Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 18799 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 18799 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/01/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
ASLI NOME nato in Marocco il 15 agosto 1987; COGNOME NOMECOGNOME nato a Cerignola (Fg) il 1 gennaio 1978; COGNOME NOME, nato a Cerignola (Fg) il 17 gennaio 1981; COGNOME NOMECOGNOME nato a Cerignola (Fg) il 12 novembre 1978;
avverso la sentenza n. 5030/23 della Corte di appello di Bari del 14 novembre 2023;
letti gli atti di causa, la sentenza impugnata e i ricorsi introduttivi;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
letta la requisitoria scritta del PM, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. NOME COGNOME il quale ha concluso chiedendo la dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Bari ha, con sentenza pronunziata in data 14 novembre 2023, parzialmente riformato la sentenza emessa dal Gup del Tribunale di Foggia il precedente 13 settembre 2021 in esito a giudizio celebrato nelle forme del rito abbreviato, a carico di NOMECOGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, imputati per aver commesso, secondo l’accusa, una serie di reati in materia di sostanze stupefacenti.
Nel riformare, come detto, la sentenza emessa in esito al primo grado di giudizio la Corte di appello ha escluso la rilevanza penale della ipotesi di reato contestata, sub 5) del complessivo capo di imputazione, a carico di COGNOME e, per quanto ora interessa, COGNOME NOME (oltre che di COGNOME NOME, che pertanto, è stato mandato assolto dalla sola imputazione che gli era stata contestata), ritenuta l’insussistenza del fatto; ha ritenuto la continuazione fra i fatti residui contestati al COGNOME e quelli per i quali il medesimo era già stato condannato in esito ad altro procedimento penale; ha altresì, ridotto la pena inflitta ad Asli, a Chieti NOME ed a COGNOME NOME, portandola, rispettivamente, alla pena di anni 1 e mesi 10 di reclusione ed euri 4.000,00 di multa ed anni 2, mesi 2 e giorni 20 di reclusione ed euri 6.333,00 di multa sia per Chieti che per COGNOME, mentre, per ciò che concerne COGNOME, ha rideterminato la complessiva pena a lui inflitta, tenuto conto anche dei reati già giudicati e ora ritenuti in continuazione, in anni 4 di reclusione ed euri 9.000,00 di multa; nei soli confronti dell’Aslì la esecuzione della pena è stata dalla Corte di Bari sottoposta a sospensione condizionale.
I predetti 4 imputati hanno impugnato la sentenza emessa dalla Corte territoriale con ricorsi per cassazione; NOME e COGNOME NOME hanno affidato le loro doglianze ad un unico comune atto di impugnazione, mentre COGNOME NOME e COGNOME NOME hanno presentato ciascuno un autonomo ricorso.
Lo COGNOME ha articolato un unico motivo di impugnazione con il quale si è doluto, sia sotto il profilo della violazione di legge che sotto quello del vizio di motivazione, della determinazione della pena a lui inflitta e della mancata concessione in suo favore delle circostanze attenuanti generiche.
I due comuni ricorrenti Asli e Chieti, i quali hanno parimenti sviluppato un unico motivo di impugnazione, hanno censurato la sentenza della Corte territoriale, deducendo anch’essi il vizio di motivazione e quello di violazione
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di legge, sia in relazione al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche sia in relazione alla non esclusione della aggravante della recidiva loro contestata.
Infine, il COGNOME il quale ha formulato tre motivi di ricorso, con il primo di essi ha censurato la motivazione della sentenza impugnata sia in ordine alla confermata affermazione della sua responsabilità penale, sia in ordine alla esclusione delle circostanze attenuanti generiche; con il secondo motivo di ricorso censura la mancata riqualificazione dei fatti nell’ambito della ipotesi di cui al comma 5 dell’art. 73 del dPR n. 309 del 1990; con il terzo si duole del fatto che la Corte di appello, senza compiutamente esaminare i motivi di gravame, abbia semplicemente richiamato la sentenza di primo grado.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono tutti risultati inammissibili e, pertanto, essi come tali vanno ora dichiarati.
Tutti i ricorrenti si sono doluti del fatto che non siano state riconosciute in loro favore le circostanze attenuanti generiche; premessa la ampia discrezionalità di cui godono i giudici del merito nel riconoscimento o meno di tali fattori atipici indirettamente rilevanti ai fini della quantificazione della pena, tale da determinare la sindacabilità di fronte a questa Corte di cassazione della scelta in ordine alla loro riconoscibilità o meno solo in ipotesi di violazione di legge ovvero di motivazione neppure implicitamente esistente o, infine, manifestamente illogica (in tale senso, senza che chi via stata nel tempo un’apprezzabile modificazione degli orientamenti giurisprudenziali: Corte di cassazione, Sezione VI penale, 23 novembre 2010, n. 41365, rv 248737; Corte di cassazione, Sezione I penale, 4 novembre 1999, n. 12496, rv 214570), rileva il Collegio, quanto a COGNOME Andrea, che la Corte ha dato atto, senza che la affermazione in questione sia stata confutata in sede di ricorso per cassazione, della circostanza che il predetto ricorrente ha rinunziato ai motivi di ricorso diversi da quelli aventi ad oggetto la determinazione della pena, fattore questo che rende ora inammissibile la sua doglianza riguardante il riconoscimento o meno delle attenuanti generiche posto che la incidenza che queste hanno sul trattamento sanzionatorio non è immediata e, pertanto, l’avvenuta rinunzia ai motivi esulanti da quelli che, direttamente, incidono sul trattamento sanzionatorio rende impraticabile ogni indagine in ordine alla questione ora dedotta; lo stesso vale anche per NOME e per Chieti NOME avendo anche loro rinunziato ai motivi di
impugnazione aventi un oggetto questioni diverse dal trattamento sanzionatorio; quanto ai due ultimi ricorrenti la inammissibilità si estende, di fatto così esaurendo le tematiche da loro dedotte col presente ricorso per cassazione, anche a ciò che attiene alla ritenuta recidiva, dovendosi intendere anche il motivo di gravame a suo tempo presentato al riguardo dai medesimi espressamente rinunziato.
