Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 16701 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
PRIMA SEZIONE PENALE
Composta da
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
– Presidente –
Sent. n. sez. 259/2025
UP – 08/04/2025
– Relatore –
R.G.N. 4961/2025
NOME COGNOME
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME nato a NAPOLI il 19/12/1982
COGNOME NOME nato a NAPOLI il 27/07/1976
COGNOME NOME nato a NAPOLI il 24/01/1979
COGNOME NOME nato a NAPOLI il 16/02/1976
avverso la sentenza del 14/11/2024 della Corte d’assise d’appello di Napoli
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME
che ha chiesto dichiararsi il ricorso inammissibile
RITENUTO IN FATTO
La Corte di assise di appello di Napoli, con la sentenza del 14 novembre 2024 rideterminava la pena inflitta a COGNOME Raffaele, COGNOME NOME, COGNOME e COGNOME per l’omicidio di NOME COGNOME ritenuta assorbita l’aggravante di cui all’art. 577 n. 4 cod. pen. in relazione all’art. 61 n. 1 cod. pen. nell’art. 416 bis.1 cod. pen., in anni trenta ciascuno.
In primo grado il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Napoli li aveva condannati alla pena dell’ergastolo.
I fatti erano così ricostruiti nelle sentenze di merito.
La vittima, NOME COGNOME detto NOME, ucciso il 4 gennaio 2008, era stato ritenuto facente parte del clan camorristico COGNOME–COGNOME e il suo omicidio era stato ricondotto alla criminalità organizzata, ma, fino alla collaborazione di COGNOME NOME, iniziata nel gennaio 2010, non era stato possibile risalire agli autori del delitto, tanto che inizialmente il procedimento era stato archiviato.
COGNOME veniva condannato in via definitiva per l’omicidio quale esecutore materiale; successivamente venivano acquisiti nuovi elementi a seguito della collaborazione di COGNOME
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE PRIMA SEZIONE PENALE Depositata in Cancelleria oggi Numero di raccolta generale 16701/2025 Roma, lì, 06/05/2025
NOME, fratello di NOME.
Il giudice di primo grado dava atto che tutti gli imputati avevano ammesso l’addebito.
Gli elementi a carico degli imputati, come individuati nelle sentenze di merito, erano le dichiarazioni di COGNOME NOME, di COGNOME Salvatore, riscontrate dal narrato di COGNOME Massimo, di COGNOME NOME, di COGNOME NOME e di COGNOME Vincenzo.
La vicenda si inserisce nella faida fra il clan COGNOME e gli scissionisti, in particolare come risposta del clan COGNOME per il tentato omicidio di COGNOME NOME ad opera di COGNOME NOME.
COGNOME NOME, che era latitante, diede l’incarico tramite COGNOME di organizzare l’omicidio; COGNOME, che agiva quale suo tramite, ingaggiò COGNOME NOME, COGNOME e COGNOME NOME.
L’agguato venne teso da NOME COGNOME il quale si mise davanti all’auto condotta da COGNOME per farlo rallentare; nel frattempo la vittima venne affiancata da un motociclo condotto da COGNOME che recava a bordo COGNOME che aveva sparato i due colpi di pistola alla nuca di COGNOME.
Come delineato dai collaboratori di giustizia, il ruolo di COGNOME era stato quello di procurare le armi e i mezzi e di ricoverare il tutto presso la casa di appoggio.
La sentenza di secondo grado, nel confermare la penale responsabilità degli imputati, in ragione sia degli elementi di prova in atti, sia dell’ammissione degli addebiti da parte degli stessi, reiterata anche nel corso del giudizio di appello, confermava la pena base dell’ergastolo, ritenendo non concedibili le attenuanti generiche e sussistente la recidiva; contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di prime cure riteneva assorbita l’aggravante del motivi abbietti e futili in quella di cui all’art. 416 bis.1 cod. pen., e, quantificando la pena in continuazione per il reato contestato al capo b) in una misura inferiore a cinque anni di reclusione, applicava, previa diminuzione per il rito la pena temporanea di anni trenta di reclusione ciascuno.
