Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 45496 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 45496 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 21/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a MILANO il 24/01/1981
avverso la sentenza del 05/03/2024 della CORTE APPELLO di BRESCIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Brescia ha confermato la decisione del Tribunale della stessa sede del 14 marzo 2022, con la quale NOME NOME era stato condannato alla pena di anni uno, mesi otto di reclusione ed euro cinquecento di multa in relazione al reato di cui all’art. 624 bis cod. pen.
Il COGNOME a mezzo del proprio difensore, ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello, proponendo due motivi di impugnazione.
2.1. Vizio di motivazione in relazione all’affermazione di penale responsabilità dell’imputato e alla mancata disapplicazione della contestata recidiva.
2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’ingiustificato diniego delle circostanze attenuanti generiche ex art. 62 bis cod. pen.
3. Il ricorso è inammissibile.
Entrambi i motivi di ricorso risultano essere meramente riproduttivi di censure già adeguatamente vagliate e disattese con corretti argomenti dal Giudice di merito e non scanditi da specifica critica delle argomentazioni poste alla base della sentenza impugnata.
La Corte ha ritenuto di condividere le motivazioni del Giudice di prime cure relativamente alla valutazione delle prove da cui emerge la penale responsabilità dell’imputato (in primis assumono rilievo le dichiarazioni rese dal teste COGNOME NOME, corroborate dall’analisi dei contatti telefonici intercorsi tra i due in concomitanza del fatto). Inoltre, i Giudici di merito hanno ritenuto di non poter escludere la recidiva correttamente contestata alla luce dei plurimi precedenti penali a carico dell’imputato nonché di pronunce di condanna successive al fatto.
In relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, va poi osservato che, in materia, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché non sia contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269, fattispecie nella quali la Corte ha ritenuto sufficiente, ai fini dell’esclusione delle attenuanti generiche, il richiamo in sentenza ai numerosi precedenti penali dell’imputato). Non è dunque necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenu decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 7, Ord. n. 39396 del 27/05/2016, Jebali, Rv. 268475; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, COGNOME, Rv. 265826; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule,
Rv. 259899; Sez. 2, n. 2285 dell’11/10/2004, dep. 2005, Alba, Rv. 230691; Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549).
Tanto premesso sui principi giurisprudenziali operanti in materia, la Corte di appello ha osservato che, nel caso di specie, non ricorrevano i presupposti per la concessione delle circostanze attenuanti generiche, tenendo conto del valore dei beni sottratti, del comportamento tenuto dall’imputato (il quale si è introdotto in un’abitazione privata approfittando della vicinanza di questa ad un esercizio commerciale, non mostrando in seguito alcun segno di pentimento) e dei precedenti penali da cui risulta gravato, i quali rappresentano indice della sua propensione a sovvertire le ordinarie regole comportamentali.
Le doglianze difensive, formalmente dirette a denunciare la contraddittorietà e l’illogicità della motivazione della sentenza impugnata, non si spingono a criticare la complessiva logica ricostruzione operata nella sentenza impugnata.
Per tali ragioni il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non sussistendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in euro tremila, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Così deciso in Roma il 21 novembre 2024.