Attenuanti Generiche: L’Ammissione dei Fatti Non Basta, Serve Vero Pentimento
L’ottenimento delle attenuanti generiche è un momento cruciale nel processo penale, poiché può influenzare significativamente l’entità della pena. Tuttavia, non basta un comportamento processuale apparentemente collaborativo per garantirsi questo beneficio. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 4397/2024) fa luce sui criteri che i giudici devono seguire, sottolineando la differenza tra una mera ammissione dei fatti e un’autentica resipiscenza.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine dal ricorso di un imputato contro una sentenza della Corte d’Appello di Napoli. Il ricorrente lamentava il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e, più in generale, la determinazione della pena inflittagli. La difesa sosteneva che l’ammissione dei fatti da parte dell’imputato avrebbe dovuto essere valutata positivamente ai fini della concessione di una riduzione della pena. Tuttavia, sia il tribunale di primo grado che la Corte d’Appello avevano respinto questa richiesta, ritenendo l’ammissione troppo generica e non indicativa di un reale pentimento.
La Decisione della Corte di Cassazione sulle Attenuanti Generiche
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando in toto la decisione dei giudici di merito. Gli Ermellini hanno stabilito che le censure proposte dal ricorrente erano finalizzate a ottenere una nuova valutazione dei fatti, un’operazione preclusa in sede di legittimità. La Corte ha ritenuto che la sentenza impugnata fosse sorretta da una motivazione logica e coerente con i principi giuridici consolidati in materia.
Le Motivazioni della Decisione
La Corte di Cassazione ha basato la sua decisione su due pilastri fondamentali.
In primo luogo, ha evidenziato come l’ammissione dei fatti, per essere valorizzata ai fini delle attenuanti generiche, non possa essere “assolutamente generica”. Deve emergere un elemento qualitativo ulteriore: l'”autentica resipiscenza”. Il semplice ammettere l’accaduto, senza una reale dimostrazione di pentimento e di revisione critica del proprio operato, non è sufficiente a integrare quel dato positivo che il giudice deve riscontrare per concedere lo sconto di pena.
In secondo luogo, la Corte ha richiamato l’importante modifica legislativa introdotta nel 2008 all’articolo 62-bis del codice penale. Da allora, lo stato di incensuratezza dell’imputato non è più una condizione sufficiente per il riconoscimento automatico delle attenuanti. Il giudice è chiamato a compiere una valutazione più approfondita, ricercando attivamente elementi positivi nella condotta e nella personalità dell’imputato che giustifichino una mitigazione della pena. L’assenza di tali elementi, come nel caso di specie, legittima pienamente il diniego del beneficio.
Conclusioni: Cosa Imparare da Questa Ordinanza
Questa ordinanza offre spunti pratici di grande rilevanza sia per gli imputati che per i loro difensori. Per ottenere le attenuanti generiche, non è sufficiente una strategia processuale basata su una formale ammissione delle proprie responsabilità. È necessario che emergano concretamente segnali di un sincero pentimento e di una presa di coscienza della gravità delle proprie azioni. Per la difesa, ciò significa che il ricorso in Cassazione non può limitarsi a contestare la valutazione del giudice di merito sulla pena, ma deve basarsi su vizi di legittimità della sentenza, senza tentare di sollecitare una nuova e inammissibile valutazione dei fatti.
 
L’ammissione dei fatti garantisce automaticamente il riconoscimento delle attenuanti generiche?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che un’ammissione definita “assolutamente generica”, non accompagnata da un’autentica resipiscenza (sincero pentimento), non è di per sé sufficiente per la concessione del beneficio.
Essere incensurato è abbastanza per ottenere le attenuanti generiche?
No. Dopo la modifica dell’art. 62 bis del codice penale avvenuta nel 2008, il solo stato di incensuratezza dell’imputato non è più una condizione sufficiente. Il giudice deve individuare elementi positivi concreti per poter concedere la diminuzione della pena.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché le censure sollevate miravano a una nuova valutazione dei fatti e della determinazione della pena, un’attività che non rientra nelle competenze della Corte di Cassazione. La motivazione della Corte d’Appello è stata ritenuta adeguata e conforme alla legge.
 
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 4397 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7   Num. 4397  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 10/11/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 24/01/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
OSSERVA
letto il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME avverso la sentenza in epigrafe;
esaminati gli atti e il provvedimento impugnato;
rilevato che il ricorso è inammissibile perché le censure prospettate sono volte a contrastare il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e, in generale, la determinazione della pena, malgrado la sentenza impugnata risulti sorretta da adeguato esame delle deduzioni difensive (facenti perno sull’ammissione dei fatti, ritenuta, però, dalla Corte di appello assolutamente generica, non indice di autentica resipiscenza e, perciò, non valorizzata) e da motivazione in linea con i principi enunciati da questa Corte (Sez. 3, n. 44071 del 25.9.2014, Papini e altro, Rv. 260610 – 01), secondo cui il mancato riconoscimento delle circostanze anzidette può essere legittimamente giustificato con l’assenza di elementi di segno positivo, a maggior ragione dopo la modifica dell’art. 62 bis cod. pen., disposta con il D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modifiche nella legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente non è più sufficiente lo stato di incensuratezza dell’imputato;
ritenuto che all’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e – non ravvisandosi ragioni di esonero della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 10/11/2023