Avverso detta decisione propongono unico ricorso gli imputati a mezzo del difensore di fiducia, lamentando con motivo unico la violazione dell’art. 62 bis cod. pen. in relazione alla mancata concessione delle attenuanti generiche e il vizio di motivazione correlato.
Secondo ii ricorrenti il dinego delle attenuanti generiche, basato sulla gravità del fatto, Ł errato, poichØ al fine della concessione delle stesse ciò che rileva Ł la condotta successiva al fatto.
Circa, poi, l’eccepita strumentalità delle ammissioni di responsabilità, i ricorrenti non condividono la lettura data alle stesse, posto che detta ammissione era stata fatta per la prima volta nel corso dell’interrogatorio di garanzia, prima che intervenisse qualunque strategia difensiva.
Secondo i ricorrenti, le confessioni degli imputati sono state fondamentali per cristallizzare un materiale probatorio comunque lacunoso, in quanto fondato sulle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia che presentavano delle reciproche criticità ed incongruenze.
Quanto, infatti, a COGNOME COGNOME in ragione delle fonti di prova in atti, non era chiaro se egli fosse stato semplice vedetta o esecutore materiale mentre, quanto a COGNOME, gli elementi a suo carico avvaloravano piø la tesi di un ruolo di favoreggiamento che di concorso.
Quanto, poi a COGNOME e COGNOME entrambi hanno intrapreso dei percorsi di allontanamento dal contesto criminale in cui sono maturati i reati in esame; COGNOME ha intrapreso un corso di studi universitari.
Secondo i ricorrenti, la decisione di ammettere le proprie responsabilità, proveniente da soggetti interni ad un’organizzazione criminale, avrebbe dovuto essere valorizzata maggiormente e premiata in ragione della scelta di superare il muro di omertà che normalmente avvolge gli appartenenti ad un clan mafioso.
Il mancato ricordo da parte di NOME NOME di determinati particolari ovvero il fatto che COGNOME abbia riferito di aver avuto rapporti solo con COGNOME e COGNOME non sono segni di una volontà mendace, ma possono essere ritenuti certamente elementi di genuinità, in ragione della
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dinamica degli eventi.
Da ultimo, i ricorrenti lamentano la mancata valutazione da parte della Corte territoriale del contesto di degrado nel quale sono cresciuti gli imputati, pervaso da una logica criminale distorta, nonchØ della giovane età degli stessi, valorizzando le situazioni correlate con i fatti del processo.
Il sostituto procuratore generale NOME COGNOME ha depositato requisitoria scritta chiedendo dichiararsi il ricorso inammissibile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono infondati.
Quanto al rapporto fra confessione/ammissione di responsabilità e concedibilità delle attenuanti generiche, infatti, si deve richiamare il principio elaborato da questa Corte, secondo cui, in tema di circostanze attenuanti generiche, se la confessione dell’imputato, tanto piø se spontanea e indicativa di uno stato di resipiscenza, può essere valutata come elemento favorevole ai fini della concessione del beneficio, di contro la protesta d’innocenza o la scelta di rimanere in silenzio o non collaborare con l’autorità giudiziaria, pur di fronte all’evidenza delle prove di colpevolezza, non può essere assunta, da sola, come elemento decisivo sfavorevole, non esistendo nel vigente ordinamento un principio giuridico per cui le attenuanti generiche debbano essere negate all’imputato che non confessi di aver commesso il fatto, quale che sia l’efficacia delle prove di reità. (Sez. 5, n. 32422 del 24/09/2020, COGNOME, Rv. 279778 – 01).