Tornando al ricorso presentato da COGNOME NOME esso è inammissibile anche per ciò che riguarda la doglianza immediatamente riferita al trattamento sanzionatorio; sul punto va ribadito che lo stesso è stato ridimensionato dalla Corte di appello, oltre che per l’avvenuta assoluzione dello stesso quanto al reato di cui al n. 5) della rubrica a lui contestata, proprio in ragione dell’atteggiamento processuale tenuto dai prevenuto, essendo stato esso portato da anni anni 2 e mesi 8 di reclusione ed euri 6.800,00 di multa, per come determinato in primo grado, ad anni 2, mesi 2 e giorni 20 di reclusione ed euri 6.333,00 di multa; fatto questo rilievo si osserva che per il resto il ricorso dell’imputato è del tutto generico essendosi questi limitato a lamentare il fatto che la Corte territoriale sia partita da una pena base più elevata rispetto al minimo edittale ed abbia innalzato la pena per effetto della recidiva in misura ingiustificata, trascurando, tuttavia, di considerare come la pena base è stata in ogni caso dosata in misura inferiore al medio edittale, di tal che la sua determinazione non necessitava di una specifica motivazione, e la recidiva a suo carico, reiterata, specifica ed infraquinquennale, ha determinato un aumento di pena in linea con la normativa vigente sul punto.
Venendo al ricorso di COGNOME va detto, quanto al primo dei motivi con esso agitati, che esso è inammissibile quanto al primo degli aspetti nel medesimo contenuti, cioè quello relativo alla affermazione della sua penale responsabilità; la doglianza del ricorrente è tutta giuocata in punto di valutazione degli elementi probatori presenti a suo carico, operazione che è inibita a questo giudice della legittimità impingendo essa in valutazioni di stretto contenuto di merito in relazione ai quali il giudice della legittimità non può sostituirsi a quello del fatto (Corte di cassazione, Sezione III penale,2 maggio 2018, n. 18521, rv 273217), mentre esso è manifestamente infondato quanto al profilo concernente la mancata valorizzazione, ai fini del riconoscimento delle attenuanti generiche, del fatto che il COGNOME ha chiesto, in tale senso determinando uno snellimento del procedimento a suo carico, che lo stesso fosse definito nelle forme del rito abbreviato.
Una tale scelta processuale, infatti, già viene “premiata” dal legislatore attraverso l’abbattimento della pena da irrogare, ora – a seguito della entrata in vigore della legge n. 103 dei 2017 che ha modificato nel senso che segue il comma 2 dell’art. 442 cod. proc. pen. – in misura pari ad un terzo di essa ove si tratti di delitti ed in misura pari alla metà ove di tratti di contravvenzi non avrebbe, pertanto, alcuna ragione un ulteriore abbattimento di pena derivante dalla scelta operata dall’imputato.
Esaminando ora, stante la sua apparente priorità logica il terzo motivo di impugnazione, riferito alla dedotta mancanza o manifesta illogicità della motivazione della sentenza della Corte di merito, la quale si sarebbe brevemente riportata al contenuto della sentenza di primo grado, in relazione proprio alla affermazione della penale responsabilità dell’imputato, si osserva, ribadendo gli argomenti già illustrati in relazione alla dichiarazione d inammissibilità del primo motivo di impugnazione, che, diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente difesa, la Corte di Bari ha puntualmente illustrato le ragioni per le quali ha ritenuto sussistere gli elementi per conferma della sentenza di condanna a carico del COGNOME, laddove, invece, la difesa di questo si è, al riguardo, limitata ad una generica doglianza, senza evidenziare quali siano i profili viziati della decisione assunta in sede d gravame.
Tornando, a questo punto, al secondo motivo di impugnazione svolto dal COGNOME, relativo al vizio di motivazione e di violazione di legge riguardante la mancata qualificazione operata in sede di merito delle condotte a lui ascritte ai sensi del comma 5 dell’art. 73 del dPR n. 309 del 1990, si rileva come una tale opzione sia stata correttamente scartata dalla Corte di merito sulla base del dato offerto dalla circostanza che l’odierno ricorrente, onde cedere la sostanza stupefacente da lui spacciata, non esitasse a compiere trasferte di non poco impegno, spostandosi da Cerignola sino in Abruzzo, elemento questo che induce logicamente a ritenere che una tale trasferta non fosse compiuta per trattare quantità esigue di sostanza stupefacente.
Un siffatto rilievo è, peraltro, confermato dalla circostanza che in altra e distinta occasione – della quale, peraltro, è lo stesso imputato a rivendicare collegamento con quelle ora in esame avendo egli chiesto che sia riconosciuta la continuazione fra questa ipotesi criminosa e quelle ora in esame – il COGNOME era stato sorpreso nella detenzione di ben 7 kg di sostanza stupefacente del tipo hashish; la esclusione, pertanto, della minima offensività delle condotte da lui poste in essere, operata una valutazione complessive di
esse, giustifica pienamente la esclusione compiuta dalla Corte territoriale della ipotesi meno grave di reato di cui al comma 5 dell’art. 73 del dPR n. 309 del
1990.
Conclusivamente i ricorsi presentati dalle difese dei prevenuti devono essere dichiarati inammissibili ed i ricorrenti, visto l’art. 616 cod. proc. pen.,
vanno condannati al pagamento delle spese processuali e della somma di euri
3.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
PQM
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 10 gennaio 2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente