui in quest’ottica può essere ritenuto penalmente rilevante solo un atto di disposizione del patrimonio che si caratterizzi per le modalità tipizzate dalla norma, non potendosi, in definitiva, far coincidere il carattere fraudolento degli atti con il f di vulnerare le legittime aspettative del creditore.
Si è aggiunto che la natura fraudolenta dell’alienazione non può coincidere con il fine di ridurre le garanzie del credito, diversamente essendovi una evidente commistione tra il piano oggettivo della condotta e quello soggettivo della volontà con conseguente spostamento del giudizio dal disvalore dell’evento (offensività) a quello della volontà (mera disubbidienza) (Sez. 3, n. 3011 del 05/07/2016, dep. 2017, Di Tullio, Rv. 268798, con riferimento all’art. 11 d.lgs. cit., che ricalca la disposizione dell’art. 388 cod. pen.).
Con specifico riguardo al significato da attribuire alla nozione di atto fraudolento, le Sezioni unite, nella citata pronuncia del 2017, hanno precisato «che, se, su un piano generale, nella lingua italiana, il significato di frode (da esso infatti derivando l’aggettivo fraudolento) è pianamente quello di un comportamento contrassegnato dall’inganno o dal raggiro, sul piano più particolare della nozione giuridica racchiusa nella norma qui in esame, soccorre, nell’assenza di letture giurisprudenziali specifiche con riguardo all’art. 388 cod. pen., l’esegesi offerta da questa Corte con riferimento ad NOME istituti», quali, a es., il reato di turbata libertà degli incanti o quello di cui all’art. 11 d.lgs. del 2000 o la circostanza aggravante ex art. 625, n. 2, cod. pen.
Si è sottolineato, infatti, quanto al reato di turbata libertà degli incanti, che “mezzo fraudolento” consiste in «qualsiasi artificio, inganno o menzogna concretamente idoneo a conseguire l’evento del reato» (Sez. 6, n. 26809 del 07/04/2011, COGNOME, Rv. 250469 – 01; Sez. 6, n. 40831 dell’8/06/2010, COGNOME‘COGNOME, Rv. 248788 – 01), ovvero, con riferimento alla circostanza aggravante ex art. 625, n. 2, cod. pen., in «comportamenti improntati ad astuzia o scaltrezza, tali da eludere le cautele e gli accorgimenti predisposti dalla persona offesa a tutela delle proprie cose» (Sez. 4, n. 13871 del 6/02/2009, Tundo, Rv. 243203).
Con riguardo alla nozione di “atto fraudolento”, contenuta nella disposizione dell’art. 11 d.lgs. cit., che, con terminologia mutuata dall’art. 388 cod. pen., sanziona la condotta di chi, «al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui
redditi o sul valore aggiunto aliena simulatamente o compie NOME atti fraudolenti sui propri o altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace procedura di riscossione coattiva», questa Corte ha osservato che deve essere considerato atto fraudolento «ogni comportamento che, formalmente lecito (analogamente, del resto, alla vendita di un bene), sia tuttavia caratterizzato da una componente di artifizio o di inganno» (Sez. 3, n. 25677 del 16/05/2012, Caneva, Rv. 252996 – 01), ovvero che è tale «ogni atto che sia idoneo a rappresentare una realtà non corrispondente al vero (per la verità con una sovrapposizione rispetto alla simulazione) ovvero qualunque stratagemma artificioso tendente a sottrarre le garanzie patrimoniali alla riscossione» (Sez. 3, n. 3011 del 05/07/2016, dep. 2017, Di Tullio, Rv. 268798 – 01).