Quindi, pur essendo la ammissione di responsabilità e la concessione delle attenuanti generiche elementi che certamente interagiscono, le modalità di reciproca interazione non sono predeterminate, ma dipendono dalla valutazione che in concreto viene fatta dal giudice del merito della complessiva condotta tenuta dall’imputato, in ragione dei richiami all’art. 133 cod. pen: se, da un lato, infatti, l’ammissione di responsabilità non Ł elemento necessario e sufficiente per la concessione delle attenuanti generiche, Ł altrettanto vero che la non ammissione di responsabilità non Ł circostanza che di per sŁ escluda in nuce la possibile concessione delle stesse.
D’altro canto, Ł vero che, pur a fronte della commissione di un fatto-reato di elevata gravità, l’apporto confessorio può legittimamente fondare il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, sempre che – ed Ł questo il tema – lo stesso non sia un ‘semplice’ fattore di agevolazione nella ricostruzione del fatto controverso ma un preciso «indicatore» di riconsiderazione critica del proprio operato e discontinuità con il precedente modus agendi (tra le molte Sez. VI n. 3018 del 11.10.1990, Rv 186592; Sez. VI n. 11732 del 27.1.2012, rv 252229).
Pertanto Ł legittimo il diniego delle circostanze attenuanti generiche motivato con l’esplicita valorizzazione negativa dell’ammissione di colpevolezza, in quanto dettata da intenti utilitaristici e non da effettiva resipiscenza. (Sez. 1, n. 35703 del 05/04/2017, COGNOME, Rv. 271454 – 01)
In materia di attenuanti generiche, tra gli elementi positivi che possono suggerire la necessità di attenuare la pena comminata per il reato, rientra la confessione spontanea, potendo, tuttavia, il giudice di merito escluderne la valenza, quando essa sia contrastata da altri specifici elementi di disvalore emergenti dagli atti o si sostanzi nel prendere atto della ineluttabilità probatoria dell’accusa ovvero sia volta esclusivamente all’utilitaristica attesa della riduzione della pena e la collaborazione giudiziaria o processuale sia comunque probatoriamente inerte o neutra, nel senso che non abbia neppure agevolato il giudizio di responsabilità di coimputati, per essere questi già confessi o per altro plausibile motivo. (Sez. 1, Sentenza n. 42208 del 21/03/2017, Rv. 271224)
Il provvedimento impugnato, operando un approfondita valutazione del tenore delle dichiarazioni confessorie, anche in relazione agli elementi di prova in atti, ha negato la loro rilevanza al fine della concessione delle attenuanti generiche, ritenendo scoperto, come già valutato
dal giudice di primo grado, l’intento speculativo delle medesime, in ragione del fatto che COGNOME e COGNOME hanno inteso non coinvolgere COGNOME, COGNOME e soprattutto COGNOME, limitandosi a coinvolgere il solo COGNOME, che era colui che, a sua volta, li aveva chiamati in correità; COGNOME e COGNOME hanno reso inizialmente dichiarazioni del tutto generiche, poi piø particolareggiate nel corso del giudizio di secondo grado, senza però coinvolgere nessun altro.
In particolare, secondo la Corte territoriale, l’evidente intento di tutti gli imputati era quello di non accusare con le loro dichiarazioni nessuno dei correi e soprattutto il mandante COGNOME.
Ostativi alla concessione delle generiche, poi, sono stati ritenuti anche i gravissimi precedenti di cui erano gravati gli imputati e la strumentalità della confessione, non utile a chiarire un quadro probatorio piø che congruente.
In aggiunta a tali elementi, il giudice di primo grado aveva rilevato come nessuna dissociazione vi sia stata dal gruppo di appartenenza e come il quadro probatorio fosse già ampiamente cristallizzato nella ordinanza di custodia cautelare, prima che gli imputati fornissero il loro apporto di conoscenza alle indagini.
Contrariamente a quanto ritenuto dai ricorrenti, la motivazione circa il diniego delle attenuanti generiche Ł congrua, priva di aporie logiche e rispettosa degli insegnamenti di questa Corte sul punto; i ricorsi sono infondati e debbono essere rigettati e i ricorrenti condannati al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 08/04/2025.
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME
Corte di Cassazione – copia non ufficiale
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