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Attenuanti generiche: quando il ricorso è inammissibile

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 34343/2025, dichiara inammissibili i ricorsi di diversi imputati. La decisione chiarisce i requisiti per motivare il diniego delle attenuanti generiche, sottolineando che una richiesta generica in appello, senza nuovi elementi, non è sufficiente a superare la valutazione del giudice di merito. La reiterazione di motivi già disattesi porta inevitabilmente all’inammissibilità.

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Pubblicato il 28 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Attenuanti generiche: quando il ricorso è inammissibile secondo la Cassazione

La concessione delle attenuanti generiche rappresenta un momento cruciale nella determinazione della pena. Tuttavia, la richiesta di tale beneficio deve essere supportata da argomentazioni specifiche e non può risolversi in una mera formula di stile. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ribadisce con forza questo principio, dichiarando inammissibili i ricorsi basati su motivi generici e ripetitivi, e tracciando una linea netta sull’onere di motivazione del giudice e su quello di specificazione della difesa.

Il caso in esame: ricorsi respinti per genericità

La vicenda trae origine dalla sentenza della Corte di Appello di Milano, impugnata da diversi imputati. I ricorsi presentati alla Corte di Cassazione sono stati tutti dichiarati inammissibili. In particolare, un ricorso si concentrava unicamente sulla presunta mancanza di motivazione riguardo al diniego delle attenuanti generiche. Altri ricorsi, invece, vertevano sulla sussistenza di un’ipotesi di truffa, sulla contraddittorietà della motivazione relativa al bilanciamento delle circostanze e sull’esclusione della recidiva. Per tutti, l’esito è stato il medesimo: la porta della Cassazione è rimasta chiusa.

L’onere di motivazione e le attenuanti generiche

La Corte ha chiarito un punto fondamentale riguardo al diniego delle attenuanti generiche. Quando la richiesta dell’imputato non specifica gli elementi di fatto su cui si fonda, l’obbligo di motivazione del giudice è soddisfatto anche con un semplice riferimento all’assenza di elementi positivi valutabili. Nel caso specifico, il giudice di primo grado aveva già congruamente spiegato la mancanza di fattori che potessero giustificare una riduzione della pena. L’appellante si era limitato a riproporre la richiesta senza aggiungere argomenti nuovi o specifici, un comportamento che non impone al giudice d’appello un onere di motivazione ulteriore e più dettagliato.

La reiterazione dei motivi di appello come causa di inammissibilità

Per gli altri ricorrenti, la Cassazione ha evidenziato come i motivi proposti fossero una mera riproposizione di doglianze già avanzate in appello e respinte dalla Corte di merito con argomentazioni logiche e giuridicamente ineccepibili. Ripetere le stesse censure, senza confrontarsi criticamente con la motivazione della sentenza impugnata, rende il ricorso generico e, di conseguenza, inammissibile. Questo vale sia per le questioni relative alla qualificazione del reato (la truffa) sia per quelle attinenti al trattamento sanzionatorio, come il mancato riconoscimento delle attenuanti o la mancata esclusione della recidiva.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha ribadito principi consolidati. In primo luogo, la ‘ratio’ dell’art. 62-bis del codice penale non obbliga il giudice a una valutazione analitica di ogni singola deduzione difensiva. È sufficiente che indichi gli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione del beneficio. Addirittura, la negazione delle attenuanti può basarsi sui soli precedenti penali dell’imputato, poiché da essi può emergere, anche implicitamente, un giudizio di disvalore sulla sua personalità. In secondo luogo, il ricorso in Cassazione deve essere specifico. Non è ammissibile limitarsi a reiterare una richiesta generica di applicazione delle attenuanti, specialmente quando gli stessi elementi erano già stati valutati e disattesi nei gradi di merito. L’assenza di argomenti nuovi rende il ricorso manifestamente infondato.

Conclusioni: implicazioni pratiche della sentenza

La decisione in commento offre importanti spunti pratici per la difesa. Per sperare di ottenere le attenuanti generiche, non basta una richiesta formale. È indispensabile indicare con precisione quali elementi positivi (il comportamento processuale, la confessione, il risarcimento del danno, la condizione personale, etc.) dovrebbero essere valutati dal giudice. In fase di impugnazione, è poi fondamentale non limitarsi a ripetere le richieste respinte, ma costruire una critica argomentata e specifica della motivazione del giudice precedente, evidenziandone eventuali vizi logici o giuridici. In caso contrario, il ricorso si esporrà a una quasi certa declaratoria di inammissibilità, con la conseguente condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

Quando il giudice può negare le attenuanti generiche con una motivazione semplificata?
Quando la richiesta dell’imputato è generica e non specifica le circostanze di fatto che la giustificherebbero. In tal caso, il giudice soddisfa il suo onere di motivazione semplicemente richiamando l’assenza di elementi positivi che possano giustificare la concessione del beneficio.

È sufficiente riproporre in Cassazione gli stessi motivi già respinti in Appello?
No. La mera reiterazione di doglianze già avanzate e disattese dalla Corte di merito con argomentazioni logico-giuridiche rende il ricorso inammissibile. È necessario confrontarsi specificamente con la motivazione della sentenza impugnata, evidenziandone le criticità.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
Ai sensi dell’art. 616 del codice di procedura penale, alla dichiarazione di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende, a titolo di sanzione pecuniaria.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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