5.3. Nel caso in esame, il Tribunale ha fondato il giudizio di responsabilità penale sui seguenti elementi di fatto: a) la situazione debitoria dell’imputato; b) le plurime promesse di pagamento da parte di quest’ultimo, che diceva di attendere l’incasso di alcune commesse; c) la predisposizione di un piano di rientro e l’impossibilità successiva delle parti creditrici di mettersi in contatto c l’imputato, che era sparito dalla circolazione anche per periodi significativi e il cu telefono risultava staccato; d) la vendita dell’unico cespite immobiliare proprio a ridosso delle ingiunzioni di pagamento; e) la pattuizione di un prezzo inferiore a quello di mercato; f) le modalità di pagamento mediante assegni intestati a terzi; g) il pagamento di parte del prezzo mediante la dazione di una macchina Audi A3 usata, a cui era stato attribuito il valore gonfiato di 31.000 euro; h) l’intestazio di quest’ultima alla moglie dell’imputato.
Secondo la Corte di appello, di contro, pur essendo stati accertati la mancata ottemperanza dell’imputato ai decreti ingiuntivi e il carattere definitivo di questi ultimi, poiché non opposti, nessun ulteriore elemento, emerso nel processo, valeva a ricondurre il fatto in esame alla fattispecie incriminatrice di cui all’art. 388 cod. pen., non essendo ravvisabili atti simulati o fraudolenti nella vendita dell’immobile in questione. Doveva essere esclusa, infatti, la fittizietà della vendita, essendo stato accertato che l’acquirente aveva effettivamente ottenuto la proprietà dell’immobile, andandovi ad abitare. Né era ravvisabile una manovra fraudolenta, atteso che l’imputato, all’epoca dei fatti, si trovava in una situazione di comprovata difficoltà economica, già innescata nel 2014, e, di conseguenza, di comune accordo con la moglie, comproprietaria dell’appartamento, aveva deciso di vendere il bene all’acquirente NOME COGNOME per un corrispettivo di euro 121.000,00. Le trattative, pertanto, erano iniziate nel periodo ricompreso fra il mese di febbraio e quello di marzo 2015, in epoca anteriore alla notificazione dei decreti ingiuntivi, che, peraltro, pur se validamente notificati all’atto di vendita degli immobili, non erano nella
conoscenza reale dell’imputato, in quanto depositati presso la casa comunale e mai ritirati dal destinatario.
La generica intenzione dell’imputato di gestire la propria più ampia situazione debitoria e non la diversa e più specifica volontà fraudolenta secondo la Corte di appello – era riscontrabile nelle modalità di ripartizione del prezzo ricavato, considerato che l’assegno circolare di euro 78.000,00 era stato emesso direttamente in favore della banca, ottemperando così l’imputato al pagamento del mutuo, mentre la parte restante era stata devoluta alla moglie, in ragione della comproprietà vantata sul bene.
5.4. Siffatta motivazione della Corte di appello presta il fianco ad una serie di censure, non essendosi criticamente confrontata con alcuni decisivi rilievi formulati nella sentenza di primo grado.
In primo luogo, infatti, la menzionata decisione di appello si è limitata a rimarcare che le difficoltà economiche dell’imputato erano insorte prima della notifica dei decreti ingiuntivi, ma non ha replicato alcunché alle circostanze di fatto, evidenziate nella sentenza di condanna, consistite nell’avere le persone offese più volte richiesto all’imputato di adempiere ai suoi debiti nei loro confronti e nell’avere le stesse «confidato nelle promesse del COGNOME il quale affermava che, una volta conclusi i lavori nei cantieri, avrebbe provveduto al pagamento. Facendosi più pressanti i solleciti, a un certo punto (il teste COGNOME dice dalla fine del 2014) il COGNOME si era reso irreperibile e non più raggiungibile al cellulare».
Circostanze, queste, che potrebbero, in ipotesi, assumere rilievo al fine di connotare la condotta dell’imputato, non potendosi sottacere che questa Corte, come innanzi ricordato, ha affermato che deve essere considerato atto fraudolento «ogni comportamento che, formalmente lecito (analogamente, del resto, alla vendita di un bene), sia tuttavia caratterizzato da una componente di artifizio o di inganno» (Sez. 3, n. 25677 del 16/05/2012, Caneva, Rv. 252996).
In secondo luogo, deve rilevarsi che la Corte di appello non ha replicato neanche ai rilievi del primo Giudice concernenti la scelta dell’acquirente e le modalità del pagamento del prezzo.
Il Tribunale, infatti, aveva evidenziato che nemmeno l’acquirente, sentito come teste, era riuscito a spiegare come fossero addivenuti alla determinazione del prezzo finale dell’immobile, pari ad euro 121.000,00, inferiore a quello di mercato, e alla valutazione del valore dell’autovettura, che aveva costituito una parte del corrispettivo della vendita dell’immobile, determinato in euro 31.000,00 euro, pur essendo un’autovettura usata, che il venditore aveva, a sua volta, acquistato di seconda mano e che la moglie dell’imputato, a cui era stata intestata, aveva rivenduto dopo un solo anno al prezzo di 11.000,00 euro.
Secondo il Giudice di primo grado, «il teste aveva confermato l’anomalia dell’intero scambio quando aveva affermato che egli aveva sul conto 90.000,00 euro ed era proprietario di quella macchina e, quindi, aveva dato ai venditori tutto quello che aveva, così che il corrispettivo dell’immobile era stato determinato non sul valore dello stesso bensì sulle disponibilità economiche dell’acquirente. Il che non corrispondeva sicuramente all’id quod plerumque accidit».
5.5. Nessun confronto la Corte territoriale ha operato riguardo all’importanza conferita dal primo Giudice al fatto che l’immobile costituiva l’unico cespite del patrimonio dell’imputato.
Tale profilo, in realtà, rileva senz’altro al fine di accertare l’idoneità les dell’atto di vendita, atteso che è evidente che il rischio che la pretesa creditoria non trovi capienza nel patrimonio del debitore presuppone che la diminuzione, causata dall’atto realizzato, comporti una riduzione significativa delle garanzie, da valutare in relazione sia al credito che al patrimonio del contribuente (Sez. 3, n.13233 del 24/02/2016, Pass, Rv. 266771 – 01).
Il profilo suindicato, inoltre, appare tutt’altro che indifferente anche i un’ottica di valutazione complessiva della condotta dell’imputato, al fine di accertare la natura fraudolenta dell’atto e l’atteggiamento psicologico del suo autore.
Alla luce di tali rilievi non può affermarsi, quindi, che la Corte territoria abbia adottato una motivazione rafforzata, ossia abbia confutato in modo specifico e completo le argomentazioni formulate dal Giudice di primo grado, così da fornire una razionale giustificazione della difforme conclusione cui è pervenuta.
Deve aggiungersi, inoltre, che non risponde a criteri di logicità l’affermazione secondo cui le modalità di ripartizione del prezzo denotano l’intenzione dell’imputato di gestire la propria più ampia situazione debitoria e non la diversa e più specifica volontà fraudolenta.
La Corte di appello, infatti, ha trascurato di considerare che, destinando alla banca il ricavato della vendita della sua quota di proprietà dell’immobile, l’imputato ha arrecato pregiudizio alle parti offese, che non hanno potuto soddisfare i loro crediti neanche in sede esecutiva, ed ha agito in violazione della regola della par condicio creditorum, sancita dall’art. 2741, primo comma, cod. civ., che dispone che i creditori hanno pari diritto di soddisfarsi sui beni de debitore, fatte salve le cause legittime di prelazione. Siffatta parità d trattamento non è derogabile, essendo nulla una pattuizione in contrasto con il
principio suddetto, per il quale tutti i creditori concorrono sullo stesso piano, prescindere dalla causa e dalla data di origine del loro credito.
Alla luce delle su esposte considerazioni si impone, dunque, l’annullamento della sentenza impugnata agli effetti civili con rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello, che provvederà anche in ordine alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente agli effetti civili, con rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello, cui rimette anche la liquidazione delle spese tra le parti per questo grado di legittimità.
Così deciso il 14/12/2023